Recensioni per
Prodigy
di Nocturnia

Questa storia ha ottenuto 3 recensioni.
Positive : 3
Neutre o critiche: 0


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Recensore Junior
06/05/17, ore 18:02
Cap. 1:

My Dear Brother ne ha tracciato il prologo, ora è Prodigy a sanguinarne l’incipit -deviazioni sul percorso, sogni o allucinazioni, innocenti speranze e radicate convinzioni.
Un senso per vedere la propria forma.
Un secondo per toccarne linearità e increspature.  
Un terzo per ascoltarsi, ammettere quali gli echi e quali le verità, 
in coda un quarto -per annusare, riconoscere ciò che si è diventati.   
Il quinto successivo per poter assaggiare, discernere tra gusti ancestrali e quelli che invece sanno di stantio;
infine il Sesto -vitale, per unire e amplificare, delineare percezioni, perfezioni, per accettare nuances di sé.     
Cinque sensi per Eve e una Serpe per dominare; a Lei un padre per ghermire, a Lei una madre per poter accettare. Due bestie per cancellare, due genitori per vivere -una Eve per cambiare.
Eve, intensa è Eve -colei che percepisce, che anima. Che perciò esiste.


“I am the first
A shadow at the end of the hallway
I spin the carousel
The laughter recedes away
My finger on your lips
I stole something precious”


La storia di un triangolo, al cui vertice giace il più ottuso dei Tre, l’angolo più ingombrante -una presenza che Eve a sue spese ha imparato a conoscere, ad apprezzare per ciò che è. Albert Wesker: il bioterrorista, il criminale internazionale e il contrabbandiere, l'ombra oscura di uno straccio di umanità ferita, scartata, ignorata e relegata agli angoli di marciapiedi affollati. Mercante di morte, belva senza scrupolo alcuno -Albert Wesker, colui che gioca a dadi con le vite altrui. Colui che ha regalato a Eve il nome e il significato più bello.

Colui che Eve chiama padre.
E’ innocente lo sguardo della piccina, un bel sorriso a illuminarle il volto -ciò che di più caro si possa immaginare, l’inaspettato prodotto di un meno e un altro meno. Un più, una gioia.
Qualcosa che striscia, che si agita nelle profondità.
Eve ascolta suo padre, lo segue, perché sente che di lui si potrà fidare. Che di lui si dovrà fidare. E’ quel Sesto Senso ad assicurarglielo, a mostrarle quel punto di vista del tutto nuovo, pulito -quale il malvagio essere, dove la maschera del mostro. Non costituiscono per lei fonte di minaccia quelle mani scure e quelle pozze scarlatte, non incutono timore alcuno; le parlano di superba sicurezza, profonda e radicata arroganza -sconfinato orgoglio e crudeli aspettative riposte in quel suo fragile corpicino, Titanide a custodia di un potere brutale e disumano.

E’ così perfida la realtà, iniqua -poiché non è altri se non Albert a muovere il carosello su cui gioca, candida e vivace, la piccola Eve, ombra al suo fianco per attenderla sempre, inquinarne gli spensierati lineamenti di una tragica e feroce purezza. Suo padre, un uomo che a sé richiama silenzio, la cui sola risata riecheggia nel nulla che porta -suo padre, effimero sogno che si muove ed esiste, eppure avulso dal contesto in cui vive. Perché Eve è un’eredità spaventosa, il lascito più potente di tutti; perché Eve è il progetto più visionario e assurdo a cui Albert Wesker abbia mai involontariamente deciso di prender parte.

Perché la verità è che Eve è sua figlia, colei che nasce per far crescere e maturare -per selezionare, migliorare ed evolvere.
Eppure non sempre evolvere significa progredire, non sempre implica il perseverare -mere elucubrazioni queste, figlie di un acume chiuso e limitato, dogmi scardinati per mano dei quali Eve non sarà mai doma. Eve Wesker, bambina che si perde nel nero di suo padre -che vi si ritrova, che incatenata al suo pugno la potenza del Serpente si appresta a plasmarla, ampliarla, piegarla al vampo di un’iride dal Progenitore senza limiti. Quella stessa bambina che oggi canta con Voce cristallina, danza in un coro di sangue e abomini; che domani ucciderà per una B o una A -rabbiosa, rancorosa, che odierà per vaniglia e bontà chi si accollerà, ignaro, l’angoscia e il pianto di crescerla.
Progenitor e Progenitor, Wesker e Wesker, Albert e Eve -Padre e Figlia, il carosello e il suo riflesso sulle note di una malevola melodia.

Perché in fondo la verità è che per quanto sia assurdo, indecente, sbagliato, Wesker aveva già marcato Eve ancor prima che nascesse: l’aveva già contaminata, corrotta, avvelenata -un bel viso e pelle di porcellana, occhi di vetro e di ghiaccio, capelli di grano sbiaditi in cenere. Dietro -dentro- magma incandescente, mani di un Mida furioso che bruciano ciò che toccano, distruggono -mani nate per macchiarsi di nero, Uroboros, per perseguire il fine perfetto. Ed è questo il suono al quale Eve si ritrae -Uroboros, frequenza sconosciuta, bassa, non gradita. Puzza di marcio, puzza di morte.
Ma è naturale.
Perché la Voce di Eve è ancora giovane, ancora immatura -e un giorno capirà. Capirà di potersi elevare a molto più di patetico epigono, di cullare in sé il ruolo della Prescelta -sangue di suo padre, la sua degna discendenza. Capirà di doversi scrivere sulla falsariga del Padre, di doversi profetizzare -di dover piegare il mondo, schiacciarlo, il Potere in una mano e la stretta del Padre nell’altra. Capirà di essere destinata a tutto, ma che tutto combatterà per darle niente; capirà che un’ombra l’accompagnerà sempre lungo il percorso, che ci sarà per giocare ancora sul carosello con lei.
Che cercherà di rubarle qualcosa che anche Lui sta inconsapevolmente perdendo.
     
E’ dunque Giove, allora, a presiedere alle percezioni di Udito, Olfatto e Vista: superbo il padre che intercede per Eve, ammirato si compiace nel testimoniare e accarezzarne nel sangue il divino retaggio -ride beffardo, sbeffeggia un Destino del quale la piccola Sibilla ha già ascoltato il rombo, visto i fumi, inalato le ceneri.
Ed è così che Giove tramonta, che porta via con sé un'intera storia; è così che Iuventas, innocente, crolla e si dispera -persa la bussola senza più un riferimento, indifeso il piccolo ofide senza più la sua serpe. Cade, Eve, e piange derubata del padre -relegata in un limbo, schiacciata, medita vendetta e si consuma, sfama la bestia che accoglie.

Aspetta.

Un tocco, un pensiero -l’ombra che torni a giocare sul carosello con lei.


“I am the second
Alone in a faceless crowd
A human caught in monochrome dreams
I scream to wake up
My voice drowns deep underground
Only the dead can hear me, see me”
           

Ora il vertice successivo -l’angolo cieco, l’angolo chiuso tra il lato corto e quello più lungo. Alexandra, Era, Giunone -Ebe, Eve, la sua cara e devota ancella.
Arma la Madre, ponile in mano lo scudo e la spada -spronala a combattere, incitala alla guerra, taglia, fendi e schiaccia. Siine il vitale riflesso e il riverbero splendente.
È una bambina, Eve. Un fagotto rosa e biondo, che al tatto cerca sua madre -Alex Wesker monocromatica, che ha perso quasi ogni sua sfumatura, solo chiaro o solo scuro ciò che concede a quell’ingannevole, piccola parte di sé.
Eve.
Venuta, non voluta, l’eco di un passato che ancora è votato all’accanimento -non facile, allora, cogliere la realtà del rapporto che vivo tra Alex e Eve, Madre e Figlia, Era ed Ebe. Anime tanto lontane quanto sentono stretto il filo che le unisce.
 
Fila infinite, una mente affollata per la povera Alex, di dubbi e colpe per la piccola Eve -figure senza voce, senza volto, poiché non è la bambina ad essere colpevole, non è la bambina ad aver scelto un amore che lacera, che infligge, che colpisce e che uccide. Non ha colpe, Eve, se non quella di esser figlia del peccato originale, ancestrale, progenitore della Razza Eccelsa: Albert e Alex, #13 e #12, Adamo ed Eva asserviti al Padrone. Eve, la loro carne.
Perfetta.
Un Progetto riuscito, il successo agognato -figlia di Tiranni, nipote di un dio. Nessuna pace per Era, quando scopre che la sua progenie è tornata per ghermirla -a vendicarsi e a distruggerla da dentro, a rubarle il cuore e scongiurarla per un briciolo del suo amore.

Si delinea allora un rapporto difficile, una relazione dalle complesse geometrie il filo che intercorre a legare persone opposte dal destino intrecciato: Eve, simbolismo del diavolo, luce che nasconde in sé le peggiori ombre; Alex, colei che ha rifiutato il giogo -che lo rifiuta, che rifugge quel ruolo al quale è stata obbligata -al quale si è obbligata. Un ruolo che tuttavia deve accettare per liberarsi dalle azioni, i pensieri, la persona -dalla vita che Spencer aveva bandito per lei.
E' così dunque che Giunone fiorisce, venerata e potente del suo augure più fedele, accogliendo Iuventas, Rinnovata Giovinezza, ascendendo a ciò che la renderà realmente immortale. E’ così che Alex, libera, consacra la sua veste, la crea dall’intreccio del suo filo avvolto stretto a quello di Eve -spiga bianca e spiga dorata, per nutrire il grano più bello.

Non è stato un percorso facile, per entrambe; non è stato un percorso veloce -ciò che avrebbe dovuto rivelarsi naturale non lo è stato. Eppure è venuto: Wesker ha accettato Wesker, Alex ha accettato Eve. Ha iniziato ad amarla, a concederle parte di ciò che era sempre esistito per Lui, solo Lui, in funzione e protezione di Lui -ciò di cui Lui, Albert, aveva sempre goduto e scelleratamente abusato.
Albert
, l’angolo che si affaccia su entrambe, il vertice supremo che concede ad Alex, perciò a Eve, una vita piena e a 360 gradi.
Albert, sciocco imprudente, che getta via la sua vita e con sé quella di Alex. Quella di Eve. Che spazza via la sua famiglia.

Non è stato un percorso lineare, quello di Alex verso l’indifesa Eve -eppure così lineare è stato distruggerlo, strapparlo. Rapido, fin troppo. Una storia di perdite, terribili, di tutti che perdono tutto -di un triangolo i cui vertici non si toccano più, di una figura che perde la sua consistenza. E Eve è vigile, testimone impotente della caduta di sua madre, del male che ne è scaturito -fisico, un Progenitore delirante e connessione al ventre della Terra; mentale, percezioni spaesate, indolenzite, annichilite di fronte a una voragine così grande. Albert Wesker muore, lasciando dietro sé l’abisso -e precipita Alex, perde l’appoggio di Eve. Perché triste verità è che l’amore che sua figlia potrà darle non sarà mai abbastanza per riempire quello sottratto dal Fato: niente è Eve senza Albert.
Niente è Alex senza di lui.
Una spiga allettata, un’Era afflitta e piegata -smarrita dolce Giovinezza, la madre sceglie e contempla la tomba. E Eve assapora, assaggia ciò che striscia di buio nella persona che più ama: Fragilità, Paura, Dubbio, Disperazione costringono quel cuore che batte anche se sa di essere morto -di non avere più nulla per se, di non avere più nulla per Eve.
Eve, che non ha nessuna colpa se non quella di essere figlia di Alex e Albert Wesker; Eve, che per affranta apatia rovina in quella pozza in cui Niente è tutto e abbastanza non lo è mai veramente.

Eppure, una speranza è rimasta.
Un ultimo acciarino, al freddo dell’inverno.
Un Progenitore spezzato, sfiancato, che trovi i resti di quella vecchia forza che un tempo aveva riposto in sé -che accolga nelle sue mani il coraggio per ammettere che questa volta c’è ancora qualcuno che la aspetta, che ha bisogno di lei. Che una madre ci deve sempre essere, perché troppo facile è prendere e volere e poi ricusare ogni responsabilità; troppo facile è svegliarsi e urlare e poi scomparire nel sepolcro di carne che si è scelto per sé.
Troppo egoista sarebbe abbandonare Eve, figlia di Albert -suo maledetto dolce riflesso. Proprio allora, privandola della figura materna, verrebbe incoronato il sogno di Spencer -forgiato il peggiore dei mostri, partorita la bestia più indomabile. Ma questo Alexandra lo sa, e per questo dopo mesi di distanza sceglie di tornare da Eve -contrita, raccoglie il suo povero ruolo e risponde a un grido disperato, condivide una goccia di quel dolore con chi è orfana esattamente come lei.
Alex e Eve si riconciliano, il loro filo torna a brillare -l'istinto materno si rafforza, qualcosa per cui rischiare e non poter fallire. Una Alex che ora sa, riconosce di essere importante per qualcuno -qualcuno che ancora c’è, che ancora vive e batte per lei. Una Alex che comprende come oltre ad Albert, a loro, d’ora in poi conterà anche Eve, un esserino troppo speciale per essere lasciato a stesso.
Troppo importante per non essere amato.

Ed è per questo che decide di farsi una promessa: che per sé ritroverà Albert, ma per Eve riporterà indietro entrambi. La cercherà, la troverà -per lei torneranno indietro. Per Eve, il sapore e il tocco di una vita che valga la pena vivere.


“I am the third
A master
A sentinel of awakeness
I hold truth like a torch
Shadows flicker before me
Rapid eye follow the chain of thought
Until the silence ends.”

(Rain Of Brass Petals - Three Vocals Edit, Silent Hill: Revelation)

Eve non credeva di venire al mondo nell’occhio del ciclone. Non era stato così quando era ancora nel ventre della mamma, dopotutto. Era calmo lì, si stava bene. Era bello -udito a ricordarle che era viva, che un altro cuore c’era a battere insieme al suo. Voci serene, altre dure a guidarla nei suoi primi, silenziosi passi.
Poi tutto era cambiato. Eve era nata, era uscita per vedere quel fuori che l’aspettava, che tanto la incuriosiva -e cose strane aveva trovato ad aspettarla: aveva visto un uomo, coi capelli grigi, che sentiva esserle amico; aveva visto una donna, bellissima, e aveva sentito come il suo ritmo fosse sempre lo stesso di tutto quel tempo. Sua madre, aveva capito.
La sua mamma.
Avrebbe voluto stringerla, toccarla, ma lei si allontanava continuamente -però Eve lo sentiva, sentiva di potersi fidare. Di poterla amare.
Poi aveva annusato nell’aria un odore, strano, che non conosceva -che veniva da un luogo lontano, che non sapeva nemmeno dove fosse. Aveva annusato forte, e lo aveva sentito vicino: aveva trovato occhi di fuoco a guardarla -e quella Voce di sempre le aveva parlato. Piano (lei non urlava mai), le aveva detto che erano occhi che facevano paura, sì, ma che lei non doveva averne -che appartenevano (una parola difficile, che Eve non aveva molto capito) a un’altra persona di cui si sarebbe potuta fidare.
Che erano di suo papà.
Poi la Voce aveva detto che anche lei, Eve, era una persona -un po' strana, un po' speciale, ma che però lo era comunque, e che vicino a loro sarebbe potuta stare tranquilla.

La sua mamma e il suo papà -Eve voleva loro un gran bene. Erano belli, e le piaceva guardarli mentre ballavano, lavoravano senza fare rumore, mentre litigavano -perché sentiva che in ogni caso in quel ballo silenzioso, nel lavoro concentrato e tra le urla più cattive c’era sempre la Voce sotto a parlare per loro, quieta, e che non si arrabbiava mai. Sentiva che se avesse voluto avrebbe potuto chiamarli e loro l’avrebbero accolta. In realtà poi, solo crescendo Eve aveva davvero capito cosa volesse dire essere speciale: poter sentire tutto, farsi male e guarire subito dopo. Gli altri bambini non erano così, diceva sempre la Voce, ma lei non doveva preoccuparsi, perché tutti le volevano bene e l'avrebbero protetta. Ed Eve era stata contenta.
Finché non era morto papà.
Quello era stato brutto, orribile -perché per la prima volta la Voce non aveva né dettoparlato: aveva urlato, strillato, graffiato. L’aveva assordata, intontita, aveva pianto -e Eve con lei. Si era sentita vuota, sola, e non le era piaciuto. Aveva avuto paura ed era caduta -si era fatta male. E quando tutto si era fermato e la Voce aveva smesso di lamentarsi, Eve l’aveva cercata, trovando solo un animaletto impaurito, proprio come lei. Allora si era subito rivolta alla mamma, ma la sua Voce (la sua bella voce) era scomparsa. Sparita. Solo dopo l’aveva trovata, immobile, lontana, e quando l’aveva toccata si era… rotta. Eve si era sentita sola, perché papà era morto e la mamma con lui.

Era passato tanto tempo prima che la mamma tornasse a parlarle -e Stuart intanto le aveva tenuto compagnia: era stato così buono con lei, aveva fatto di tutto per farla sentire felice. Avevano festeggiato insieme il suo compleanno, le aveva fatto una torta bellissima -e Eve avrebbe voluto che ci fosse anche la mamma, anche se lei era troppo occupata a piangere e a stare male tutto il tempo. La Voce era tornata -si era calmata, ma ora la sentiva più vuota, più spenta,  come se da sola non risuonasse più così bene. Quella della mamma invece non la riusciva più a raggiungere -si ritraeva ogni volta che cercava di toccarla, era talmente triste da gridare sempre. A Eve piaceva il sapore della torta di Stuart, ma quello della disperazione le faceva proprio schifo.
Finché un giorno, Eve si era stancata -di stare da sola, che la sua Voce suonasse così cupa. Rivoleva quella di suo padre, rivendicava quella di sua madre -perché in fondo lei era solo una bambina e a nessuna dovrebbe essere concesso di cantare da sola. Si era arrabbiata -aveva usato quel suo strano potere per attirare l’attenzione di sua madre, per essere degna di quella Voce che non la considerava più tale: perché lei era Eve Wesker, e un Wesker non chiede, esige; non consiglia, ordina; non prende, strappa -e Eve aveva strappato le difese di sua madre, l’aveva tolta al suo castello di spine
-l’aveva pregata di volerle bene, di toccarla un’altra volta. Di amarla.
E
la sua mamma l’aveva fatto, così che Eve potesse capire -sentire quanto brutta e cattiva sarebbe stata la vita con loro.


Eve non era mai stata una bambina ingenua -erano sempre state tre le Voci ad accompagnarla, solo una ora rimasta a guidarla. Non aveva mai capito perché non le fosse stata concessa un’esistenza normale: delle passioni, degli amici. Dei genitori. Non aveva mai capito perché dovesse nascondersi, cosa ci fosse di così sbagliato in lei e nel suo sangue, in quella Voce che le sussurrava cosa dire e cosa fare, come raccontare, come mentire, come celare -dopotutto, per lei era sempre stato così. Per lei era normale aver conosciuto i suoi genitori ancor prima di nascere, averne identificato rapidamente la voce e il battito, i loro brillanti occhi su di lei -l’amore e la protezione di sua madre, l’orgoglio e la superbia di suo padre. Era normale averne indagato il rapporto tramite immagini, aver stretto con loro un rapporto di silenzi, rapide occhiate -catene di pensieri. Era il perché l'unica cosa a non essere normale: perché suo padre era morto, perché sua madre non era sopravvissuta per lei, perché era rimasta sola in un mondo che odiava i mostri e la considerava alla loro stregua?

Ma in fondo Eve, alla fine aveva imparato ad aver chiaro il proprio ruolo, la sua prospettiva.
Temi ciò che diventerai, diventa ciò che temi -diceva sua madre.
Gli Indegni la vedevano come un mostro -e allora tale lei sarebbe stata. Avrebbe schiacciato i Miscredenti, li avrebbe distrutti, squarciati. Spezzati. La sua Voce avrebbe risuonato, forte di un’ira e una vendetta che rimbomba nel silenzio -e lei sarebbe stata finalmente degna dei pensieri che le rivolgeva suo padre, Giove, Zeus, Signore degli Dèi. Sarebbe ascesa Ebe, brindando col sangue degli Infedeli, onorando il volere e la discendenza di un padre che a Lei aveva promesso città, isole, stati, il mondo intero. Che le aveva insegnato ad essere Perfezione, colei che agisce per appianare ogni lacuna; Padrona, colei che tutto può e tutto sente, Verità, perché ogni menzogna tremasse e il silenzio fosse finalmente liberato.
Eve avrebbe cancellato il mondo, se avesse voluto.
Se sua madre non le avesse insegnato che c’era ancora qualcosa per cui valeva la pena aspettare.

                                                                                                                                              ***                                                                                                                                      

E’ triste osservare come una florida giovinezza abbia rischiato di essere sprecata. Pericoloso. Una triste melodia al violino, e si sarebbero potuti ripetere nuovi incidenti, ville, isole, mille altri Urobori simulacri di dèi da tempo caduti.
Ma non è andata così. Risoluta è Gioventù, onora suo padre e siede al suo fianco; sbocciata Giovinezza, vicina a sua madre, forte la sostiene nell’inscindibile legame che le unisce.
E’ così che Prodigy ci racconta la storia di un Prodigio -Eve Wesker, bambina nata dal fuoco degli Dèi, colei che brucia e ciò che tocca purifica; semplicemente Eve, capace di ridere, di amare al cospetto di Albert e Alex Wesker -abominevoli criminali, bestie da macello. Solo i suoi genitori.

Alla luce di questo, allora, non è normale come sia stata proprio una trinità a trionfare?
Il Primo, sprezzante e superbo, Zeus rinato che veglia su Era.
Il Secondo, amore e dolore, Era che muore e per Ebe ritorna.
Il Terzo, Eve, numero perfetto e numero primo, chiude il Trittico, spacca il silenzio. Ama e si addolora, sprezzante, superba, ogni risata si spegne in fronte a lei, ragazzina che si sveglia urlando in un mondo bianco e nero.
Eve e Albert, Eve e Alex, Eve Albert e Alex -uni e trini, entità sovrapposte, una Voce sola che suggella. Che vive. Aspetta.
Il giorno, l’ora giusta. Perché chi è Wesker non prende, non consiglia, non chiede -ma strappa, ordina ed esige.     
(Recensione modificata il 06/05/2017 - 06:03 pm)

Recensore Veterano
25/04/17, ore 12:54
Cap. 1:

Eve, mi piace.
È tragica la storia, il progenitore sembra essere l'unica compagnia e l'unico ricordo e credo che il violino durante la lettura ci stia divinamente.

- Mattalara

Recensore Master
25/04/17, ore 01:50
Cap. 1:

Ciao!^^
"Si allunga verso il taglicarte di sua madre, incide - apre una pelle pallida e altrimenti perfetta" (cit)
Alex: Ehm... forse quel taglicarte dovrebbe essere tagliacarte Noct^^''
***
"Masticano la loro stessa carne, si strappano organi, muscoli, viscere, ossa, tutto: offrono ogni cosa a Ebe e alla sua cieca furia" (cit)
Albert: Ebe???? Ma il nome della bambina non è Eve scusa???? O.O
Stuart: Forse a chiamare la piccola è stato uno/a con il raffreddore...
Alex: E chi sarebbe stato amico, dato che in questa shot ci siamo soltanto noi?? -.-
Io: Forse è stata la Noct??? xPPP
Albert: ... ma che ipotesi creXXna... -.-
***
Se non ho capito male, Eve comunica con i genitori tramite lo stesso Progenitore...
Alex: E' così summer...
Io: Alla faccia tua Albert xP tiè! x'D
Albert: O.o?????????????????
Alex: ... hai già dimenticato di quando in un'altra storia sempre di Noct mi avevi aggredita sbraitandomi dietro Di chi è figlia eh??? -.-
Stuart: Noto che, da dopo la rinascita, il nostro ragazzone ha spesso dei vuoti di memoria...
*Alex seppellisce il fratello sotto una montagna di post-it*
Eve: Io voglio quelli rossi! xD *acchiappa tutti i biglietti rossi che riesce a trovare*
Albert: Io non li voglio proprioooooooooo!!!!!!°////////° *butta via i post-it*
***
"Eve viene sopraffatta da un odore che non ha origine - non qui, non sull'isola.
[...]
Eve apre la bocca, prova a chiamare sua madre.
[...]
Eve chiude gli occhi e comincia a piangere" (cit)
Povera bambina, non è per niente il massimo avvertire la morte dei propri genitori in diretta TT.TT aiuto... :'((
Eve: TT.TT
***
"L'hanno derisa, umiliata" (cit)
*segue un massacro effettuato dalla stessa bambina, vedere il testo della shot*
Io: AIUTO O.O EVE HA FATTO UNA STRAGE!!!O/////O
Eve: 😈😈😈 *fa una risata alla Albert Wesker xP non per niente è sua figlia*
***
"A volte si chiede che fine abbia fatto Stuart" (cit)
Io: In perfetto stile angst, la Noct l'avrà fatto creXXre xP sai Eve, in una shot precedente è successo sul serio...
Eve: 😭😭
***
"Eve."
Il suo vero nome.
La chiama, la evoca.
[...]
"Sono io."
Mamma." (cit)
Finalmente l'autrice ha fatto rincontrare Eve e sua madre -sorvoliamo sul come la donna abbia assunto un'altra identità che è meglio xP- ma dopo quanti anni l'ha fatta fare 'sta rimpatriata tra le due, una quindicina?? xPPP
***
"Mark conclude la sua patetica recita inciampando in un filo elettrico e rompendosi la caviglia" (cit)
E qua ho pensato subito di Mark Ma quanto sei imbranato caXXarola! xP
***
"Eve.
A terra, ciò che resta di una pelle che non è mai stata sua" (cit)
Io: CaXXo ha fatto Eve, la muta come i rettili???O.O
***
Come al solito hai scritto una shot bellissima xD
Albert: ... e come al solito a te, summer, è uscito nu' delirio -.-
Io: *prende Albert a randellate*
Albert: Ok, ok, sto zitto!°//////°
*Alex ed Eve si portano via Wesker mentre questi sta ancora a sbraitare*
Io: Bye bye ragazzone xPP ciao ciao x)
***
Alla prossima! xD
Saluti da summer_moon