[Valutazione del contest "Il contest di G" indetto sul forum di EFP]
Titolo:
Tendenzialmente preferisco i titoli in italiano, ma una delle poche eccezioni che apprezzo davvero è quella delle citazioni di canzoni significative per la storia, come il tuo caso.
Premesso questo, il titolo è molto dolce ed evocativo, e credo che rispetti alla perfezione sia il tema che l’atmosfera generale della tua storia.
Caratterizzazione dei personaggi:
Sia Hughes che Nina sono protagonisti di uguale importanza, nella tua storia, ma dal momento che è la bimba ad entrare in scena per prima comincerò col parlare di lei.
Mi piace come hai saputo catturare anche le più piccole sfumature dei suoi pensieri e comportamenti, perché alla fine sono quelle che fanno la differenza: non ti sei limitata a dire che Nina era una bimba felice, ma l’hai dimostrato con le sue risate, e le corse sfrenate con Alexander, e quell’immensa gioia di vivere che traspare da ogni singola cosa che faccia e la porta a conoscere sempre più cose, e luoghi, e persone.
Sì, Nina è una bambina allegra e vivace esattamente come l’abbiamo conosciuta nel fandom, sempre felice di fare nuove conoscenze e che guarda al mondo con fiducia e speranza.
Tuttavia la sua felicità è oscurata talvolta da un’ombra che la piccola non comprende… e anche questa scelta l’ho trovata particolarmente azzeccata: la storia di Nina è straziante, e sicuramente uno degli argomenti più controversi di tutto il manga/anime. Oltre che difficilissimo, sarebbe stato forse anche fuori luogo parlare di una bambina che ricorda un dolore così grande, soprattutto considerato il posto in cui la storia è ambientata.
Quindi, sì, forse è stata una scelta “facile” quella di farle dimenticare i dettagli della sua morte, ma più di tutto è stata una scelta ben ponderata che personalmente condivido in pieno; soprattutto, trovo molto realistico questo “rumore di fondo” che Nina avverte di tanto in tanto, come un qualcosa che spicca per la sua assenza e che le adombra il viso, seppur per pochi secondi.
Lo apprezzo perché credo che un trauma così grande abbia sicuramente avuto dei riverberi anche a livello inconscio, e pur cancellato dalla memoria “da una mano pietosa” è ovvio che non sia sparito nel nulla.
Il suo incontro con la madre è molto toccante, e ho trovato la reazione di Nina molto verosimile: ha capito che le mancava qualcosa – qualcuno – solo quando se l’è trovata di fronte, ed è assolutamente naturale che sia rimasta travolta da quei ricordi improvvisi di tristezza e solitudine… e anche che si sia fiondata tra le braccia della sua mamma, lasciandosi coccolare e proteggere da quella verità difficile da affrontare.
Difficile, ma non impossibile: ormai il peggio è passato, e il passato non può più farle male… non lì.
Ormai non è più sola.
La madre di Nina è un personaggio perlopiù sconosciuto di cui personalmente ho pochissimi ricordi molto frammentati (e legati perlopiù alla sua trasformazione in chimera), ma tra questi c’è la vivida certezza che fosse una madre buona e affettuosa.
Questa immagine di lei l’ho ritrovata chiaramente anche nella tua storia, sia nella tenerezza di quel primo incontro che, più tardi, nelle parole che dice a Hughes; quando gli parla del padre di Nina, e commenta che la piccola è troppo pura per odiare, e che” voleva tanto bene a quel mostro, e lui l’ha ripagata in questo modo”.
Quest’ultima frase specialmente credo sia molto azzeccata: è vero che in Paradiso l’odio non dovrebbe esistere, ma al cuore non si comanda – figuriamoci al cuore di mamma – e il disprezzo che si avverte in quelle parole fintamente pacate è quanto di più naturale possa esserci nell’animo umano.
Hughes è secondo me uno di quei personaggi fondamentali cui però non è mai stato dato spazio “sotto i riflettori”: qualcuno che agisce quasi nell’ombra, ai margini dell’azione, ma da cui l’azione stessa è influenzata più di quanto si possa immaginare.
Tutto questo per dire che mi piace averlo visto protagonista, per una volta, e mi piace soprattutto che tu abbia reso giustizia alla sua complessa caratterizzazione, ricca di innumerevoli sfumature.
Innanzitutto, vediamo che nonostante si trovi in Paradiso Hughes non ha ancora raggiunto la pace, non davvero, e questo lo trovo particolarmente calzante: la sua è stata una morte improvvisa e non era assolutamente preparato a perdere i suoi cari… non lo si è mai, vero, ma a maggior ragione quando la loro assenza ti colpisce senza preavviso – anche se in questo caso è stato lui a lasciarli, in un certo senso.
È ovvio quindi che senta la loro mancanza tanto da star male anche dove il male in teoria non dovrebbe esistere: sì, Hughes durante il giorno è felice e sa che quello è un bellissimo posto in cui trascorrere il resto dell’esistenza… ma la notte la malinconia arriva anche da lui.
La notte non può fare a meno di pensare a quelli che sono “rimasti indietro”, ed è un dolore dolce e straziante al tempo stesso. Tanto straziante che Hughes inizia a cercare un modo per guarire… per trovare la pace.
Emblematico a questo proposito il suo dialogo con il militare senza nome, che per primo gli parla della “grazia del mare”: lui lo aiuta ad aprire il cuore e la mente a risposte che ancora Huges non comprende del tutto, ma in cui si ritrova a sperare, aspettando giorno dopo giorno che quel dolore che gli attanaglia il cuore finalmente riesca a fiorire.
Piccola parentesi: ho amato alla follia quel piccolo cenno a Roy tra le righe nel “anche io una volta ho ascoltato, aiutato e sorretto un amico”, perché il loro rapporto era davvero molto stretto ed è bello e naturale che ripensi anche a lui ogni tanto, non solo alla moglie e alla figlia.
Passando al suo incontro con Nina, ho davvero adorato la scena in cui “il mondo si ferma, anche solo per un istante”, e Hughes vede il lei il viso della sua piccola Elicia. L’ho trovato molto commovente e dannatamente realistico, perché Hughes è un padre cui la figlia manca tanto da star male, e credo sia naturale che riveda il suo viso ovunque, tanto più in quello di una bambina che ha più o meno la sua età.
Mi piace anche che tu abbia costruito il suo rapporto con Nina incentrandolo inizialmente su questo punto, per poi farlo evolvere pian piano: se inizialmente si era affezionato a lei perché gli ricordava sua figlia, col succedersi dei giorni – mesi? – smette di sovrapporre le due immagini e inizia ad amarla sinceramente come persona a sé stante… quasi come una seconda figlia, da guidare, coccolare e proteggere da quel passato oscuro che non ricorda ma che comunque la fa soffrire.
Dall’altra parte, è anche naturale che Nina veda in quel signore dal cuore grande un qualcuno che non sa descrivere, qualcosa che le manca a livello inconscio ma cui non riesce a dare un nome: come ha detto anche sua madre, Nina voleva un gran bene a suo padre e una cosa del genere lascia il segno, nel bene e nel male; così come quei sentimenti negativi, anche il ricordo di questo profondo amore alberga nel suo inconscio, macchiando i suoi sorrisi di malinconia e spingendola a cercare ancora e ancora, proprio come cercava senza saperlo la figura di sua madre.
Lei è riuscita a trovarla davvero, mentre mi piace l’idea che in Hughes alla fine abbia trovato non tanto un riflesso di quella figura che non ricorda più, ma un vero e proprio padre da amare, ammirare… e “perseguitare” con insistenti richieste di attenzioni e di “ancora una storia, per favore!”
Non che a Hughes tutto questo dispiaccia, beninteso, perché grazie a quella bambina è riuscito a ritornare il vero se stesso, e così come era in vita anche qui ha trovato una ragione più grande per lottare e andare avanti: fino a che ricercava la pace per un ritorno personale non era riuscito a fare progressi, ma ora… ora deve essere forte per qualcun altro che da solo non ce la farebbe, ed è in momenti come questi che persone come lui danno il meglio di sé, ergendosi sulle difficoltà non per se stessi ma per essere di supporto agli altri.
Ultimo d’ordine, ma non d’importanza, una speciale menzione va al dolcissimo Alexander: dopotutto è il migliore amico di Nina, e rientra di diritto tra i personaggi principali della storia.
Non c’è che dire, hai saputo ricreare alla perfezione il suo atteggiamento affettuoso e fedele, e la cosa che più ho apprezzato è che il tuo narratore non si è mai addentrato troppo a fondo nella sua mentalità.
Intendo dire che mi è piaciuto che tu non abbia fatto “parlare” direttamente lui tramite pensieri diretti, – va bene che siamo in Paradiso, ma la storia ha comunque un certo realismo che sarebbe stato intaccato negativamente da una cosa del genere – preferendo circonlocuzioni del tipo “sembrava volesse dire” o “come se pensasse”: così facendo dai un’idea ben precisa di lui, ma lo fai interpretando le sue azioni e mantenendo quindi intatta la verosimiglianza della storia.
Stile e trama:
Sebbene io in linea generale preferisca il narratore interno e soggettivo, in questo caso quella del narratore onnisciente è stata quasi una scelta obbligata: in questa storia hai trattato molte tematiche importanti, alcune anche parecchio delicate, e il narratore onnisciente ti ha permesso di mantenere un livello stilistico elevato sia dal punto di vista grammaticale che sintattico, utilizzando vocaboli e periodi anche complessi che però non hanno assolutamente intaccato la verosimiglianza della caratterizzazione dei personaggi.
Mi riferisco in particolare alla piccola Nina: è vero che hai usato “le parole dei grandi” per descrivere pensieri e sentimenti di una bambina, ma l’hai fatto dando voce a un personaggio esterno che la conosce alla perfezione, e non alla bambina stessa.
Forse sembra un’inezia, ma secondo me invece questa precisazione fa una gran differenza per la fluidità del racconto.
La tua è una storia estremamente introspettiva, che sviscera pensieri, desideri e paure – appena accennate, ma sempre di paure si tratta – dei personaggi così da mettere la loro anima completamente a nudo di fronte al lettore.
Eppure, nonostante questo, la lettura non risulta mai (quasi mai in effetti, ma ci torniamo dopo) pesante, e la storia mantiene un’atmosfera onirica che conquista fin dalle prime parole e conduce il lettore per mano, con ferma delicatezza, senza mai lasciarlo solo in questo viaggio surreale e al contempo dal sapore molto realistico.
La trama è senza dubbio originale, nonostante sfrutti “il cliché” della vita dopo la morte, soprattutto perché affianchi a cose già note – come i prati pieni di fiori e vecchi amici che si ritrovano – altre invece più controverse, forse, ma anche per questo più verosimili.
In particolare, parlo di quella malinconia di cui soffrono le persone, soprattutto i primi tempi: è naturale sentire la mancanza di coloro che si è più amato in vita, ed è anche naturale che questa sofferenza diminuisca col tempo; non sparisce mai, quello no, ma i suoi angoli vengono smussati dal passare dei giorni e degli anni, e alla fine resta solo una malinconia di fondo, la consapevolezza di un’assenza che però non fa più male. Non troppo, almeno.
Mi è piaciuto molto l’escamotage di Alexander come motore di tutta la storia: è facile associare il suo riconoscere quali siano le anime con cui la sua padroncina potrebbe legare di più con un qualche “istinto animale” che in Paradiso si è semplicemente acuito a dismisura, e questo rende i vari incontri spontanei e naturali.
Vorrei però farti un piccolo appunto: proprio perché la presenza di Alexander è così importante nella storia, ho trovato strano che fosse l’unico animale del Paradiso, e mi sarebbe piaciuta l’introduzione di altri animali anche solo di sfuggita, messi in mezzo magari insieme ai loro padroni o padroncini in un girotondo tutti insieme con Nina e Alexander.
C’è da dire che forse, nella tua interpretazione, Alexander è l’unico animale ad aver avuto accesso al Paradiso perché al momento della morte era legato inscindibilmente a Nina. Potrebbe essere, in effetti, ma anche in questo caso quest’assenza sospetta – sempre secondo il mio modestissimo parere personale – non avrebbe dovuto passare sotto completo silenzio.
Avresti, per esempio, potuto fare in modo che Nina trovasse strano che non ci fossero altri amici animali… anche solo la considerazione di un momento, magari accompagnata da una di quelle ombre che durano solo una manciata di secondi prima di tornare da dove sono venute.
E adesso veniamo a quel “quasi” di cui ti ho parlato prima.
Sono stata a lungo indecisa se farti questo appunto qui o in “caratterizzazione dei personaggi”, ma dato che di base prendo in esame un discorso diretto ho optato per questa soluzione.
Quello di cui voglio parlarti è il lunghissimo monologo di quel militare senza nome cui Hughes si è rivolto in cerca di consigli su come trovare la pace.
Non fraintendermi: è un discorso davvero molto bello, e se l’avessi inserito nella narrazione indiretta non avrei avuto nulla da ridire… ma una volta che viene pronunciato da qualcuno le cose cambiano.
E questo lo sai bene, visto che tutti gli altri dialoghi sono altamente realistici e naturali, con una punteggiatura adeguata che sottolinea le pause e le intonazioni e qualche frase indiretta di tanto in tanto per spiegare le sfumature che altrimenti potrebbero sfuggire al lettore.
In questo caso, invece, hai lasciato una riflessione tanto profonda e complessa venir fuori dalla bocca di un uomo qualunque come se stesse leggendo un trattato di filosofia.
Sì, è vero che magari potrebbe essere una di quelle “anime antiche” a cui hai fatto cenno nella storia, ma in ogni caso è comunque un essere umano: questo suo parlare e parlare di argomenti così intensi senza mai un dubbio o un incertezza, senza mai nemmeno fare una pausa, o un colpo di tosse, o un qualunque gesto che possa aver interrotto il flusso costante di parole… l’ho trovato innaturale.
Innaturale e un po’ troppo pesante, a dire il vero: una riflessione difficile da “digerire” tutta insieme per il lettore, soprattutto considerando che il resto della storia si mantiene su un livello medio-alto ma sempre di immediata comprensione.
Comunque sia, come ti ho già detto, ho trovato la metafora della “grazia del mare” veramente molto bella, e mi è piaciuto moltissimo che tu l’abbia citata più volte dopo la sua comparsa, inserendola in vari punti della storia così da farla assimilare ben bene al lettore – cosa che ho apprezzato particolarmente perché appunto ad una prima lettura è difficile poterla comprendere in pieno.
Questa tecnica, alla fine, ti ha permesso di spianare la strada verso un finale forse un po’ malinconico, ma straordinariamente poetico… proprio come il mare.
Gradimento personale:
Di questa storia ho particolarmente apprezzato l’atmosfera ovattata e onirica che si respira in ogni frase, e che riesce senza apparente sforzo a farti estraniare dal mondo per catapultarti proprio lì, in quel luogo dove le anime buone trovano sempre la pace… anche se magari hanno bisogno di una piccola spintarella, prima di poterci riuscire.
A presto!
rhys89 |