A essere sincera, questa storia mi ha lasciato poco.
Iniziamo dallo stile: si vede il desiderio di impreziosire ogni frase, di renderla più complessa e affascinante possibile, ma il risultato lascia semplicemente confusi: bisogna leggere più e più volte per capire il senso della storia, e senza le note, personalmente, non avrei mai capito che si parlava del padre di Lupin. Può essere un esercizio retorico, questo sì: ma neanche ben riuscito, perché il senso di tutte quelle parole alla fine resta oscuro, e scrivere per non farsi capire equivale, almeno per me, a scrivere soltanto per se stessi.
Ci sono alcune immagini ben riuscite, come lo strillo silenzioso e i graffi nell'anima; ma altre assomigliano a un'accozzaglia di parole quasi pescate per caso e messe lì per una pura questione di suono. Qualche esempio:
La foschia s’innalza con indolenza frustrante. Perché il fatto che la nebbia sia lenta a comparire dovrebbe essere frustrante? La nebbia impedisce di vedere, e il padre di Lupin sta cercando disperatamente il figlio.
Fiacco ignorato che ha ceduto al peccato dell’ambiguo denigro: ho impiegato qualche minuto per capire la parte dell'ambiguo denigro, e ancora i due aggettivi iniziali non mi sono chiari: cos'è un fiacco ignorato? E perché gli insulti sono ambigui?
con la vinta illusione di essere lui la nefasta e sudicia bestia della Luna: se l'illusione è vinta (e quindi è svanita, non sussiste più come illusione), come fa il padre di Lupin ad averla ancora?
L'idea di partenza non mi è parsa tanto male, ma la drabble, così, è a mio parere troppo artefatta e, alla fine, vuota. Una costruzione meno parossistica e ardita avrebbe reso le sensazioni più immediate, e la storia sarebbe risultata più toccante: così, invece, ogni emozione si perde sotto gli strati di parole e frasi, e al lettore arriva ben poco. |