Recensioni per
Il cacciatore
di Beatrix Bonnie
Ciao Beatrix! |
Si dice che la fortuna aiuti gli audaci, in tal caso deve averlo fatto con il barista oriundo irlandese in quantità industriale, dato che il suo piano nato dalla disperata contingenza di portare a casa la ghirba dopo essere entrato in contatto piuttoso brusco con chi valuta decisamente poco la vita umana ha dimostrato una sua estrema validità, al punto da andare oltre il preventivato, smascherando davvero quello che invece sembrava essere solo fantasia di un aspirante scrittore, invece per sua fortuna le tessere del mosaico si sono incastrate benissimo (evidentemente, cosciente o meno, il suo lavoro gli ha permesso di acquisire una conoscenza indiretta su quel mondo, abbastanza però per capire come si muovono le dinamiche della società criminale). |
"Tutto è bene quel che finisce bene" ho pensato a questa frase fatta (ma non per questo meno vera) leggendo l'ultimo capitolo di questa storia molto interessante. Ho trovato decisamente saggia la scelta del protagonista di lasciar perdere la malavita (nel senso di essere un suo attivo partecipante) per limitarsi a descriverla come scenografia per le sue storie, nonostante le possibili sirene in senso contrario che vengono dal boss, il cui dialogo con il protagonista permette di vederlo in una luce più da manager che non da semplice malavitoso appartenente a gang di origine nazionale (dato che cerca nuove leve migliori di quelle che si ritrova, anche se appartengono ad altra etnia). |
E bravo Nicholas! |
Ciao! |
Complimenti per la storia in generale. |
Anche questo capitolo è stato per me di lettura molto interessante, come la caccia del protagonsita alla sua vecchia fiamma (in effetti non credo fossero una coppia ben assortita, lei sembrava vedere più una sorta di caso umano costretto da un destino malvagio a non poter perseguire le proprie ambizioni e lui, pur provando qualcosa, non amava questa parte del suo carattere considerandola invasiva della sua libertà di fantasticare), purtroppo per lui avere a che fare con portieri dalle idee retrive e cameriere scortesi che masticano una sorta di spanglish è stato il minimo, dato che a quanto pare la fortuna professionale ha voltato le spalle alla persona vista come speranza di salvezza (con l'aggravante che non si tratta di un oggettivo eclissamento del suo talento o della concorrenza di altre artiste, ma delle conseguenze della stretta economica del '29 che aveva decisamente ridotto le spese voluttuarie), declino che doveva essere stato particolarmente sentito anche nel cambiamento in peggio della propria dimora; ovviamente la notizia non poteva essere accolta che con sommo disappunto dal giovane americano di seconda generazione, per il quale doveva già apparire piuttosto umiliante nonché eticamente poco giusto il dover ricorrere a lei dopo tanto tempo e perdipiù con una richiesta a carattere monetario, insomma, la situazione da critica starebbe andando verso il disperato, anche se a quel che ho capito un ultimo appiglio c'è ancora. PS. Scusa per l'immane ritardo nei commenti. |
Capitolo a mio parere molto interessante, e non solo perla ben riuscita immagine del vecchio malvissuto William The Brave nonché del suo zio poco raccomandabile, il quale sembrerebbe avere un'aria da duro ma forse è più una sorta di miles gloriosus prestato al crimine che non un effettivo elemento da temere per i tutori dell'ordine (nonché per la riuscita ricostruzione degli effetti deleteri che il proibizionismo aveva casusato, ovvero l'arricchimento di quelli che lucravano sl contrabbando), ma perché anche in questo caso il protagonista dimostra di avere la sagacia necessaria per gabbare anche quest'altro boss, ovviamente facendogli intravedere la possibilità di poter danneggiare il clan rivale (ed anche in qeusto caso, il suo interlocutore sembra aver inghiottito esca, amo e galleggiante)evidentemente ritiene che non ci sia storia contro quello che sembra solo un giovanotto impaurito (ed in effetti lo è, anche se riesce a tenerla nascosta). |
Credo che il ritratto del boss sia stato tutto sommato ben riuscito, soprattutto nel presentarlo come una specie di "buon padre di famiglia" che non approva che il suo caro figliolo gli procuri grane e il suo passaggio da semplice tagliagole a imprenditore (non a caso c'è chi ha scritto che la malavita è un'impresa, seppure con sistemi che restano peculiari rispetto a quelli "ordinari", oltre a rischi non proprio da sottovalutare), ottimo poi il comportamento del protagonista che riesce (facendosi coraggio con l'idea di essere in un racconto e non nella vita reale) a mettere una pulce nell'orecchio nel boss (la cui fiducia nella fedeltà dei sottoposti doveva essere tutt'altro che salda, dato che non mostra particolari difficoltà a pensare che il racconto del barista, più che un disperato tentativo di salvare la ghirba, potesse avere un fondo di verità, ma come tutti i tiranni, anche il malavitoso di questa storia dimostra di vedere congiure ovunque, ma va anche detto che il tempo per appurare della veridicità della soffiata non era molto e non sarebbe occorso molto a sincerarsene), bella anche la chiosa finale, dove si accenna all'intrinseca difficoltà nell'imbastire una storia da parte dell'autore che deve avere una funzione paragonabile a quella di un demiurgo nel dare vita ai personaggi, ed evitare che le sue "creature" gli si ribellino contro nello sviluppo della trama. |
In primis trovo molto interessante la menzione di uno zio del protagonista facente parte dell'Irish Mob, l'antica e temibile mafia irlandese (al centro di pellicole come The Departed), che anche se non ricordato con piacere dalla parte onesta della famiglia, gli ha conferito un know- how su come ci si comporta con individui come il suo antipatico cliente, certo è qualcosa di non molto salutare provare a gabbare un affiliato ad un'organizzazione criminale, ma il prtoagonista ha saputo (almeno al momento) non farsi prendere dal panico e progettare quella che, se lo scenario non fosse drammatico e non rischiasse seriamente di concluderis nel peggiore dei modi per il suo ideatore, potrebbe sembrare una sorta di brillante gioco delle parti (che suscita nel collega comprensibili reazioni contrastanti, da una parte lo ammira per essere capace di far funzionare così bene la fantasia, ma dall'altra si rende conto che gli avversari contro cui s'è messo non si affidano alla dialettica per risolvere le loro questioni in sospeso). Si potrebbe dire che la disperazione è cattiva consigliera, ma forse in questo caso potrebbe aver fatto un'eccezione. |
Niente affatto male questo primo capitolo, la descrizione di questa famiglia di emigrati che del sogno americano aveva avuto poco (o quanto meno il necessario per sopravvivere)mi sembra ben riuscita, come anche la benevola disapprovazione materna che da un lato sembra voler far capire al figlio che il suo sogno è troppo difficile da conquistare, ma d'altra parte non se la sente di voler tarpargli le ali, limitandosi quindi a non capire come mai non avesse l'istinto degli altri fratelli, che avevano scelte occupazioni meno precarie di lui (o comunque che garantivano un ritorno economico immediato e non in un ipotetico futuro come la sua). Non male la descrizione della New York degli anni '30, vista effettivamente come città cosmopolita e dalle mille opportunità, almeno per chi fosse stato in grado (nonché abbastanza fortunato) per essere in grado di carpirle, in un fervore di attività che certo ad alcuni non sarà piaciuto (Lovecraft del suo soggiorno newyorchese ricorderà più che altro il frastuono che veniva dalla finestra) ma che per il protagonista saranno stato certo una piacevole dimensione esistenziale, adatta alle sue aspirazioni. Meritevole di elogio l'inserimento della figura di Scott Fitzgerald nei panni di possibile Pigmalione. Quanto all'immagine, mi pare sia stata un'ottima scelta per imbastirci una storia. |
Eccomi qua! |
Ciao, bellissimo capitolo! |
Eccomi, suonino le campane! |
Capitolo stupendo dico sul serio! |