Recensioni per
Selva Oscura
di LaCittaVecchia

Questa storia ha ottenuto 6 recensioni.
Positive : 6
Neutre o critiche: 0


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Recensore Junior
23/07/22, ore 01:32
Cap. 1:

Caro amico,

di certo sarai in vacanza, in giro per il mondo e con un cellulare che va a carbonella, e questa immagine mi piace.

La tua storia.

Addirittura mi dispiace di aver usato il titolo dantesco che tu, con cortesia superiore al contesto, mi hai addirittura chiesto il permesso di usare. Come ti dissi: il permesso a me? Fa' quel che ti pare ;-)

E tu hai davvero reso giustizia al sintagma del Sommo.

Inizio dall’inizio, com’è buona norma. Nella tua selva, del tuo personalissimo zoo, in medias res, appaiono gli scialacquatori – fuori contesto: ho buona probabilità, un giorno, di andar a far loro compagnia.

Devastano, nella corsa, cespugli e pruni. Siamo nella Selva dei Suicidi, INFERNO XIII, il grande canto di Pier delle Vigne, (probabilmente, per Dante sicuramente) a torto accusato di tradimento da Federico II di Svevia (“Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo…”), esule e ramingo mandato per il mondo, povero in canna e cieco, che si tolse la vita, se ben ricordo, sbattendo più volte la testa contro un muro.

Ma non è tanto questo, il punto; la bellezza del canto sta nel fatto che Piero, poeta della Scuola siciliana oltre che segretario dell’imperatore, non accusa l’imperatore, verso il quale prova ancora sincero affetto, bensì l’invidia dei cortigiani, coloro che convinsero Cesare – per antonomasia – per pura crudeltà, per proprio tornaconto. Dante trova che l’invidia sia la rovina di ogni corte, e credo che ci abbia visto lungo, e che le cose non fossero molto diverse nella Francia del Settecento.

I due cespugli son piccoli, e le cose piccole fan subito tenerezza.

Davvero bello “infanta fu la voce”. La voce della piccola Charlotte che vollero cogliere quand’era ancora in boccio e solo questo la rese “ingiusta contro sé giusta” (vo a memoria). E racconta anche la vicenda della piccola Diane, morta per amore, ancora troppo timida per parlare. Amico mio, cosa sono i nomi? Hai fatto più che bene a tacerli, la scoperta viene da sé.

Jeanne Valois, per la quale confesso anch’io un certo debole, è l’invidia fatta persona, e ben dice Virgilio “maladetta lupa”. Però lei parla con le parole di Francesca da Rimini, che saranno quelle del conte Ugolino, che sono quelle di Enea a Cartagine (alla futura regina suicida, peraltro): quel “rinnovellare il dolore” – infandum, regina iubes, renovare dolorem (vo a memoria) – che non deve essere pronunciato, e che fa rabbia alla pianta più grande. Temo sia la rabbia di chi non si arrende mai. Ma questo grande pruno, se sorvoliamo sulla forma e sul tono, di fatto si preoccupa per i pellegrini nell’inferno: li invita ad andarsene per sfuggire alle cagne nere, in modo feroce, ma pure compassionevole. È difficile che siano riconosciuti meriti di compassione a chi è fiera e piena di orgoglio, ma Jeanne Valois è luce e ombra. È difficile capire con che spirito da parte sua venga alluso a quella terra più maledetta, ma capace di ospitare rose (i traditori stanno più in basso, e c’è chi è una rosa e chi è diviso solo dalla distanza di una rosa), dico bene? …così io m'era inginocchiato e vidi / tra macerie di demon iscavate / a germogliar d'un fior il manufatto. /Di povera tela constava ordito / et a candida rosa si mostrava…

È difficile dirlo, ma io la nota di rispetto e pietà ce la vedo.

Amico mio, lo so che non verrà alcun messaggero dal Cielo a salvare nessuno dei personaggi, nemmeno il Giorno del Giudizio, e lo so che sei filologo, rispettoso, medievale, quasi templare – però, fammi sognare. È dura affezionarsi di nuovo a queste bimbe, a queste donne, e poi lasciarle per l’Eternità a un destino giocato in una manciata di anni e in un sol gesto. In fondo, le intenzioni di Dio ci sorpassano, quando verrà il Tempo in faccia a tutti noi, chissà che accadrà?

Io credo che questa sia una storia meravigliosa, sia per la forma che per il messaggio che veicoli, quello che – per come l’ho capita io – in ciascun essere umano c’è il Bene. Una storia perfetta.

E, sempre per come l’ho capita io, la giustizia non vuol dire giudicare.
Anche se noto che, stavolta, non hai avuto il coraggio di mettere “Commedia” come genere, lo usi solo per il Purgatorio. Vorrò vedere per il Paradiso. Se per scriverlo ti serve un altro titolo, o anche che ti lavi la macchina e ti ripari il tetto di casa, non esitare a chiedere.

Contraddico infine Umberto Eco e dichiaro la mia preferenza per l’INFERNO, dantesco e anche LaCittaVecchiesco, a prescindere. E se scrivere una fanfiction vuol dire restituire lo spirito dei personaggi, amico mio, hai scritto la mamma di tutte le fanfiction. La tua interpretazione vale la lettura, e che il mio commento ne valga mille.

Mi taccio per mancanza di spazio, non di parole.

Sacrogral, ammiratissimo, e che fa tanto d’occhi dallo stupore

Nuovo recensore
16/05/22, ore 16:41
Cap. 1:

Dunque nessuna sudicia Arpia dalle grandi ali e collo e volto umano e zampe artigliate e grande pancia piumata, accade al poeta d’incontrare in questo scorcio del settimo girone, al secondo cerchio, ma cagne nere che inseguono i dannati e per l’eternità lacerano in continuazione ciò che in essenza resta di loro e di ciò ch’erano state in vita.
Dunque il poeta sa d’essere lì dove ricevono eterna punizione coloro che “sono fuggiti” dalla loro vita, da quel dono ch’essi hanno rifiutato e da cui dunque saranno costretti a fuggire per sempre, i piedi come radici piantate nella terra arida e maledetta, il cuore in gola perché poi davvero non potranno mai più fuggire dal loro stato.

Tra i rovi di questa selva, ancora diversa da quella del primo canto, spiccano due piccoli arbusti, i rami rinsecchiti, pungenti sangue nero, arsi giovani, bruciati dalla scelta che ha interrotto per sempre lo scorrere della linfa vitale entro le loro vene, come stelo di rosa in procinto di sbocciare, reciso di netto, come un sorriso che s’affaccia timido sulle labbra, spento dallo sgarbo del destino ingrato.
L’un arbustello, per impedire d’esser colto da mano sudicia e l’altro proprio per esser stato colto e stretto e distrutto da mano altrettanto ignobile.
Si potrebbe pensare a scelte d’altri tempi, ove certi ideali giungevano a dirigere l’indole, ma poi no, poi accade che il poeta – anche questo poeta non da meno dell’altro – disegni la realtà cruda di ore che scorrono s’una visione che inchioda al nulla, quella d’immaginarsi prese e violate prima ancora di sbocciare e quella di ritrovarsi prese e gettate via appena solcate dalla prima rugiada del mattino.

Se la scelta di porre fine alla propria vita avvicina queste anime giovani e timide, di contro alla tenera disperazione dei cespuglietti cozza la ruvida voce dell’altra anima, contorta e nera, che tutto ha fatto per se stessa, anche oltre ciò che le sarebbe stato necessario per vivere bene, e dunque per avere di più, per avere forse quello che avevano altri e cercare una rivincita che nessuna ricchezza avrebbe mai potuto compensare.
L’anima rivendica con fierezza le scelte di corruzione e di male che si sommano alla scelta di fuggire dalla vita, precipitando l’anima stessa nel disprezzo del poeta – contro una sorta di compassione verso i cespugli – che l’appella lupa e vorrebbe ch’ella tacesse perché è difficile accettare il compiacimento dinnanzi a tanta desolazione.
Se i due cespugli non hanno vissuto appieno la vita e vi hanno rinunciato ancora troppo giovani, quest’anima si compiace d’aver cercato le altrui fortune e più ne otteneva e più non le bastavano.

Non v’è salvezza per essa, se non che una sorta di “salvezza” emana e discende proprio dalle parole di uno dei due cespugli, che dunque pare conoscerla e ammirarla più di quel ch’ella farebbe da se stessa.
Stride questa sorta di compassione, stride per via che non vi sarà salvezza per nessuno, eppure quell’anima dolce ha trovato conforto nella protezione ancora più possente dell’anima reietta.
Consolante dunque che a un’anima reietta si conceda d’essere in qualche modo ancora utile, così che in questo modo forse sia più accettabile ciò che ha commesso in vita - con tutto che quel che ha fatto lo ha fatto un po’ per mangiare, un po’ perché ovunque si sosteneva che per essere importanti bisognasse esser ricchi…ma qui si rischia di uscire dal seminato – sollevando dalla responsabilità quelli che alla fine l’hanno condotta sin lì, sin a quel libero arbitrio marcio e senza speranza.
Consolante per il lettore, meno per la sorte di quell’anima dannata per l’eternità.

Così come non è altrettanto consolante – ci si permette una fuggevole chiosa alla chiosa - immaginarsi che di quest’anima reietta sia alter ego un’anima del tutto differente e che d’opposto ha solo il colore dei capelli.
Colei che in realtà ha saputo resistere alla vita che parimenti le era stata imposta, caparbia nel bastare a se stessa, e pur avendo avuto più fortuna dell’anima reietta, mai si è lagnata di ciò che non aveva seppur monca d’una parte di sé, e poi ancora incapace di stare in silenzio nel momento in cui avrebbe potuto restarci e salvare la propria vita.

Grazie per questo piccolo e prezioso drappo, che come scena d’un grande arazzo si scorge dopo un’attenta visione, un poco dietro al gruppo dei personaggi principali, un poco nascosta ma d’effetto, a rammentarci che si è tutti umani e peccatori.
Capo Rouge

Recensore Veterano
14/04/22, ore 10:48
Cap. 1:

Allora, mi ritrovo qui, ad ammirar sorpresa questo tuo nuovo Scritto.
E vi speravo in un seguito, dopo aver letto ciò che mi sorprese molto.
Vi son personaggi che, pur apparendo per pochi istanti, stan lì e chiedono attenzione.
Così si inizia un viaggio in una Selva oscura, che, lungo il cammino illumina la mente di chi vi si sofferma.
Grave la colpa, eterno il castigo. Nessuna redenzione per coloro che irreparabile offesa recarono alla vita.
“sta terra più diserta e maladetta
eppur capace d'ospitar le rose"
Son pochi coloro che han tanta destrezza, da saper mescolar così bene ciò che un Divin Poeta seppe creare.
Mi spinsi in questa Selva ad ascoltar la loro storia, ad ascoltar il dolore di sì giovin boccioli e di rosa irta di spine.
Non fronda verde, ma di color fosco;

non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;

non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.
Versi del Sommo Poeta che son il miglior vestite per le pulcre donzelle.
Nella Selva oscura ho trovato grande talento.
Grazie
(Recensione modificata il 14/04/2022 - 10:53 am)

Recensore Veterano
12/04/22, ore 16:38
Cap. 1:

Gentile LaCittaVecchia,
ho riletto più volte questo tuo raffinatissimo componimento.

Ti ho già detto altrove quanto sia ammirata dalla tua abilità di poeta e di emulo dantesco. Leggerti è un continuo ondeggiare tra versi noti e cari alla memoria e versi nuovi, con cui preziosamente riscrivi le vicende dei personaggi di Madame Ikeda.

Qui, ad esempio, mi ha commosso e strappato l'applauso questa coppia di versi dedicati a Charlotte:
"sicchè da quel sogno di esser rosa
di sole spine quivi son vestita"
Veramente geniale il giro di parole, il lessico, la metafora che si oggettiva nella condizione infernale. Davvero bello.

E poi, sommamente, mi è piaciuta la costruzione narrativa di questa tua pagina: i due scialacquatori di dantesca memoria che lasciano la scena ai due cespugli martoriati, uno parlante e uno silente; poi, dopo che il primo ha parlato, dall'alto la voce di Jeanne, ritratto della malvagità ma successivamente anche di una certa pietas ("Guarda com'a protezion di noi picciol,/qual chioccia suoi rami distende e frange") che rimbomba nell'aere maligno; infine ecco la chiusa elegiaca con le parole dell'altro cespuglio, la dolce Diane "Come d'Aurora il primo lume splende/a dissipar la tenebra più cupa".

Insomma, credo che tu abbia capito quanto mi sia piaciuta la tua pagina, che rinnova la magia di quando l'erudizione si accompagna al sentimento.

Un caro saluto e complimenti,
Sett.

Recensore Veterano
11/04/22, ore 16:34
Cap. 1:

Gentile LaCittaVecchia,
Ho già avuto modo di leggere le tue precedenti pubblicazioni, con grande e profonda ammirazione.
Adoro questa tua interpretazione delle vicende e dei personaggi di RoV in chiave dantesca (davvero originale e pittoresco), attraverso un magistrale utilizzo degli endecasillabi. Chapeau!
In questo canto/storia ci troviamo nel Canto dei suicidi a tema Rov. Ovviamente incontriamo la piccola Charlotte, ancora bocciolo, cresciuta in una corte corrotta all'ombra di un'altra rosa (la Polignac), che stava per essere colta da "mano corrotta"; troviamo Diane, anche lei in procinto di sposarsi, ma di sua volontà, addolorata per la sofferenza che il suo suicidio ha cagionato al fratello maggiore e all'amata madre. Infine troviamo Jeanne, morta suicida sia nell'anime che nella realtà (a quanto si dice), cresciuta nella povertà, ma che ha saputo farsi strada con qualsiasi mezzo, e che ha orchestrato l'affare della collana.
Anche io adoro il personaggio di Jeanne. Con i suoi tratti, sia positivi che negativi, risulta porfondamente umanoa: una figura complessa, sfaccettata e davvero molto affascinante. La sua storia ci aiuta, se non a giustificare, almeno a comprendere alcune delle sue scelte altrimenti condannabili dalla morale.
Che altro aggiungere?! Complimenti e grazie per aver condiviso.
Un saluto, Galla 
 

Recensore Master
11/04/22, ore 13:16
Cap. 1:

Geniale questa tua rilettura in chiave dantesca di Jeanne, personaggio che io pure amo molto: la vera dark lady della storia. Complimenti per la capacità di dominare l'endecasillabo e la terzina. Applausi, applausi e ancora applausi. D.