Oh, cielo.
No, ti prego, non fraintendere. Ma è la prima cosa che mi è venuta in mente non appena ho aperto questa pagina. Non la più sagace, non la più adatta, ne sono consapevole. Ma, credo siano le uniche due parole che possano esprimere tutta la mia meraviglia e la mia più sincera ammirazione.
E tu vieni a parlare a me di unicum? Ma, cara, questa tua song-fic è un unicum.
Onestamente, non ho mai letto nulla di così denso e ben scritto, relazionato poi ad un noto letterario storico.
E, oh cielo (ecco, vedi?!), avrei così tante cose da scrivere, così tante osservazioni da fare e pensieri da appuntare che, onestamente, non so proprio come e da dove cominciare. T'avverto: avendo scelto di esporti ogni singolo pensiero che mi ha toccato il cervello, questa sarà una recensione molto lunga. Be', io t'ho avvisata. ù.ù
E adesso, a noi.
Partiamo, innanzitutto, dal punto che più mi ha colpita: la song-fic. Quando mi hai detto: "Vorrei un parere su una song-fic su Leopardi", non mi aspettavo minimamente che il personaggio principale nonché io narrante fosse proprio lui. Ed ès tata una piacevole sorpresa, ma lo è stato ancor di più scoprire quanto tu sia stata brava, tu, ragazza del ventunesimo secolo, a mettere in bocca al Leopardi le parole più adatte, sfruttando dei giochi linguistici tipici del tempo.
E hai tutta la mia ammirazione, te ne informo.
Santissimi numi, non riesco a creare un filo logico e, be', è preoccupante. Voglio scrivere una cosa che subito me ne viene in testa un'altra. Va bene, ci provo.
E dopo averti esposto la mia prima impressione, passo a discorrere del tema.
Il tema che hai scelto, l'amore per la donna perduta, se i miei studi liceali non mi confondono, era uno dei prediletti del poeta che appunto, registrò in "A Silvia".
Hai saputo svilupparlo eccellentemente: per tutta la durata del capitolo, oltre che avere una vivida immaginazione del susseguirsi dei fatti, era come se fossi io stessa ad essere in possesso del corpo del Leopardi, ero io a provare le sue emozioni. Pertanto, non mi stupisco del batticuore assordante che mi ha accompagnata, dall'inizio alla fine. La voglia di saltare di riga in riga era tale che spesso sono inciampata nelle parole e sono dovuta tornare indietro e, sai, quello che ho provato leggendo la prima volta si è prontamente ripresentato mentre leggevo la seconda. Era un continuo girotondo di emozioni, per esser chiari.
Oltre a questo coinvolgimento emotivo-spirituale, ho semplicemente amato la figura ben costruita di Teresa (sbaglio o era, secondo le speculazioni dei critici, la donna amata che conosciamo come Silvia?) e il suo racchiudere, nelle parole, tante piccole cose. No, Teresa è tante piccole cose. La voglia di addentare la vita, la voglia di non lasciarla andare anche se è dura tra i denti e amara sul palato, la voglia di mettersi in gioco e forse sbagliare, per poi rialzarsi, senza curarsi sui lividi alle ginocchia; la voglia di volare contro vento, sfidando le convenzioni e le comuni convinzioni, sfidando perfino gli stessi genitori che l'avevano messa al mondo. Il mondo visto dai suoi occhi è il mondo che ogni genitore temprato dall'esperienza vorrebbe per il proprio figlio, ancora acerbo: un mondo fatto di luce, di speranza e coerenza; un mondo in cui cadere non sia fonte di vergogna ma di saggezza e forza d'animo, un mondo in cui le tempeste vengono per portare qualcosa di buono, infine.
E nella tua frase: "Vattene al Sud..." invero, mi sono intristita. In quelle parole ho rivisto tutte le piaghe del mondo, dove la tempesta è davvero un duraturo intervallo tra le cose belle, dove la tempesta è dolore, sofferenza, impotenza e frustrazione. Le parole di Teresa, poi, sono cariche di vitalità, luce e speranze ben riposte: sono le parole di una sognatrice che, pur vivendo nella realtà del mondo, non ha mai smesso di immaginare e lottare e starsene con le mani in mano.
Ovviamente, la figura del Leopardi, laddove quella di Teresa possa essere considerata la personificazione della realtà onirica/immaginaria/sperata, è l'antitesi, la nemesi a tanta luce: è il buio, la consapevolezza e la realtà. Eppure, riesco ad avvertire l'amarezza del Leopardi nel doverla contraddire, riesco ad intravedere il sorriso contrito sulle labbra strette e riesco perfino a sentire il peso che si portava nel cuore e, più giù, nell'anima.
Un meraviglioso esempio di incontro/scontro tra due realtà parallele ma indissolubilmente legate, il tuo. E l'originalità è da premiare, solo per la scelta dei personaggi e per l'impostazione degli argomenti trattati.
Inoltre, tra le parole di Teresa ho notato un vago collegamento con il Manzoni, secondo cui tutta la sofferenza verrà premiata con la felicità, se non in questo nell'altro mondo. Volontario o no, questo collegamento mi ha piacevolmente spiazzato.
E tuttavia, man mano che si prosegue nella lettura, aumenta il vago senso di depressione che un tempo è stato del Leopardi. I sogni spezzati di Teresa, la morte che giunge prematuramente, un morbo letale: la realtà della vita, la teoria che Leopardi aveva considerato e aveva sperato, nel profondo, che fosse sbagliata.
Nel suo pensiero: "Vorrei esser morto io...", è concentrato tutto l'occulto amore provato per questa splendida, forte donna: non è forse desiderare la morte al posto d'altri la miglior manifestazione dell'amore? Non è forse il volersi sacrificare per cedere i battiti del proprio cuore ad un altro più delicato e bisognoso?
E credimi, mentre Teresa moriva, morivo un po' anch'io. Ero vagamente conscia della quasi-fine della fanfiction, ma ciò che mi dispiaceva davvero era la morte in sé della giovane donna. Perché è stato un po' come aprire gli occhi su un mondo brutto e cattivo, un po' come essere trascinati via di peso dalle speranze e dai sogn di Teresa per affondare nel gelo e nella disperazione di tutto ciò ci circonda. E' stato come ritrvarsi nel pieno della guerra, come soffrire la fame, come sentire la malattia invadere gli organi e distruggerli: sì, è stato davvero così. Sconvolgente, sul serio. E non mi era mai capitato, perciò direi che detieni un bel primato, ragazza.
E poi c'è l'ultima, straziante parte, l'ultima straziata parte del Leopardi, che, nonostante il lento e buio trascorrere degli anni, ha ancora il cuore gonfio d'amore e la mente piena di ricordi e l'anima intrisa della sua voce e del suo calore.
E s'avverte la gratitudine per colei che gli ha dato tanto, la sua voglia di ripagarla, seppur in piccola parte, dedicandole un componimento. Forte è il richiamo al Tasso e ai loro momenti di lettura insieme, forse il ricordo più tangibile della sua presenza, il momento in cui Giacomo aveva conciliato tutto ciò che amava: lei e la letteratura. Mi piace pensare che è per questo che quel preciso ricordo emerga tra i tanti altri, proprio perché è un ricordo che ad ogni battito del cuore porta il suo nome.
E, chiundendo con la mia appassionata analisi del testo, passo invece all'analisi stilistica/grammaticale.
Cosa posso dire dello stile? Sento che tutto ciò che ho appena scritto sia sufficiente a ricordarti quanto tu sia stata brava, ma sento anche che si sarebbe qualcos'altro da aggiungere. E quindi lo faccio.
Il tuo stile è uno stile molto, molto particolare. Innanzitutto, è stata un'abile scelta stilistica conciliare ciò che ami, creando un legame tra il tuo presente e il passato che ti ha colpita attraverso un ponte di parole e pensieri ed emozioni sospese, attraverso una song-fic dal carattere tanto antico quanto recente.
E poi, più in generale, è stato il rincorrersi delle parole e il loro incastrarsi così bene che mi ha colpito. Mentre leggevo pensavo: "Accidenti, meraviglioso!" e cose di questo tipo, perché davvero, è quanto di più strepitoso abbia mai letto. Non solo hai comunicato con le parole, ma lo hai fatto, soprattutto e di più, con le parole che non hai scritto, con gli spazi tra le righe che hai lasciato appositamente vuoti per permettere al lettore di colmarli come meglio preferiva. E questo è o non è indice di grande abilità?
Senza contare, poi, la strada che hai aperto al lettore, che quasi scivolava di riga in riga, leggendo velocemente ma tenendo ben saldo, in mente, il filo logico del testo. Uno stile, dunque, sciolto, accattivante, veloce e meravigliosamente ben costruito.
E della sintassi grammaticale, non ho assolutamente nulla da contestare o criticare: credo proprio che l'aggettivo perfetto sia sufficiente a sopperire alla mancanza di parole che sto avendo in questo preciso momento. Non perché non avrei nulla da dire, al contrario: ho una catena spropositatamente lunga che minaccia di balzar fuori e creare una gran confusione: bene, credo sia meglio quindi chiuderla tutta nell'aggettivo perfetto.
Bene, credo d'aver detto tutto quello che avevo da dire e spero vivamente di non essermi scordata nulla.
Ovviamente, giunte a questo punto, mi pare inutile e superfluo farti i complimenti, ma lo faccio lo stesso, perchè il tuo impegno e la tua strabiliante abilità meritano di ricevere ogni complimento e quanto di più positivo possa esistere.
Infine, ti ringrazio, ti ringrazio per avermi dato così tante belle emozioni, così forte e dense, e ti ringrazio per avermi invitata a leggere qualcosa di così...così...stupefacente, che ovviamente, e non c'è bisogno di dirlo, finisce tra i miei preferiti, senza ombra di dubbio.
E adesso ho davvero finito, ti ho portato via fin troppo tempo con la mia parlantina.
A presto arriverci Music e complimenti ancora per l'eccellente quanto sentito ed impegnativo lavoro!
Un abbraccio,
Roxar. |