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Autore: ferao    27/03/2012    11 recensioni
Sì, quella poteva essere una buona giornata, per John Watson.
Peccato che non lo sarebbe stata.
Perché?
Semplice: perché nella vita di John Watson esistevano due persone capaci di trasformare il più placido dei giorni in un’incognita irrisolvibile e preoccupante.
Holmes Grande e Holmes Piccolo.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno ebbi la malaugurata idea di fare una battutaccia involvente Mycroft, il fatto che rapisse sempre John per parlargli e i giochi erotici. Per espiare questa grave colpa, i cui effetti furono devastanti per l'equilibrio mentale di alcuni membri del gruppo, ho scritto questa ff avendo come prompt "Cuscini" e "Perché Mycroft deve sempre far rapire John?". I cuscini compaiono ogni tanto, ma la frase è il nucleo della storia.
Dedicata a Greta e Andrea, che ne sono le dirette responsabili, e ad Agnese, che è l'amore e mi sopporta sempre e mi ha dato un sacco di bei consigli quando mi sembrava di essere in un vicolo cieco.
Buona lettura,
Fera.












Gelosia




Quella poteva essere una giornata tranquilla per John Watson.
Sarebbe potuto andare al supermercato a fare la spesa, poi a comprare un nuovo paio di scarpe – anzi, no, meglio il contrario: scarpe e poi spesa – e poi sarebbe tornato a casa; si sarebbe fatto una bella doccia, preparato un buon pranzo e poi avrebbe impiegato il pomeriggio a rispondere alle numerose domande degli utenti del suo blog; la sera sarebbe uscito per una bella passeggiata, o magari sarebbe andato al cinema, perché no.
Sì, quella poteva essere una buona giornata, per John Watson.
Peccato che non lo sarebbe stata.
Perché?
Semplice: perché nella vita di John Watson esistevano due persone capaci di trasformare il più placido dei giorni in un’incognita irrisolvibile e preoccupante.
Holmes Grande e Holmes Piccolo.
 
Per quanto riguardava Holmes Piccolo, John ormai si era rassegnato alla mancanza di tranquillità che la sua vicinanza comportava; purtroppo, però, rassegnato non significava abituato. Era praticamente impossibile abituarsi a spari, esplosioni, arti umani congelati assieme al cibo e infinite rotture di scatole su quanto il suo immenso genio fosse compresso e privo della libertà di esplicarsi in tutto il suo fulgore.
A cose del genere ci si può rassegnare, non abituare.
Ecco perché diciamo che John si fosse rassegnato al fatto che non avrebbe mai avuto una giornata tranquilla, fintanto che viveva sotto lo stesso tetto di Sherlock.
Tuttavia, se si fosse trattato solo di stare in guardia contro gli sbalzi umorali del suo coinquilino e di seguirlo nelle sue imprese, John si sarebbe potuto benissimo adattare, e anzi avrebbe persino potuto credere di essere felice di quella vita; il problema, però, era che al mondo esisteva anche un altro Holmes. L’Holmes Grande.
Il quale aveva un altro modo, tutto suo, di tormentare il povero John Watson.
 
Quando la macchina scura si avvicinò a lui, John disse mentalmente addio al suo giro di shopping.
Senza nemmeno fingere sorpresa o stupore, né tentare inutili proteste, salì sul sedile posteriore.
- ‘giorno.
- Buongiorno! - rispose la solita Anthea (o come diamine si chiamava), sollevando appena lo sguardo dal cellulare.
- Beh, cos’è successo stavolta? - commentò John non appena l’auto partì. - Intrighi internazionali? Complotti terroristici? O il suo capo vuole solo sapere se Sherlock si lava i denti e si cambia le mutande tutte le mattine?
Quella donna doveva essere un computer, o comunque avere qualcosa nel cervello, perché tutto ciò che seppe fare fu sorridere blandamente al suo telefono. Senza rispondere, ovviamente.
John chiuse gli occhi e sospirò, cercando di mantenersi calmo. Bene, Mycroft l’aveva di nuovo fatto prelevare contro la sua volontà; agitarsi o mostrarsi infastidito non sarebbe servito a nulla, se non a rendere se stesso ancora più nervoso.
Quindi, calma. Calma, e non pensare che gli sconti al supermercato terminavano oggi.
Quando finalmente la macchina si fermò, John non lasciò che Anthea lo accompagnasse: conosceva ormai la strada a memoria. Era già la quarta – o quinta? – volta che Mycroft lo faceva portare direttamente alla sua residenza di campagna.
Il che, in effetti, era strano. Possibile che un personaggio discreto come Holmes Grande lasciasse che John Watson avesse libero accesso alla sua dimora? Davvero, davvero bizzarro.
- Benvenuto.
Il sorriso cordiale (o fintamente tale, non era ancora chiaro) di Mycroft accolse John nell’ampio e confortevole salotto; il padrone di casa, vestito di tutto punto e con una vestaglia addosso, sedeva su quella che era evidentemente la sua poltrona preferita. Sembrava un uomo d’altri tempi, ben più adatto agli anni della regina Vittoria che a quelli di Elisabetta Seconda.
A John però non importava nulla del suo aspetto, né del suo periodo storico ideale: esternando finalmente tutta la propria stizza si piantò, in piedi, davanti a Mycroft.
- Bentornato, vorrai dire. Sono stato qui solo due settimane fa.
- Due settimane possono essere intense e piene di eventi. Non trovi?
- Oh, sì, lo credo anch’io. Sai cosa mi è successo oggi, per esempio? Sono stato sequestrato. Di nuovo.
Mycroft strinse le labbra. - Mi spiace. Sai che esigenze di sicurezza mi impongono di…
- Sì, sì. Sempre questa storia. - John si voltò e andò a sedersi sul divano, nel punto in cui si era già accomodato le altre tre – o quattro? – volte che era stato lì. - Secondo me, invece, ti diverti a fare queste cose.
Holmes Grande aggrottò impercettibilmente la fronte e lo osservò con interesse. - In che senso, mi diverto?
- Lo sai. Tutto questo fare… l’uomo del mistero, il funzionario inavvicinabile, il segreto di Stato umano! Mio Dio, è possibile che tu non possa chiedermi informazioni su tuo fratello semplicemente telefonandomi, o venendo a Baker Street? No! Tu devi sempre rapirmi!
- Continua - fece Mycroft, ancora più interessato.
- Insomma, potevo capirlo finché si trattava di portarmi in parcheggi isolati, o al Diogenes, o in posti difficilmente raggiungibili e che richiedessero discrezione… ma diavolo, è già la quarta volta che vengo a casa tua!
- La quinta, veramente - precisò Mycroft con un sorrisetto.
- È lo stesso. Quello che voglio dire è che… accidenti, ci conosciamo da un sacco, ormai, e hai ancora bisogno di questi mezzucci? Se vuoi parlarmi di Sherlock basta che tu me lo chieda!
- Vorresti dire che, se ti invitassi a casa mia, tu verresti spontaneamente e senza opporre resistenza?
 
Sarà stato per il tono usato da Mycroft, per la scelta delle parole o per la sua espressione tra il beffardo e il provocatorio, ma a John quella domanda parve estremamente equivoca.
- N-no, io intendevo dire… ormai questa cosa del “rapimento” è diventata inutile ed infantile, quindi, secondo me, lo fai solo per divertirti.
Mycroft si adagiò maggiormente sulla poltrona, incrociò le gambe e unì i polpastrelli. - Interessante teoria. Quindi, io sarei una specie di depravato che ogni tanto organizza un… gioco ai tuoi danni solo per piacere personale, giusto?
Nel chiedere ciò fissò di nuovo John con quell’espressione indefinibile, un misto di ironia e furbizia, che il dottore aveva imparato a detestare: com’era diverso Mycroft da Sherlock! Di quest’ultimo, John sapeva ormai prevedere i cambiamenti d’umore e le espressioni, ma Mycroft… rimaneva sempre un mistero.
- No, non volevo dire che sei un depravato…
- E chi ti dice che non sia proprio così?
John sgranò gli occhi, mentre Mycroft si lasciava andare a una breve risata.
- Già… magari non ti faccio “rapire” per questioni di sicurezza o riservatezza; magari lo faccio solo ed esclusivamente perché trovo piacevole l’idea di portarti via, per qualche ora almeno, a mio fratello… oppure perché so che lui, tutte le volte che ti convoco qui, diventa geloso…
- Lui non…
- … e questo mi provoca un certo godimento. È possibile. In fondo, come puoi sapere quale sia la verità?
No, altro che ironico: lo sguardo di Mycroft era decisamente troppo provocatorio perché John potesse credere in uno scherzo. Deglutì, sentendosi molto a disagio.
Da parte sua, Mycroft non fece assolutamente nulla per alleviare quella sua sensazione, anzi: fissandolo sempre con quell’espressione indecifrabile – lasciva? Possibile che fosse lasciva? – si tirò su e si piegò in avanti. Il cuscino sotto di lui scricchiolò leggermente.
- Se c’è una cosa che mi piace in te, John, è l’estrema fiducia che nutri nel prossimo. Conosci due persone come me e mio fratello, sai perfettamente quanto siamo strani… eppure lasci che noi ti facciamo tutto quello che vogliamo. Non è… curioso?
John deglutì di nuovo e abbassò lo sguardo. Cercò di pensare a una risposta ma non trovò nulla da dire: si sentiva totalmente preda del disagio.
Che diavolo voleva Mycroft da lui? Possibile che volesse… seriamente…
In quella, il telefono di John squillò.
 
John Watson accolse con sollievo il breve trillo del cellulare che lo avvisava di un messaggio in arrivo: quel suono l’aveva scosso abbastanza da farlo uscire dalla trance ipnotica in cui lo sguardo e il sorrisetto di Mycroft l’avevano gettato.
Prontamente mise la mano in tasca ed estrasse il telefono.
 
Baker Street. Ora. Lascia perdere mio fratello.
 
- Sherlock ti ha già richiamato all’ordine, vedo.
John ripose il telefono e sospirò. - Senti, Mycroft… si può sapere cosa vuoi stavolta?
L’ennesimo sorriso da serpente. - Nulla. Solo sapere se mio fratello si lava i denti e si cambia le mutande tutte le mattine. E no, non intendo sedurti.
John lo guardò male, poi si alzò e si avviò verso l’uscita.
- Ma è sempre un piacere far ingelosire Sherlock! - sentì dire, prima di chiudere la porta.
 
 
 
Nonostante la mattinata infelice, quella poteva ancora essere una giornata tranquilla per John Watson.
Ma non lo sarebbe stata.
- Eccomi qui…
Come al solito John non ebbe risposta. Sherlock giaceva sul divano, la faccia sepolta sotto il cuscino col disegno della bandiera britannica. La situazione sembrava più drammatica del solito.
- Bene, sentiamo: stavolta qual è la grande emergenza?
- Mi annoio.
- Questo era evidente.
- E tu sei di nuovo andato da Mycroft.
- Sì, so anche questo.
Sherlock si tolse il cuscino dal viso e lo lanciò contro la parete; John lo raccolse e lo rimise sulla poltrona, poi vi si sedette sopra.
- Sherlock… non è colpa mia se tuo fratello mi sequestra. Io…
- Oh no. È colpa sua. E io so benissimo perché fa così.
Perfetto, quello era il momento di iniziare a ignorare Sherlock. John allungò le gambe e sistemò meglio il cuscino sotto di sé, poi prese il giornale e vi si nascose dietro.
Prima Holmes Grande, poi Holmes Piccolo. Eh no: non aveva voglia di trascorrere anche il pomeriggio sopportando le inconcludenti e folli chiacchiere di una mente superiore annoiata a morte. Quello era decisamente troppo.
Mentre John pensava questo, Sherlock si era alzato in piedi e aveva preso a girare per la stanza, nervosissimo. Per la seconda volta in quel giorno, il cervello di John registrò involontariamente le enormi differenze che lo separavano dal fratello: mentre questo era composto e al contempo indecifrabile, il primo era anche troppo comprensibile ai suoi occhi. Al dottore sembrò quasi di vederlo percorrere a grandi passi il piccolo salotto, irrequieto e seccato; e non si sarebbe fermato per un bel po’, preda com’era del suo senso di tedio.
Preso ormai dal suo ragionamento, John seguitò a confrontare i due Holmes mentre i caratteri del giornale gli ballavano davanti agli occhi: entrambi i fratelli erano pazzi, ma in due modi così diversi da essere difficilmente paragonabili. Mycroft era la pazzia sopita e inaspettata, quella che emerge a sprazzi in occasioni del tutto particolari – come era successo appunto quella mattina. Sherlock invece… viveva immerso in una costante atmosfera di follia, che variava di volta in volta e poteva toccare picchi vertiginosi o bassissimi, ma che c’era sempre.
E questo – realizzò John un istante dopo – era ciò che rendeva Sherlock così… così. Era questa caratteristica che consentiva al dottore di non sentirsi mai a disagio con lui, di non avere mai dubbi sulla genuinità dei suoi discorsi. Sherlock era immune dall’ambiguità che caratterizzava Mycroft, e che tanto lo aveva spaventato quella mattina.
Sherlock era Sherlock. L’unica persona al mondo di cui valesse la pena sopportare la pazzia.
 
Sospirò e abbassò il giornale, sapendo che si sarebbe pentito della domanda che stava per fare.
- Va bene, dimmi: perché Mycroft fa così?
Sherlock si arrestò, sorpreso. Negli ultimi tempi il suo coinquilino aveva sviluppato una forma di autodifesa contro i suoi momenti di noia: si metteva lì, in poltrona, e leggeva, oppure si concentrava sul computer, oppure ancora usciva a farsi una passeggiata. In un parola, la sua forma di autodifesa consisteva nell’ignorarlo.
Come mai, allora, in quel momento lo stava assecondando?
Osservò John per cercare tracce di sarcasmo nel suo viso, ma questi sembrava davvero interessato.
Bizzarro.
- Come, scusa?
- Avanti. Esplodi dalla voglia di dirmi la tua, perciò fallo: perché, secondo te, Mycroft deve sempre farmi rapire per parlare con me?
Niente sarcasmo. Niente. John era veramente disposto ad ascoltarlo.
Tanto meglio.
- Mi pare evidente, John. E mi sorprende che dopo tutto questo tempo tu ancora non…
John sospirò in modo eloquente, e Sherlock si interruppe. - È ovvio, no? - aggiunse poi. - Mio fratello sa benissimo quanto sia seccante per me, e lo fa apposta per infastidirmi.
L’altro sollevò un sopracciglio. - Seccante per te? Chi di noi due ha dovuto sopportare le avances di Mycroft stamattina?
Subito dopo aver pronunciato questa farse, John fu costretto a sgranare gli occhi dalla sorpresa.
 
Che fine aveva fatto il velo di follia che riempiva gli occhi di Sherlock nei suoi periodi di maggior noia? In quel momento la sua espressione era del tutto diversa: un misto tra lo sconvolto, il furioso e il disperato.
Per un brevissimo istante John fu tentato di aggiungere l’aggettivo “geloso”, ma evitò con cura di farlo.
- Mycroft ha fatto cosa?! - farfugliò l’altro, smarrito.
Ma quanto, quanto era insolito vedere Sherlock in quelle condizioni? Dentro di sé John rise, e subito fu colto da un altro rapido pensiero.
Che Holmes Grande avesse ragione? Davvero suo fratello diventava geloso dei momenti in cui lui gli sottraeva John? Davvero esisteva la remota possibilità che a Sherlock desse fastidio la sola idea di un rapporto tra il suo coinquilino e Mycroft?
Chiaramente la risposta era no: Sherlock e la gelosia erano due mondi paralleli e distanti anni luce. Però…
- Oh, sì. Il motivo della sua convocazione di stamattina era questo: mi ha fatto delle proposte piuttosto… uhm… esplicite.
John si stupì subito delle parole che gli erano uscite di bocca. Non era certo quello che intendeva dire! Che cosa gli era preso?
Doveva essere stata la curiosità di vedere che reazione avrebbe avuto Sherlock. O forse l’eco lontana della frase che Mycroft gli aveva rivolto quella mattina: “Conosci due persone come me e mio fratello, sai perfettamente quanto siamo strani… eppure lasci che noi ti facciamo tutto quello che vogliamo.”
Forse John si era stancato di non partecipare mai della follia di Sherlock, e aveva deciso di prenderla e rigirargliela contro. Forse.
Qualsiasi fosse il motivo, ormai il danno era fatto. John deglutì e mantenne lo sguardo fisso su Sherlock: questi sembrava pietrificato, sconvolto come mai era stato prima di allora.
- Ti ha… - ripeté Sherlock. - Lui ti ha… Stai usando l’espressione “proposte esplicite” nel suo significato popolaresco o…
- Sherlock, hai capito cosa intendo.
- Ma tu non sei… Tu non… Hai sempre detto di non essere gay!
John – ormai pienamente calato nella sua parte – alzò le spalle. - Che vuoi che ti dica. Nella vita si cambia.
 
Quello fu il colpo di grazia. John rimase impassibile mentre Sherlock iniziava a boccheggiare, incapace di dire alcunché; questi poi afferrò al volo il cellulare e si mise a digitare freneticamente un messaggio.
Era uno spettacolo: turbato, shockato, forse anche geloso. Cosa avrebbe detto Mycroft, se l’avesse visto così? Era bastata una sciocca allusione da parte di John per metterlo in crisi, una storia così poco plausibile da essere chiaramente una bugia.
Maledizione, Holmes Grande aveva ragione.
- E adesso cosa fai? - sbuffò John.
- Chiarisco una volta per tutte con Mycroft che il suo modo di fare è ridicolo e infantile, che se proprio vuol parlarti basta che ti scriva messaggi e che mai più deve permettersi di sequestrarti - sentenziò Sherlock tutto d’un fiato.
- Non capisco: perché ti preoccupi tanto?
Sherlock lo ignorò e seguitò a scrivere. John si alzò e lo raggiunse, vicino alla finestra.
- Perché ti preoccupi adesso di questa storia?
- Non è il momento, John.
- Io dico di sì.
Gli afferrò le mani per farlo smettere di scrivere; Sherlock si divincolò, ma l’altro non mollò la presa. - Ti infastidisce che Mycroft si interessi a me?
- Mi infastidisce che ti tratti in questo modo.
- Ah, ecco. E io che pensavo che fossi geloso.
- Geloso? Perché geloso? Geloso di cosa?
John sollevò un angolo della bocca. - Lo sai, di cosa.
Contrariamente a quanto si aspettava, Sherlock non rispose. Si limitò a fissarlo, come indeciso se parlare o no; infine, con uno strattone si liberò le mani e attraversò il salotto, diretto in camera sua.
Rimasto solo vicino alla finestra, John non poté trattenere un sorriso.
Doveva ringraziare Mycroft e la sua mania – innocente o meno – di rapirlo. Oh sì.
 
 
 
Inutile dire che, mesi dopo quella giornata, né Holmes Grande né Holmes Piccolo avevano rinunciato alla loro dose di pazzia.
E John Watson, da parte sua, non aveva certo cercato di fermarli.
- Dov’eri?
- Sai che quasi quasi preferivo quando non ti accorgevi della mia assenza?
- Allora? Eri da Mycroft, vero?
John sbuffò e sorrise; si tolse la giacca e si sedette sul bordo del divano, sul quale Sherlock stava lungo disteso. - Sai com’è: a un certo punto ti ritrovi una macchina nera alle spalle e una bella donna che ti dice di salire… e sei fregato.
Sherlock si sollevò a sedere e afferrò il maglione di John. Lo osservò a lungo, poi ripeté la domanda che gli poneva ormai da mesi, da quel lontano giorno che avrebbe potuto essere tranquillo per John.
- Quand’è che la smetterai di farti rapire da lui?
Il sorriso di John si allargò. - Quando tu smetterai di essere geloso.
- Difficile.
- Lo so - soffiò, prima di baciarlo. Come tutte le volte.
   
 
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