Recensioni per
Four.
di PathosforaBeast

Questa storia ha ottenuto 26 recensioni.
Positive : 26
Neutre o critiche: 0


Devi essere loggato per recensire.
Registrati o fai il login.
[Precedente] 1 2 [Prossimo]
Recensore Master
20/01/21, ore 09:37
Cap. 10:

Ciao, con mia somma sorpresa scopro che oltre a "Fly" avevi pubblicato anche questa, sempre il 28 dicembre... me ne accorgo soltanto ora e passo rapidamente anche da qui.

Siamo in una situazione che per Mycroft potrebbe benissimo essere all'ordine del giorno, ma non importa tanto quello che sta facendo o quale crisi (personale e non) sta sventando, nell storie così brevi a mio avviso non è tanto la trama la parte essenziale, quanto la capacità dell'autore di fotografare un singolo istante. E tu a mio avviso lo hai fatto in maniera straordinaria. L'immagine alla fine richiama alla perfezione la scena da te descritta. Questo Mycroft Holmes avvolto dalla penombra che riflette sulle sorti del mondo, che decide cosa fare di questa o quella crisi internazionale o di questo o quel fratello, magari. Lo fa decidendo stando avvolto dalle ombre e non perché ne faccia parte, ma probabilmente perché lì riesce a pensare meglio. Non ha bisogno della luce del sole per decidere cosa è meglio. E mi ha colpita tantissimo l'immagine nel suo complesso, l'ho trovata molto d'effetto.

Sei stata davvero brava, io poi ho una passione per le storie così brevi e sono felicissima di essere riuscita a recuperarla (mi dispiace solo non essermi accorta prima che avevi fatto un doppio aggiornamento, ecco, questo sì che mi dispiace moltissimo).
Alla prossima, spero più in tempo di adesso.
Koa

Recensore Master
20/01/21, ore 09:31
Cap. 11:

Ciao, sono in un ritardo a dir poco astronomico e soltanto ora mi accorgo che questa storia è del 28 dicembre! Non so come sia possibile che l'abbia tenuta da parte così tanto tempo... Come sempre, per ogni storia che scritta da te, la lettura non è mai banale né semplice. Credo che buona parte del merito sia tuo, ma altrettanto sia dei personaggi che scegli di utilizzare. Il come li ritrai è un altro punto fondamentale, perché tra le tue mani neanche John Watson è banale o piatto. Tu scegli di utilizzare sempre Mycroft come punto di riferimento attorno al quale ruotano personaggi e situazioni più o meno complessi o più o meno drammatiche. In questo caso al centro di tutto c'è la solitudine di Mycroft in quello che sembra essere un viaggio, l'ultimo di zio Rudy. Hai descritto la sua solitudine e il suo dolore, ma soprattutto la sua incapacità di esprimerlo nella maniera corretta, per la morte di un qualcuno che non era semplicemente tanto amato, ma era un vero e proprio punto di riferimento. Ho avuto la sensazione, più volte durante la lettura, che Mycroft avesse perso un qualcuno del calibro di un genitore. Rudy era il suo mentore, questo è chiarissimo da quello che dice. Era quella persona che gli ha insegnato tutto quanto, non soltanto a muoversi nel difficile lavoro che svolge, ma credo anche a essere liberamente se stesso. Questo poi è un concetto che di tanto in tanto torna nelle tue storie, noto che è sempre come se Mycroft cercasse maniere di esprimersi non semplicemente e banalmente al meglio, ma nella maniera che è più da lui possibile. Insoma è sempre un Mycroft che cerca la propria strada, ecco.

Di certo non è né freddo né privo di sentimenti, Iceman sì, ma sino a un certo punto. La scena in cui Mycroft abbraccia l'urna con le ceneri di zio Rudy l'ho trovata molto d'effetto, mi ha colpita tantissimo così come l'intera storia. Al solito è scritta ottimamente e scivola via che è un piacere. Come sempre, dicevo anche sopra, la lettura non è mai banale e fa sempre riflettere e tanto che delle volte occorre fermarsi e pensare bene a ciò che si è letto e poi andare avanti.

Come sempre, dunque, hai fatto un ottimo lavoro.
Koa

Recensore Master
16/01/21, ore 10:22
Cap. 11:

Titolo, questo che hai scelto per la tua storia, che m’ispira molto, perché il volare porta con sè orizzonti infiniti, libertà, voglia di essere al di sopra di ogni problema. Protagonista, ovviamente, ancora Mycroft, a cui affianchi l’affascinante figura dello zio Rudy. Personaggio che viene citato in TFP e non compare ma diventa tassello importante per poter ricostruire i retroscena, a dire poco inquietanti, della famiglia Holmes e del dramma originato dalla tragica diversità di Eurus. A fronte di due figure genitoriali piuttosto impotenti di fronte alla diabolica personalità della piccola di casa, zio Rudy diventa il personaggio indispensabile che “risolverà”, a modo suo, il problema di una mente eccezionale capace solo di fare del male a sè ed agli altri. Sappiamo infatti che Eurus verrà rinchiusa e “sepolta” nell’oblio di un luogo orribile. Ma, ovviamente, Rudy, con il passare del tempo, deve pur “lasciare in eredità” la gestione del terribile segreto di famiglia, è fatidico, lo scorrere della vita impone determinate scelte; è proprio Mycroft il predestinato. Sì, perché è il maggiore, é quello che si dimostra studioso e ligio alle regole. Sh è il minore ed, oltretutto, ritenuto inadeguato a portare il peso della terribile “bugia” degli Holmes. Venendo direttamente alla tua storia, posso dire che è un testo denso e ricco di riferimenti al passato familiare degli Holmes, riferimenti che trovano conferma nel clima teso ed angosciante della S4. Qui, tu, metti in risalto la figura di Mycroft che, secondo me, non è stato un personaggio secondario nel dramma che ha segnato profondamente la psiche di Sh. Infatti è su di lui che è stato scaricato il peso immane di responsabilità familiari e segreti che avrebbero messo a dura prova persone anche con più esperienza e più avanti negli anni. Tu ritrai un giovane Mycroft, tutto sommato affascinato dalla vita e da ciò che potrebbe riservargli il futuro. Questo l’hai espresso perfettamente con quel suo assaporare la carezza del sole, abbandonandosi al movimento dolce dell’altalena. Ma, poi, accendi un duro contrasto tra questa piacevole parentesi e quello che ritengo un sogno, anzi, un incubo, se non ho interpretato male, in cui il peso delle responsabilità prende concretezza in corde che lo costringono su una sedia. E poi quello schiaffo, duro, violento, colmo di cattiveria, che è coerente con l’atmosfera di angoscia derivante dal sentirsi prigioniero di un ruolo e di dover risponderne a persone non adeguate, per esempio, al difficile ruolo di genitori. Hai reso molto bene il senso di oppressione e di pesantezza attraverso immagini efficaci (“...macigni...”). In tutto questo disagio c’è un unico punto fermo, la figura dello zio Rudy che tu connoti con suggestive pennellate intinte nella raffinatezza dei suoi atteggiamenti, nella grande cultura che nutre il suo modo di pensare e di trasmettere al nipote la sua eredità spirituale. Un’eredita, questa, che trascende ogni senso morale, di un’etica condivisa: tutto dev’essere guidato, secondo me, dall’autosufficienza interiore, dal controllo assoluto dei sentimenti, dall’unico giudizio autoreferenziale. Tutto ciò sicuramente giustifica, e così ci ancoriamo solidamente all’IC più completo, il lapidario “Caring is not an advantage” che Mycroft trasmette ad uno Sh sconvolto per la (presunta) morte d’Irene. Zio Rudy, ora non c’è più, non resta che chiudere nella memoria la sua preziosa presenza. Probabilmente le sue ceneri verranno lasciate al vento e questo lo farà volare, libero.
Spero di aver compreso almeno qualcuno dei mille suggerimenti narrativi con cui hai arricchito questa storia, raffinata e profonda come Mycroft. Mycroft di cui ci hai regalato un ritratto suggestivo, credibile e coerente con i canoni IC dei Mofftiss.
Complimenti per il tuo sempiterno scrivere corretto e ricco di un lessico accuratamente impreziosito da termini scelti con accuratezza.
Brava, davvero

Recensore Master
11/01/21, ore 09:10
Cap. 10:

Penso che il titolo possa tradursi con “desiderio, aspirazione...”. Giusto?! Cioè parli di un tendere, con tutti se stessi verso qualcosa di veramente importante per noi, un obiettivo importante. Ed abbiamo l’impagabile Mycroft come unico protagonista sulla scena.
Le tue piccole grandi storie che hai inserito in “Four”, richiamano più letture ed ogni volta si scoprono sfumature nuove, significati più profondi, proposte di riflessione che prima non si erano colte. Il mio primo pensiero é stati quello di trovare i riflessi del titolo sul contenuto, per ora non trovo il percorso giusto. Non importa. Allora ritorno al testo ed accantono, per il momento, quello “Yearn” che si agita come una farfalla impazzita nella mia testa. Allora: mi sembra che tu voglia rappresentare la solitudine di Mycroft, che diventa espressione di potere, di inarrivabile capacità strategica di trovare soluzioni in problematiche inarrivabili e spesso incomprensibili per gli altri meno “dotati”. Sono infatti le “sorti di un mondo in bilico” che occupano la mente formidabile di Mycroft. Hai dato vita ad un’atmosfera quasi al di fuori del tempo e dello spazio, senza una precisa connotazione temporale, visto che hai usato termini che caricano di indeterminatezza la raffigurazione di Mycroft e di come lavori nel suo ufficio, a casa, o dovunque ci sia necessità di decidere in un batter d’occhio le dirti di molte persone. Ecco che parole come “penombra”, “bilico”, “silenzio”, “ovattati”, costruiscono una specie di muro divisorio tra lui e la realtà quotidiana circostante. Infatti, la sua responsabilità di uomo di potere non appartiene certo alla sfera della quotidianità ma si esprime al di sopra ed al di fuori del chiasso della vita “normale”. E questa situazione tu l’hai rappresentata perfettamente con parole adeguate che suggeriscono stati d’animo, che sfumano i dati sensoriali più decisi. Infatti tutto è privo di contorni precisi, netti. Tutto, tranne quelle “spalle tese” di Mycroft e la sua posizione (“...ritto...”) sulla poltrona. Lui è vigile, teso, concentrato, perfettamente padrone della situazione.
È il Mycroft di “caring is not an advantage”, quello che ha “venduto” Sh a Moriarty per fini politicamente irrinunciabili. Un Mycroft molto IC, senza dubbio. Torno al titolo, alla luce di queste mie osservazioni ( temo farneticanti), e penso di capirne il significato. Sulla scena hai posto “Mister Inghilterra”, l’ “iceman” che può cambiare i destini dello Stato e l’hai rappresentato in modo credibile, nonostante il formato ridotto del testo a tua disposizione. Una piccola, grande storia come ho scritto sopra. Brava.

Recensore Master
05/05/20, ore 10:14
Cap. 9:

Ciao, mi sono presa un po' di tempo prima di fermarmi e lasciarti una recensione perché, a ora, non sono sicura di aver capito di che cosa parla questa poesia. Non ho particolari problemi col formulare delle teorie, anche sbagliate perché errare è umano e soprattutto perché una visione non è mai del tutto sbagliata se è un'interpretazione e soprattutto di un testo così criptico (passami il termine, magari non volevi che lo fosse, ma per me lo è stato davvero), ma volevo essere sicura di avere io un'idea di quello che avevo letto. E quindi ho aspettato e nel frattempo l'ho riletta diverse volte e più la leggevo, più mi si formulava in testa un'idea ben precisa che ora proverò a mettere per iscritto e che potrebbe, lo dico candidamente, essere del tutto sbagliata.

Anzitutto complimenti per aver scritto una poesia, in rima tra l'altro. Sono componimenti molto difficili, questi, perché c'è una metrica da rispettare e una rima da far combaciare e tu secondo me ci sei riuscita benissimo. Stiamo ovviamente parlando di Mycroft, che è stato il protagonista assoluto di questa tua raccolta. Quattro versi che si snodano attraverso tutta la sua vita, presi in momenti diversi. Almeno questa è l'impressione che ho avuto. E se gli ultimi tre sono stati i più semplici da decriptare, col primo ho avuto molte più difficoltà. Ognuno parla di un aspetto della sua esistenza. E se uno si riferisce a Sherlock, uno alla sua sfera lavorativa e un altro a quella più intima e privata. A un rifugio che Mycroft trova sotto le coperte, probabilmente tra le braccia di un amante (quel "mani non esperte" mi sta dando tuttora da pensare, lo confesso), il primo è stato davvero tosto da decifrare. Sono arrivata alla conclusione che parli di Eurus. Che il sorriso che si scorge, come all'inizio credevo fosse da riferirsi a Sherlock, fosse un sorriso non di felicità pura e genuina, ma un sorriso inquietante. A farmi traballare è stato il termine "errore" se davvero quei versi parlano di Eurus, se il sorriso è suo e di soddisfazione per aver ucciso Victor Trevor, allora il termine "errore" mi era sembrato riduttivo per descrivere lo sbaglio di Mycroft, e dei genitori Holmes soprattutto. No, perché sembra sempre che la colpa sia di Mycroft, anche se è lui il primo a colpevolizzare se stesso quando non ha nessuna colpa, quando era soltanto un ragazzo, ma la colpa per la stragrande maggioranza ce l'hanno i genitori, a mio avviso. Mycroft guarda quel sorriso e spera che sia un gioco, spera che sia di felicità pura e sincera, non che arrivi da un qualcosa di oscuro e di malvagio ed è stato questo a convincermi che stessimo parlando di Eurus. Come ho detto non sono del tutto sicura che sia così che è da interpretare la cosa, ma essendo ogni strofa legata a un aspetto della vita di Mycroft, ho creduto che avendo già parlato di Sherlock nel secondo, in quel primo volessi riferirti ai fatti di Eurus e di Victor. Per quel che riguarda gli altri, il secondo e il terzo parlano sicuramente di Sherlock e dell'aspetto lavorativo e pratico della vita di Mycroft, delle situazioni che deve gestire per via del fratellino o di una crisi internazionale. E poi c'è l'ultimo, anche qui sono quasi sicura di qualcosa, non posso esserlo al cento per cento. Ma credo che in quell'ultimo, di Mycroft ci si riferisca alla sua sfera più intima e privata, magari tra le braccia di un qualcuno che rompe ogni sua certezza, rompe ogni traccia di stabilità. Non sappiamo chi sia questi, anche se possiamo immaginare che sia Greg. Ma è anche questa una teoria che nasce da una mia personalissima impressione. Devo dire che in tutto questo a darmi maggiormente da pensare è il titolo. Look. Solo questo, con un punto fermo alla fine. Questo dettaglio grammaticalmente scorretto, ma ovviamente voluto, mi ha dato da pensare. Look. Guarda. Al presente. Mycroft, è lui che guarda dentro se stesso alla ricerca di un qualcosa? Oppure siamo noi a dover guardare dentro di lui? La poesia è scritta alla prima persona al passato, quindi potrebbe anche essere un Mycroft che si impone di guardarsi dentro. Ma ammetto di non essere sicura nemmeno di questo e mi piacerebbe davvero capire cos'hai pensato mentre la scrivevi.

Intanto ti faccio i miei complimenti, riesci a catturare certe mie attenzioni su certi argomenti come nessun altro riesce a fare.
Koa

Recensore Master
04/05/20, ore 16:55
Cap. 9:

Ti dirò sinceramente che ho esitato parecchio prima di mettere giù qualche osservazione perché desidero scrivere cose sensate e non inseguire quello che potrebbe essere una mia interpretazione di ciò che hai scritto.
Quindi, mi scuso in anticipo se prendo cantonate, ma l’intenzione è sicuramente buona perché mi dispiace che un pezzo del genere resti muto, senza suscitare in chi legge delle idee che potrebbero non essere proprio centrate ma che, comunque, ruotano, o tentano di farlo attorno al nucleo di ciò che vi è espresso.
Innanzi tutto il POV: in quanto a questo penso di affermare tranquillamente che è quello di Mycroft. E questa non è una scoperta impegnativa perché questa tua raccolta è incentrata, appunto, sulla figura del maggiore dei fratelli Holmes.
Procedendo nell’osservazione e nel tentativo di leggere davvero ciò che hai voluto comunicarci, mi avvicino con cautela partendo dall’ “esterno” e cioè dagli elementi più immediati da cogliere come, per esempio, l’annotazione che è di Mycroft lo sguardo che fotografa l’evolversi di situazioni che lo riguardano e come la scansione in quattro unità ben delineate sia ben evidenziata nella sequenza legata al numero quattro. Quattro fasi della vita? Oppure quattro volti del mondo interiore e del suo rapportarsi con l’esterno?
Potrebbero essere entrambi le ipotesi.
Il filo conduttore che armonizza insieme le varie parti è, comunque, quel “look” che coglie gli elementi che segnano le esperienze di Holmes ed ha la stessa intensità di uno sguardo che cerca di interpretare la realtà e di filtrarne l’impatto.
Provo a fissare i pensieri, ritenendo, per il momento, fondata la prima ipotesi d’interpretazione e che cioè tu stia facendo esprimere Mycroft sulle fasi della sua vita.
La prima, e mi servo, soprattutto, di due parole che trovo significative e cioè “riso” e “bambino”, potrebbe riferirsi all’infanzia e al periodo immediatamente successivo della vita di Mycroft. Un tempo che noi possiamo immaginare come molto difficile, alla luce di quanto ci è stato fatto vedere nella S4, in cui lui è schiacciato dal suo ruolo di fratello maggiore, e quindi dalle relative responsabilità, in una famiglia che vede, con orrore, un suo membro, Eurus, rivelarsi come il germoglio di una follia lucida e spietata.
Inoltre, da vari elementi emersi anche precedentemente, nel suo passato ci sono le sofferenze legate ai disturbi alimentari che, molto probabilmente, hanno reso difficile il relazionarsi con i coetanei senza venire fatto oggetto di scherno o di scherzi pesanti. E, forse, quel “riso” che nasce “da un errore” potrebbe anche riferirsi ad un’educazione rigida e che non lascia spazio all’umana fragilità, in cui, di fronte ad una imperfezione non si incoraggia ma si sottolinea con arroganza la “caduta”. E dunque il cuore di Mycroft è segnato dal desiderio, mai esaudito, che ci sia gioia semplice e limpida intorno a lui, come le risate di felicità dei bambini. Ma a lui non è stato mai permesso.
La seconda parte, sempre considerando una sequenza temporale, potrebbe essere riferita alla giovinezza di Holmes, lanciato in brillanti risultati nello studio e poi in una promettente carriera. L’energia c’è ma tutto lo slancio è come imprigionato in un procedere preciso, senza emotività, che trasmette un senso di efficienza e di risultato sicuro, ma appesantito da una certa freddezza nell’applicazione.
Mycroft è indubbiamente stato un giovane uomo brillante e più geniale del fratello minore ma il peso delle responsabilità, appoggiate sulle sue spalle, e le aspettative con cui è stato cresciuto, ne hanno limitato la libertà di essere creativo e più umano.
La terza parte, sempre se di fase della vita si tratta, potrebbe condensare l’essenza di “Mister Inghilterra”, impegnato in un ruolo di grande potere da cui i sentimenti sono tassativamente esclusi per non distogliere l’attenzione e l’impegno dagli obiettivi prefissati che, per lui, non sono certamente quelli di tentare di essere felice, perché ciò sconvolgerebbe completamente il suo modo di vivere.
Ma, arrivata al quarto capoverso, mi trovo un po’ disorientata e mi viene un dubbio relativo alle fasi della vita: infatti la notte, seguendo questo mio ragionamento, dovrebbe corrispondere agli anni della vecchiaia e qui, appunto, non mi sento più tanto sicura di quel percorso che ho seguito fino ad ora, perché Mycroft non è un uomo anziano. Infatti mi trovo persa in un labirinto di cui l’uscita prevista non è quella che pensavo.
Dunque arrivo alla seconda interpretazione, o meglio, ipotesi, che è che le quattro fasi siano quattro diversi momenti psicologici che coesistono in tutti noi, e segnino la vita di Mycroft.
Alla luce di questo presupposto, tutto mio, comunque, tento di leggere le varie fasi da questo punto di vista e cioè considerandole i vari volti del modo con cui approcciarsi alla realtà che Mycroft si trova davanti.
Prima fase: l’immediatezza e la speranza che possono spingere ad una maggior fiducia nella vita.
Seconda fase: nel trasporto immediato della prima fase va aggiunta una maggior riflessione su quello che po’ essere deleterio nel raggiungimento di un obiettivo. Quindi si pone la necessità di limitare l’entusiasmo e potenziare la continuità nel raggiungere ciò che si è prefissato, quindi bene l’essere “gagliardo”, ma sotto il controllo assoluto della ragione.
Terza fase: è il momento in cui abbiamo conosciuto Mycroft, nell’universo dei Mofftiss, uomo di potere, fratello preoccupato per il futuro di Sh, incrollabile “Mister Inghilterra” nel considerare solo i fatti nella loro evidenza, senza lasciare spazio a quella che può essere l’influenza disorientante dei sentimenti.
E poi c’è lo scoglio più difficile da scalare del capitolo, che è l’ultima fase, quella che mi ha fermato nella mia precedente interpretazione sui vari momenti della vita di Mycroft.
La notte. Quindi accantonata l’idea che tu ti sia potuta riferire ad una sua età avanzata, mi viene da pensare che questa quarta fase sia la rappresentazione di un Mycroft senza più costrizioni, senza obblighi di potere. Lui, la sua vita personale e basta. E si fa concreto il desiderio di essere amato (“…mani esperte…”), senza più rendere conto al controllo razionale. Ma, per ora, il suo è solo un fluire di emozioni trattenute e “rotte”, quasi con stupore e dolente consapevolezza di una solitudine che si fa via via più pesante.
Ti chiedo di scusare la mia recensione che può apparire un delirio, ma ho una certezza. Infatti penso che i testi che suscitino molte idee, anche contrastanti, e stimolino la riflessione, siano senz’altro qualcosa di molto valido perchè fanno pensare.
Il tuo “Look” appartiene proprio a quel tipo di storie, anche se, in realtà, ha la stessa efficacia di un testo poetico, che non appiattisce la voglia di ragionare su quanto si sta leggendo ma la invita a soffermarsi per trovare il senso di tutto.
Io qui ho “allagato” le tue belle parole con un fiume straripante d’idee, ma l’ho fatto volentieri ed è stato un tempo ben speso perché la sosta nei propri pensieri è sempre qualcosa di utile e rilassante.
Comunque spero proprio di non aver delirato a vuoto ma di aver centrato almeno in parte il tuo messaggio e ti ringrazio per la pazienza nell’avermi accolto e letto.

Recensore Master
19/04/20, ore 15:57
Cap. 8:

Un crossover tra “Good Omens” e “Sherlock” BBC è davvero un “piatto” prelibato per me che vedo qui riuniti due mondi che amo molto, perché anche la storia di ‘Zira e Crowley la trovo appassionante e assolutamente diversa ed originale rispetto ad altre proposte.
Ancora una volta, comunque, il personaggio di Mycroft diventa materiale malleabile, tra le tue parole ed i tuoi progetti narrativi, e si caratterizza, anche in questa storia, inusuale e bellissima, di un’umanitá e di una sensibilità vibranti che arricchiscono, senza mai stravolgerli, i suoi tratti più strettamente IC.
A questo proposito, infatti, mi viene in mente l’espressione che lui assume in HLW, quando, dall’elicottero, si accorge di ciò che Sh ha compiuto ai danni di Magnussen e di se stesso. E c’è quell’esclamazione che per me ha la stessa intensità di un abbraccio (“Oh, Sherlock!”). È uno stupore doloroso che rivela un grande e profondo affetto per il fratello.
Dal punto di vista della collocazione temporale dei fatti, posso pensare che siamo nel periodo in cui uno Sh molto giovane sia preda dei fantasmi del suo passato, dell’incapacità di rompere il suo isolamento sociale dovuto, in gran parte, all’eccezionalità della sua intelligenza, del suo desiderio, comune a tutti noi, di amare e di esserne contraccambiato. Alla luce di quanto visto in TFP, inoltre, l’inspiegabile vuoto lasciato dalla scomparsa improvvisa di Victor, sicuramente ha minato il suo equilibrio nel maturare un’affettività tranquilla ed espressa. Per non parlare, poi, del “rimosso” e “mascherato” che riguarda il ruolo di Eurus nella sua infanzia.
Dunque abbiamo qui uno Sh che deve ancora conoscere John, che costituirà per lui la sua salvezza e la sua magnifica ed irrinunciabile maledizione.
L’immagine che apre il capitolo, con i due fratelli, l’uno che sorregge l’altro, persi entrambi nel proprio dolore, l’hai rappresentata in modo davvero coinvolgente, è un momento che suscita commozione perché intuiamo che Sh è perso nel suo desiderio di autodistruzione, Mycroft nel labirinto dei complessi di colpa, del silenzio con cui ha sigillato i segreti e l’inquietante realtà del passato della sua famiglia. Fai scorrere un meraviglioso paragone tra lui che sostiene il fratello, ormai ai limiti della sopravvivenza, e che lo solleva dalla culla piangente: un momento intenso che ci predispone ad una lettura che affonda le sue radici nel cuore e nella sensibilità di tutti perché fai appello a ciò che ognuno di noi ha da qualche parte, dentro di sè. Leggere un testo simile, poi, in una contingenza così drammatica e disorientante per tutti, costituisce un riconoscersi in uno stato comune di emozioni e di desideri universali.
Ti sei distinta dall’ovvietà e dalle connotazioni banali anche nel delineare, con pochi ma efficacissimi tratti, l’atmosfera dell’Ospedale in cui Mycroft va a chiedere aiuto per il fratello: ne rappresenti con convincente oggettività il clima d’efficienza necessario a gestire situazioni in cui l’indulgere in atteggiamenti buonistici può causare perdita di tempo e false illusioni. Bisogna far presto, senza soffermarsi, per esempio, a badare di non urtare la spalla di qualcuno o a tratteggiare arabeschi inutili nel registrare le generalità.
Coinvolgente la definizione che, tra le righe, dai dell’ospedale in genere: una “comunione di dolore”, dove, da parte di chi aspetta, in un tempo che, giunti lì non ha più confini, un semplice “ é andato tutto bene” assume un valore totalizzante.
Nell’attesa, inoltre, rendi protagonista lo stato d’animo di Mycroft tormentato da sensi di colpa che, secondo me, ingigantiscono le sue vere responsabilità, deformando i ricordi e le convinzioni di non aver fatto tutto ciò che sarebbe stato possibile.
Ed è in quest’inferno d’incertezza e di sospensione, in cui Mycroft insegue un pensiero rivolto al sovrannaturale (“...il desiderio di un qualsivoglia...”), che entra in scena una buffa signora dal “viso paffuto affondato...(in una) sciarpa gialla...”. Visione, questa, mille miglia lontano dai canoni estetici del maggiore degli Holmes, sempre regale ed impeccabile nei suoi costosi completi d’alta sartoria.
E, addirittura, quella si permette di posare una mano sulla sua spalla...
Le difese, che Holmes erge di fronte a qualcuno che ha tutta l’aria di invadere il suo spazio in un turbine di banalità, si ammorbidiscono un po’ alla volta, cominciano a sgretolarsi quando percepisce una sintonia con quella strana persona che, con il semplice tocco su una spalla, riesce a trasmettergli il calore della pace, della tranquilla e speranzosa attesa.
Un vero e proprio colpo da maestro è l’ingresso sulla scena del nostro impagabile Crowley, i cui occhi gialli non sfuggono all’osservazione di un Mycroft che è sempre più confuso ma sempre più lontano dal suo stato di disperata impotenza.
I due, in pratica s’impadroniscono delle sue incertezze, lo conducono, senza che lui ne sia pienamente consapevole, verso la luminosità della speranza.
L’irruenza di Crowley, l’accudimento affettuoso di ‘Zira accompagnano Mycroft ad accogliere il responso del medico. E lui torna a vivere, aggrappato a quel cappotto che diventa il tramite per gli affetti perduti o in procinto di esserlo.
“...ricordati che non sei un errore. Sei perfetto si suoi occhi..”: che dirti?! Grazie per una così coinvolgente profondità di sentimenti in un momento in cui molti di noi, anche i più disincantati, alzano gli occhi al cielo chiedendosi se la forza di una preghiera inesperta e non collaudata dall’uso possa rompere il silenzio di una tragedia.
Io non so se l’ispirazione a scrivere questa meraviglia ti sia spuntata anche in concomitanza con ciò che stiamo vivendo ora ma, parlo comunque per me, mi hai fatto volare in alto, alla ricerca di un calore e di una luce rigeneranti e sinceri, senza maschere o deformazioni ghignanti di chi vuol farti credere una cosa o l’altra. Hai scritto sul valore della vita, della speranza, della preziosità dell’individuo in quanto tale ma anche dell’indispensabile forza dell’essere insieme. Scusa lo sproloquio ma mi si sono aperti i rubinetti degli occhi e del cuore. Grazie, davvero.

P.S. Un crossover decisamente riuscito, in cui la scia di “Good omens”, luminosa e frastornante allo stesso tempo, ha portato uno sconvolgimento benefico nell’orizzonte tormentato di Mycroft.
Geniale, inoltre, la scelta del titolo che rimanda a qualcosa che non vediamo ma che, evidentemente, una sua esistenza ce l’ha.

Recensore Master
18/04/20, ore 09:48
Cap. 8:

Ciao, la prima cosa che voglio dirti è che sono contenta di rivederti da queste parti. Trovare una tua nuova storia è sempre un grande piacere, ma questa volta la sorpresa è stata ancora più grande del solito. Tutto mi sarei aspettata da te, tranne che un crossover con Good Omens! Sul serio, credo di essere rimasta a bocca aperta per un attimo o due intanto che realizzavo quello che stava succedendo. Sono molto contenta che tu lo abbia scritto e che abbia anche scritto quelle note finali, in effetti puntualizzano una o due cose che nella lettura purtroppo si perdono, almeno a un primo sguardo certamente fin troppo distratto come lo è stato il mio intanto che leggevo la prima volta, come il motivo per cui Aziraphale è una donna. Pensavo fosse una fanfiction genderbender!AU in cui i personaggi appartengono a un altro genere, poi ho visto Crowley che sembrava un uomo e allora sono rimasta un attimo confusa. Poi le tue note hanno chiarito tutto e in effetti hai ragionissima, succede anche nella serie, Crowley diventa una donna per fare da tata al piccolo Worlock, una specie di Mary Poppins diabolica tra l'altro. E niente... mi è piaciuto, anche se è stato diciamo strano leggere di questo abbinamento, e qui parlo in generale. Per quanto abbia già letto un crossover tra questi due fandom, resta un qualcosa di inusuale per me da leggere, anche se molto bello come in questo caso.

Comprendo anche appieno, e condivido tra l'altro, la scelta di far apparire Aziraphale a Mycroft come una madre in attesa di un responso che riguarda il proprio figlio. Credo abbia permesso a Mycroft di aprirsi un po' di più, di entrare un attimino più in confidenza cosa che difficilmente sarebbe successa se fosse rimasto un uomo come lo conosciamo. Anche se di questo non ne sono sicura, Aziraphale è un angelo che ispira molta fiducia in chi gli sta attorno, indipendentemente dal modo in cui appare. Mi è piaciuto tutto comunque. Il pretesto narrativo che porta Mycroft e Aziraphale a incontrarsi è addirittura canon, quindi niente di forzato o ai limiti dell'inverosimile, ma semplicemente quanto già sappiamo dalla serie. Un'overdose del piccolo Sherlock, che non sappiamo quanti anni abbia, ma è già certo che soffra per la morte del piccolo Victor Trevor e per il "tradimento" (definiamolo in questo modo, anche se non so se è il termine più giusto da usare) di Eurus. E con Sherlock soffre anche questo Mycroft che, impotente, non può fare altro che mettersi da parte e aspettare che i medici svolgano il loro lavoro. Pesa l'assenza dei genitori di Sherlock e Mycroft che sono quasi certa non sappiano ancora niente, ma su Mycroft pesano tantissimo e la sensazione si acuisce quando arriva Aziraphale nelle vesti delle madre amorevole. A lui manca e forse questo lo ferisce ancora di più. Ad ogni modo è su di lui che si concentra la tua storia, ma non mi aspettavo niente di diverso. Questa raccolta si concentra per la maggior parte su Mycroft... mi è piaciuta molto l'interazione tra lui e Aziraphale prima, e Crowley dopo. Era per niente scontata e tutti i personaggi li ho trovati IC. Il modo in cui Aziraphale spinge Crowley a essere educato e a presentarsi (infilandoci nel mezzo anche un miracolo o due), ma anche per come l'angelo e il demone interagiscono tra di loro. Mi sono piaciuti tantissimo e li ho rivisti per quello che sono, ovvero un angelo e un demone che tra di loro si comportano come se fossero sposati da secoli. Mi è piaciuta molto anche l'umanità di questo Mycroft, che a un certo punto si trova coinvolto in una discussione della quale non potrà mai a fondo comprenderne la natura perché non può immaginare, ma io credo nemmeno dedurre, di star parlando con un vero angelo del paradiso, e poi con un demone infernale. Mi è piaciuto il fatto che la comparsa di Aziraphale sia arrivata proprio quando Mycroft aveva appena finito di inveire mentalmente contro una donna e il suo rosario, lei e le sue preghiere a un Dio che non aveva saputo proteggere Sherlock e nel quale, è chiaro, Mycroft non crede. Non mi aspettavo niente di diverso da un uomo come lui, anche se qui è soltanto un ragazzo ritengo che la sua idea di fede religiosa si sia già formata a dovere. Molto ironico poi, il fatto che Aziraphale appaia subito dopo che che finito di "inveire" contro la fede e la religione. C'è qualcosa di profondamente comico in quella scena, nonché di molto sottile.

Che altro dire? è stata una bella lettura, molto originale e sorprendente. Hai fatto benissimo a seguire l'ispirazione se è qui che ti ha portato. E ovviamente spero di ritrovarti presto da queste parti.
Koa
(Recensione modificata il 18/04/2020 - 09:54 am)

Recensore Master
16/01/20, ore 20:07
Cap. 7:

Credo che questo sia sicuramente il tuo lavoro più corposo, in termini di lunghezza. Quello insomma con uno svolgimento più ricco e articolato rispetto a quanto pubblichi di solito. Ne sono molto felice, in verità in un primo momento non sapevo bene dove stessi andando a parare e invece guardandola ora e nel suo complesso, la trovo una breve one shot davvero molto carina.

Come al solito, mi piace il tuo Mycroft. Ormai l'avrò ripetuto almeno cento volte, ma pazienza... Il Mycroft che descrivi, in ogni epoca, è sempre dannatamente credibile e ogni volta è interessante per un aspetto differente rispetto a quanto avevi affrontato altrove. E se in una, vediamo un Mycroft alle prese con tormenti d'amore o con i problemi di peso, in questa si parla di libertà. Ho notato questa cosa appunto, che ogni flash, ogni drabble, ha comunque un tema cardine che la contraddistingue. C'è un concetto attorno a cui ruotano i pensieri del personaggio. Questo è sicuramente quello di una nuova vita che inizia e una che finisce, in un certo senso una vita più libera. Sia dai propri genitori che addirittura da Sherlock, sebbene Mycroft sappia che non potrà mai "liberarsi" di lui e non che lo voglia, anzi ammette che sarà sempre il suo amato fratellino, ma forse un po' meno dipendente da lui ecco. E Sherlock è sicuramente il personaggio su cui ruotano parte dei pensieri di Mycroft. Non è così all'inizio, perché in un primo momento sembra più preso a ricordare la propria vita in passato e a fare ragionamenti riguardo a come ha vissuto dentro quella stanza, ma inevitabilmente i suoi ragionamenti finiscono sul fratello Sherlock e non sono del tutto positivi. Ma ora ci arriverò.

Le età non le conosciamo con precisione. Mycroft si è appena laureato e Sherlock ha una voce già più adulta, quindi presumo che sia nel pieno dell'adolescenza e quindi dei problemi più gravi. Ho trovato interessante la maniera in cui hai descritto il loro rapporto fraterno attraverso lo sguardo già adulto di Mycroft, sembra quasi morboso e di un attaccamento anche poco naturale. Per un frangente avevo quasi pensato a qualcosa di più, qualcosa di incestuoso, ma subito mi sono ricreduta (non badarci comunque, io faccio mille viaggi mentali mentre leggo). In realtà è sì, un rapporto piuttosto morboso, ma soprattutto dettato dal vissuto che hanno avuto e che nel  loro caso è piuttosto importante. Sappiamo che queste storie sono "canon compliant" e che quindi Eurus è viva e Victor Trevor è morto dentro a un pozzo. Di conseguenza tutto esiste, le difficoltà di Sherlock, la memoria del passato che se ne va, e anche i problemi con la droga. Presumo, deducendo da quanto tu scrivi, che questa morbosità sia una sorta di esclusività che Sherlock ha proclamato per sé nel rapporto col fratello maggiore. Dalla serie sappiamo diverse cose sul rapporto tra Sherlock e Mycroft e una di queste è che Sherlock non aveva amici da ragazzo. Possiamo quindi pensare che parte della propria curiosità, del bisogno umano di stare con qualcuno, Sherlock l'abbia riversato sul fratello. Di nuovo mi ritrovo a fare deduzioni perché non sappiamo tutto nel dettaglio. Trovo perfettamente naturale comunque che Mycroft desideri una vita più libera, direi che questo è il sentimento che di lui arriva maggiormente. Una vita anche sessuale, ho amato questo dettaglio che è in realtà molto "normale" e mostra quando Mycroft sia meno contorto di Sherlock nei rapporti sentimentali. Il suo bisogno lo ammette anche con tanta naturalezza, ovviamente a se stesso. Ma mi è piaciuto, ecco. Un passaggio tanto normale della sua personalità. 

Ci sono anche tanti dettagli che ho apprezzato, come lo studio della sua vecchia camera. Il fatto che si renda conto che forse è vero che non è più sua da molto tempo, ma capisce che questa è comunque l'ultima volta che ci starà. Perché da ora inizia la sua vita, una vita sicuramente diversa da quella che ha avuto sino adesso. Il tuo Mycroft è proprio un personaggio molto positivo in questa storia. Trovo anche che la sua eccitazione per questa nuova esperienza che si affaccia all'orizzonte, oltre che il caos per il trasloco, lo alleggeriscano di tutti quei pesi che solitamente nelle tue storie ha. Di solito è tormentato da qualcosa, che sia Eurus, Sherlock o Lestrade. Qua invece no. Qua ogni ragionamento su Sherlock scivola via e quasi non gli dà troppo peso. Insomma mi è piaciuto molto. Così come tutta questa storia.

Spero di leggerne altre tanto "corpose".
Koa

Recensore Master
15/01/20, ore 18:46
Cap. 7:

Grazie a questa tua ff, possiamo dare ancora uno sguardo sulla vita del giovane Mycroft che ci permette di ricostruirne credibilmente le motivazioni che l’hanno portato ad essere “Mister Inghilterra” e le particolarità del suo rapporto con il fratello Sh.

Il perfetto ritratto introspettivo che ci rappresenti, s’innesta perfettamente sulle connotazioni IC del personaggio, senza alcuna esitazione perché, quello che abbiamo visto nelle Stagioni dei Mofftiss, è sicuramente il Mycroft che ha avuto quel tipo di passato, quel tipo di relazioni familiari. Non c’è dubbio. Altre interpretazioni ci possono stare, ma la tua è supportata da un’analisi introspettiva verosimile e fondata su intuizioni che danno al tutto la luce della credibilità.
C’è sempre un’atmosfera “morbida”, silenziosa, ovattata, quando ci racconti del Mycroft giovane. Un silenzio ed una compostezza turbati solo dai richiami della voce “non più acerba” di Sh e da quelli, quasi impersonali, probabilmente della madre.

Rappresenti così una routine piatta e monotona, in cui il giovane Holmes, futuro “iceman”, protegge il suo mondo di ricordi e di pensieri con gelosa determinazione.
 Penso sia successo a tutti noi, ma qui si tratta di una strenua difesa da ingerenze che rischiano di schiacciarlo. Sicuramente troppe aspettative, troppe responsabilità affidate alla sua ancor acerba responsabilità di primogenito e di fratello maggiore.
lo ritrai in un momento particolare, e cioè in procinto di lasciare la casa di famiglia quasi sicuramente, ma è una mia ipotesi, per cominciare un’esperienza in cui mettere a frutto il conseguimento della laurea.
“…circondato da una penombra che non ti è più familiare…”: Mycroft non è più uno studente, ora è un giovane uomo proiettato verso il futuro. Molto malinconiche le sue riflessioni riguardo all’estraneità che la casa dove è nato e cresciuto, ora gli sembra un luogo estraneo, indifferente pur nella quantità di ricordi che serba tra le sue mura. Ma tanta è stata la pressione che i genitori hanno esercitato sulla sua vita, sulle sue scelte, che ora, davvero, nulla lo trattiene.
Deve uscire da lì, per sentirsi in grado, senza esitazioni, di essere quello che vuole. E ritorna la bellissima frase che hai fatto pronunciare a sua madre, il giorno della laurea, richiamata dolcemente alla memoria dai petali rossi di una rosa di quelle con cui la signora Holmes accompagnò le splendide parole (che mi sono accuratamente segnata).
Sotto i suoi occhi, mentre cerca ciò che gli potrà servire, sfilano oggetti ed immagini di una vita del passato che non ha mai sentito sua.
Mi è piaciuta molto, a questo proposito, la riflessione che gli suscita la copia della commedia di Wilde. Un’esperienza, quella sul palcoscenico, che lo aveva caricato di un’energia nuova. La tua capacità di sondare un argomento e l’animo umano ormai mi è familiare.
Mi sembra di vedere il giovanissimo Mycroft, truccato ed emozionato, che recita davanti ad un pubblico entusiasta. A suo agio, anche perché, probabilmente, rivestiva dei panni che non erano quelli impostigli dalle convenzioni sociali. Quindi, un pensiero tira l’altro, e mi sono ritrovata a ricordare la scena della S4, di TFP, in cui John e Mycroft stanno affrontando il direttore di Sherrinford. Sh è già riuscito ad evitare i controlli, gli altri due stanno, appunto, creando un diversivo. Mycroft è travestito da vecchio pescatore, perfettamente a suo agio e, nello svelare la sua identità, cita Lady Bracknell, un personaggio molto importante nell’opera di Wilde cui tu fai riferimento. Ed ho pensato che fosse proprio quello il ruolo che il giovanissimo, futuro “Mister Inghilterra”, aveva accettato di sostenere, con grande successo e, soprattutto, inebriante soddisfazione personale.
Qui mi sento d’innestare un’altra tematica, presente nel tuo testo, anche questa fondamentale nel ricostruire una credibile personalità al maggiore dei fratelli Holmes, e cioè il suo orientamento sessuale, tenuto gelosamente nascosto alla famiglia per comprensibili motivi, visto l’atteggiamento quasi vittoriano dei suoi (“…che hai visto insieme…a lui…”). Penso di poter dire con sicurezza, spero di non sbagliarmi, che quel “lui” non sia riferito a Sh. Ecco che il lasciare la casa diventa sì motivo di malinconiche riflessioni ma anche un passo necessario per liberare la propria vita da catene soffocanti
Un unico elemento lo turba, più di tutto il resto ed è Sh. Molto intensa la rappresentazione di quel momento in cui Mycroft si accorge che molti dei suoi libri, in particolare quelli che non trattano argomenti inerenti ai suoi interessi, sono stati “frequentati”, letti quasi con un’energia (“…strappi ed orecchie…”) che può essere il segnale di una muta richiesta d’aiuto. La sua mente formidabile focalizza un termine significativo, “solitudine”, e per lui diventa automatico pensare al fratello minore ed ai suoi problemi nel relazionarsi con gli altri.
Ecco, questo potrebbe essere un motivo che potrebbe trattenere Mycroft nel concretizzare la decisione che ha preso, l’amore per Sh. Ma gli fai “raddrizzare la schiena” ed affrontare ciò che ha deciso. Quello che seguirà, i rapporti con il fratello, le difficoltà nel salvarlo da se stesso e dai suoi demoni, lo conosciamo benissimo.
Questa ff è una delle “perle” di “Four” che, secondo me, brilla più delle altre perché ne dilaga una profondità di pensiero che è davvero coinvolgente. La tua evidente ammirazione per un personaggio difficile e complesso come Mycroft ti permette di scavarne a fondo delle fondamenta caratteriali pienamente IC e del tutto credibili. In più sembri quasi accarezzare la sua tristezza e la sua sofferenza con uno stile elegante come lui, non banale, del tutto rispettoso di tutto ciò che lo riguarda, anche dei suoi lati più nascosti.
Complimenti davvero.
P.S. quanto mi piacerebbe leggere il diario di Myc. Secondo me, tu sapresti ricostruirne la struttura con facilità ed ottimi risultati. Non ho dubbi.

Recensore Master
07/01/20, ore 20:01
Cap. 6:

Ciao, è la seconda volta che scrivo questa recensione (non so come, la prima l'ho cancellata tutta senza neanche rendermene conto) e spero che riuscirò a inviartela correttamente questa volta. Dunque, sono rimasta piacevolmente impressionata da quanto hai scritto, lo dico forse molto spesso e altrettanto spesso ti ho fatto i miei complimenti, così come ti ho detto che hai un modo molto particolare e originale di parlare di questi personaggi, ma a mio avviso certi concetti non li si ripete mai abbastanza. So di avertelo già detto, ma in questo caso non mi faccio problemi a ripeterlo, mi piace molto il modo in cui tratti questi personaggi. Mycroft che di per sé è un personaggio molto complesso e affatto scontato, né semplice da comprendere, riesci a renderlo perfettamente umano. Vicino e distante al tempo stesso. Complicato e semplice nella stessa maniera. Un'altra caratteristica che noto in tutte le storie che scrivi è senz'altro la non banalità dei temi trattati. Non c'è mai niente di ovvio o di scontato e anche quando usi trame più semplici, o che comunque sono già state spesso usate dal fandom, lo fai sempre con un ottica diversa e nuova. Mi piace sempre molto insomma. Anche per questo penso che sarebbe interessante leggerti su storie più articolate e, di fatto, più lunghe. Magari long o corpose one shot. Non che queste brevi non mi piacciano, sia chiaro... più che altro per curiosità mia, perché hai una sensibilità sui personaggi e una delicatezza che sarebbe interessante trovare in qualcosa di differente. Ma prendilo come un invito, ecco perché non vuole essere affatto una critica, anzi.

In questo caso nello specifico sei andata su un tema che non è mai stato usato spesso. Anzi, persino dalla serie è stata soltanto sfiorata. Il tema del peso di Mycroft viene citato in un paio di occasioni, vediamo lui da bambino un po' cicciotto e vediamo pillole dimagranti sulla sua scrivania, ma sono più che altro dettagli minuscoli. Abbiamo anche un Mycroft obeso che scommette con Sherlock sulla propria morte, ma quello è il palazzo mentale di Sherlock e non conta davvero... quel che è sicuro è che Moffat e Gatiss stessi hanno lasciato a intendere qualcosa, ma senza indagare troppo. Il fandom, con le fanfiction o le analisi, non è andato troppo lontano. Leggere una storia, anche breve, che parla di questo argomento è senz'altro un qualcosa di nuovo e innovativo. E lo è in tanti piccoli particolari, come il fatto che Mycroft abbia un'amica. Un qualcuno a cui affidarsi. Di solito si tende a immaginare l'adolescenza e giovinezza di Mycroft in una maniera non troppo diversa da quella del fratellino scapestrato e agitato. La differenza sostanziale sta nell'uso delle droghe, ma per quel che riguarda l'isolamento si tende sempre a figurarsi Mycroft come un ragazzino riservato e schivo. Raro è trovarlo in una situazione come questa, con un'amica a cui confidarsi. Un'amica che ha capito tutto, che è sveglia e intelligente e che ha capito perfettamente cosa sta succedendo a Mycroft. Un'amica che Mycroft non considera ancora come una confidente alla quale affidare il peso dei propri problemi o pensieri più intimi. Una soluzione alla quale arriva alla fine della storia, quando capisce che ha bisogno di parlare con qualcuno di quanto sta accadendo. Il modo in cui Mycroft arriva a questa conclusione è a mio avviso attinente al personaggio. Lei lo colpisce con la sua intelligenza, con il suo gioco di deduzione, lo colpisce moltissimo e forse anche per questo alla fine lui cede. Questo mi è piaciuto molto. Come al solito introspezione accurata e testo molto preciso, complimenti davvero ogni tua storia è un dono del cielo.

Alla prossima.
Koa

Recensore Master
07/01/20, ore 11:45
Cap. 6:

Un pezzo, questo, particolarissimo e molto originale, davvero, che accende una luce su quelle che sono le fragilità di Mycroft.
Fragilità che hanno costellato il suo passato ma che sono comunque rimaste celate sotto una formidabile maschera che Mister Inghilterra ha saputo costruirsi nel corso della sua vita.
Com’è tua consuetudine, lasci che siamo noi lettori a servirci del tuo testo, leggendolo, rileggendolo, sezionandolo, per tentare di coglierne il messaggio. Naturalmente mi rimane sempre il dubbio di farci una figura da pere cotte per non aver centrato il significato di quanto vuoi comunicarci ma ci tento lo stesso, come ogni volta.
Dunque…le prime emozioni che mi lascia la lettura di “400” è di una speranza tenue ma concreta di riuscire ad uscire da una di quelle paludi che costellano la vita di tutti noi. Quella, a cui ti riferisci qui, penso proprio siano i disturbi alimentari che hanno tormentato il giovanissimo Mycroft, ombre inquietanti che si sono diffuse da una situazione familiare difficile, in cui un ragazzo ancora troppo fragile è stato investito da aspettative e dall’assunzione forzata di responsabilità certamente devastanti.
Quest’aspetto, di un non equilibrio nel porsi di fronte al cibo, se non ricordo male, è stato accennato velocemente nello “Sherlock” BBC delle canoniche quattro Stagioni, a parte qualche immagine di lui che sta sul “tapis roulant” mentre il fratello lo rimprovera per non essersi presentato al matrimonio di John in TSOT.
Invece, nello Special natalizio del 2015 (…ho consultato Google), i Mofftiss sono passati a rappresentare l’effetto opposto, cioè mostrandoci un Mycroft devastato dallo squilibrio alimentare, dipinto molto sgradevolmente, a tinte forti e grottesche.
Quindi il fatto c’è. Io adesso non ricordo bene se Doyle ne avesse messo in luce questa particolarità nella connotazione del suo personaggio, mi sembra si sia limitato a citare la sua pigrizia ed il suo scarso senso dell’azione, contrariamente al fratello.
Torniamo alla tua storia: abbiamo, dunque, un Mycroft giovanissimo, studente, alle prese con l’impegno scolastico, da lui sicuramente affrontato con massimi risultati. Tu aggiungi, efficacemente, il personaggio di Kacey che mostra di aver compreso i problemi del compagno di scuola.
Il tutto risulta piacevolmente credibile, anche perché lei, agli occhi di Holmes, ed ai nostri, è l’immagine di quello che sarebbe lui se si lasciasse andare alle sue fragilità. È una ragazza che si potrebbe definire un po’ “scarpona”, senza troppi fronzoli ma sincera e generosa.
E piace a Mycroft che percepisce in lei qualcuno di solido, di positivo, una presenza rassicurante nel suo disagio (“…afferrarti la testa…le mani forti…”).
Un sentimento non percepito chiaramente e non espresso , ma che diventa un’ancora di salvezza nella difficile situazione di essere, in famiglia, colui che deve assumersi il carico di essere il migliore di tutti, sempre.
Sei in gamba, davvero.

Recensore Master
13/09/19, ore 16:12
Cap. 5:

Dopo una prima lettura della tua intensa ff, stavo giusto riflettendo sul significato del titolo. “Volti”, “facce”…
Intanto parto dal dato certo che il tuo sguardo su Mycroft è sicuramente efficace, senza banalità o frasi fatte, trite e ritrite.
Il suo disagio, la sua sofferenza esistenziale vengono messi ancor più in risalto dall’uso della seconda persona, forma narrativa che non è di semplice frequentazione perché può scapparci la lettera o l’accorato ammonimento. Tu, invece, la usi per meglio mettere in risalto ciò che, invece, appare una maschera per nascondere un tormento che impedisce al giovane Mycroft di sentirsi meglio.
“Giovane” perché c’è in giro ancora zio Rudy, ma non ne sono sicura. Comunque sia l’ “iceman” ha già imparato a proteggere i suoi sentimenti, o presunti tali, dietro ad una maschera d’imperturbabilità e di studiata eleganza. Anche le parole gli escono soppesate, senza sbavature di ciò che potrebbe essere scambiato per un ridicolo sentimentalismo.
Un gesto che, secondo me, è rivelatore del suo stato d’animo è quel lavarsi a lungo le mani, “sotto l’acqua ghiacciata”, strofinandole a lungo con un’accuratezza che ci appare, ad un certo punto maniacale. Infatti, incuriosita da questo tuo mettere in risalto un gesto che, senza dubbio, ha una sfumatura di compulsione o, se non altro, non è certo un’urgenza igienica, visto il tipo di persona che lo sta facendo, ho fatto “un giretto” su Google per avere qualche idea in più su cui riflettere per lasciarti delle osservazioni che abbiano un senso, vista l’alta qualità del tuo testo. Come esperta di psicologia la mia competenza è molto limitata ma ho trovato dei commenti interessanti sul lavarsi le mani con insistenza. L’acqua ghiacciata molto probabilmente è una scelta per non cedere alla debolezza, in questo caso di sentire il tepore di una temperatura più “umana”; per quanto riguarda l’atto in sé, potrebbe avere il significato di lavar via i sensi di colpa. Sensi di colpa, nel caso di Mycroft, dovuti soprattutto al segreto terribile che custodisce su ciò che lui ha deciso per la sorella Eurus. È un peso enorme, che solo lo zio Rudy conosce, e che lo tiene ancorato ad un disagio che ha dell’eroismo, visto che è stato accettato per liberare la famiglia da un incubo.
Ho trovato anche che lavarsi le mani è pure il segnale del rafforzamento di una decisione presa e che, probabilmente, non convince del tutto. Lavarsi le mani, inoltre, e questo è il significato che preferisco, è anche il desiderio di cancellare i dubbi. Guarda quante cose sono scaturite da quella semplice ma intensissima immagine che mi sono permessa di vivisezionare con interpretazioni varie.
“Non consentire che i bastardi ti annientino”: una raccomandazione, questa, che non è meno devastante dei sensi di colpa che tormentano Mycroft e che gettano un’ombra inquietante e diffidente sulle relazioni umane.
Alla fine della ff trovo un particolare che mi attira per la sua singolarità. Suggestivi i due doni, sicuro ma che dire di quella “leggera scia fucsia” che Mycroft scopre e pulisce dall’unghia di Rudy…
Ci ho pensato parecchio, ma le interpretazioni ruotano sempre su una possibile deviazione sessuale dello zio. Un travestimento per soddisfare certe sue segrete inclinazioni? Perdonami se sparo sciocchezze.
Non lo so. Certo che la lettura dei pezzi che fanno parte di questa raccolta è davvero stimolante perché non scivola via lasciando un senso di superficialità e di cose ovvie e scontate. No, sono immagini che ci colpiscono e che ci fanno guardare alla realtà in modo cauto.
La persona più anziana che fa le sue raccomandazioni al nipote e che sembra trasudare saggezza e stabilità emotiva, chi è veramente, dietro la maschera, dietro la sua “faccia”…
Bravissima.

Recensore Master
07/09/19, ore 09:51
Cap. 5:

Ciao, è sempre un grande piacere ritrovarti da queste parti e specialmente quando ci porti aggiornamenti di questo valore. Come ho già detto credo numerose volte, ho una passione speciale per il personaggio di Mycroft che da pochissime autrici ho visto ritratto in una maniera e che, io e per me, ritengo essere soddisfacente. La tua è senza dubbio una delle mie preferite. Questo Mycroft, quello che ritrai e senza in apparenza fare troppa fatica, è un Mycroft credibilissimo e che vedrei perfettamente anche nella serie. Ce lo hai mostrato, nelle varie storie, in situazioni differenti, in epoche diverse e concentrato anche su fatti e persone diversi. Eppure c'è una costante in tutto questo, in ogni storia che hai scritto e che personalmente immagino come una tesserina di un puzzle, e questa costante è Mycroft. Il suo rapporto con il mondo, su tutto ma anche il suo rapporto con i fatti accaduti. Altra costante infatti è la sua famiglia, molto presente nella sua vita e in un pensiero quasi assillante. Qui Sherlock viene nominato, ma la sua presenza pesa moltissimo anche se non compare. Compare invece lo zio Rudy, di cui sappiamo pochissimo (se non niente) e di cui il fandom ha inventato pressoché ogni cosa. Ma soprattutto c'è Mycroft e il peso che si porta dietro. L'epoca è imprecisata, ma Sherlock ritengo sia sufficientemente grande da essere diventato anche un po' impertinente mentre Mycroft abbastanza da indossare un certo tipo di abiti, da essere già fissato con un certo modo di presentarsi (Ma a questo poi arriverò dopo). Un Mycroft che colloco virtualmente tra i venti e i trent'anni e quindi tanto tempo dopo la morte del piccolo Victor Trevor e la morte di Eurus (o presunta tale). Mycroft porta dentro di sé un peso enorme, che gestisce al meglio delle sue possibilità. In questo non c'è un buono o un cattivo, ma se devo indicare un responsabile direi che questo è lo zio Rudy, che anche in altre tue storie funge da mentore al giovane Mycroft che sarà anche geniale e straordinario, e su questo non discuto, ma che senza dubbio non ha preso certe decisioni da solo. Anzi, le ha subite. Questo Mycroft ci si ritrova, sta dentro a una situazione orribile e dalla quale non sa come fuggire. Viene menzionata l'ansia e io ci credo che ne provi considerando ciò che sa. Trovo sia molto da lui il fare tutto questo per il bene della famiglia, per la stabilità di un nucleo che di stabilità forse non ne ha ancora del tutto trovata e che non ne troverà mai. Mi piace moltissimo il modo in cui hai ritratto Mycroft. Come sei stata attenta alla sua ricerca di particolari, all'immagine che vuole dare di sé. Alla faccia che sceglie di mostrare. Non è falsità, la sua, ma una maniera di proteggersi e di celare i propri segreti che già sono troppi. Questo Mycroft è attento a tutto, dal modo in cui si lava le mani, al vestito che porta. Ho apprezzato tutto il discorso sull'abito che si sceglie di indossare, sulle scelte che si fanno. Un modo per dirgli che lui è ormai padrone di tutto, in realtà io continuo a pensare che lo zio Rudy non so quanto sia positivo come personaggio. Senz'altro ha avuto una pesante influenza sul giovane Mycroft, ma mi chiedo sino a che punto quest sia stata una buona cosa.

Tu hai fatto un lavoro eccezionale, come sempre. E sono interessanti le riflessioni che le tue letture mi portano a fare. Spero di ritrovarti presto.
Koa

Recensore Master
04/07/19, ore 15:18
Cap. 4:

Quello che senza ombra di dubbio viene fuori, da ogni tuo scritto, è la non banalità e di conseguenza l'assoluta complessità dei personaggi da te raccontati e del testo che decidi di proporci. Testo che più o meno verte su concetti simili, anche si di tanto in tanto devii dal tuo tema preferito e ci porti a leggere altro. Ma come ho già detto e come ribadisco, perché certi concetti io penso che non ci si debba mai stancare di ripeterli, sono convinta che Mycroft sia quello che ti viene meglio in assoluto. Non che gli altri siano da meno in quanto a bellezza e ad attinenza con l'originale e non che gli OC (penso a Zio Rudy che OC non lo è del tutto in quanto è un personaggio canon, ma di cui si sa talmente poco che, ora della fine, ci si deve inventare carattere, aspetto e quant'altro) siano da meno. Ma con lui il lavoro che fai è sempre al tuo meglio, tira fuori una dolcezza e una malinconia che sono tratti del suo personaggio che restano un po' nascosti e quasi sfuocati, ma che esistono e che Mark Gatiss riesce a mascherare dietro a una maschera di indifferenza e noia che caratterizzano l'aspetto di "Antartica", così come il suo nome in codice lo definisce. Ma dicevo, tu lo hai analizzato in momenti diversi della sua vita, dalla giovinezza fino all'età più matura, con Mystrade ma anche concentrandoti sull'infanzia e sul rapporto coi fratelli, e non c'è stato un momento in cui non ti sia riuscito il lavoro. Hai una scrittura accurata, precisa, molto corretta da un punto di vista formale (grammaticale, sintattico, lessicale e quant'altro) e grazie alla quale sei capace di tirar fuori dei personaggi calati in situazioni non semplici e, al contrario, spesso emotivamente complesse. In questo caso io credo che tu abbia fatto un lavoro ancora superiore rispetto ai tuoi standard, già molto alti come prima dicevo. Non posso sapere qual è stato il processo di ragionamento che ti ha portato ad accostare questo testo a i: "Poveri in riva al mare" di Picasso. Non so se tu abbia pensato al quadro e poi alla storia o viceversa, ma so che dentro la tua storia c'è tutto. Tutto quello che mi potrebbe mai venire in mente di dire in una recensione e che di certo non dirò, perché non so approfondire abbastanza i concetti o perché più semplicemente me ne dimenticherò mio malgrado. Di sicuro c'è tutto il senso del quadro, il cui soggetto, come dici tu stessa correttamente, è l'incapacità dei personaggi di riuscire a comunicare. Che poi è uno dei tratti principali della famiglia Holmes dopo la faccenda di Eurus e la morte di Victor Trevor. Anche se su questo... Voglio dire, nessuno di noi sa con certezza come siano stati prima che tutti questi fatti accadessero, ma quello che alla fine succede e anche molto drammaticamente mi porta a ritenere che né mamma né papà Holmes fossero sufficientemente attenti a quanto stava succedendo. Le parole di Mycroft in The final problem lasciano suggerire che lui avesse capito che, in Eurus, qualcosa che non andava c'era. E tu infatti qui riprendi il concetto. Anche qui Mycroft si dà parte della colpa di quanto accaduto, ritenendosi in parte responsabile. E anche ingiustamente perché non penso affatto che potesse fare qualcosa per salvare la situazione. Specialmente se si pensa a quanti anni aveva all'epoca. Eppure Mycroft si incolpa di quanto accaduto, del suo non esserne reso conto prima, del non aver esposto i propri dubbi a nessuno... Io penso, e non lo dico con cattiveria, che parte della responsabilità sia dei genitori troppo distratti o disattenti o comunque troppo svagati per comprendere tutto quello che stava succedendo. Sì, è anche vero che una cosa simile da parte di uno dei tuoi figli non te l'aspetti mai e che gestirla non è di certo la cosa più semplice ed è anche vero che la sofferenza del padre e della madre la si vede attraverso le tue parole, ma come dicevo... Beh, i genitori di Sherlock hanno delle profonde lacune e le mostrano proprio nella parte finale di The final problem. La loro non capacità di comunicare, quella di cui è permeata questa storia, è stata ereditata dai figli perché Sherlock e Mycroft hanno finito con l'essere come loro e col non riuscire mai a dirsi le cose importanti, le cose che li fanno soffrire o li rendono felici. Questo è a mio avviso uno degli scogli più grandi nel loro rapporto. E Mycroft di tutto questo ne soffre e questo grido di dolore viene fuori perfettamente in questo tuo scritto. Uno degli aspetti che a mio avviso viene fuori al meglio è l'affetto che nutre verso il fratello. Sherlock che sappiamo finirà col dimenticare ogni cosa, qui è ancora in una fase intermedia. Sappiamo che è intelligente, oltre che molto sottovalutato da Mycroft, ma è talmente piccolo che non penso abbia metabolizzato quanto accaduto. Quello che è sicuro è che la preoccupazione di Mycroft ce l'hai descritta in maniera magistrale, tutta la storia lo è. E ci sono dei passaggi davvero molto intensi, emotivi, scritti con la tua solita mano delicata.

Sono piccole storie, tutte queste. E spero deciderai di aggiornare presto perché sono una più bella dell'altra. Questa in particolar è un piccolo capolavoro.
Koa

[Precedente] 1 2 [Prossimo]