Intensa, struggente, realistica purtroppo. Mi ha colpito, infatti, quell'invocazione con cui Rosie chiede aiuto ("..Ho paura...ho tanta paura...") anche perché mi ha richiamato quel particolare stato d'animo di impotenza e di tristissimo presagio in cui mi sono trovata quando ho assistito un familiare in procinto di lasciarmi per una grave malattia.
Parli di vita e di morte, dunque, in modo verosimile, con immagini coinvolgenti che scavano dentro il cuore.
Certo che il tocco di novità, qui, è un'inaspettata morte di Rosie: non ricordo, almeno tra quelle ff che ho letto io, di aver mai trovato la devastante circostanza cui fai riferimento.
Dunque una proposta narrativa allettante, anche se le circostanze sono cupe.
La figura di Sh, che tu hai rappresentato in modo così preciso, mi ha affascinato particolarmente, e ciò non dipende dalla mia “sherlockite” acuta: quando m’imbatto in caricature del mio consulting, preferisco prendere il largo e non dire quello che penso anche perché rispetto la libertà di scrittura e d’interpretazione ma mi riservo la facoltà di non recensire ciò che stride con quello che è la caratterizzazione IC dei personaggi e soprattutto di Holmes. Ovviamente, quando si tratta di lui, il lavoro è molto complesso perché la sua personalità è difficilmente inquadrabile in tipologie umane precise.
In più, qui, la sfida di rappresentarlo decentemente è resa più ardua dalle circostanze tragiche in cui lo fai agire.
Innanzitutto, e soprattutto, direi, lui deve relazionarsi con il John crepuscolare e criptico della quarta Stagione, che si porta ancora dentro la rabbia terribile per non essere stato fatto partecipe del progetto riguardante il finto suicido di Sh e ha dovuto superarne, inconsapevole di tutto, il vuoto tremendo e sconvolgente. Inoltre è un John che soffre ancora della gelosia suscitatagli dalla comparsa teatrale di Irene Adler sulla loro strada e per la morte tragica di Mary.
Come se non bastasse, ora, poni questo Watson di fronte al lutto più straziante per un padre e cioè alla malattia inesorabile della figlia oltretutto in tenera età.
Ecco, Sh, in questa tua storia, ha davanti tutto questo, concentrato e stratificato nella persona che sicuramente ama più di ogni altra cosa.
Il POV di John, attraverso il quale ci fai partecipare all’atmosfera struggente di ciò che succede, rende ancora più “tridimensionale” e gigantesca la figura di Sh, che ha perso, ormai da tempo, la sua guerra personale contro i sentimenti e le loro conseguenze sull’animo e sul comportamento umani (“….s’innalza maestosamente…”).
Il “caring is not an advantage”, ormai, è uno sbiadito ricordo.
Con gli occhi di John, riusciamo a cogliere e ad assaporare l’attenzione struggente di cui Sh circonda il suo “conduttore di luce” e la piccola, sfortunata Rosie.
Ed è una nuova “umanità, pura e limpida, scintillante” che permette al consulting di stare vicino, nel modo giusto, al padre straziato e, addirittura, di accompagnare la bambina sulla soglia del grande “passaggio”, infondendole l’energia per fugare la paura ed il buio.
Un momento molto forte e commovente la morte di Rosie, che tu hai espresso con immediatezza e tanto sentimento. L’incitamento di Sh a stringere le mani sue e di John e di non perdere il contatto visivo mi ha davvero sconvolto.
Il finale è amaro e non solo per la morte della bambina. Infatti siamo consapevoli che Watson è in un panorama esistenziale desolante che gli toglie anche la forza di pensare al consulting in un modo diverso da una semplice amicizia.
Ma non perdo la speranza: confido nella capacità di amare e nella luce che emana lo Sh che hai dipinto qui. Secondo me sarà capace di trovare la via giusta per arrivare al cuore devastato di John.
Complimenti sinceri, brava.
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