Mel, che gioia trovare una tua nuova storia in questa sezione!
Ho letto “flashfic” e subito ho capito che sarebbe stata una delle tue preziosissime mini-perle in cui in poche righe riesci a comunicare una densità di sentimenti tale che ti scuote per una settimana intera.
Ho letto chi era la protagonista e ho pensato: ah, benedetta Mel, ecco un nuovo inno a una donna dimenticata tra le pagine delle Appendici… o dei Racconti Incompiuti, in questo caso.
E quando finalmente ho aperto la storia, non sono rimasta delusa, anzi, tutt’altro!
Ma andiamo con ordine.
“Stanotte è morto mio padre”.
Prima persona: siamo dentro la testa e il cuore di una donna che ha appena subito una grave perdita. Che però, contrariamente a quanto uno potrebbe aspettarsi, non si sofferma a ripensare al rapporto che ha avuto con lui, non si mette a fare un bilancio di ciò che è stata la loro vita insieme. Perché c’è stata una perdita ben più grave e inaspettata tanti anni prima, che lei non è mai riuscita a superare, e che questo lutto ha riportato prepotentemente alla luce, soprattutto perché la particolare posizione in cui è stato ritrovato il corpo del padre le fa intuire qualcosa di fondamentale.
Ho detto “contrariamente a quanto uno potrebbe aspettarsi” perché una cosa che emerge fin da subito, e che è presente in tutta la storia, è il differente rapporto che Gilmith ha nei confronti del padre e della madre. Mi spiego meglio: lui è morto, e Gilmith pensa alla madre. Lui l’ha sempre compresa, ma lei ammette che la sua eredità più preziosa, la saggezza, l’ha avuta in dono dalla madre. Di lui parla in terza persona, alla madre si rivolge direttamente. Lui lo chiama “padre”, lei, “mamma”, termine che tradisce un legame più stretto, una confidenza maggiore. Insomma, l’importanza del genitore assente rispetto a quello che le è stato accanto per tutta la vita, mi è sembrato il tema preponderante dell'intera storia.
Ma torniamo all’inizio. Gilmith riflette sull’abbandono da parte della madre.
E mi sembra di capire, dalle tue parole, che il trauma vero e proprio (o, almeno, ciò che Gilmith rimprovera a sua madre) non sia l’abbandono in sé, ma il fatto che Mithrellas se ne sia andata senza dare alla figlia una spiegazione per il suo gesto. Gilmith dice: “non ero più una bambina”, come a dire: “non hai creduto che potessi capire i motivi della tua scelta”. Non le rimprovera, direttamente, l’abbandono, ma il fatto di non essersi fidata di lei.
Più avanti parlerai dell’eredità elfica lasciata da Mithrellas ai figli, e io mi sono immaginata, durante la loro infanzia, frasi scherzose del tipo: “Galador ha ereditato tutta la grazia e a Gilmith ha lasciato la saggezza”. Quelle cose che in famiglia si dicono con leggerezza, ma che ti segnano, e arrivano a determinare ciò che pensi di te stessa. E a Gilmith andava bene così: essere lei, la saggia. E anche per questo non può perdonare la madre, che nel momento cruciale – quello dell’abbandono – non le riconosce questa saggezza e non la ritiene degna di una spiegazione. Non ho fatto fatica a immaginare il dolore di Gilmith nel rendersi conto di questo. Ho provato la sua frustrazione, ho compreso appieno il suo rancore. La tua scrittura è molto efficace nel comunicare questi sentimenti, e ti ammiro molto per questo, perché è vero che la prima persona ti permette di entrare dritto nei pensieri del protagonista, ma è altrettanto vero che è facilissimo scivolare nella banalità, soprattutto (a mio parere) quando si accompagna al tempo presente. Qui, di banalità, neanche l’ombra, casomai te lo stessi chiedendo.
Altra cosa molto bella, nel senso che rende il momento ancora più struggente, e che si ricollega a quello che dicevo all’inizio, è il fatto che Gilmith parla direttamente alla madre, come se lei potesse ascoltarla, come se fosse ancora presente nella sua vita. L’ho immaginata come un’abitudine di Gilmith, quella di rivolgersi alla madre nei momenti difficili (quando ha dovuto prendere la decisione riguardo al matrimonio, per esempio), e – perché no? — anche nei momenti meno difficili, più quotidiani. Una presenza invisibile, con cui condivide la sua vita solitaria. E questo ha reso tutto molto più malinconico e triste.
Sono andata a rileggere la storia di Ritratti di Dame che citi nelle note, e l’effetto è stato stupefacente! In particolare il punto in cui Mithrellas dice: “Io so che comprenderete la verità”, mi ha colpito per due motivi.
Il primo è che ti viene da dire: Sì, cara Mithrellas, alla fine forse la comprenderanno anche la tua decisione sofferta, ma quanto dolore, prima! Forse Gilmith sarebbe stata meno “spigolosa”, meno sola, meno triste, se ti fossi soffermata un istante a parlare con tua figlia prima di abbandonarla (o magari una lettera, se non ce la facevi a parole, eh?).
Il secondo è che quando Gilmith dice: “Per questo te ne sei andata”, riferendosi al fatto che Mithrellas non sarebbe mai riuscita a sopportare una vita lunga quanto il mondo sapendo di non potersi mai più ricongiungere con l’amato marito, in realtà ha capito solo una parte delle sue motivazioni, e neppure la più importante.
Sopravvivere al marito, infatti, Mithrellas la riteneva una cosa affrontabile, per quanto dolorosissima, ma sopravvivere ai figli, e poi ai nipoti, e ai nipoti dei nipoti… quello no.
Il fatto che Gilmith, in realtà, non abbia capito fino in fondo la madre – e proprio per l’aspetto che la riguardava più da vicino – ha reso la storia ancora più tragica e bella.
Leggere il racconto su Mithrellas, inoltre, mi ha fatto pensare che le due storie andrebbero lette proprio così, una dietro l’altra, perché la seconda completa e “potenzia” la prima, e viceversa. Tanto che se, come dici nelle note, ti capiterà di scrivere ancora di questa famiglia (e spero che lo farai, perché io ne leggerei molto, molto volentieri) potresti prendere in considerazione l’idea di riunirle tutte in un’unica raccolta.
Molto bello e perfettamente coerente con lo spirito della storia è anche il finale: pur avendo cominciato a vedere le cose dal punto di vista della madre, Gilmith non è ancora pronta a perdonarla. E come potrebbe, quando tutta la sua vita è stata condizionata dalla scelta, fino a quel momento incomprensibile, della persona di cui si fidava di più? Ma io credo e spero che la saggezza di Gilmith (a proposito, è questo il dono di madre, vero?) le permetterà, una volta che la comprensione sarà completa, di arrivare anche al perdono.
Mel, sono andata lunghissima e ti chiedo scusa. Ma è stato davvero un piacere poter leggere una storia così coinvolgente, e avere il tempo di dedicarle l’attenzione che merita, rifletterci sopra, e assaporare con tutta calma le molte emozioni che ha suscitato.
Non posso che chiudere con un enorme grazie!
E con un abbraccio.
A presto,
Los |