Ommiodio. Ommiodio.Ommiodio.
Questo è un doppio regalo di Natale stratosferico (e con grande anticipo).
Già pregusto la mia fiction di natale! *-*
Aggiungo che solo tu e le tue fic mi commuovono così.
Andrò per ordine.
Il titolo già lascia presagire qualcosa e le azioni di Brian lo dimostrano: perché infatti qualcuno dovrebbe controllare la propria cronologia a meno che non stia cercando qualcosa?
Il demone della gelosia è troppo forte per essere soffocato con mezzo pacchetto di sigarette alla mano e il nervosismo è palpabile, almeno quanto il sospetto è velato.
Per quanto Matt soffra la sua lontananza da Kate, dai Muse di un tempo, dal suo lavoro, Brian non ha tempo e l’occasione per accorgersene: ormai vivono in simbiosi poiché a Matt non è rimasto più nulla della vecchia vita.
Nei capitoli precedenti abbiamo visto come Bells entra nella routine del compagno, fatta di sedute di lavoro neanche tanto produttive ultimamente, di pomeriggi con il figlio e uscite con Helena, l’affascinante e possibile “rivale” che Matt ha imparato a rispettare e amare a sua volta.
Ha condiviso le amicizie, serate passate in silenzio per tacere il passato e non pensare al futuro, oppure a letto dove il sesso è diventato un palliativo, un meccanismo che li incatena ad un eterno presente.
Poi l’incontro di Brian e Dom cambia tutto. Ora Molko si sente coinvolto, sa di dovere qualcosa a Matthew che ha perso tutto, e non può continuare ad ignorare.
è costretto a “tenerlo d’occhio” e a preoccuparsi per lui.
E così si guarda intorno e capisce che l’amore di Matt per Kate non è una finzione né è mai finito.
è semplicemente represso, relegato a quei momenti in cui Matt è solo in casa, costretto a rimuginare sulla sua vita e si lascia prendere dai ricordi, dai rimpianti.
Credo di poter parlare a nome di tutti i lettori e constatare l’ovvio: Matt non è felice, non ha fatto la scelta giusta né per sé né per Brian.
Poi Bri ne ha la prova, è costretto ad assistere ai gemiti strazianti del compagno, poiché, come ci insegna zio Sigmund, ciò che ci scuote nel profondo riaffiora malignamente dall’inconscio e continua a tormentarci nel sogno (o incubo in questo caso).
è assolutamente affascinante la descrizione delle reazioni fisiche di Matt, il suo contrarsi spasmodico, i suoi lamenti che scuotono tutto il corpo, un fascio di nervi che reagisce incontrollato.
Termini come “inarticolato”, “stridono”, “ringhiare”, “sconnesso” e “artigliata” rendono l’idea della violenza fuori controllo di quello sfogo. Povero inconscio di Matt Bellamy.
è quasi tenero se si pensa alla quantità di volte che Brian ha liquidato Stef con la promessa che, prima o poi, gli avrebbe raccontato tutto.
Ma stavolta la nostra diva svedese non potrebbe essere d’aiuto.
E quindi entra in gioco un’altra diva, con un’insana passione per il leopardo (o sbaglio? Non sono ferratissima sulle leggende metropolitane sui Muse).
Il gusto estetico di Dom colpisce ancora e, tra la disperazione generale, ecco una piccola deliziosa descrizione di un caffè “alla moda”, “moderno”, magari con arredamento minimal/ plastico/ colorato.
Il posto perfetto per inforcare un paio di occhiali da sole e fingersi in incognito.
Brian è lì per rassicurare Dom che già teme lo scioglimento della loro band e questo rende l’idea di quanto peso abbiano le decisioni di Matt nel gruppo, forse perché una volta che ha deciso va fino in fondo in maniera irragionevole. In effetti è quello che tutti pensano, Tom, Chris, Dom, a volte persino Brian.
Che questa storia di dichiarare al mondo la sua omosessualità, mettersi con il leader dei Placebo, litigare con il suoi migliori amici, lasciare la sua ex incinta di suo figlio e mandare all’aria una carriera musicale di più di 20 anni sia irragionevole. Non hanno tutti i torti in fondo.
Tutti temono la prossima mossa di Matthew, temono che possa sconvolgere le loro vite, temono la meteora impazzita, quella mina vagante di Bellamy.
Quanto a Brian, improvvisamente è costretto ad ammettere il fallimento della loro relazione, a confessare che il loro rapporto è un problema, la cui soluzione difficilmente sarà indolore.
Anzi, la soluzione è seduta davanti a lui, poiché Dom rappresenta la vecchia vita di Matt, l’amico dei primi tempi che non vuole lasciarlo andare, “il nemico” con cui Brian sta fraternizzando, semi-consapevole che i Muse potrebbero strapparglielo via.
Ma allo stesso tempo si rende anche conto che forse è meglio così. Davvero potrebbe amare Matt se smettesse di essere quello che è? Se si annichilisse fino a scomparire?
Inoltre questo colloquio ancora una volta mi dice qualcosa di Brian, dei tuoi Brian che mi fanno brillare gli occhi. Quella capacità di celarsi dietro una maschera, di ostentare calma e pacatezza creando una distanza enorme con il suo interlocutore , un comportamento spassionato che i suoi amici storici sanno ben decifrare ma che gli sconosciuti trovano sospetto eppure sono incapaci di scorgere “la crepa”.
“Non c’è niente da svelare perché è tutto esposto e nessuno sa dire dove finisca il personaggio e dove inizi io. ”
e questa frase potrebbe essere “metanarrativa”. Adora bile.
(Uffi sono arrivata a due pagine di Word… ma ho ancora tanto da dire!!! <.<)
La fragilità di Matthew è evidente. Basta una semplice crepa nel muro per ritrascinarlo addirittura alle origini, ai tempi felici di Gaia, come fosse l’età dell’oro, senza preoccupazioni, senza problemi.
Ti ho già detto che adoro il modo in cui da un particolare sviluppi un piccolo flashback, un’impressione che connota i personaggi disarmando il lettore? Bene, ora l’ho detto.
Impossibile non fare il confronto tra la naturalezza quasi fanciullesca di Gaia e il fascino composto di Brian.
Alla fine vince l’impulsività, la creatività esplosiva che caratterizzano il vero Matt Bellamy, quello vivo, che “vive ” per la sua musica (perdona il gioco di parole).
Brian lo trova rintanato nel suo regno con la chitarra in mano e gli sembra quasi di assistere ad una rinascita. Non lo disturba, non vuole rompere quel magico momento di poesia e viene persino invitato da Matt in prima persona ad ascoltare e a giudicare la sua nuova creatura.
E assistiamo ad un momento epocale: Brian Molko è costretto ad ammettere a sé stesso e a noi lettori che la musica di Matt ha qualcosa di magico, una magia che i testi dei Placebo non riescono ad eguagliare.
(non entrerò nel merito, le opinioni a parte ù.ù)
Soprattutto una cosa contraddistingue Matt: la musica non è la sua valvola di sfogo per un’adolescenza frustrata o il canale per costruirsi un’identità ambigua (come qualche ex-Nancy boy di nostra conoscenza), è un mondo fatato dove vorticano le sue idee, sempre nuove, mai una rimasticata traccia della realtà, dei suoi meschini pensieri.
Così Brian fa ciò che è giusto. Con una parola lo rispinge fra le braccia della sua vecchia vita, e Matt non aspettava altro che la possibilità di essere sé stesso.
L’ultima scena lo vede vitale, di nuovo protagonista della vita e non trascinato dalla corrente e tutti noi ci convinciamo (Brian incluso), che è meglio così.
Termino con una nota sullo stile.
Trovo estremamente efficaci le domande piccate, provocatori e che aprono le prime due sequenze del capitolo. Incisive, buttano il lettore a capofitto nella storia, restituendogli la familiarità che aveva acquistato nel capitolo precedente e in quello ancora prima.
Oppure, come nelle due sequenze successive, parti sempre da un dettaglio, focalizzando su una situazione o un oggetto. Nel primo caso, in linea di massima seguirà una sequenza narrativa, nel secondo in genere una introspettiva/descrittiva.
Non è proprio la regola ma il ricorrere di alcune strutture è affascinante specie perché non perde mai il suo effetto. Anche se conosci (o pensi di conoscere) il trucco.
Va bene, credo di averti sobissato abbastanza di parole, parole, parole.
Se non mi odi, terminerò così: sei la miglior pubblicità non molto occulta che mi potesse mai capitare.
GrazieGrazieGrazie. Adesso si che sono veramente commossa *-*
A presto,
Neal C.
p.s se ti prego di nuovo, invece dell’elefante viola con il tutù, ottengo un altro capitolo in anticipo? *scodinzola e sbava * |