Cara Autrice, Fatina operosa,
il mio ritardo è piccola cosa!
Ma giorconda ritorno a legger le righe
di Vanir bigotti e Asi attaccabrighe!
Che fascino, signora mia, che fascino questo strego mezzo Jotunn e l’ altra metà Ase! Qual sicurezza mostra, che sprezzo del pericolo, di quanta ironia fa sfoggio! Ma tu, Autrice, non si certo da meno: metti in giro una leggenda misteriosissima, un lago d’ Averno ancestrale, un bestio mitologico mutaforma, le cui fattezze mostruose “sarebbero piaciute moltissimo a Thor” e sarebbero state pungolo di invidia guerresca e vanto, per Loki, nella continua gara, tra i due feroci guerrieri, alla composizione del bestiario più sozzo e immondo di creature sconfitte. E’ dall’ inizio di questa storia che amo il sangue freddissimo del secondo figlio del mai abbastanza compianto Odino. Ho semplicemente adorato la scena del salvataggio della piccola Sonje nella bottega nanica (a proposito: sono convinta che c’ entri anche un briciolino di magia della piccola figlia; io spero moltissimo che, poscia o pria, tu ci descriva “a kind of magic” nella primogenita) che ha gettato una luce diversa sia sull’ Ingannatore che sullo zio più bello dei Nove Regni: sono entrambi uomini d’ azione, che, probabilmente, hanno scorto nella pargola quella vena scavezzacollo degna dei cuccioli di Ase che anche loro stessi furono, ma, nello stesso tempo, non vogliono che nulla accada a segnare la pelle o la fantasia della bambina, in ciò manifestando quella cura, quella protezione, quell’ accorato istinto salvifico che anche i lupi dimostrano ai loro piccoli. O alle loro compagne.
Stupenda la considerazione guerresca e affilata di Loki per le donne del Tempio, piena di buonsenso, realismo, indubbia veridicità, ma che diviene, in un attimo, fatalmente erronea e pericolosissima. E’ un concetto che mi ha sempre colpito, quello secondo cui “gli altri siamo noi” o, per meglio dire, quanto ci si senta distaccati e lucidi quando le cose non tangono chi sia caro al cuore. Ancora una volta, tu evidenzi in modo non verboso, fulmineo e dannatamente canonico il vero carattere del Cadetto: non un eroe a tutto tondo, per cui ogni causa è perseguibile se solo sia nobile, ma un esempio di come sia più onesto, soprattutto intellettualmente, combattere per la propria causa.
Bellissima e coraggiosa la mamma Sigyn, perchè sfrutta ogni barlume di insegnamento che ella abbia ricevuto e assorbito e rubato al marito stratega: blandisce, irretisce, irride, morde, si divincola, scappa, lotta. Toccante il suo timore per la sorte del suo Campione, non perché debba salvarla dal pericolo che lei stessa sta vivendo, ma per la vita del suo amore. Ho letto una nota di commovente pentimento per averlo distratto da un balletto, fino ad allora, letale e vittorioso.
Tutto il contrario di quello scarto di uomo che è Teoschifo! Non abbastanza uomo da capire un rifiuto, né da comprendere di avere perso anni a meditare una vendetta bassa e inutile quanto lui. Puzza di paura, di ansia, di trivialità nascosta sotto bei vestiti, di ipocrisia. E, stupidamente, spera in una sconfitta del nemico di sempre, senza pensare che ciò significherebbe anche la sua stessa morte per opera del mostro. Un essere patetico, banale, viscido, inutile, negativo ben più della mefitica creatura che abita i sotterranei del Tempio.
Oh, quanto vorrei che venisse ridotto ad uno sputo!
Cioè come ridurrò te, Autrice, se non aggiorni più presto di subito codesta storia.
O VUOI CHE MUORO? |