Cara Mari Lace, ^^
Eccomi a leggere la tua storia, finalmente, e a canticchiare la canzone. Come promesso, ho il caffè in mano perché la caffeina è vita, è ciò che mi fa stare in piedi. Ma veniamo a te. Parto dal finale perché è estremamente poetico, così come tutta la scena di Akemi che si mostra a Shuichi come ombra o fantasma o visione. Wow. Anzi, no, parto col giudizio complessivo: le tue storie sono BELLISSIME, tutte: e questa non delude le mie aspettative in nessun passaggio.
Ecco, per esempio, leggi qui:
“…sai – che non la dimenticherai mai, mentre la sua voce continua a cantarti nella testa. Quelle parole ti tormenteranno a lungo, ne sei certo – ma sono realmente un tormento?”
Vale proprio tutta la shot questo finale. Rimane davvero come tormento, questa domanda esplicita capace di rompere lo schermo come un vero e proprio grido. Ha catturato la mia attenzione l’immagine della voce che canta nella testa perché richiama, idealmente, il canto delle sirene di Odisseo legato alla barca. E qui Shuichi è legato anche lui all’albero maestro, ma il mare è la disperazione in cui non si deve lanciare. Anche qui, come in un altro capitolo che lessi – bellissimo, tra l’altro – il dolore appare come qualcosa di gelido, come un macigno che spacca la testa, come un vento annichilente che sbatte contro la nostra faccia, come se qualcuno ci estirpasse il cuore e lo buttasse via. È vero, c’è un pugno dato al muro, c’è il sangue, ma il dolore resta un velo gelido che copre Shuichi come un sudario. È un tratto della tua scrittura mostrare il dolore così, congelarlo nello stupore, e devo dire che comunque è d’impatto, che segna.
La scena è anche realistica all’interno del mondo di Detective Conan. È estremamente plausibile che sia andata davvero così e per questo il missing moments è ancora più straziante, come il messaggio di Akemi. Questo mi è piaciuto in modo particolare. Diceva Francesca – oggi la cito in continuazione, scusa: “nessun maggior dolore che ricordare la felicità nella miseria.”
Il contrasto tra l’sms ammiccante con quella proposta quasi sbarazzina (“vuoi essere il mio ragazzo” è una frase da adolescenti/ventenni spensierati) e la tragica notizia riportata laconicamente dal telegiornale, mi fanno tornare proprio in mente Inferno V. Ed è stata una soluzione azzeccatissima.
Poi arriviamo alla seconda persona: credo che il bello di scrivere fanfiction sia anche sperimentare soluzioni nuove. Abbiamo tutti uno stile più o meno definito, ma ogni trama ha bisogno di un apparato linguistico idoneo perché il messaggio non passa unicamente per le immagini che creiamo, ma anche tramite lo stile (scanzonato, serio, allegro, vivace, drammatico, pomposo, colloquiale, a seconda dei casi) che scegliamo di adottare. Qui, c’è poco da fare: la seconda calzava a pennello e tu la usi portando a casa un risultato buonissimo. L’unica cosa che posso notare è la presenza di alcune ripetizioni/assonanze (torni in te/accanto a te), (immagine vista/immagine di una giovane donna), (è lei/poi lei si volta). Dettagli però che in una storia che compete, purtroppo per esperienza personale so che sono presenti sempre, non si scappa! ^^
Rileggendo una seconda volta la shot e la recensione che mi appresto a lasciarti, mi sono chiesta perché parlassi di un dolore gelido. In fondo, mi contraddico. Shuichi scappa via dal bar annichilito, ha una visione, si spacca una mano. Poi ho capito. La seconda persona è insidiosa perché è un flusso di coscienza, un dito puntato. Un j’accuse al protagonista, che va preso di petto e scarnificato. Il tuo modo di utilizzare le virgole è pressoché perfetto, totalmente da manuale (Serianni, per inciso), ma in alcuni punti avrei preferito ce ne fossero. Perché lo stile, come dicevo sopra, deve piegarsi al racconto e trovare un respiro, anche a costo di lasciarci arrivare a fine frase col fiato corto.
Qui ad esempio:
“Automaticamente, estrai il cellulare, senza smettere di camminare. Hai ricevuto un suo messaggio solo pochi giorni prima, dopo più di un anno di silenzio. Lo apri, di nuovo.”
Andando ad analizzare nel dettaglio l’inciso “estrai il cellulare” toglie fluidità a una frase catartica, essenziale. Qui Shuichi è uscito dal bar e cerca l’ultima traccia del suo amore perduto. Le virgole, unite alla seconda persona, raffreddano la frase perché ti costringono a una pausa, laddove il ritmo è quello di un cuore che batte impazzito per una perdita, di un fiato che manca. Così Shuichi deve ritrovarsi senza respiro per la disperazione, così ci si potrebbe, o dovrebbe, ritrovare il lettore. Che comunque ci si ritrova, eh, però avrebbe potuto essere ancora più incalzante. Perché grazie alle tue magnifiche parole il testo intenso già lo è. Chiaramente, questa del ritmo è un’opinione personale, una nota di gusto su un testo praticamente perfetto, come quando ti provi una borsa su un vestito e provi sia a portarla a mano che a vedere se è meglio la tracolla: la borsa sempre bene sta.
Carissima Mari Lace, trovo che tu abbia talento e non avrei perso tempo prezioso a scriverti ‘sta recensione lunghissima se non provassi sincera ammirazione per ciò che scrivi. Quindi complimenti vivissimi perché è bella e intensa e mi è piaciuta davvero tantissimo.
Brava, di nuovo. Sai regalare emozioni e spaziare tra stili diversi. E il lavoro che stai facendo con Akemi è favoloso.
Un caro, carissimo saluto e un grande abbraccio,
Shilyss :* |