“Credo poi di doverti replicare le mie scuse anche per un altro motivo. Vedi, ho inserito un’altra tua stra-meravigliosa storia tra le mie preferite, ossia la vincitrice del contest delle Black-Panthers “Oshiete Kure”, assolutamente straordinaria, che, nonostante il mio apprezzamento, non ho però ancora avuto modo di recensire come giustamente meriterebbe. […] Sia chiaro, comunque, che m’impegno a recensirla come di dovere […]”
Scrissi io a marzo. Marzo eh, sei mesi orsono. Eravamo in primavera, ora siamo in autunno, ancora un po’ e potevo aspettare Ognissanti o Natale.
Dei dell’Olimpo – Pollon compresa – quanto sono in ritardo? Sei mesi, numi, sei, metà di un anno, argh! Ch’io sia dannata! (Picchia la testa contro la scrivania.)
Ehm, Jenny (no, troppa confidenza, scusa), io sono una povera cüiona, non si scappa, e mi scuso profondissimamente. Disculpame, sono una lumaca, ho dei tempi scandalosi; la vita sulla terra si è sviluppata più velocemente. Sono davvero mortificata per il ritardo con cui giungo e non avendo altre scuse da accampare, meglio passi a commentare (sperando di riuscire a farlo decentemente).
Allora, mi sono riletta la storia da poco, perché: 1) è veramente un grandissimo piacere leggere qualcosa di così bello (e in quel “bello” io ci comprendo un po’ tutto: scritto benissimo, sviluppato benissimo, strutturato benissimo e quant’altro) e 2) perché ho la memoria del Grande Rospo Eremita (hai presente? Quella rana gigante che non ricorda mai i nomi), comunque sia ti dico subito, così, a caldo, che sono arrivata alla fine coi lucciconi agli occhi, un po’ di bavetta alla bocca e l’espressione da bimba piccola alla “Oooh” (ma senza Povia, eh). No, sul serio, è stato… cioè… boh… meraviglioso. Sappi che ti parlo da amante di Sas’ke e Sakura indipendentemente dal pairing e per una volta credo di essere sopra le parti, eppure il coinvolgimento c’è stato, eccome se c’è stato, roba che forse mi è spuntata la coda e ho visto Bagheera.
Una cosa soprattutto: (forse è una casualità di questa storia, anche se secondo me è proprio una tua impronta personale, ma è solo una sensazione avendo letto relativamente poche cose tue) hai una sorta di… come posso dire… delicatezza, ma non solo nello scritto; non è solo a livello di forma, ma anche oltre. Parlo proprio di tempi, di narrazione, di dialoghi, di tutto. Forse sto per sparare un’immane boiata (e togliamo il “forse”), ma dai (o almeno, mi hai dato ed io ho sentito) una percezione dei tempi e dei sentimenti garbata, discreta, delicatissima e quasi inevitabile – che ti viene da pensare: non poteva essere altrimenti se non così – più vicina alla cultura orientale che occidentale, forse. Io sicuramente non so una cippa in merito, giusto le due cose che raccontano sempre nei documentari su Giappolandia, più qualche film di Kitano, però, boh, mi hai trasmesso questa sensazione: uno scorrere del tempo, delle sensazioni e quindi dei sentimenti, lento, no, ma neanche lento, pacato, ecco. Pacato, cadenzato; fluisce tutto con la tranquillità tipo di un fiumiciattolo o della pioggia che sgocciola, eppure non è statico o noioso, ma è… è… è naturale, ecco. Guarda, la stessa cosa l’ho riscontrata pure nella scrittura: non usi paroloni inutili, non c’è un lessico artificioso e costruito che mette a disagio (e “a disagio” perché magari fuori luogo e fuori contesto, gratuito e fine a se stesso); è invece confortevole, ti abitui e immergi già alla terza riga e non credo sia così facile catturare subito il lettore e annullare la barriera dello schermo. C’è una semplicità elegantissima in tutto questo, è di un minimalismo, di una purezza quasi, che sorprende: sei andata all’essenziale, dentro le cose, ed è straordinario perché penso sia difficilissimo, per quanto legato alla propria sensibilità personale; però, niente, è una cosa molto bella, ecco.
In alcuni passaggi, poi, credo tu mi abbia fregata (alias, emozionata) con due parole ed è tanto più strano perché… boh… non te ne accorgi. Ripeto, c’è un progredire lento ma costante che coinvolge senza te ne renda conto o riesca a impedirlo (non che si possa volerlo impedire, eh), per questo ho detto che ti frega: ti frega perché è tutto così sottile e gradevole che non pensi o non ti accorgi stia arrivando il punto, tipo bicchiere che si riempie e non noti l’acqua che tracima finché non lo fa (e sei fregata, yeah!). Tipo qui:
Poi qualcosa planò sulla sua spalla […] << E' arrivata la primavera, vero? >> chiese lui, con voce assorta.
<< Sì >> sussurrò lei. << E' primavera, e quello è un- >>
<< Ha il tuo stesso odore >>
Sakura.
Fiore di ciliegio.
<< Io.. >>
Sakura era ancora in piedi. […] E tremava, in attesa.
Tanto.
<<... non riesco più a ricordarti >>
[...] Lo Sharingan ha il potere di creare illusioni.
Fu più forte di lei. […] Sakura riuscì soltanto a singhiozzare, lasciandosi cadere per terra.
Non si ricordava più di lei.
Era normale. Lei lo era.
E lei avrebbe potuto anche non dirlo, lo sapevano entrambi. Perché lui lo sapeva. Non servivano le parole, lui lo aveva capito.
<< Ti amo >>
Fuori aveva ricominciato a piovere.
Riesci a vedermi, Sas'ke-kun?
E a lui non servì vederla. Sakura era lì.
E, saggiando quelle parole, piano, sentendole dentro; le sfiorò una guancia con un dito, prima di chinare il capo e cercare le sue labbra.
<< Insegnamelo. >>
Tu… tu mi hai… mi hai… ’ccidenti, mi hai accarezzato il cuoricino; il cuoricino e quella roba strana che gira tra sterno e pancia, quella che si muove quando sei felice o stai male. Insomma, mi hai fregata, ecco. Mi hai fregata con tutte le scarpe, Jenny (ti potrei trascinare a “Forum”, sai?). Uno è lì tranquillo e manco si accorge che al prossimo capoverso ci reterà secco. E la cosa più straordinaria è che accade con una naturalezza e una semplicità impressionanti e vien da chiedersi se si faccia il giusto uso della parola “semplicità” in giro, essendo forse la cosa meno semplice da trovare, ma sto andando fuori tema e pure fuori dalla pagina; chiedo perdono.
Mi hai fatto secca, comunque, e la cosa ironica è che mi è piaciuto, cavoli (ride).
Baggianate a parte, beh, devo spendere un altro paio (di centinaia) di parole per Sas’ke e Sakura-chan, perché sono maravigliosi (con la “a”); ma ti parlo da ignorantona non avendoli mai capiti appieno ’sti due, quindi anche qua sparerò un altro paio (di centinaia) di baggianata. Pardon.
Sas’ke: Sas’ke dirà due parole in croce (non qui, eh, cioè, anche qui, ma fondamentalmente perché Sas’ke parla poco già nell’originale made in Kishy), ma quelle due che dice sono di una drittezza (“drittezza”? Ehm, drittezza, mi è venuta così, o drittura, non so) allucinante, perché c’è tutto lui in quelle parole, tutto quello che dice e tutto quello che non dice e ti spaventi davanti a quanto un “non ha importanza” detto dal teme, lì, in quel momento e in quel modo, possa comunicare. Cioè, possibile? Questo Sas’ke comunica non cercando e forse neanche volendo comunicare. E comunica tanto eh, perché sta lì, sempre appollaiato sul portico – pioggia, neve, caldo, ANBU, tutto quanto – e stoico, non si muove, pare una statua di sale, eppure non è freddo, ma è tipo, boh, tipo il legno: emana involontariamente calore, poco, ma un po’ di calore lo dà, e per quel poco puoi restarci secca, eh.
Non aveva voluto l'aiuto di nessuno.
[…] "Chi ti ha mandato qui?" le aveva chiesto, gelido, in un giorno d'estate. Lei aveva sorriso. "E' stato un ordine di Tsunade-sama."
La sua presenza non era esattamente fastidiosa, ma Sasuke non riusciva a trovarla propriamente accettabile […] Non gli piaceva la sua compagnia.
Odiava che lo compatissero. Odiava che, adesso, lei fosse lì con lui.
<< No, va bene così >>
<< Ne sei sicuro? >>
<< Va bene così, Sakura >>
<< Smettila di guardarmi >>
<< Sei bellissimo >>
Ma Sasuke era egoista, lo era sempre stato, e quando lei piangeva non poteva fare a meno di pensare che piangesse per lui. […]
Sakura piangeva per lui, rideva per lui, arrossiva e parlava per lui. E Sasuke non riusciva a non sentirsene assuefatto.
Ah, queste uscite di Sas’ke sono stupende, sono puro teme, e Sas’ke è fantastico perché ha la capacità di affascinare mezzo mondo avendo la socievolezza di un calzino: più è malmostoso, più vien voglia di strapazzarlo di coccole solo per fagli un dispetto (vieni qua, Sas’ke – agita le manine – su, fatti accarezzare). Qui poi Sas’ke era di una malinconia pazzesca, quasi infantile, tipo bimbo da prendere per mano (inizio a capire Orochimaru – viene arrestata dalla polizia –). Davvero, un Sasuke bellissimo, assolutamente.
E se il teme era bellissimo, Sakura… eh… Sakura era qualcosa di meraviglioso, davvero. Era… bella e bella di quella bellezza quasi fragile, ma che fragile non è perché resiste; è tipo a Uchihaproof (a prova di stronzo), che temi dovrà prima o poi spezzarsi e invece resiste, anche se poi va in frantumi per una cosa da nulla, ed è ancora più bella.
Lei che lo accudisce, gli gira per casa (pare una cosa a metà tra una badante e una dog-sitter all’inizio), lo addomestica, per certi versi, e ha la pazienza di un Certosino in questo (vabbè, ma dopo sei anni che vuoi che sia. Oh, tra Hinata e Sakura non so chi sia messa peggio, manco fossero Penelope. Ma che è, Kishy? Se una non spasima per meno di dieci anni non ti piace?) e pian piano lo frega (un po’ come tu hai fatto con me, in questo capisco tanto il teme). Ed è stupenda perché vuole aiutarlo, vorrebbe addirittura ridargli la vista, quando poi fa molto di più alla fine, perché lo riporta in vita. Ecco, non so se questa cosa tu l’abbia pensata a priori, però, boh, c’è tutta una poesia nell’idea di vedere e riuscire a vedere, quando (e forse proprio quando) non si può farlo – perché Sas’ke perde la vista, ma riesce a vedere Sakura – che ti secca, ecco – insieme a quel << Insegnamelo. >> finale –.
Davvero, Sakura ha tutta la freschezza e la forza del cambio di stagione, di quando senti che sta arrivando qualcosa (nel mio caso il raffreddore, sicuro, dormo ancora con la finestra aperta. Mi beccherò la polmonite una mattina di queste. O i rapinatori in casa, forse. O dei rapinatori con la polmonite, bah).
Niente, in sostanza, bellissimo l’evolversi di questo rapporto, questo entrare in una persona (e senza doppi sensi, eh). E bellissimi questi due, di una bellezza essenziale che ti lascia interdetta, così (fa la faccia da pesce: OoO). Sul serio, complimenti giganterrimi all’autrice perché ha scritto una cosa di una bellezza fantastigliosa (e dopo la “drittezza”, la “fantastiglioseria”), di una sensibilità non comune: bravissima.
E mi hai fregata, mi hai fregata alla grande e non posso che esserti riconoscente per questo: ti vien voglia di essere fregata tutti i giorni, eh, per cui grazie, davvero-davvero.
Scusa ancora il ritardo da treno regionale; ho detto un mucchio di cavolate, sono arrivata dopo sei mesi e non sono riuscita a fare uno straccio di discorso sensato, ma la bellezza di questa storia riesco ha vederla persino io, per cui grazie ancora di tutto. E niente… spero tu possa fregarmi ancora e più spesso, con frequenza mensile potendo; ma va bene anche semestrale, eh.
Ancora scusa e ancora grazie, ma più grazie che scusa, forse.
E un’ultima cosa e poi mi ritiro a vita privata. Il pezzo che ho amato di più:
<< Piantala di piangere >>
Ah, Sas’ke, sei inconsapevolmente adorabile (spupazza il computer).
SuperTeleGattone
^ ﮟ ^
|