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Autore: _FrenkieFaye_    01/04/2012    4 recensioni
Non tiene conto degli avvenimenti della 4x09.
Lancillotto è morto attraversando il “velo” nella 4x02.
Gwen è diventata regina di Camelot, sposando Arthur, ma il pentimento e i sensi di colpa continuano a inseguirla senza sosta.
Proprio a tre anni precisi dalla morte di Lancillotto, Ginevra si ritroverà, in una notte senza luna, a ripensare ai suoi sentimenti.
E ogni stella che permea il cielo assumerà la forma di un ricordo.
E se qualcuno aiutasse Gwen a liberarsi dai suoi rimorsi?
E se Gwen e Lancillotto potessero rivedersi, per un’ultima volta?
E se Merlino decidesse di metterci il suo zampino?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwen, Lancillotto, Merlino | Coppie: Gwen/Lancillotto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Non tiene conto degli avvenimenti della 4x09. Lancillotto è morto attraversando il “velo” nella 4x02. Gwen è diventata regina di Camelot, sposando Arthur, ma il pentimento e i sensi di colpa continuano a inseguirla senza sosta. Proprio a tre anni precisi dalla morte di Lancillotto, Ginevra si ritroverà, in una notte senza luna, a ripensare ai suoi sentimenti. E ogni stella che permea il cielo assumerà la forma di un ricordo. E se qualcuno aiutasse Gwen a liberarsi dai suoi rimorsi? E se Gwen e Lancillotto potessero rivedersi, per un’ultima volta? E se Merlino decidesse di metterci il suo zampino? E’ la prima storia che scrivo su ‘Merlin’. Nella storia sono presenti parti tradotte della canzone "Yesterday" di Leona Lewis. Ci tengo a sottolineare il video che mi ha ispirato questa One-Shot. Eccolo: http://youtu.be/7JO3bHbMaJ8.  

Lancillotto&Ginevra

My Angel in the Stars.

    

                                  

                                  .Gwen.

 

“Lo so che ti rivedrò ancora, ne sono sicura.
No, non è egoistico chiedere qualcosa in più.
Ancora una notte. Ancora un giorno.
Ancora un sorriso sul tuo viso.”

 
Il cielo su Camelot è terso di stelle.
Mi stringo nello scialle ornato di raso per proteggermi dal freddo, che mi attacca le spalle e mi fa rabbrividire.
Sospiro rumorosamente per tentare di sciogliere il nodo che ho allo stomaco.
Dalle labbra mi sfugge una nuvola di fumo che si condensa nell’aria e il vento spazza immediatamente via.
Torturo nervosamente con le mani il ricamo in pizzo sulla gonna e alzo gli occhi al cielo per cercare di trattenere le lacrime.

Solo buio.
E sono già due anni che tu non ci sei più!

Due anni che mi nego addirittura di pensare alle tue mani, e quando, e con quale delicatezza, stringevano le mie. Ai tuoi occhi, quando si perdevano nei miei, quasi fossero una profonda oasi di purezza. E ai tuoi sorrisi più belli, dedicati esclusivamente a me.
Se tu adesso fossi qui al mio fianco, sulla torre più alta del castello, a guardare il cielo e a stringermi la mano, non puoi neanche lontanamente immaginare quante cose avrei da dirti.

“Possono prendere il futuro che non sapremo mai;
Tutti i sogni spezzati, prendere tutto,
semplicemente portarlo via,
ma non avranno mai... ieri.”

Sono andata avanti, sai?
Lo dovevo a me stessa, ma soprattutto a te.
E a quello a cui hai rinunciato per permettermi di vivere questa felicità.
Posso di nuovo reputarmi una donna felice e, per quanto mi sia costato tempo e fatica ammetterlo, amo Arthur tanto quanto ho amato te.
Vorrei poterti dire di amarlo con tutto il mio cuore... ma non posso.

Gli occhi si bagnano di amaro dolore mentre le lacrime mi scendono lungo il viso, per ogni lacrima che mi abbandona, ogni stella nel cielo pare offuscarsi sempre di più. Sembra inutile che io continui a prendermi in giro, in fondo l’ho sempre saputo: il mio cuore è sempre stato diviso a metà, e una sua parte... è sempre appartenuta a te.

È possibile amare due persone allo stesso modo?
È possibile, soprattutto, amare qualcuno con questa intensità a distanza di tutto questo tempo? È possibile che io non sia ancora riuscita a rielaborare il tuo lutto, e aspetti ogni giorno il momento del tuo ritorno? Ed è giusto soprattutto che questo pensiero mi faccia sentire una persona così cattiva, sbagliata e ingiusta?
Perché ancora oggi, una parte di me stessa, vorrebbe essere tua per l’eternità.

 
Dalla torre di vedetta del castello tutto mi appare immediatamente più chiaro.
Camelot mi si mostra dall’alto in tutto il suo splendore.
Ma non è per ammirare quest’ultima che salgo fin quassù.
In sere come queste l’unica cosa che cerco è la luna.

Essa in tutto il suo pallore, spesso e volentieri, mi dimostra che sì, è possibile essere divisi a metà.
Tra luce e tenebre.
Perché la luna non si mostra sempre pregna di luce.
A volte metà di essa è inghiottita dal buio, offuscata, nascosta.

La luna è proprio come me, come il mio cuore.
E da quando non ci sei più, da quando te ne sei andato, ogni giorno sento di smarrire sempre di più me stessa.
Inghiottita dalle tenebre e dal gelo della notte.
Sento una morsa di ghiaccio proprio all’altezza della gabbia toracica.
E quella parte del mio cuore che ti appartiene continua a sanguinare da due anni a questa parte. Sta marcendo lentamente e, a sua volta, io muoio dentro di me ogni giorno di più.

 

‹‹Veglia su di lui. Riportalo a casa. ››

‹‹Lo proteggerò con la mia vita. Te lo prometto.››

 

Arthur è tornato da me, tu non potrai farlo mai più.

 

 

«Che ne sarà di te?».

«Ho poco per cui vivere».

«Non devi dire così».

«E' la verità. Tutto quello che ho detto,

 tutto quello in cui ho creduto, non mi ha portato a nulla».

 

E non sapevi quanto ti sbagliavi.

Ogni azione, ogni errore, ogni strada che hai imboccato ti ha portato da me.

Mi ha permesso di amarti con tutta me stessa, mi permette di amarti ancora adesso, in modo assolutamente irrazionale e sbagliato.

 

 

«Tu sei quello che c'è di buono in questo mondo, Lancillotto».

«Non credevo che la pensassi così».

«Non sapevo di poter provare certi sentimenti per una persona».

«Ora mi hai dato una ragione per vivere».

 

 

Hai custodito le mie parole in silenzio, ti sono ritornate alla mente nei momenti più bui e difficili, quando nessuna luce sembrava illuminare la tua strada. Quando la vita ti sembrava così ingiusta, e quando niente sembrava degno di essere vissuto. Hai usato il mio ricordo come scudo, per proteggerti dalla malvagità, dalla solitudine, dal tormento.

Ed è buffo come, proprio io che ti ho dato una ragione per continuare ad andare avanti, stringendo i pugni e serrando i denti, ti abbia condotto anche sulla strada che ti ha portato il più lontano possibile da me.

 

 

Per uno strano scherzo del destino, questa sera anche la luna si è nascosta.
Non è piena, non è tagliata a metà dalle tenebre, è semplicemente scomparsa, risucchiata da un eclissi totale.
Quasi per ricordarmi come un’imminente profezia che presto o tardi anch’io sarò persa. Che quell’oscurità presto inghiottirà anche me, e mi trascinerà in un pozzo scuro senza fondo.
Solo le stelle, che lattiginose segnano il cielo, mi ricordano che posso ancora aggrapparmi a piccoli sprazzi di lucidità.
E ogni luce di speranza che permea il cielo assume la forma di un ricordo.
Ogni lacrima che mi abbandona è più amara della precedente, in questa lotta contro i sensi di colpa che sembra protrarsi all’infinito, accrescendo sempre di più giorno dopo giorno.

Una folata di vento mi arriva prepotentemente addosso. Oltre che nel cuore, il freddo sta invadendo anche il mio corpo. Sotto i miei occhi mille e più luci fanno da specchio alle stelle. Il popolo di Camelot onora ancora il tuo ricordo.
Le fiamme flebili delle candele non demordono; i Cavalieri, in groppa a eleganti cavalli dal manto bianco neve, seguono ordinatamente Arthur. Una fiaccola grande e viva è stretta saldamente nel suo pugno.
Un lento e dolce mormorio s’innalza e arriva fin quassù.
Le fiamme danzano nel buio e sfidano le tenebre; le umili donne del popolo s’inginocchiano alla fedele terra e, cingendo le mani e abbassando il capo, cominciano a pregare sommessamente.
Gli uomini portano gli stoppini delle candele accese una accanto all’altra, alimentando da esse una sola e unica fiamma scoppiettante, mentre protendono anch’essi il capo verso il cielo.

Tutti questi cuori pulsano per te, Lancillotto!

Dei passi distraggono i miei pensieri. Scaccio immediatamente il fantasma delle lacrime che ancora inumidiscono le mie guance.
Spalle aperte e rilassate, schiena inarcata. “Respira Ginevra...”, continuo a ripetere a me stessa. “Una regina non può permettersi certe debolezze. Devi essere forte per il tuo popolo, sempre!”

La camminata veloce e nervosa si assesta.
Volto leggermente il capo strizzando gli occhi per riconoscere la figura nella penombra e ogni mia silenziosa sicurezza diviene neve disciolta al sole.
Non c’è maschera che regga.

 

 «... Merlino... ››. La mia voce mi risuona alle orecchie quasi come sconosciuta per quanto è flebile e triste, e tossisco per cercare di recuperare un tono dignitoso.
Lui quasi sobbalza nel notarmi nascosta nell’angolo più buio della torre, e si porta una mano al petto riprendendo fiato. Sembra triste e imbarazzato, un connubio che accomuna entrambi. Si tortura le mani l’una con l’altra mentre riprende fiato, dopo le lunghe e faticose scale che ha superato per arrivare fin qui.

«Gwen... eccoti finalmente. Arthur si chiedeva dove fossi finita. Mi ha mandato a cercarti... ›› dice, alzando finalmente il capo per guardarmi. Devio lo sguardo dopo pochi secondi, costringendo me stessa a spostare l’attenzione su qualcos’altro. Il nodo alla gola sembra diventare sempre più soffocante quando mi rendo conto che anche i suoi occhi, proprio come i miei, sono gonfi e arrossati dal pianto.

«Si chiedeva perché non fossi alla commemorazione di... Lancillotto››, continua indisturbato. Il suo tono di voce diviene però percettibilmente più flebile quando nomina il suo nome; quasi come se avesse paura che solo l’udire quel nome mi faccia sgretolare in mille pezzi. Sembra essere consapevole di quanto esso continui a occupare gran parte dei miei pensieri, e se ne preoccupa.

«Sto bene, credo... ››, cerco di tranquillizzarlo.  «...sono salita qui per...››.
‹‹Auto-commiserarti?››, mi interrompe lui, troncando di netto i miei pensieri.
‹‹... stavo per dire... ricordare... in realtà ››. Sussurro quasi senza forze, chiudendo la mano in un pugno.
‹Ti conosco, Gwen››, incalza lui spiazzandomi, ‹‹... non puoi continuare a tormentarti per tutta la vita, lui... non lo vorrebbe. Tu non hai colpe.››
La sua voce è chiara, limpida e sincera, e vorrei credergli più di ogni cosa al mondo, ma non ci riesco. Mi volto e gli do le spalle, respiro profondamente e mi rendo conto troppo tardi di non essere riuscita a trattenere i singhiozzi, le mie spalle fremono e i miei occhi non sono ancora sazi di lacrime.
Quasi sobbalzo per lo stupore quando sento il suo braccio scivolare sulle mie spalle e stringermi goffamente in un tenero abbraccio consolatorio.
‹‹Manca anche a me››, rincara, affidandomi la sua confessione.
‹‹Manca a tutti.››.

E alla fine anche lui è stanco di nascondersi, la sua maschera cede e sul suo viso si riversano lacrime gemelle alle mie. Mi costringo sempre a mantenere un comportamento dignitoso davanti agli occhi del mio popolo, di fronte alla servitù, ai cavalieri e agli occhi di Arthur stesso, ma in questo momento non ho il timore di trattenermi. Mi sento libera di piangere liberamente.

‹‹Vorrei solo... poter rivederlo una volta, capisci?›› Merlino sorride malinconicamente annuendo col capo. ‹‹Vorrei parlagli, se solo fosse possibile. Spiegargli che aver firmato la sua condanna a morte uccide anche me, ogni giorno, ogni secondo. Vorrei solo dirgli che non meritava tutto il male che ha ricevuto, e che io non potevo meritare una persona come lui... era troppo per me... ››

‹‹Lui non cambierebbe niente di ciò che ha fatto, ci posso scommettere. Lui ti amava... e tu amavi lui››.
E so che Merlino può capirmi veramente, perché mi conosce profondamente, perché è mio amico. Per lui sono solo Gwen.
Quella più bambina che donna, la servitrice... l’ingenua... la perenne sognatrice.
Non la regina di Camelot, moglie di Re Arthur.
Solo Ginevra.

E in questo momento niente ci può dividere.
Né ruoli, né dogmi o assurde regole.
A unirci è lo stesso dolore, e aggrapparsi l’uno all’altra ci permette di sopportarlo con più forza. Le lacrime che avremmo pianto insieme quella sera sarebbero rimaste un nostro segreto, ne ero certa.

Nostro e del cielo, che silenzioso spettatore del nostro dolore continuava a far brillare le proprie stelle.

      

                                   .Merlino.

 

Ok! Niente panico, Merlino!
Niente paura, non fiatare, non muoverti!

 

Gaius nel sonno contorce leggermente la bocca, borbotta qualcosa d’incomprensibile e si volta su di un lato sprofondando il viso nella federa del cuscino. Sospiro di sollievo involontariamente creando un gran baccano, e appena me ne rendo conto mi tappo la bocca con la mano sgranando le pupille. Devo sbrigarmi o rischio sempre di più di essere scoperto.
Gelsomino!
Dove diamine si è nascosto?

Le scorte di erbe medicinali di Gaius sono un disastro!
Sono ore che cerco invano di venirne a capo, ore che cerco di rovistare spudoratamente nelle provviste senza emettere alcun rumore. Maledetto disordine! Se solo potessi accendere una candela per vedere meglio magari...

Roteo gli occhi per la stanchezza, no... il sonno non può prendermi proprio adesso. Faccio appello a tutte le mie forze e sgrano gli occhi nel buio, per cercare di riacquistare un minimo di lucidità. Le parole di Gwen mi tornano come un eco alla mente e mi danno una giustificazione nobile per ciò che sto facendo.

‹‹Vorrei solo... poter rivederlo una volta, capisci? Vorrei parlagli, se solo fosse possibile. Spiegargli che aver firmato la sua condanna a morte uccide anche me, ogni giorno, ogni secondo››.

Come una manna dal cielo, nel buio totale, spicca su una credenza un barattolo di vetro nascosto dietro un sacchetto di stoffa.
Al suo interno tanti piccoli petali bianchi sfidano il buio, quasi come se volessero essere notati ad ogni costo.

GELSOMINO!
Mi alzo sulle punte e allungo il braccio più che posso. Sfioro appena il vetro che, per quanto è freddo, sembra di ghiaccio. Non ci arrivo... dannazione!
Mi guardo intorno... devo prendere uno sgabello.
Sempre in punta di piedi mi aggiro nel buio a tentoni come un sonnambulo.
Non sono leggero quanto una libellula, ma neanche sgraziato quanto un elefante.
Eppure ho davvero il timore di poter svegliare Gaius.
Qualcosa ostacola il mio cammino e per poco non inciampo. Fortunatamente mi aggrappo all’estremità del tavolo in cucina e riacquisto il mio equilibrio.
Afferro l’oggetto che mi ha intralciato il passaggio e quando mi accorgo di cosa si tratta non riesco a trattenere l’ennesimo sbuffo.
L’elmo di Arthur. ‹‹Merlino, la mia armatura va riparata e il mio elmo tirato a lucido. I miei vestiti vanno lavati, i mie stivali ripuliti, la spada affilata...››.
Ma ci avrei pensato dopo, a costo di fare la nottata in bianco pur di rimettere tutto al proprio posto, al momento altre cose avevano la precedenza.

Avvicino lo sgabello alla credenza e afferro il barattolo.
Come minimo se Gaius mi vedesse rubare dalle sue scorte vorrebbe delle spiegazioni, ma per quanto è taccagno di sicuro entro le prime luci della mattina si rende conto che qualcosa manca. Qualcosa... sì, giusto qualcosina.
Gelsomino, appunto! Per attrarre un amore spirituale e stimolare i sogni.
Bacchette di sandalo e timo, il primo per purificare, il secondo per scacciare il malumore. Tre oli essenziali: eliotropio, cipresso e rosa.
Un cristallo di acquamarina.

Adesso o mai più, penso.
Apro lentamente la porta che cigola dopo un po’; appena me ne rendo conto la blocco. Cerco di passare lateralmente dallo spazio che ho aperto.
Sono già con un piede fuori dall’uscio quando mi sento chiamare.

‹‹Merlino...››, trattengo il fiato, sgrano gli occhi. Si è svegliato?
‹‹... perché la vasca delle sanguisughe è ancora sporca? Devo fare tutto io in questo porcile?››.
Ancora con gli occhi chiusi si gratta la zazzera di capelli bianchi e si gira dal lato apposto al mio.
Silenzio... interrotto dopo pochi attimi da un gran russare.
Trattengo una risata fino a quando non mi richiudo la porta alle spalle, poi m’incammino del castello buio e silenzioso.

Camelot dormiente non sembra la stessa di quando è giorno. La quiete impregna l’aria e dona un senso di pace. Nella mano destra, bloccato tra il pollice e l’indice, ho delle “bombe” di sonnifero.
Piccole sfere che rotte contro il pavimento sprigionano un fumo capace di stendere anche un troll nella sua peggior giornata.
Altra fedele “concessione” di Gaius, che a quanto pare tra un decotto e l’altro, un elisir e una tisana, trova tempo anche per sperimentare nuovi metodi infernali di autodifesa, per i tempi più bui a Camelot.

Svolto l’angolo e mi nascondo dietro una statua.
Davanti alla porta della camera di Gwen e Arthur ci sono le guardie che vigili scrutano il buio e bloccano il passaggio. Chinandomi appoggio i sonniferi a terra, le pupille tremolano e s’illuminanno, mentre con l’aiuto di un incantesimo le faccio arrivare fino alle guardie.

È un attimo quasi impercettibile. Le sfere come prese da un sussulto saltano in aria per poi rompersi contro il pavimento. Le guardie brandiscono le spade sull’attenti prima di accasciarsi sul pavimento come sacchi di patate. Mi tappo il naso per non respirare involontariamente anch’io i fumi sprigionati.

‹‹Niente di personale ragazzi... ›› gli sussurro con voce nasale, superandoli con un passo.

M’intrufolo dalla porta e mi accosto alla parete. Il letto a baldacchino accoglie invitante e confortante, come un grembo materno, il Re e la Regina. Arthur dorme beatamente a pancia insù, con la bocca spalancata e il braccio destro stretto possessivamente attorno al bacino di Gwen.
Quest’ultima è rannicchiata su se stessa, quasi come a volersi proteggere anche nel sonno da un mostro invisibile. Il suo viso è contratto e nervoso. Sciolgo il cordone che lega l’estremità del sacchetto di stoffa che ho in pugno. Ho tutto quello che mi serve.
In un recipiente verso l’
eliotropio il cipresso e la rosa.
Con una bacchettina di legno giro il composto tre volte in senso orario e altrettante volte in senso antiorario.

Bagno i polpastrelli delle mani in quel composto color paglierino e lo avvicino alle tempie di Gwen, massaggiandole lentamente in movimenti circolari.
Una candela quasi consumata arde silenziosa sulla scrivania di Arthur, l’afferro e accendo le bacchette di
sandalo e timo.
Immediatamente un fumo rosastro invade la stanza.
Il suo profumo è rilassante e leggermente speziato. I tratti del viso di Gwen sembrano addolcirsi, mentre prende a respirare più profondamente.
Le apro il palmo della mano e vi pongo l’acquamarina, dopodiché la richiudo in un pugno.

Non manca molto ormai, Gwen.
Per una notte potrai riabbracciare la felicità senza timore.
Cospargo i candidi fiori di gelsomino sulle lenzuola e sulla federa del suo cuscino e mormoro a bassa voce l’incantesimo.
Inconsciamente nel sonno le sue labbra si curvano in un sorriso.

L’hai già ritrovato... Gwen?
Sono felice.
Felice per te, felice per lui.

Perché un amore come il vostro è scritto nelle stelle e vi è stato strappato in modo violento e ingiusto.
Ma dopotutto, amori come i vostri non potranno mai avere fine.
Mi avvicino al viso di Gwen lentamente, raggiungo il suo orecchio e le sussurro la mia unica richiesta:
‹‹Saluta Lancillotto anche da parte mia››.

 

 

 

 

                                                                                                         .Gwen.

Più di tutti gli altri momenti della giornata, odio la notte.                                                    Raramente riesco a dormire senza bagnare con le lacrime la federa del cuscino. Per Artù ormai non è più una sorpresa, e ogni sera si sente sempre più male a vedermi in quello stato; mi chiede inutilmente perché mi comporto in quel modo e io devio l’argomento inventando scuse poco convincenti. Lui non mi crede quasi mai, dopotutto mi conosce tanto quanto se stesso, ma non si ritira mai indietro dal consolarmi. Mi stringe a sé, mi asciuga le lacrime e mi fa addormentare accarezzandomi i capelli.

Quella sera era andata diversamente. Mi ero ritirata prima nelle mie camere e al rientro di Artù avevo finto di essere già caduta in un sonno profondo. Lui mi aveva sfiorato il braccio con fare apprensivo prima di coricarsi al mio fianco. Quella sera non potevo inventare l’ennesima scusa, era palese il perché della mia angoscia. Il mio non essermi presentata alla cerimonia di commemorazione era già un segno chiaro di quanto stessi male. A due anni precisi dalla morte di Lancillotto non potevo sminuire il mio dolore solo per nasconderlo agli altri. Non potevo, e non volevo, quella sera, inventare l’ennesima scusa per sfuggire alle domande di Artù.

Dopo un tempo infinito, il sonno mi concesse la sua grazia. Quella sarebbe stata una notte di incubi terribili, ne ero certa.

••••

Non riesco a capire se sto sognando, o più semplicemente Gaius ha scambiato la camomilla della mia tisana con qualche strano allucinogeno.

Bucaneve, camelie, girasoli e margherite punteggiano un prato verde smeraldo in lontananza di un’infinità di splendide tonalità. Mi trovo su un ponte ai cui piedi sgorga un ruscello ricco di ninfee e giacinti d’acqua, il cielo risplende in esso di una tonalità di azzurro sgargiante, il sole alto nel cielo bacia il mio viso. Il cinguettio degli uccelli che spensieratamente volano verso i paesi più caldi, in vista della fredda stagione, mi fa sorridere. E da tempo immemore che non mi sento in questo modo: leggera, felice, spensierata. Mi sembra di essere tornata addirittura un po’ bambina, mentre attraverso il ponte, scalcio via le scarpe e a piedi nudi cammino tra i fiori; mi alzo con le mani il vestito, che mi arriva fino ai piedi, e i fusti sottili ma resistenti dei fiori mi solleticano le gambe. Sorrido, sorrido come non mai e scuoto i capelli in aria, reclinando il capo all’indietro. Socchiudo gli occhi e mi godo quella sensazione incredibile e quel lieve e fresco vento che mi stuzzica la pelle ma non mi infastidisce.

Riapro gli occhi e il mio cuore sembra fermarsi perdendo un battito. La lingua si salda contro il palato e per poco non cado sul manto erboso ai miei piedi. Poi il cuore si riprende e accelera con vigore sempre più forte.

Sistole e diastole in perfetta sincronia. Il cuore sospinge il sangue come non mai a tutto il corpo, e mi sembra di essere tornata finalmente viva.

Non riesco a capire se sto sognando, tutto sembra così reale che il dubbio che stia succedendo tutto per davvero s’insinua con forza dentro di me. Sogno o no, non posso credere ai miei occhi. Lui è distante una decina di metri da me, l’erba e i fusti alti dei fiori gli ricoprono fino a metà la coscia. E’ vestito di bianco; leggeri pantaloni e una blusa, che ricopre le sue spalle muscolose e rilassate. Rimango attonita a fissarlo mentre si avvicina a me, tranquillo e sorridente.

I suoi occhi. Mi ero dimenticata quanto potessero essere luminosi. Il suo sorriso è lo stesso di sempre, radioso ed elegante, e ancora una volta... rivolto a me.

Piango, ma la composizione delle mie lacrime è diversa dalle tante altre versate fino a questo momento. Piango di gioia e incredulità, piango perché sono quasi certa di star sognando, ma non vorrei mai risvegliarmi. Vorrei che il tempo si fermasse in questo perfetto istante. Tremo e piango, e ad ogni passo in meno che ci divide, sento la consapevolezza della vita che mi pulsa la carne. Ogni passo in meno che ci divide è un tassello della mia anima che torna a casa, è il filo rosso del destino che torna a legare le nostre vite; sfilacciato, annodato, maltrattato, ma resistente. Ne abbiamo passate tante, molte volte quel filo sembrava indebolirsi e cedere a forze immani, ma tutt’ora è inalterabile, così come i nostri sentimenti. Torniamo a essere solo noi. Lancillotto e Ginevra.

“Pensavo che i nostri giorni sarebbero  
durati per sempre, ma non era il nostro destino.                                 
Perché nella mia mente avevamo così tanto tempo.
Ma mi sono sbagliata.”

A pochi passi da me ti fermi, mi sorridi e i tuoi occhi brillano.
‹‹Sei qui...›› riesco solo a dire. Le vene del collo e i polsi mi pulsano violentemente contro la pelle.
‹‹Sono qui! ›› sussurri, guardandomi incredulo a tua volta e annuendo. Eppure anche nella tua voce mi sembra di percepire una sottile, ma intensa, sfumatura di panico e gioia.

La distanza effimera che ci divide brucia assurdamente i palmi delle mie mani. Potrei semplicemente allungare il braccio, senza troppo sforzo, guidata dall’istinto, e sfiorarti una guancia, per poi ripercorrere la linea sottile della mascella e scendere lungo il collo, ascoltando sulla mia pelle il battito del tuo cuore che pulsa in sincronia perfetta al mio.

Probabilmente capisci il mio tormento, e decidi di porvi fine. Con un altro passo annulli la distanza tra di noi e la nostra pelle ritorna a toccarsi. Le cellule del nostro corpo si attraggono reciprocamente e sembrano incendiarsi. Le tue mani si appoggiano ai miei fianchi, cingendoli con delicatezza. Allunghi la tua mano verso il mio viso e catturi con un dito lungo e affusolato una mia lacrima. Mi accarezzi lo zigomo e mi porti un ricciolo scuro e ribelle dietro l’orecchio. Blocco la tua mano con la mia, chiudo gli occhi e mi perdo in questo momento. Le nostre mani s’intrecciano l’una con l’altra, e sembrano state create a questo scopo fin dal principio.

‹‹I miei ricordi non ti rendevano giustizia.›› soffi dolcemente queste parole sul mio viso.
‹‹Sto sognando?›› chiedo timorosa, e commossa, stringendo ancora di più la presa delle sue mani per smorzare la tensione.
‹‹Ci crederesti se ti dicessi che non stai sognando? Che io sono davvero qui, di fronte a te, in carne e ossa? Che le mani che ti sfiorano non sono un’illusione, ma una concreta realtà?››
‹‹Ma come può essere possibile?›› chiedo confusa.
‹‹E’ chiaro che qualcuno ha pensato bene che noi meritassimo questo. Non c’è molto tempo in realtà. Il sole presto sorgerà nella tua dimensione e i nostri mondi non potranno più toccarsi...›› avvicini il tuo viso al mio e le nostre fronti si sfiorano.
‹‹...Sono qui per parlarti, Gwen››.
‹‹Di cosa?›› chiedo totalmente persa in questo momento. Ti lascerei parlare per un’eternità intera, starei ad ascoltarti in ogni momento della mia esistenza.
‹‹Guardati intorno. Io sto bene, ma possiamo dire lo stesso di te? Non sono pentito di ciò che ho fatto. Tu non sei la mia disgrazia, Gwen, sei la mia salvezza, e sempre lo sei stata.››
‹‹Non mentirmi...›› abbasso lo sguardo non riuscendo a sostenere le sue convinzioni. Continuo a torturarmi e annegare in un mare di colpe.
‹‹Guardami...›› mi implori, ‹‹... ti prego.›› La tua mano raggiunge il mio mento e le nostre pupille ritornano a specchiarsi l’una nell’altra.
‹‹Non avevo mai conosciuto nessuna come te, non credevo possibile per me poter incontrare una persona del genere. Ne ero certo, e poi sei piombata nella mia vita come una luce bellissima. La mia esistenza prima di te non aveva una meta, era un rincorrersi confuso d’illusioni. Ero un vagabondo, non conoscevo nessun luogo come “casa”, e poi sei arrivata tu...›› mi sorridi e mi mozzi il fiato, un brivido mi percorre la schiena mentre mi accarezzi il palmo della mano.
‹‹Ti ho osservato a lungo da quassù, sai? Sei una leonessa fiera e forte, ma ti stai macchiando di colpe che non hai, e stai soffocando ogni giorno di più la tua vita, quasi come a punirti. Non devi. Sei una bellissima persona, sei buona anche con chi non merita, sei gentile e nobile d’animo e... sei la regina che Camelot ha sempre desiderato.›› mi esorta lui, tentando di convincermi. ‹‹La regina che ho sempre visto in te, fin dal nostro primo incontro››.
‹‹...ti ho chiesto di proteggere Artù, io ti ho implorato di riportarlo a casa, da me, ad ogni costo. Non ho pensato al rischio che correvi. Ho ragionato da egoista››

‹‹Sarebbe comunque andata così, e adesso ci troveremo in ogni caso sempre qui.››

“Adesso possp crederci.                                                                                      
Posso ancora trovare la forza 
nei momenti che abbiamo passato.                                           
Sto guardando indietro verso ieri.”

‹‹Ma io anche in questo momento sono divisa in due parti.›› replico, ammettendo la mia colpa maggiore. ‹‹Una parte di me prova rimorso per ciò che è successo... l’altra invece pensa a come mi sarei sentita altrettanto male... se al tuo posto Artù avesse attraversato il velo, se fosse stato lui a sacrificarsi.›› Se formulare quel pensiero mi faceva sentire meschina e obbietta, pronunciarlo e ascoltarlo era anche peggio.

‹‹Tu lo ami...›› bisbigli consapevole, di rimando. ‹‹... e ami anche me. Ciò non rende te una persona ignobile, Gwen. Tu stessa saresti disposta a sacrificarti altre mille volte per salvare sia la mia vita, sia quella di Artù, ne sono certo. Non sei sbagliata, sei la persona più umana che io abbia mai conosciuto.››

‹‹Avrei dovuto salvarti..›› biascico, esausta. ‹‹Mi hai salvato amandomi. Adesso tocca a me salvare te. Permettimi di salvarti, Gwen››.

In un attimo annulli ogni distanza tra noi. Le tue labbra si posano sulle mie, e con uno strappo al centro del petto mi sento trasportata via. Stringo la presa delle tue spalle, la tua mano, faccio aderire ancora di più le mie labbra alle tue. Non ho paura. Sei qui accanto a me per davvero, ne sono sicura. Le tue labbra assorbono ogni mia paura, ogni mio rimpianto. Danno un senso al dolore, e mi fanno rinascere per la seconda volta.

‹‹Ti amo›› riesci a sussurrarmi, prima che io vada via. ‹‹Ringrazia Merlino da parte mia.››

 

Le palpebre ancora pesano gravemente ma riprendo conoscenza. Continuo a sentire un profumo di fiori, e mi chiedo se non sia ancora la mia suggestione, prima di rendermi conto di un petalo che mi sfiora il braccio. Mi alzo lentamente col busto all’insù e mi rendo conto di esserne ricoperta. Arthur dorme al mio fianco come un ghiro, la bocca spalancata e ciuffi di capelli disordinati gli ricadono sulla fronte accarezzandola. Ha un’aria innocente da bambino. Sorrido e non sento la mascella scricchiolarmi per lo sforzo. Sto sorridendo davvero, genuinamente. Il cuore è tornato leggero, e il sangue che mette in circolo nei mie vasi sanguigni, è carico di consapevolezza e pace. La consapevolezza di aver amato entrambi adesso non mi sembra un reato imperdonabile. Entrambi mi hanno reso la donna che sono, e amarli mi ha donato quanto di più grande al mondo ci possa essere. L'amore non può, e non deve, essere considerato un reato, adesso me ne rendo conto. Mi alzo con uno scappo fulmineo dal letto, afferro la vestaglia ed esco dalla camera. Corro in direzione della torre di vedetta, quasi senza rendermi conto dei mie passi. Senza neanche chiedermi cosa ci facciano due guardie abbracciate e dormienti come due bimbi stesi a terra. Supero venti gradini, poi trenta, quaranta. Non mi stanco, corro come se una molla mi cingesse la vita e mi tirasse verso una sola direzione. Finalmente arrivo. Esco all’aria fresca, mi stringo nella vestaglia. Merlino è di spalle, con il viso abbassato e le mani indaffarate. Ai suoi piedi distinguo pezzi dell’armatura di Artù, e capisco che li sta lucidando. Mi avvicino lentamente e appoggio la mia mano alle sue spalle.

‹‹Grazie››. Dico sommessamente. Lui si gira ruotando su se stesso e mi guarda sorpreso e un po’ impaurito.
‹‹Grazie... d-di che c-osa?›› balbetta nervosamente.
‹‹Lo sai!.›› continuo sicura, sorridendo. ‹‹Grazie per avermi dato questa possibilità.››

Faccio un passo avanti e lo abbraccio. ‹‹Il tuo segreto con me è al sicuro, e ti aiuterò a farlo capire ad Arthur, te lo prometto.›› Sento la sua risata nelle orecchie, incredula, felice.
Ancora stretta a lui, alzo il capo verso il cielo.
La luna è tornata, e riflette obliquamente la sua luce candida su di noi.
E’ piena. Illumina il mio cuore, di nuovo sano, a ogni respiro. E nella sua immensità mi sembra di poter distinguere il suo viso.

Il suo bacio mi ha fatto nascere una seconda volta.                
Lì tra quelle stelle ce n’è una che brilla più di tutte.
Sono certa che da lassù stai sorridendo insieme a noi.    
E posso solo immaginare quanto sia bello il tuo sorriso, angelo mio.

   
 
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