Non tiene conto degli avvenimenti della 4x09. Lancillotto è morto attraversando il “velo” nella 4x02. Gwen è diventata regina di Camelot, sposando Arthur, ma il pentimento e i sensi di colpa continuano a inseguirla senza sosta. Proprio a tre anni precisi dalla morte di Lancillotto, Ginevra si ritroverà, in una notte senza luna, a ripensare ai suoi sentimenti. E ogni stella che permea il cielo assumerà la forma di un ricordo. E se qualcuno aiutasse Gwen a liberarsi dai suoi rimorsi? E se Gwen e Lancillotto potessero rivedersi, per un’ultima volta? E se Merlino decidesse di metterci il suo zampino? E’ la prima storia che scrivo su ‘Merlin’. Nella storia sono presenti parti tradotte della canzone "Yesterday" di Leona Lewis. Ci tengo a sottolineare il video che mi ha ispirato questa One-Shot. Eccolo: http://youtu.be/7JO3bHbMaJ8.
Lancillotto&Ginevra
My Angel in the Stars.
.Gwen.
“Lo
so che ti rivedrò ancora, ne sono sicura.
No, non è egoistico chiedere qualcosa in più.
Ancora una notte. Ancora un giorno.
Ancora un sorriso sul tuo viso.”
Mi stringo nello
scialle ornato di raso per proteggermi dal freddo, che mi attacca le
spalle e mi fa rabbrividire.
Sospiro
rumorosamente per tentare di sciogliere il nodo che ho allo stomaco.
Dalle labbra mi
sfugge una nuvola di fumo che si condensa nell’aria e il
vento spazza
immediatamente via.
Torturo
nervosamente con le mani il ricamo in pizzo sulla gonna e alzo gli
occhi al
cielo per cercare di trattenere le lacrime.
E sono già due anni che tu non ci sei
più!
Se tu adesso fossi qui al mio
fianco, sulla
torre più alta del castello, a guardare il cielo e a
stringermi la mano, non puoi
neanche lontanamente immaginare quante cose avrei da dirti.
Tutti i sogni spezzati, prendere tutto,
semplicemente portarlo via,
ma non avranno mai... ieri.”
Lo dovevo a me stessa, ma soprattutto a te.
E a quello a cui hai rinunciato per permettermi di
vivere questa felicità.
Posso di nuovo reputarmi una donna felice e, per
quanto mi sia costato tempo e fatica ammetterlo, amo Arthur tanto
quanto ho
amato te.
Vorrei poterti dire di amarlo con tutto il mio
cuore... ma non posso.
È
possibile
amare due persone allo stesso modo?
È
possibile, soprattutto, amare qualcuno con questa intensità
a distanza di tutto
questo tempo? È possibile che io non sia ancora riuscita a
rielaborare il tuo
lutto, e aspetti ogni giorno il momento del tuo ritorno? Ed
è giusto
soprattutto che questo pensiero mi faccia sentire una persona
così cattiva,
sbagliata e ingiusta?
Perché
ancora oggi, una parte di me stessa, vorrebbe essere tua per
l’eternità.
Camelot mi si mostra dall’alto in tutto il suo
splendore.
Ma non è per ammirare quest’ultima che salgo fin
quassù.
In sere come queste l’unica cosa che cerco è la luna.
Tra luce e tenebre.
Perché la luna non si mostra sempre pregna di luce.
A volte metà di essa è inghiottita dal buio,
offuscata,
nascosta.
La
luna è proprio come me, come il mio cuore.
E
da quando non ci sei più, da quando te ne sei
andato, ogni giorno sento di smarrire sempre di più me
stessa.
Inghiottita dalle tenebre e dal gelo della notte.
Sento una morsa di ghiaccio proprio all’altezza della
gabbia toracica.
E quella parte del mio cuore che ti appartiene
continua a sanguinare da due anni a questa parte. Sta marcendo
lentamente e, a
sua volta, io muoio dentro di me ogni giorno di più.
‹‹Veglia
su di lui. Riportalo a casa. ››
‹‹Lo
proteggerò con la mia vita. Te lo
prometto.››
Arthur
è tornato da me, tu non potrai farlo mai più.
«Che
ne sarà di te?».
«Ho
poco per cui vivere».
«Non
devi dire così».
«E'
la verità. Tutto
quello che ho detto,
tutto quello
in cui ho creduto, non mi ha portato a nulla».
E
non sapevi quanto ti sbagliavi.
Ogni
azione, ogni errore, ogni strada che hai
imboccato ti ha portato da me.
Mi
ha permesso di amarti con tutta me stessa, mi
permette di amarti ancora adesso, in modo assolutamente irrazionale e
sbagliato.
«Tu
sei quello che c'è di buono in questo mondo,
Lancillotto».
«Non
credevo che la pensassi così».
«Non
sapevo di poter provare certi sentimenti per
una persona».
«Ora
mi hai dato una ragione per vivere».
Hai
custodito le mie parole in silenzio, ti sono ritornate alla mente nei
momenti più
bui e difficili, quando nessuna luce sembrava illuminare la tua strada.
Quando
la vita ti sembrava così ingiusta, e quando niente sembrava
degno di essere
vissuto. Hai usato il mio ricordo come scudo, per proteggerti dalla
malvagità,
dalla solitudine, dal tormento.
Ed
è buffo come, proprio io che ti ho dato una ragione per
continuare ad andare
avanti, stringendo i pugni e serrando i denti, ti abbia condotto anche
sulla
strada che ti ha portato il più lontano possibile da me.
Per
uno strano scherzo del destino, questa sera
anche la luna si è nascosta.
Non è piena, non è tagliata a metà
dalle tenebre, è
semplicemente scomparsa, risucchiata da un eclissi totale.
Quasi per ricordarmi come un’imminente profezia che
presto o tardi anch’io sarò persa. Che
quell’oscurità presto inghiottirà anche
me, e mi trascinerà in un pozzo scuro senza fondo.
Solo le stelle, che lattiginose segnano il cielo, mi
ricordano che posso ancora aggrapparmi a piccoli sprazzi di
lucidità.
E ogni luce di speranza che permea il cielo assume
la forma di un ricordo.
Ogni lacrima che mi abbandona è più amara della
precedente, in questa lotta contro i sensi di colpa che sembra
protrarsi
all’infinito, accrescendo sempre di più giorno
dopo giorno.
Le fiamme flebili delle candele non demordono; i Cavalieri,
in groppa a eleganti cavalli dal manto bianco neve, seguono
ordinatamente Arthur.
Una fiaccola grande e viva è stretta saldamente nel suo
pugno.
Un lento e dolce mormorio s’innalza e arriva fin
quassù.
Le fiamme danzano nel buio e sfidano le tenebre; le
umili donne del popolo s’inginocchiano alla fedele terra e,
cingendo le mani e
abbassando il capo, cominciano a pregare sommessamente.
Gli uomini portano gli stoppini delle candele
accese una accanto all’altra, alimentando da esse una sola e
unica fiamma
scoppiettante, mentre protendono anch’essi il capo verso il
cielo.
Tutti
questi cuori pulsano per te, Lancillotto!
Spalle aperte e rilassate, schiena inarcata. “Respira
Ginevra...”, continuo a ripetere
a me stessa. “Una regina non
può
permettersi certe debolezze. Devi essere forte per il tuo popolo,
sempre!”
Volto leggermente il capo strizzando gli occhi per
riconoscere la figura nella penombra e ogni mia silenziosa sicurezza
diviene
neve disciolta al sole.
Non c’è maschera che regga.
«...
Merlino... ››. La mia voce mi risuona alle
orecchie quasi come sconosciuta per
quanto è flebile e triste, e tossisco per cercare di
recuperare un tono
dignitoso.
Lui
quasi sobbalza nel notarmi nascosta nell’angolo
più buio della torre, e si
porta una mano al petto riprendendo fiato. Sembra triste e imbarazzato,
un
connubio che accomuna entrambi. Si tortura le mani l’una con
l’altra mentre
riprende fiato, dopo le lunghe e faticose scale che ha superato per
arrivare
fin qui.
«Gwen...
eccoti finalmente. Arthur si chiedeva dove fossi finita. Mi ha mandato
a
cercarti... ›› dice, alzando finalmente il capo
per guardarmi. Devio lo sguardo
dopo pochi secondi, costringendo me stessa a spostare
l’attenzione su
qualcos’altro. Il nodo alla gola sembra diventare sempre
più soffocante quando
mi rendo conto che anche i suoi occhi, proprio come i miei, sono gonfi
e
arrossati dal pianto.
‹‹Auto-commiserarti?››,
mi interrompe lui, troncando di netto i miei pensieri.
‹‹...
stavo per dire... ricordare... in
realtà ››. Sussurro quasi senza forze,
chiudendo la mano in un pugno.
La
sua voce è chiara, limpida e sincera, e vorrei credergli
più di ogni cosa al
mondo, ma non ci riesco. Mi volto e gli do le spalle, respiro
profondamente e
mi rendo conto troppo tardi di non essere riuscita a trattenere i
singhiozzi,
le mie spalle fremono e i miei occhi non sono ancora sazi di lacrime.
Quasi
sobbalzo per lo stupore quando sento il suo braccio scivolare sulle mie
spalle
e stringermi goffamente in un tenero abbraccio consolatorio.
‹‹Manca
anche a me››, rincara, affidandomi la sua
confessione.
‹‹Manca
a tutti.››.
E
alla fine anche lui è stanco di nascondersi, la sua maschera
cede e sul suo
viso si riversano lacrime gemelle alle mie. Mi costringo sempre a
mantenere un
comportamento dignitoso davanti agli occhi del mio popolo, di fronte
alla
servitù, ai cavalieri e agli occhi di Arthur stesso, ma in
questo momento non
ho il timore di trattenermi. Mi sento libera di piangere liberamente.
‹‹Lui
non cambierebbe niente di ciò che ha fatto, ci posso
scommettere. Lui ti
amava... e tu amavi lui››.
E
so che Merlino può capirmi veramente, perché mi
conosce profondamente, perché è
mio amico. Per lui sono solo Gwen.
Quella
più bambina che donna, la servitrice...
l’ingenua... la perenne sognatrice.
Non
la regina di Camelot, moglie di Re Arthur.
Solo
Ginevra.
Né
ruoli, né dogmi o assurde regole.
A
unirci è lo stesso dolore, e aggrapparsi l’uno
all’altra ci permette di
sopportarlo con più forza.
Nostro e del cielo, che
silenzioso spettatore del nostro dolore continuava a far brillare le
proprie
stelle.
.Merlino.
Ok! Niente panico,
Merlino!
Niente paura, non fiatare, non
muoverti!
Gaius nel sonno
contorce leggermente la bocca, borbotta qualcosa
d’incomprensibile e si volta
su di un lato sprofondando il viso nella federa del cuscino. Sospiro di
sollievo involontariamente creando un gran baccano, e appena me ne
rendo conto
mi tappo la bocca con la mano sgranando le pupille. Devo sbrigarmi o
rischio
sempre di più di essere scoperto.
Gelsomino!
Dove diamine si è nascosto?
Le scorte di
erbe
medicinali di Gaius sono un disastro!
Sono ore che cerco
invano di venirne a capo, ore che cerco di rovistare spudoratamente
nelle
provviste senza emettere alcun rumore. Maledetto disordine! Se solo
potessi
accendere una candela per vedere meglio magari...
Roteo gli occhi
per la stanchezza, no... il sonno non può prendermi proprio
adesso. Faccio
appello a tutte le mie forze e sgrano gli occhi nel buio, per cercare
di
riacquistare un minimo di lucidità. Le parole di Gwen mi
tornano come un eco
alla mente e mi danno una giustificazione nobile per ciò che
sto facendo.
Al suo interno
tanti piccoli petali bianchi sfidano il buio, quasi come se volessero
essere
notati ad ogni costo.
GELSOMINO!
Mi alzo sulle
punte e allungo il braccio più che posso. Sfioro appena il
vetro che, per
quanto è freddo, sembra di ghiaccio. Non
ci arrivo... dannazione!
Mi guardo
intorno... devo prendere uno sgabello.
Sempre in punta di
piedi mi aggiro nel buio a tentoni come un sonnambulo.
Non sono leggero
quanto una libellula, ma neanche sgraziato quanto un elefante.
Eppure ho davvero
il timore di poter svegliare Gaius.
Qualcosa ostacola
il mio cammino e per poco non inciampo. Fortunatamente mi aggrappo
all’estremità del tavolo in cucina e riacquisto il
mio equilibrio.
Afferro l’oggetto
che mi ha intralciato il passaggio e quando mi accorgo di cosa si
tratta non
riesco a trattenere l’ennesimo sbuffo.
L’elmo di Arthur. ‹‹Merlino,
la mia armatura va riparata e il
mio elmo tirato a lucido. I miei vestiti vanno lavati, i mie stivali
ripuliti,
la spada affilata...››.
Ma ci avrei
pensato dopo, a costo di fare la nottata in bianco pur di rimettere
tutto al
proprio posto, al momento altre cose avevano la precedenza.
Come minimo se Gaius
mi vedesse rubare dalle sue scorte vorrebbe delle spiegazioni, ma per
quanto è
taccagno di sicuro entro le prime luci della mattina si rende conto che
qualcosa manca. Qualcosa... sì, giusto qualcosina.
Gelsomino, appunto!
Per attrarre un amore spirituale e stimolare i sogni.
Bacchette di
sandalo e timo, il primo per purificare, il secondo per scacciare il
malumore. Tre
oli essenziali: eliotropio, cipresso e rosa.
Un cristallo di
acquamarina.
Adesso
o mai più, penso.
Apro lentamente la porta che
cigola dopo un po’;
appena me ne rendo conto la blocco. Cerco di passare lateralmente dallo
spazio
che ho aperto.
Sono già con un
piede fuori dall’uscio quando mi sento chiamare.
‹‹Merlino...››,
trattengo il fiato, sgrano gli occhi. Si è svegliato?
‹‹... perché la
vasca delle sanguisughe è ancora sporca? Devo fare tutto io
in questo
porcile?››.
Ancora con gli
occhi chiusi si gratta la zazzera di capelli bianchi e si gira dal lato
apposto
al mio.
Silenzio...
interrotto dopo pochi attimi da un gran russare.
Trattengo una
risata fino a quando non mi richiudo la porta alle spalle, poi
m’incammino del
castello buio e silenzioso.
Piccole sfere che
rotte contro il pavimento sprigionano un fumo capace di stendere anche
un troll
nella sua peggior giornata.
Altra fedele
“concessione” di Gaius, che a quanto pare tra un
decotto e l’altro, un elisir e
una tisana, trova tempo anche per sperimentare nuovi metodi infernali
di
autodifesa, per i tempi più bui a Camelot.
Svolto
l’angolo e
mi nascondo dietro una statua.
Davanti alla porta
della camera di Gwen e Arthur ci sono le guardie che vigili scrutano il
buio e
bloccano il passaggio. Chinandomi appoggio i sonniferi a terra, le
pupille
tremolano e s’illuminanno, mentre con l’aiuto di un
incantesimo le faccio arrivare
fino alle guardie.
M’intrufolo
dalla porta e mi accosto alla parete. Il letto a baldacchino accoglie
invitante
e confortante, come un grembo materno, il Re e la Regina. Arthur dorme
beatamente a pancia insù, con la bocca spalancata e il
braccio destro stretto
possessivamente attorno al bacino di Gwen.
Quest’ultima
è rannicchiata su se stessa, quasi come a volersi proteggere
anche nel sonno da
un mostro invisibile. Il suo viso è contratto e nervoso.
Sciolgo il cordone che
lega l’estremità del sacchetto di stoffa che ho in
pugno.
In
un recipiente verso l’eliotropio il
cipresso e la rosa.
Con una
bacchettina di legno giro il composto tre volte in senso orario e
altrettante
volte in senso antiorario.
Bagno
i polpastrelli delle mani in quel composto color paglierino e lo
avvicino alle
tempie di Gwen, massaggiandole lentamente in movimenti circolari.
Una
candela quasi consumata arde silenziosa sulla scrivania di Arthur,
l’afferro e
accendo le bacchette di sandalo e timo.
Immediatamente un
fumo rosastro invade la stanza.
Il suo profumo è
rilassante e leggermente speziato. I tratti del viso di Gwen sembrano
addolcirsi, mentre prende a respirare più profondamente.
Le apro il palmo
della mano e vi pongo l’acquamarina, dopodiché la
richiudo in un pugno.
Non manca molto
ormai, Gwen.
Per una notte
potrai riabbracciare la felicità senza timore.
Inconsciamente nel
sonno le sue labbra si curvano in un sorriso.
L’hai
già ritrovato... Gwen?
Sono felice.
Felice per te, felice per lui.
Perché un
amore
come il vostro è scritto nelle stelle e vi è
stato strappato in modo violento e
ingiusto.
Ma
dopotutto, amori
come i vostri non potranno mai avere fine.
Mi avvicino
al
viso di Gwen lentamente, raggiungo il suo orecchio e le sussurro la mia
unica richiesta:
.Gwen.
Più
di tutti gli altri momenti
della giornata, odio la notte.
Raramente riesco
a
dormire senza bagnare con le lacrime la federa del cuscino. Per
Artù ormai non
è più una sorpresa, e ogni sera si sente sempre
più male a vedermi in quello
stato; mi chiede inutilmente perché mi comporto in quel modo
e io devio
l’argomento inventando scuse poco convincenti. Lui non mi
crede quasi mai,
dopotutto mi conosce tanto quanto se stesso, ma non si ritira mai
indietro dal
consolarmi. Mi stringe a sé, mi asciuga le lacrime e mi fa
addormentare accarezzandomi
i capelli.
Quella sera era
andata
diversamente. Mi ero ritirata prima nelle mie camere e al rientro di
Artù avevo
finto di essere già caduta in un sonno profondo. Lui mi
aveva sfiorato il
braccio con fare apprensivo prima di coricarsi al mio fianco. Quella
sera non
potevo inventare l’ennesima scusa, era palese il
perché della mia angoscia. Il mio
non essermi presentata alla cerimonia di commemorazione era
già un segno chiaro
di quanto stessi male. A due anni precisi dalla morte di Lancillotto
non potevo
sminuire il mio dolore solo per nasconderlo agli altri. Non potevo, e
non
volevo, quella sera, inventare l’ennesima scusa per sfuggire
alle domande di
Artù.
Dopo un tempo
infinito,
il sonno mi concesse la sua grazia. Quella sarebbe stata una notte di
incubi
terribili, ne ero certa.
••••
Non riesco a
capire se
sto sognando, o più semplicemente Gaius ha scambiato la
camomilla della mia
tisana con qualche strano allucinogeno.
Bucaneve,
camelie,
girasoli e margherite punteggiano un prato verde smeraldo in lontananza
di
un’infinità di splendide tonalità. Mi
trovo su un ponte ai cui piedi sgorga un
ruscello ricco di ninfee e giacinti d’acqua, il cielo
risplende in esso di una
tonalità di azzurro sgargiante, il sole alto nel cielo bacia
il mio viso. Il
cinguettio degli uccelli che spensieratamente volano verso i paesi
più caldi,
in vista della fredda stagione, mi fa sorridere. E da tempo immemore
che non mi
sento in questo modo: leggera, felice, spensierata. Mi sembra di essere
tornata
addirittura un po’ bambina, mentre attraverso il ponte,
scalcio via le scarpe e
a piedi nudi cammino tra i fiori; mi alzo con le mani il vestito, che
mi arriva
fino ai piedi, e i fusti sottili ma resistenti dei fiori mi solleticano
le
gambe. Sorrido, sorrido come non
mai
e scuoto i capelli in aria, reclinando il capo all’indietro.
Socchiudo gli
occhi e mi godo quella sensazione incredibile e quel lieve e fresco
vento che
mi stuzzica la pelle ma non mi infastidisce.
Riapro gli occhi
e il
mio cuore sembra fermarsi perdendo un battito. La lingua si salda
contro il
palato e per poco non cado sul manto erboso ai miei piedi. Poi il cuore
si
riprende e accelera con vigore sempre più forte.
Sistole
e diastole in perfetta
sincronia. Il cuore sospinge il sangue
come non mai a tutto il corpo, e mi sembra di essere tornata finalmente
viva.
Non riesco a
capire se
sto sognando, tutto sembra così reale che il dubbio che stia
succedendo tutto
per davvero s’insinua con forza dentro di me. Sogno o no, non
posso credere ai
miei occhi. Lui è
distante una decina
di metri da me, l’erba e i fusti alti dei fiori gli ricoprono
fino a metà la
coscia. E’ vestito di bianco; leggeri pantaloni e una blusa,
che ricopre le sue
spalle muscolose e rilassate. Rimango attonita a fissarlo mentre si
avvicina a
me, tranquillo e sorridente.
I
suoi occhi. Mi ero
dimenticata quanto potessero essere luminosi. Il suo sorriso
è
lo stesso di sempre, radioso ed elegante, e ancora una volta... rivolto
a me.
Piango, ma la
composizione delle mie lacrime è diversa dalle tante altre
versate fino a
questo momento. Piango di gioia e incredulità, piango
perché sono quasi certa
di star sognando, ma non vorrei mai risvegliarmi. Vorrei che il tempo
si
fermasse in questo perfetto istante. Tremo e piango, e ad ogni passo in
meno
che ci divide, sento la consapevolezza della vita che mi pulsa la
carne. Ogni
passo in meno che ci divide è un tassello della mia anima
che torna a casa, è
il filo rosso del destino che torna a legare le nostre vite;
sfilacciato,
annodato, maltrattato, ma resistente. Ne abbiamo passate tante, molte
volte
quel filo sembrava indebolirsi e cedere a forze immani, ma
tutt’ora è
inalterabile, così come i nostri sentimenti. Torniamo a
essere solo noi. Lancillotto
e Ginevra.
“Pensavo
che i
nostri giorni sarebbero
durati per sempre, ma non era il nostro destino.
Perché
nella mia mente avevamo così tanto tempo.
Ma mi sono sbagliata.”
A pochi passi da
me ti
fermi, mi sorridi e i tuoi occhi brillano.
‹‹Sei qui...›› riesco
solo a dire. Le vene del collo e i polsi mi pulsano violentemente
contro la
pelle.
‹‹Sono qui! ››
sussurri, guardandomi incredulo a tua volta e annuendo. Eppure anche
nella tua
voce mi sembra di percepire una sottile, ma intensa, sfumatura di
panico e gioia.
La distanza
effimera
che ci divide brucia assurdamente i palmi delle mie mani. Potrei
semplicemente
allungare il braccio, senza troppo sforzo, guidata
dall’istinto, e sfiorarti
una guancia, per poi ripercorrere la linea sottile della mascella e
scendere
lungo il collo, ascoltando sulla mia pelle il battito del tuo cuore che
pulsa
in sincronia perfetta al mio.
Probabilmente
capisci
il mio tormento, e decidi di porvi fine. Con un altro passo annulli la
distanza
tra di noi e la nostra pelle ritorna a toccarsi. Le cellule del nostro
corpo si
attraggono reciprocamente e sembrano incendiarsi. Le tue mani si
appoggiano ai
miei fianchi, cingendoli con delicatezza. Allunghi la tua mano verso il
mio
viso e catturi con un dito lungo e affusolato una mia lacrima. Mi
accarezzi lo
zigomo e mi porti un ricciolo scuro e ribelle dietro
l’orecchio. Blocco la tua
mano con la mia, chiudo gli occhi e mi perdo in questo momento. Le
nostre mani s’intrecciano
l’una con l’altra, e sembrano state create a questo
scopo fin dal principio.
‹‹I
miei ricordi non ti
rendevano giustizia.›› soffi dolcemente queste
parole sul mio viso.
‹‹Sto sognando?››
chiedo timorosa, e commossa, stringendo ancora di più la
presa delle sue mani
per smorzare la tensione.
‹‹Ci crederesti se ti
dicessi che non stai sognando? Che io sono davvero qui, di fronte a te,
in
carne e ossa? Che le mani che ti sfiorano non sono
un’illusione, ma una
concreta realtà?››
‹‹Ma come può essere
possibile?›› chiedo confusa.
‹‹E’ chiaro che qualcuno
ha pensato bene che noi
meritassimo questo. Non c’è molto tempo in
realtà. Il sole presto sorgerà nella
tua dimensione e i nostri mondi non potranno più
toccarsi...›› avvicini il tuo
viso al mio e le nostre fronti si sfiorano.
‹‹...Sono qui per
parlarti, Gwen››.
‹‹Di cosa?›› chiedo
totalmente persa in questo momento. Ti lascerei parlare per
un’eternità intera,
starei ad ascoltarti in ogni momento della mia esistenza.
‹‹Guardati intorno. Io
sto bene, ma possiamo dire lo stesso di te? Non sono pentito di
ciò che ho
fatto. Tu non sei la mia disgrazia, Gwen, sei la mia salvezza, e sempre
lo sei
stata.››
‹‹Non mentirmi...››
abbasso lo sguardo non riuscendo a sostenere le sue convinzioni.
Continuo a
torturarmi e annegare in un mare di colpe.
‹‹Guardami...›› mi
implori, ‹‹... ti prego.››
La tua mano raggiunge il mio mento e le nostre
pupille ritornano a specchiarsi l’una nell’altra.
‹‹Non avevo mai conosciuto
nessuna come te, non credevo possibile per me poter incontrare una
persona del
genere. Ne ero certo, e poi sei piombata nella mia vita come una luce
bellissima. La mia esistenza prima di te non aveva una meta, era un
rincorrersi
confuso d’illusioni. Ero un vagabondo, non conoscevo nessun
luogo come “casa”,
e poi sei arrivata tu...›› mi sorridi e mi mozzi
il fiato, un brivido mi
percorre la schiena mentre mi accarezzi il palmo della mano.
‹‹Ti ho osservato a
lungo da quassù, sai? Sei una leonessa fiera e forte, ma ti
stai macchiando di
colpe che non hai, e stai soffocando ogni giorno di più la
tua vita, quasi come
a punirti. Non devi. Sei una bellissima persona, sei buona anche con
chi non
merita, sei gentile e nobile d’animo e... sei la regina che
Camelot ha sempre
desiderato.›› mi esorta lui, tentando di
convincermi. ‹‹La regina che ho sempre
visto in te, fin dal nostro primo incontro››.
‹‹...ti ho chiesto di
proteggere Artù, io ti ho implorato di riportarlo a casa, da
me, ad ogni costo.
Non ho pensato al rischio che correvi. Ho ragionato da
egoista››
‹‹Sarebbe
comunque
andata così, e adesso ci troveremo in ogni caso sempre
qui.››
“Adesso
possp crederci.
Posso
ancora trovare la forza
nei momenti che abbiamo passato.
Sto
guardando indietro verso ieri.”
‹‹Ma
io anche in questo momento sono divisa in due
parti.›› replico, ammettendo
la mia colpa maggiore. ‹‹Una parte di me prova
rimorso per ciò che è
successo... l’altra invece pensa a come mi sarei sentita
altrettanto male... se
al tuo posto Artù avesse attraversato il velo, se fosse
stato lui a
sacrificarsi.›› Se formulare quel pensiero mi
faceva sentire meschina e
obbietta, pronunciarlo e ascoltarlo era anche peggio.
‹‹Tu
lo ami...›› bisbigli consapevole, di rimando.
‹‹... e ami anche me.
Ciò non rende te una persona ignobile, Gwen. Tu stessa
saresti disposta a
sacrificarti altre mille volte per salvare sia la mia vita, sia quella
di Artù,
ne sono certo. Non sei sbagliata, sei la persona più umana
che io abbia mai
conosciuto.››
‹‹Avrei
dovuto salvarti..›› biascico, esausta. ‹‹Mi
hai salvato
amandomi. Adesso tocca a me salvare te. Permettimi di salvarti,
Gwen››.
In
un attimo annulli ogni distanza tra noi. Le tue labbra si posano
sulle mie, e con uno strappo al centro del petto mi sento trasportata
via.
Stringo la presa delle tue spalle, la tua mano, faccio aderire ancora
di più le
mie labbra alle tue. Non ho paura. Sei qui
accanto a me per davvero, ne sono sicura. Le tue labbra
assorbono ogni mia
paura, ogni mio rimpianto. Danno un senso al dolore, e mi fanno
rinascere per
la seconda volta.
‹‹Ti
amo›› riesci a sussurrarmi, prima che io vada
via. ‹‹Ringrazia Merlino
da parte mia.››
Le
palpebre ancora pesano gravemente ma riprendo conoscenza. Continuo a
sentire un profumo di fiori, e mi chiedo se non sia ancora la mia
suggestione,
prima di rendermi conto di un petalo che mi sfiora il braccio. Mi alzo
lentamente col busto all’insù e mi rendo conto di
esserne ricoperta. Arthur
dorme al mio fianco come un ghiro, la bocca spalancata e ciuffi di
capelli
disordinati gli ricadono sulla fronte accarezzandola. Ha
un’aria innocente da bambino. Sorrido e non sento la mascella scricchiolarmi
per lo sforzo. Sto
sorridendo davvero, genuinamente. Il cuore è tornato
leggero, e il sangue che
mette in circolo nei mie vasi sanguigni, è carico di
consapevolezza e pace. La
consapevolezza di aver amato entrambi adesso non mi sembra un reato
imperdonabile. Entrambi mi hanno reso la donna che sono, e amarli mi ha
donato quanto di più grande al mondo ci possa essere.
L'amore non può, e non deve, essere considerato un reato,
adesso me ne rendo conto.
Mi
alzo con uno scappo fulmineo dal letto, afferro la vestaglia ed esco
dalla
camera. Corro in direzione della torre di vedetta, quasi senza rendermi
conto
dei mie passi. Senza neanche chiedermi cosa ci facciano due guardie
abbracciate
e dormienti come due bimbi stesi a terra. Supero venti gradini, poi
trenta,
quaranta. Non mi stanco, corro come se una molla mi cingesse la vita e
mi
tirasse verso una sola direzione. Finalmente arrivo. Esco
all’aria fresca, mi
stringo nella vestaglia. Merlino è di spalle, con il viso
abbassato e le mani
indaffarate. Ai suoi piedi distinguo pezzi dell’armatura di
Artù, e capisco che
li sta lucidando. Mi avvicino lentamente e appoggio la mia mano alle
sue
spalle.
‹‹Grazie››.
Dico sommessamente. Lui si gira ruotando su se stesso e mi
guarda sorpreso e un po’ impaurito.
‹‹Grazie... d-di che
c-osa?›› balbetta nervosamente.
‹‹Lo sai!.›› continuo
sicura, sorridendo. ‹‹Grazie per avermi dato
questa possibilità.››
Faccio
un passo avanti e lo abbraccio. ‹‹Il tuo segreto
con me è al
sicuro, e ti aiuterò a farlo capire ad Arthur, te lo
prometto.›› Sento la sua
risata nelle orecchie, incredula, felice.
Ancora stretta a lui, alzo il capo verso il cielo.
La luna è tornata, e riflette obliquamente la sua luce
candida su di
noi.
E’ piena. Illumina il mio cuore, di nuovo sano, a ogni
respiro. E nella
sua immensità mi sembra di poter distinguere il suo viso.
Il suo bacio mi ha
fatto nascere una seconda volta.
Lì
tra quelle stelle ce n’è una che brilla
più di tutte.
Sono
certa che da lassù stai sorridendo insieme a noi.
E posso solo
immaginare quanto sia bello il tuo sorriso, angelo mio.