(Segnalazione indirizzata all'amministrazione per l'inserimento della storia tra le scelte) Ieri l'ho letta a balzi. Una parola, una frase, un paragrafo; saltavo qui e là per cogliere sprazzi di sentimenti. Era uno di quei giorni in cui vorrei solo stralci, fotografie, emozioni intense e brevi, qualcosa insomma che scavi dentro con la sua fugacità. Qui l'ho trovato.
E oggi, invece, l'ho gustata, perché oggi è uno di quei giorni in cui vorrei dolcezza. Ho letto e riletto ogni frase per comprenderla al meglio, e poi l'ho riletta ancora, concentrandomi sul suono delle parole, e poi ancora, per le emozioni; e ancora e ancora e ancora. Sa di antico, di stanchezza, di malinconia, di rimpianto. Ha un'intensità straziante, ma al contempo gentile, che ti apre il cuore chiedendo permesso - e tu non riesci a negarglielo, perché il suo sapore polveroso ha un che di dolce e garbato, o forse solo esausto. Sembra dire "Farà male, ma qui c'è troppa stanchezza che langue e che mi fa languire, perché io abbia la crudeltà di affondare il coltello; farà male, ma sarà uno di quei dolori che sembrano quasi una carezza".
Non so perché mi abbia colpita così tanto. Probabilmente è tutto l'insieme: il tuo stile curato, poetico, evocativo; quest'unico flusso di coscienza che conduce in profondità nell'animo del personaggio; la trama, confusa, appena accennata, com'è giusto che sia in una storia di questo genere.
Ci sono giorni in cui anche io sorrido. Mi ha fatto mordere le labbra e socchiudere gli occhi per trattenere le lacrime, questa frase, perché già si percepisce il dolore, già la stanchezza si stende in una coltre quasi soffocante. Perché ci sono giorni in cui Raphael sorride, ma sono pochi, troppo pochi - sia per un bambino, sia per una coscienza antica di millenni. E la pace introdotta dalle prime righe - quel barlume d'infinito che sfiora il lettore con una punta di speranza e calore - assume i toni di uno sconforto esausto, come un inverno troppo lungo che sembra non voler lasciare scampo.
Eri felice anche allora? Non lo ricordo. Non lo ricorda. Come se la nostalgia, il tempo, il freddo avessero oscurato la memoria. Come se preferisse quasi vederla così, mutevole e viva, e non ricordare come l'ha vista un tempo, perché sarebbe solo un inutile rimpianto. Ed è viva, Uriele, con una scintilla nello sguardo che gli angeli non hanno mai conosciuto; penso che sì, in fondo sia anche per questo, che Raphael ha accettato - o almeno io la vedo così. Per starle vicino, per capire quella nuova Uriele, ma anche per essere vivo, perché quella stanchezza sta diventando davvero troppo logorante e forse è meglio un battito opprimente nel petto. Forse ero solo troppo abituato a servire. Questa frase, secondo me, sintetizza bene tutto questo. Raphael è... è niente, un servitore, una pedina in una guerra, un fantasma che continua a rimpiangere Uriele. Forse sono troppo ancorata alla "mia" visione degli angeli, all'ambientazione che ho creato io, o forse - spero - è tua intenzione trasmettere proprio questo.
Eppure nemmeno cadere riesce a sollevarlo dal suo inverno perenne - c'è solo quell'altalena, la grevità di un essere troppo antico per quel corpo acerbo di bambino, e una luce che sa di primavera. Ma la primavera non c'è.
Il paradiso è per gli angeli nati uomini, ma tale io non sono mai stato. Disillusione. Saremo uccisi tutti? Paura. In bilico sul vuoto. Incertezza. E malinconia, rimpianto, dolore, sempre, costantemente, scacciati solo da quegli sprazzi di primavera, nell'altalena di una vita umana che non dovrebbe appartenergli. Sono temi che si inseguono per tutta la storia, un filo conduttore attraverso questo lungo, magnifico, intenso flusso di coscienza.
Complimenti, davvero. Mi ha colpita come poche oneshot di questo sito, sia come stile sia come contenuti. (Recensione modificata il 24/02/2012 - 08:13 pm) |