Prima Classificata
Meditazioni sul caso Katie Bell
di Ester.EFP
Grammatica: 12.2/15
La grammatica è ottima, gli errori che ho trovato sono per lo più refusi che possono sfuggire alla rilettura della propria storia. Consiglio inoltre l’uso della d eufonica solo tra vocali uguali.
Di seguito, gli errori trovati:
qusi per contratto → -0.1 quasi
ad Hogwarts → -0.5 senza la d
«Sbaglio o questo» e indico me e lui «È un segreto?» → -0.2 Consiglio una virgola dopo “sbaglio”, l’errore tuttavia è la maiuscola all’interno della battuta composta.
«Questo» dice e ripete il mio gesto «Non esiste se non ti lasci baciare». → -0.2 Lo stesso qui, “non esiste” va in minuscolo, perché è la continuazione della frase che sta nella prima battuta.
ed io lo stringo ancora più forte → togli la d
Si, chiaro → -0.1 sì va accentato
Che interesse ha il Signore Oscuro ad uccidere → togli la d (Nel testo ne sono presenti altri, ma non le ho riportate qui)
Per il mio Signore e per il mio amore ho fatto quel dovevo → -0.3 quel che dovevo
L’infermeria è quasi deserta → -0.1 Negli altri casi, “Infermeria” lo hai scritto con la maiuscola, quindi anche qui devi utilizzarla.
Draco ho portato compagnia → -0.2 Mettere una virgola per separare il vocativo
Io, invece, inizio a pensare che sia sotto qualcosa → -0.3 ci sia sotto qualcosa
Pansy non sa legge il volto di Draco, → -0.1 leggere
si fece più intento → -0.1intenso
«Come puoi non capire, Daphne?» continuò, mentre pian piano la sua posa compassata si smontava.
«La guerra ha messo a nudo quello che non potrò mai essere. Non sarò mai come mio padre, o come te: nessuno di voi è riuscito ad insegnarmi come affrontare la paura, come avere coraggio,[…] → -0.2 Queste due battute sono pronunciate dallo stesso personaggio, non serve andare a capo
Anche lui udì quella voce e allora parlò più in fretta «Io non ti ho voluta Daphne → -0.4 mancano i due punti che introducono la battuta. E anche qui manca la separazione del vocativo
Stile: 19/20
Lo stile è semplice, pulito e scorrevole. Allo stesso tempo, però, non risulta banale, semplicistico o vuoto. Anzi, la scorrevolezza della narrazione viene arricchita con naturalezza da un lessico pulito e puntuale, mai troppo elaborato o aulico, che esprime molto bene le emozioni dei personaggi. I toni tragici e folli del finale arricchiscono di maturità la vita dei personaggi post guerra, ritraendo un contesto e delle interazioni più adulte, senza per questo far sentire il discostamento dal fandom.
Prima di concentrarmi nel dettaglio sui pregi, però, vorrei spendere due parole sugli unici due difetti che ho notato: un aspetto della punteggiatura e alcune scelte espressive.
Abusi dei due punti, nel brano ce ne sono ben 77; tolti quelli presenti per introdurre i dialoghi, sono davvero un numero considerevole, non tutti sono necessari. Ricordo che l’uso dei due punti è da limitarsi in presenza di esplicative (ovvero per chiarire il significato di una proposizione), numerazioni, elenchi e/o per sostituire alcune congiunzioni; invece tu li usi come sostitutivi di altri segni d’interpunzione. In questo modo, il tono della narrazione ne risente, viene distorto. Per esempio:
- Ci somigliamo tutti, noi rampolli purosangue, da giovani: è la vita che poi prende pieghe inaspettate e ci porta in luoghi in cui non saremmo mai voluti giungere. ¬→ Qui poteva andare benissimo un punto-virgola, una pausa più leggera del punto (ma va bene anche il punto), ma che separasse in maniera più netta il filo logico delle due frasi.
- Di certo ho molti difetti, ma la timidezza non rientra tra questi: volevo Draco e ho fatto in modo di farmi desiderare da lui. → Questo invece è un esempio in cui sono usati in maniera perfetta, dando un’intonazione decisa e superba alla frase. La seconda, infatti, chiarisce il senso della prima parte, mostrando dove voleva andare a parare il discorso della prima.
Detto questo, trovo che la punteggiatura e i periodi più o meno lunghi conferiscano un tono costante e uniforme al testo, ma non per questo monocorde. Sei stata brava, infatti, a usare espedienti come l’asindeto per imprimere alla narrazione le giuste pause, il giusto ritmo; molto bene anche la variazione della struttura sintattica. Non abbondi con la complessità, ma frasi in cui inverti l’ordine dei complementi o inserisci incisi danno carattere e scorrevolezza al testo, impedendo di renderlo ripetitivo. L’uso delle proposizioni temporali caratterizzano il testo, ma non lo appesantiscono, mentre limiti l’uso di aggettivi e gerundi che renderebbero la lettura più corposa di quanto serva.
Per quanto riguarda alcune scelte espressive, l’invocazione “perdio” pensata e detta da una purosangue mi sembra inappropriata: non credo che esista il concetto di divinità tra i maghi, tanto che di solito esclamano “per la barba di Merlino”. L’argomento non è trattato mai all’interno dei libri, se non come tematica, quindi non posso averne la certezza; ma ho sempre pensato che la religione fosse un argomento prettamente babbano e che quindi mal si associa al personaggio di Daphne.
Trovo invece appropriato l’utilizzo di altre espressioni, come la già sopracitata “Merlino” anche lungo la narrazione: rendono più tangibile a pelle il mondo di Harry Potter e conferiscono personalità e carattere alla prima persona narrante.
Il narratore in prima persona è stato gestito davvero bene, la “voce” di Daphne e del modo in cui narra diventa elemento di caratterizzazione del personaggio, poiché hai saputo infonderle personalità, usando espressioni mai complesse, evitando frasi incisive e graffianti ma che aiutano più a caratterizzare un narratore esterno e che poco si addicano a una narrazione “parlata” in prima persona, intervallate qua e là da espressioni colloquiali, aggiungendo commenti privati e soggettivi e soprattutto filtrando ogni aspetto della storia attraverso la sua mente. Non hai comunque paura di inserire metafore davvero belle, soprattutto nel finale, per sottolineare la drammaticità e il dolore del momento. L’introspezione è portata in alto da immagini visive e di pensiero profonde, che sanno toccare il cuore di chi legge.
I due tempi verbali non hanno reso confuso il testo, anzi trovo che questa decisione abbia reso il “narrato” più vivo e diretto, facile per il lettore immedesimarsi. Approvo, tuttavia, la scelta di raccontare il finale con la voce del presente narrativo, e quindi con il passato remoto visto che in questo caso la storia diventa un ricordo, perché ti ha permesso di creare un bellissimo effetto di focalizzazione, rivelando la situazione attuale a cui gli eventi hanno relegato Daphne. Il gioco dei due tempi verbali è indispensabile per l’effetto sorpresa finale. L’unico punto che mal si amalgama a questo equilibrio è lo scambio di battute in corsivo, precedente all’incipit, che fa un po’ da “terzo tempo”, ma che è suonato un po’ come un intruso, una nota solitaria che spicca perché non appartiene a nessuno dei due “giocatori”. A mio parere, non era necessario, ciò che dicono lo sintetizza benissimo Daphne poche frasi prima, ed è un punto che ribadisce più volte; non porta neanche un’aggiunta alla sua caratterizzazione, perché la paura di apparire come un ripiego, di essere usata, di essere vista seconda a qualcuno è un elemento che si evince bene anche da altre scene.
Le descrizioni sono poche ma puntuali. Giochi con il lettore che conosce già questo mondo e ti bastano pochi accenni per ricreare la scenografia. La narrazione invece abbonda, a ragione, di introspezione e opinioni personali, di retrospettiva e analisi. I dialoghi sono ben bilanciati all’interno del testo, le confidenze di Draco li rendono poi protagonisti della loro interazione e del dramma che si consuma.
Infine, le tematiche: discriminazione, ambizione, amore, coraggio, conflitto interiore, capacità di cambiare; e l’omicidio. Quest’ultimo è l’unico tema che muove la trama, mentre tutti gli altri sono interni ai personaggi; eppure, è legato a doppio filo con tutti gli altri. Perché è l’omicidio la sostanziale differenza tra Daphne e Draco: lei non ha paura di sporcarsi le mani, forse perché non ha avuto come Draco la possibilità di fallire; mentre Draco non è disposto a smarrire se stesso, arrivando a empatizzare con la brutalità di tale azione. Tutti i temi sono trattati con delicatezza, con un filo di pensiero profondo, che invita a riflettere, primo fra tutti l’amore. Daphne rifiuta di dargli importanza, arrivando a mentire a se stessa e al lettore, accompagnando il sentimento con desideri di gloria e di potere.
Originalità, Ambientazione e Trama: 15/15
L’originalità della storia non passa inosservata, anche in mezzo alle tante varianti che ho letto sul triangolo amoroso Daphne/Draco/Astoria. Ho trovato soprattutto originale sia il coinvolgimento di Daphne durante il periodo del sesto anno sia il finale che hai assegnato a questo personaggio. L’originalità poi trova corpo nella personalità con cui hai sfruttato la trama originale, partendo dai particolari come le ragazze che facevano da palo a Draco quando si trovava nella Stanza delle Necessità fino alla sua permanenza in Infermeria.
L’ambientazione è data da piccoli dettagli, ma soprattutto dalla scioltezza con cui ti muovi nel mondo di Hogwarts, anche il maniero dei Malfoy è riconoscibile grazie ai particolari e a certi riferimenti (come la presenza dei pavoni o l’atmosfera solita di ombre e compostezza che tu hai trasformato in occasione del matrimonio). La scenografia, poi, non è niente senza un contesto chiaro, e la guerra è sempre presente negli occhi di Draco, nei pensieri di Daphne (che in qualche strano modo mi ha ricordato il personaggio di Natasha in Guerra e Pace, sia per quanto riguarda il modo in cui lo sfondo della guerra influisce sulla sua vita, sia per il secondo fine che si muove di pari passo con l’amore, sia per l’ingenuità con cui si aggrappano entrambe a questo sentimento).
Ciò che colpisce è il modo in cui hai intrecciato gli elementi di una fabula semplice da riassumere – Daphne, chiusa ad Azkaban, racconta a un giornalista della Gazzetta del Profeta delle ragioni che l’hanno spinta a uccidere Kate Bell. Lei e Draco, durante il sesto anno, hanno una storia segreta. Lei lo supporta mentre lui cerca di assolvere al compito datogli dal Signore Oscuro, riponendo in quella relazione tutti i suoi piani di gloria e amore del futuro. Piani che sono nati già rotti dal primo fallimento di Draco e che si rivelano nel momento in cui quest’ultimo, finita la guerra, prende in sposa la storia di lei – creando un climax con un idillio che si consuma tra amore e dolore, che affonda le sue radici nelle debolezze e nelle cupe ambizioni, fino al culmine in Infermeria, per poi racchiudere nel finale una rivelazione dopo l’altra, una stocca dopo l’altra. A rendere completa la storia sono le cornici che fanno da sfondo alla loro relazione, come il caso Bell, la guerra che muove le azioni di Draco e in parte di Daphne e l’elemento un po’ a sorpresa del giornalista, o anche la rivelazione finale del luogo in cui Daphne si trova.
L’incipit si apre con una verità assoluta: la loro storia non è mai esistita veramente. Ed è una frase importantissima, perché giustifica il non detto, i segreti, questo tassello di missing moment che tu hai creato. Inoltre ha la capacità di delineare molto bene il clima di sussurri, bugie, piani oscuri e ambizioni nascoste dietro i loro visi. Ho trovato geniale il fatto che tu abbia interrotto la narrazione degli eventi del sesto anno proprio quando la relazione tra Daphne e Draco aveva toccato il picco più alto, con quello struggente bisogno tra di loro che già profumava di tragedia, eppure non per questo ha perso di passione e sincerità. Per un attimo, il lettore è davvero portato a credere in questa relazione e nella perfezione di questa coppia. Il finale riporta drasticamente l’attenzione sul titolo e sul personaggio innocente e all’apparenza marginale di Kate. È un finale che sa sorprende per più ragioni e che avvicina ancora di più il lettore a questo personaggio tutto d’un pezzo, ma soprattutto alla fine amara di un amore nato nell’oscurità, vissuto su due diversi binari, ma non per questo meno autentico o doloroso.
I generi trattati – drammaticità, introspettivo, romantico – sono egualmente importanti e tu li fondi sapientemente imprimendo a ogni scena la dose giusta di tutti e tre. Il dramma di questa relazione, dell’evoluzione di Draco così come la tragica fine di Daphne, è mostrato attraverso un’introspezione profonda e realistica, complessamente umana. Allo stesso tempo il genere romantico non è mai estremizzato, e comunque risulta ben chiaro che è il motore della tragedia. Perché è l’amore che nasce tra questi due, vissuto in maniera così diversa e per scopi e bisogni differenti, che dà spazio alla tragedia e alla vena di pazzia che aleggia di sottofondo.
Titolo, Introduzione e impaginazione: 9.75/10
Sembra uno dei titoli della Rowling. È più una sensazione questa, ma ho avuto l’impressione che potesse benissimo mischiarsi tra i titoli di uno dei libri della saga: semplice, lineare, incisivo, privo di articoli che lo introducono, si concentra sul dettaglio che muove la vicenda, lo sfondo, più che sui protagonisti.
A un certo punto della storia, prima del gran finale, mi è sorta la domanda: perché un titolo simile, se la vicenda Bell inizia e finisce nella prima scena? E ovviamente la storia ha risposto puntualmente: il caso Bell è stato l’inizio della fine, è stato il dettaglio su cui Daphne si è fissata, su cui ha gettato le colpe del suo fallimento, della sua perdita. Il caso Bell diventa la chiave di lettura per capire la storia tra Draco e Daphne; e dietro la morte di un’innocente si nasconde un segreto basato su un rapporto disperato, malato, che si nutre dei difetti e delle peggiore esperienze dei protagonisti.
È un titolo che potrebbe passare inosservato, gioca quasi a toni bassi, eppure si fa ricordare; non grida, non si fa bello, ma è inusuale quanto basta per non essere dimenticato.
L’introduzione si mantiene sullo stesso tono: semplice, lineare, pulita, sfrutta il personaggio protagonista, sintetizzando le emozioni che poi si stendono tra le pagine trovando il loro perché e accenna alla trama sempre e solo attraverso gli effetti che essa ha su Daphne. La frase finale prima dell’estratto mi ha incuriosito, potrebbe essere lo stesso Jonhatan Elliot a pronunciarla, dando l’impressione che l’introduzione sia parte integrante del suo articolo. Infine, apprezzo la presenza dell’estratto, anch’esso concentrato sul personaggio femminile.
L’impaginazione è pulita, il testo giustificato rende il testo impostato e composto. L’unica cosa che manca è il rientro dei capoversi che avrebbe impedito l’effetto visivo del “mattone”.
Caratterizzazione dei personaggi: 20/20
In questa storia, valuterò la caratterizzazione di Daphne (tenendo conto dei pochi elementi che di lei conosco) e l’IC di Draco.
Si respira aria di maturità, si respira l’aria di un’adolescenza tormentata su cui lei vuole fondare il suo futuro, ma che lui vuole dimenticare. La prima cosa che ho notato è l’evoluzione quindi di Draco che si contrappone alla staticità del personaggio di Daphne. La seconda è la paura che provano. Sì, perché entrambi temono qualcosa. Ma se Daphne teme la disfatta, Draco teme di perdere se stesso. La sicurezza di Daphne si contrappone allo smarrimento di Draco, equilibrio che poi si inverte nel finale, in cui Draco riesce a scendere a patti con la nuova realtà, mentre Daphne rimane il pallido fantasma di ciò che è stato ucciso, o sopito, con la fine della guerra.
Sono personaggi “cattivi”, eppure questo non li rende privi di sentimenti. Anzi, tu ti assumi il compito di dare una motivazione e un punto di vista ai loro desideri, ai loro ideali, al loro modo di concepire la società e le interazioni, pur non esimendoli da emozioni quali la paura, la fragilità e l’amore.
La prima persona narrante giustifica la mancanza di descrizioni fisiche del personaggio femminile, che in questo caso (con un fandom alle spalle e un genere introspettivo a muovere la vicenda) non penalizza la percezione che il lettore ha di esso. Daphne è un personaggio statico, che non cresce e non impara. La sofferenza e il conflitto di Draco non la toccano se non in misura della viltà che paventa. Al contrario conquista per la sua determinazione e per la forza, supportata da un velo di pazzia, con cui affronta l’atto dell’omicidio. Una forza che comunque odora di ingenuità, perché lei non ha avuto la possibilità di Draco di essere posta davanti al dolore per tale atrocità, non ha la possibilità di fermarsi o di tornare indietro. Il fallimento, che lei non contempla e non conosce se non come distruzione dei suoi sogni, decreta in qualche modo la sua perdizione. Daphne ama in una maniera opportunistica, ma non per questo meno sincera o totale; anzi, è l’ambizione che la spinge a dare tanta importanza alla sfera sentimentale. Anche questa tendenza è emblema dell’educazione e dei valori con cui è stata cresciuta. È una purosangue, totalmente votata agli ideali di sua madre e del Signore Oscuro, e Draco è colui con cui quei valori lei può rispettare, dimostrando di essere fedele. Non a caso, il suo interesse matura quando lui incarna l’oscurità e la superiorità. L’amore non è puro desiderio e bisogno di lui, ma incarna il futuro che lei vuole, la gloria che ricerca; ed è per questo che la rottura con Draco fa crollare tutto il suo mondo. Daphne, inoltre, è totalmente succube delle sue emozioni, delle passione così come dei sogni che nutre. Parte con l’idea di prendere e finisce per dare tutto. Non ha freni, la sua razionalità è sempre costruita su una vena di pazzia e ossessione. Daphne inoltre è egoista, a tal punto che in lei sentimenti puri e oscuri si miscelano e convivono. Come per esempio l’amicizia con Pansy: sembra sincera, leale, qualcosa a cui lei tiene, eppure questo non le impedisce di tradirla, di raccontarle bugie, di fare qualcosa che sa la ferirebbe. Il clima di segretezza doveroso assume anche connotati di innocenza, di chi vede il mondo come il teatro in cui brillare. Daphne non vuole neanche essere usata o vista come inferiore a qualcun altro, e questa è caratteristica essenziale. Daphne gioca nell’ombra, non diventando mai veramente protagonista della guerra e degli eventi, se non nel finale; lei vuole essere colei che ha supportato il servo più fedele, lei è la donna che incarna la perfetta moglie. E in questo suo combattimento io ho visto un’incarnazione della figura femminile più vecchia, in linea con la società magica in cui lei vive, conservativa e protezionista, patriarcale soprattutto (da considerare, infatti, è la figura di suo padre che ha completamente il controllo del suo futuro facendola sposare con un Macmillan).
Fai percepire anche molto bene la caratteristica predominante delle varie famiglie, dando una netta distinzione: i Malfoy, così pallidi e arroganti, tronfi e superbi; i Greengrass, talmente puri da sembrare innocenti, ma composti, a modo, fondano sulla loro reputazione la purezza della loro famiglia. Daphne sembra quindi agli occhi di Draco una che non si sporcherebbe mai le mani.
Per finire, Daphne è anche arrogante, per certi versi. La convinzione di essere nel giusto, l’attaccamento ai suoi ideali le impediscono di ricercare la causa delle sue sfortune dentro di lei. Ha quindi bisogno di un capro espiatorio, trovando nel caso Kate l’inizio e la fine dei suoi guai.
Un personaggio quindi che risulta inserito perfettamente nel contesto e che curi sia a livello caratteriale, sia comportamentale, sia sociale che psicologica. Il lettore può benissimo capire la complessità dei meccanismi su cui si basano i suoi ragionamenti e le sue azioni, arrivando a immedesimarsi con lei.
E finalmente passo a commentare l’IC di Draco.
Di lui dai indicazioni fisiche, soffermandoti sul pallore della pelle, gli occhi grigi e i capelli di un biondo slavato, incolore. Di lui è sempre chiaro l’aspetto, sia quello poco interessante tipico dei Malfoy, con quell’aria di superiorità e sufficienza, sia l’aspetto malato e trasandato che mostra al sesto anno, per finire con l’aria da adulo fatto e finito, perfetto e per bene nel suo completo e nella cura del suo corpo. Questo caratteristica non solo caratterizza lui, ma rafforza la caratterizzazione di lei, evidenziando quanto importante sia l’impressione e l’apparenza per lei: sempre perfetta, sempre composta, all’altezza del suo rango, senza scandali a rovinare la reputazione.
Anche il carattere di Draco è perfettamente IC; aggiungo però che tu hai saputo tenere conto della crescita del personaggio, sfumando tale personalità attraverso le esperienze che lui accumula e le consapevolezze di sé che acquista. Draco è arrogante, insensibile alle pene altrui, non si fida mai di nessuno, freddo, disgustato dalla debolezza degli altri; ma è anche vile, incapace di uccidere, smarrito tra gli insegnamenti ricevuti e la sua natura così incapace di perseguirli. Draco si scopre troppo attaccato alla sua umanità per togliere la vita, incapace di scendere a patti con un atto così atroce e irreversibile. È un personaggio che ha bisogno sempre di un seguito: se prima però c’erano Tyger e Goyle a farli da spalla, a difenderlo dalle ripercussioni della sua superbia, al sesto anno si trova da solo a dover far fronte a un compito più grande di lui. Non ci sono protezioni: se fallisce, ne pagherà direttamente le conseguenze. Il bisogno di non fallire che nasce da più intenzioni – salvare la sua famiglia, riscattare il loro nome, servire le cause a cui è sposato, dimostrare di non essere secondo a nessuno – si scontra con i suoi limiti. Si smarrisce, e in questa confusione e in mezzo al pantano di paure, l’unico punto saldo è Daphne. Un personaggio che si abbassa al suo livello, si inginocchia sul pavimento del bagno per sostenerlo ma che non può veramente proteggerlo. Non è uno scudo, solo una spalla a cui aggrapparsi, ferito e spezzato. Lui va avanti, subisce le conseguenze; la spalla resta indietro. Diventa lo specchio, il legame con il suo passato, la parte peggiore e debole di se stesso. Draco dimostra, come Daphne, di essere estremamente egoista, rifuggendo ciò che non può servire con tutte le sue forze, rifuggendo il dolore e gli ideali di una vita, preferendovi la pace e la tranquillità di una nuova vita, rispettabile ma piena di cicatrici. Draco cammina sempre con un segreto in tasca, è un dettaglio di cui ho la convinzione: Draco mente, imbroglia Harry al primo anno, conosce il segreto del padre e quello di Sirius al quinto, al sesto cela la sua natura e la sua missione. Da adulto nasconde alla moglie la parte più oscura e infida di sé.
Draco ama con disperazione, ama con la forza di chi ha bisogno di aiuto; l’amore per lui è sfogo e consolazione. Fin quando è a scuola, al sesto anno, quell’amore diventa un’ancora di salvezza. Nel mondo adulto, però, è una zavorra, Daphne conosce il sedicenne e lo costringerebbe a essere quel sedicenne.
Anche il suo comportamento è canon: il modo in cui tratta Daphne; il modo in cui sfrutta la loro relazione, sia per i suoi scopi sia per il suo bisogno; lo smarrimento nello sguardo, il suo crollare a forze più grandi; ma anche il suo modo di parlare sempre arrogante e insensibile, la risata nervosa, l’istinto violento che lo spinge a stringere la bacchetta, l’istinto a scegliere la via più semplice, il modo in cui si obbliga ad asseconda la richiesta di Daphne. Hai fatto un lavoro curato, completo e profondo, non lasciando indietro nulla.
Per finire vorrei spendere le ultime parole per le voci dei personaggi. Mentre per Daphne ti faccio i complimenti per il modo in cui hai saputo esprimere attraverso le sue parole e i suoi pensieri la sua personalità, per Draco devo concentrarmi di più sulla capacità che hai avuto nel cercare di imprimere alle sue battute l’intonazione giusta, quella che abbiamo imparato a riconoscere nei libri. Posso dire che c’è una differenza sostanziale tra il Draco sedicenne e quello adulto: per due terzi del racconto, le battute di Draco sono piene di arroganza, superbia, ma anche folle timore e smarrimento. Mi ricorda moltissimo sia il Draco del primo anno che quello del sesto. Nell’ultima parte, invece, si aggiunge un nuovo tassello, quello dell’amarezza e del peso degli anni. Le battura di Draco si fanno più lunghe, ma vengono allo stesso tempo ammorbidite da toni più sensibili, e mi riferisco quando ammette di averla amata; ciononostante non perdono affatto quella nota di durezza o superiorità. Quindi anche nel suo aspetto più maturo, Draco è più che riconoscibile.
Gradimento personale: 5/5
Questa storia mi ha sorpreso. Ho letto diverse Draco/Daphne in questi anni passati su Efp, ho avuto modo di amare le mille caratterizzazioni diverse date a questo personaggio marginale; eppure, adesso che ho letto la tua, ho avuto l’impressione che ognuna delle precedenti si basasse su un filo più irrazionale di pazzia (il che non le rendeva meno belle o con qualche mancanza di caratterizzazione, ma più macabre e folli, oscure in un modo tutto loro, ecco), in un’atmosfera più dark, più particolare e personale. La tua Daphne, invece, s’incastra alla perfezione con il mondo di Harry Potter. Vuoi i toni più razionali, la retrospezione più affine con gli elementi dell’opera originale, vuoi che hai creato un missing moment che in più di un punto mi ha fatto dire “e quest’informazione dove l’ha presa?” tanto era plausibile e ben amalgamata nella trama e nel contesto generale, il tuo personaggio, anzi i tuoi personaggi, mi hanno trasportato di nuovo tra i libri, aggiungendo un tassello perfetto nell’immaginario originale. Mi hai convinto, mi c’hai fatto credere! Ti dirò di più: coinvolgimento ed emozioni al massimo in quel finale pieno di colpi di scena. Ma ciò che più mi ha entusiasmato è stato il modo in cui la storia di lei mi ha colpito, quella mentalità complessa e a tratti contorta, perfettamente umana, che l’ha resa reale, viva, tangibile. Ho provato pena per lei, tanta se non di più di quella provata dal giornalista. L’infrangimento dei sogni, dei piani della vita, la delusione d’amore, il dolore di una verità scottante, e quel ragionamento folle tanto quanto logico. Un’altra cosa che ti devo assolutamente riconoscere, e per la quale mi levo il cappello, è il modo in cui hai caratterizzato Draco. Se con Daphne hai potuto giocare con la caratterizzazione, con lui invece ti sei dovuta attenere alle informazioni che la Rowling ci ha dato e ha disseminato nell’opera. Anche di lui ho letto varie versioni, ognuna delle quali, vuoi per la brevità o per il taglio della storia, si concentrava solo su un determinato aspetto del personaggio, quello che in quel momento l’autore voleva far risaltare. Il tuo Draco, invece, è completo, forse perché lo hai ripreso attraverso gli occhi di un personaggio che lo ha conosciuto nella sua evoluzione e che gli sta accanto proprio nel momento in cui c’è la sua massima espressione e avviene il cambiamento più radicale, ma è stato bello davvero. È un Draco più adulto, ma non manca di nulla, ed è protagonista finalmente.
Mi ha sorpreso sì, questa storia, perché non pensavo che potesse spingermi a tanta ammirazione, e sappi che l’ammiro davvero tanto.
Qui aggiungo di cuore, poi, i miei complimenti per uno stile coinvolgente, che nella sua semplicità così naturale e scorrevole mi ha incantato. È stata una lettura che, un giorno o l’altro, riaffronterò con gusto e tranquillità, perché è una di quelle con cui ci si può lasciar trasportare; e la voglia di rivivere tutto attraverso gli occhi di Daphne è davvero tanto. Bravissima!
Punto Categoria: 4.5/5
Per quanto riguarda i punti della categoria, li conquisti appieno. Ci sono tante piccole verità in questa storia, non ultima quella a cui Daphne si aggrappa per “cambiare” il suo passato, quell’errore che gli ha rovinato la vita, ovvero la consapevolezza che la mancata morte di Katie Bell ha impedito a Draco di diventare lo spietato e ambizioso uomo purosangue che era destinato a essere. Secondo il pensiero di Daphne, la morte lo avrebbe indurito, forgiato, mentre quella porta lasciata aperta dal fallimento ha lasciato spazio a rimorso, paura e viltà.
Ma la verità più scottante, quella che si legge tra le righe e che viene accennata sin dall’inizio, è quella pronunciata da Draco: Daphne non gli avrebbe permesso di purificarsi dagli errori del passato, non gli avrebbe permesso di crescere, non gli avrebbe permesso di chiudere quel capitolo doloroso della sua vita; Daphne è l’amore focoso e disperato di un sedicenne, e lui è cresciuto. Questa verità, che in realtà viene rivelata quando il cambiamento di trama è già in atto è comunque sconvolgente per Daphne e tangibile a tal punto che conquista comunque il lettore.
Per quanto riguarda i punti bonus, ovvero la morte di un personaggio importante ai fini della trama non ti ho assegnato il punteggio pieno per il semplice motivo che la morte è “un’informazione” presentata dal personaggio e non è presente la scena in sé. In altre parole “volevo” leggere della morte del codesto personaggio. Detto questo, ho dato comunque più della metà dei punti perché la morte di Katie ha in ogni caso variato parte del destino di Dahpne (forse non ha rimediato come voleva lei, ma l’ha portata laddove non sarebbe altrimenti finita).
Punteggio: 85.45/90 (Recensione modificata il 17/01/2019 - 11:56 am) |