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Autore: misslittlesun95    31/03/2012    1 recensioni
Una lettera fa cadere le certezze di Elena sul fratello Marco.
Un incontro le farà scoprire quanto l'ossessione possa diventare amore.
E, infine, per uscire da un nuovo lutto sarà necessario l'aiuto di chi, in un modo o nell'altro, è sempre riuscito a salvarti.
[Personaggi: Elena Argenti, Valerio Flaviano, Alessandro Berti]
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PREMESSA:

La storia tratta, in parte, della coppia (?!) Elena Argenti/Valerio Flaviano. Se questo può turbarvi non leggete (Sono favorevole alle recensioni negative, ma se è solo per dire che non vi piace il parring si può evitare xD)
Ovviamente la storia e i personaggi non hanno nulla a che vedere con gli attori che li hanno interpretati. (Premessa già aggiunta all'ultima storia su Luca e Anna)
La malattia di cui si parla nella lettera che leggerete in questo capitolo è
PURAMENTE E ASSOLUTAMENTE INVENTATA per due semplici motivi:
1) ci sono volte, come la sera in cui ho iniziato la storia, in cui io (che chi mi conosce bene sa parlo facilmente anche di malattie serie) proprio non me la sento di citarle, un po' perché mi pare di offendere chi ne è affetto (a volte accade e a volte no, non so dire come mai) un po' perché non lo so manco io xD.
2) penso sia abbastanza logico pensare che una persona affetta da una malattia seria (tumore, piuttosto che sclerosi multipla, piuttosto che ahimè troppe ce ne sono) non ha la forza di fare tutto ciò che la persona che è ammalata nella storia fa.

Per il resto spero la storia sia di vostro gradimento.

Bacio
;Sunny


Odio, ossessione e amore.


CAPITOLO I



Il ricciolino aveva gli occhi colmi di lacrime.

- Qualche anno fa per lui l'avresti fatto.- Disse.
- Forse, ma tu ci servi.- Rispose il ragazzo coi capelli neri che gli stava difronte.
- È importante...- Replicò l'altro.
- Lo so, vedrò che cosa posso fare.- Sentenziò alla fine il più grande. Gli occhi verdi smisero di essere in procinto di piangere e si riempirono di gratitudine.
L'altro aveva accettato la sua scelta, e così facendo lo aveva ucciso e salvato.



****
- Dovresti credermi, quella lettera c'è e se la mettiamo così sono anche un santo.-
- Io ora cerco quella fottuta lettera, giuro che se non c'è vengo qua e t'ammazzo.- Urlò l'Argenti.
Flaviano scoppio a ridere. -Tanto mica torna se m'ammazzi.- Disse.

****

Valerio Flaviano aveva detto quelle parole ormai sette anni prima, e da allora Elena non aveva smesso un solo giorno di pensare a ciò che aveva sentito da quell'uomo.
La lettera di cui aveva parlato lei non l'aveva mai trovata, probabilmente neanche esisteva.
La figlia Marta correva davanti a lei. Cinque anni e già troppo dolore sulle spalle.
Il padre, il marito di Elena, Davide Castelli, era morto due anni prima di crepacuore. Aveva avuto gravi problemi all'organo e poi non era giovanissimo, ma certo l'ispettrice non pensava di trovarsi sola con la piccola così presto.
Marta. Il nome femminile più vicino a Marco che le era venuto in mentre quando aveva scoperto di aspettare una bambina.
E per un buffo caso della vita la piccola assomigliava allo zio più che ai genitori; i capelli scuri, ricci e ribelli, gli occhi verdi meravigliosi e pieni di vita. C'era una canzone, di Fabrizio Moro, che diceva “ciò che vita toglie la vita ti ridà” ed effettivamente non era sbagliato se si pensava a quella coincidenza.

- Mamma apri presto che voglio andare a giocare.- Elena e la piccola erano davanti al portone di casa, come sempre Marta era impaziente di tornare ai suoi giocattoli dopo una giornata di asilo.
La piccolina era molto solitaria, chiusa, forse perché la perdita del padre a soli tre anni aveva influito su di lei più di quanto non si pensasse.

Dopo pochissimi minuti Elena e la figlia erano in casa, una in cucina a cercar qualcosa per la cena, l'altra immersa a disegnare.
A Marta era stata riservata la camera della madre, mentre Elena, e quando era in vita Davide, si erano spostati in quella che un tempo era stata la stanza di Marco.
- Mamma posso disegnare su questi fogli?- chiese la bambina avvicinandosi ad Elena con in mano un plico di carte.
- Dove li hai presi tesoro?-
- Nella libreria vicino alla tua camera, erano in basso perché se no non potevo prenderli. Posso mamma?- La passione per il disegno di Marta era qualcosa di inspiegabile. E ancora più inspiegabile era la sua abilità, le maestre dell'asilo dicevano che disegnava come un bambina di almeno due o tre anni più grande.
- Facciamo così.- Disse l'Argenti guardando la figlia. -Ora la mamma controlla se qui c'è qualcosa di importante e poi se non c'è nulla ti do i fogli. Va bene?- La piccola Marta annuì e tornò in camera sua, sicuramente sapeva come ammazzare il tempo in attesa della risposta della madre.
Elena si sedette al tavolo e poggiò sopra le carte. Erano parecchie, ma la maggior parte, già lo sapeva, erano tranquillamente da buttare o, per l'appunto, da dare alla piccola.
- Mamma! Mamma!- Marta correva verso la madre quasi a perdifiato, probabilmente si era fatta la casa correndo.
- Cosa c'è piccola, ti sei fatta male?- Domandò la donna preoccupata.
- No no, è che dalla libreria è caduta questa busta e c'è sopra il tuo nome.- Marta porse una busta da lettera alla madre. “A mia sorella Elena, da aprire dopo la mia morte” c'era scritto sopra. Sicuramente la bambina, che incominciava a leggiucchiare, non aveva compreso altro che il nome della madre, e tutto sommato non era una cosa malvagia.
Elena era rimasta imbambolata davanti alla busta. Allora Flaviano non aveva mentito.
- Mamma posso?- Chiese Marta svegliando l'ispettrice dalla trance in cui era sprofondata.
- Eh? Cosa?- Rispose la donna che sapeva di essersi persa nello spazio tempo.
- Ma come cosa? I fogli! Ci posso disegnare sopra?- Elena lasciò cadere la busta e si voltò verso il tavolo. Prese il plico e lo diede alla bambina.
- Si, tieni, ora fa' la brava, vai di là a giocare. Ti chiamo poi all'ora di cena.- Marta annuì e tornò verso camera sua tutta felice, con sotto braccio i fogli appena ricevuti.
Elena si sedette e prese un bicchiere d'acqua. Sperò vivamente che la piccola non aveva visto la sua reazione alla consegna della busta, perché di certo non era stato un bello spettacolo.
La busta. Elena Argenti la teneva nuovamente tra le mani che ora tremavano un poco. La busta.
Stando alle parole di Valerio Flaviano dentro ci sarebbe dovuta essere una lettera, ma cosa di preciso ci sarebbe stato scritto lei non riusciva proprio a figurarselo.
Probabilmente ci sarebbero state delle scuse, delle confessioni.
Ma cosa poteva entrarci quello con le parole dell'assassino? “Se la mettiamo così sono anche un santo”. Che cosa stava a significare?
Elena guardò l'orologio. Si erano fatte le sette, aveva un'ora e mezza per affrontare la busta. Di solito, infatti, in casa si cenava alle otto e mezza massimo nove, e di certo non voleva sconvolgere le abitudini di sua figlia perché doveva fare i conti col suo passato.
Era maggio, un maggio così caldo che la settimana precedente Elena aveva preso due giorni di ferie per portare la bambina al mare.

Tutto quel caldo era un cosa positiva, poteva così prendersela con comodo per risolvere quell'affare e poi affettare due pomodori e due mozzarelle per preparare una caprese, piatto che a Marta piaceva molto.
Ma sarebbe stata ancora in grado di cucinare dopo la lettura di quella lettera?
In ogni caso l'unica maniera per scoprirlo era aprire la busta e affrontare ciò che c'era dentro, qualunque cosa fosse.
Per un attimo si ricordò di quando, tutte le sere, Marta le chiedeva di controllare se nell'armadio c'era un mostro. Ecco, in quel momento Elena voleva qualcuno che le controllasse la possibile presenza di un mostro nella busta che aveva tra le mani.
Ma quale mostro immaginario nella mente di sua figlia poteva essere brutto e cattivo come quello che da sette anni aveva in testa?

Elena aprì a busta con le unghie. Conteneva un solo foglio, e sapeva benissimo che proprio lì si nascondeva la verità, quella verità di cui aveva tanta paura.
Lo spiegò e cominciò a leggere, perché l'attesa la distruggeva più della paura. “Cara Elena, Roma, 29 febbraio 2008”
La donna riconobbe nuovamente la calligrafia del fratello, anche se le appariva al quanto tremante.
Guardò la data. Ventinove febbraio. Meno di un mese prima della sua morte. Forse lo aveva fatto a posta a scrivere quella data, perché si sa che il ventinove febbraio capita solo una volta ogni quattro anni. Forse invece era solo un caso, uno dei tanti.
L'ispettrice decise di proseguire nella lettura.

“sono sicuro che leggerai questa lettera dopo la mia morte, che spero avvenga nel modo in cui è stata programmata.
Che posso dire? Prima di raccontarti la verità, posso dirti che mi spiace? Che sono sconvolto da ciò che ho fatto, da come ho ucciso a sangue freddo una persona che la sera prima era seduta sul divano di casa mia a ridere?
Forse, ma tanto non cambia nulla.
Vorrei scriverti di perdonarmi, ma non posso obbligarti, e se rimarrò da te odiato per sempre credo di essermelo meritato.
Ti scrivo per un altro motivo, per dirti come sono andate le cose, per raccontarti di come sono arrivato ad essere la persona che sono diventato.
Era settembre, faceva caldo e avevo sonno.
Sempre, tutti i giorni, indipendentemente da quanto dormissi.
Forse una persona diversa da me se ne sarebbe fregato, ma io mi sono spaventato e sono andato dal medico. Mi sono state prescritte delle analisi, una di seguito all'altra, ogni volta più accurate, costose e preoccupanti.
Il tre di novembre sono arrivati i risultati.
È difficile da scrivere, figurati da dire a voce.

Si trattava di una malattia genetica, una di quelle che colpiscono i maschi.
Probabilmente mamma e papà ne erano portatori sani, e forse neanche lo sapevano.

Da due portatori sani è facile che nasca un figlio malato, e infatti.

Non è una malattia con un'alta incidenza, e purtroppo si presenta con questa stanchezza e basta.
Fin qui potrebbe parere una cavolata, ma purtroppo le cose stanno diversamente.
I soggetti affetti da questa patologia, un giorno come un altro, vengono colpiti da un arresto cardiaco fatale.
Solitamente tra la comparsa dei sintomi e la morte passano un paio di anni.

Con dei semplici ricostituenti ho potuto riprendere la mia vita normale, addirittura fare sport. Le visite mensili dal cardiologo potevano cercare di aiutarmi a capire quanto mi rimaneva, ma tanto la mia fine era ormai segnata.
Non sapevo come dirtelo, non sapevo cosa fare.

Una sera, dopo aver bevuto da solo sperando di dimenticare tutto ciò che mi circondava, sono capitato nella bisca.

Penso che tu sappia il resto, quello che non sai è ciò che ancora deve accadere.
Io e Valerio Flaviano, si chiama così il capo della banda che cercate (e a cui appartengo), abbiamo fatto un patto; il giorno in cui non gli sarei più stato utile mi avrebbe ucciso.
Lui ha avuto la leucemia, sa cosa significhi star male e trovarsi a tanto così dal morire.
L'ho fatto per te. So che potresti non capire, ma tutto ciò che ho fatto è stato fatto per te.
Perché così non mi avresti visto soffrire, perché così non saresti vissuta ogni giorno con la paura di perdermi.
Tutto ciò che è successo appresso alla mia decisione di unirmi ai Flaviano, in primis la morte di Irene, non era voluto.

Cercavo un modo per far finire la mia vita e invece ho fatto finire quella di una persona innocente, per non far entrare in casa di mia sorella la malattia ho messo in casa di una poliziotta il crimine, tu non sai quanto questo mi pesi.

Non so se ci rivedremo dopo, non credo di meritarmi il Paradiso.
Ma una cosa posso promettertela; ovunque sarò ti starò vicino, che tu ci creda o no.
Ora ti sento entrare, urli felice di essere a casa prima. Mentre scrivo sto piangendo, penso che prima che tu possa vedermi correrò in bagno a sciacquarmi il volto.
Ti voglio bene, sempre.

Marco”
Elena rilesse la lettera due volte. La paura e il dolore del fratello si capivano bene da come tutto fosse scritto in modo assolutamente sconnesso, un insieme di pensieri troppo difficili per essere espressi in modo più elegante e corretto da un punto di vista sintattico.
Ancora piangendo la donna rimise la lettera a posto e andò dalla figlia. La prese in braccio e la abbracciò forte.
- Mamma perché piangi?- Chiese la bambina.

- Non è niente amore, avevo solo bisogno di un abbraccio forte. Ti voglio bene piccolina.-
- Anche io mamma. Ho fatto questo per te.- La bambina le diede un foglio. Sopra c'erano disegnate due figure, e la madre capì subito che erano loro due.

In cima c'era scritto “ti Vogglio bbene mama”. Era scritto male, scorretto, come era normale per una bambina di quell'età.

Ma era così pieno d'amore che le lacrime di dolore di Elena divennero subito di gioia.

****


 

   
 
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