Piacevole il gioco di significati con cui hai caratterizzato il titolo di questa breve ma intensa drabble.
L’impressione più immediata, che ho ricevuto subito ad una prima, veloce lettura, è stata quella di concretezza, di quotidianità in cui riscoprire un senso, un ordine in cui, finalmente, ritrovare tutto, anche le cose alle quali non ci si pensava più, probabilmente date per perdute o eliminate. Concretezza e realismo pragmatico grazie ai quali muoversi con obiettivi chiari e metodo, in modo da sentirsi sicuri, senza incertezze.
Nessun oggetto, o meglio, elemento di arredamento, più dell’armadio guardaroba parla per noi. Infatti esso accoglie tutto ed a seconda dell’umore che abbiamo: siamo di fretta, perciò si butta la roba un po’ alla rinfusa, siamo più tranquilli ed ecco la nostra sosta, di fronte a quelle porte così accoglienti, farsi più riflessiva, più calma. Queste prime impressioni mi sono state trasmesse dalla sequenza (“…Svolgiamo, stendiamo…ecc…ecc…”), lessicalmente ammirevole, dei verbi che hai scelto ed usato in maniera appropriata, piacevole per la correttezza e la varietà, non casuale, di momenti che si susseguono nella scena in cui ritrai John mentre progetta di sistemare l’armadio. Qui accendi un suggestivo parallelismo tra la sua mente ed il guardaroba. Questo mi piace molto perché lo ritengo tipico di Watson quel senso di praticità, di pragmatismo anche nelle faccende che riguardano i sentimenti. Certe sfumature del comportamento di Sh, pur avendone una profonda conoscenza, gli sfuggono, le ritiene incomprensibili ed inaccettabili: i rapporti con le persone, la sua tossicodipendenza, la sua cocciutaggine, la sua goffa gestione dei sentimenti. Ma John ama tutto del suo coinquilino, quello stravagante caso umano il cui fascino l’ha tramortito.
Penso che, dal punto di vista della loro relazione, qui tu ti riferisca alla loro prima volta, al loro trovarsi senza più nulla di taciuto e d’inespresso. Ci sono riusciti, dunque, a capire cosa sono l’uno per l’altro. Almeno questo mi sembra d’aver capito dall’ultima frase che ritrae un John decisamente, e positivamente, sconvolto da una visita di Sh in camera sua. Dunque dormono ancora separati ma, evidentemente, non è che l’inizio di un qualcosa che ha aspettato troppo a lungo. Comunque sono solo mie supposizioni.
L’elemento che conta e che è il punto di forza della tua piacevolissima drabble è la coerenza perfetta con il modo di essere di Watson, come ho detto sopra. E, ad una lettura più approfondita, l’immagine che abbiamo di un armadio perfettamente ordinato si rivela essere quella di una mente, di un cuore che hanno bisogno di chiarezza, di ordine, di ritrovare il vero senso di ciò che è accaduto in quella stanza. Evidentemente è successo ciò che si aspettava da tempo, ormai, più che desiderato, visto come un fatto da sistemare in una sua dimensione adeguata, per viverlo in tutta la sua valenza. Perciò John deve riordinare i suoi pensieri, i suoi desideri, riguardare a particolari che aveva lasciato perdersi nel caos di paure, pregiudizi, malintesi. Lui e Sh, un legame inscindibile, ma tormentato, che abbisogna di una sistemazione per essere vissuto pienamente. Il suo è un rivedere la sua vita, il suo passato, i suoi desideri per capire davvero cosa vuole davvero dalla vita.
La tranquillità dell’esposizione, che emana dal tuo piccolo grande testo, potrebbe rivelare per John, appunto, la conquistata consapevolezza di aver aperto la porta del cuore di Sh e di averne, finalmente, accesso.
Ripeto che, dal punto di vista tecnico, mi ha davvero colpito la successione di azioni che accomunano pensieri e cose da sistemare nel guardaroba. Hai parlato così con un ritmo, un succedersi armonico di gesti. Il “fare”. Per John, e per Sh c’è, ora, la possibilità di essere felici. Mi sbilancio ad ipotizzare che quell’armadio, così prezioso per John, possa essere corrispondere al Mind Palace di Sh, ovviamente più labirintico, più articolato, vista la formidabile intelligenza del consulting. Ma quant’è accogliente la praticità di Watson…
Brava. |