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Autore: Dem_One    06/04/2012    1 recensioni
Per Mark è davvero un giorno importante: l'esame di maturità. Sembra tutto normale, ma non lo è.
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il solito suono acuto e sgradevole della sveglia destò Mark. Quella non era una giornata come tutte le altre, forse era una di quelle più importanti della sua vita: finalmente il ragazzo avrebbe potuto ottenere il diploma di maturità. Mark si era preparato a lungo per quel momento, studiando molto intensamente per giorni e giorni, e alla fine il momento era giunto. Si spogliò del pigiama verde scuro e andò in bagno a lavarsi prima di fare colazione; sentiva già la madre in cucina che scaldava la sua tazza di latte nel microonde. –Promessi sposi, Manzoni, peste… Seconda guerra mondiale, Hitler, Mussolini, bomba atomica…- Mark adorava ripassare mentalmente i macro-argomenti che avrebbe dovuto esporre poco prima di qualsiasi interrogazione, specialmente in quel giorno in cui avrebbe sostenuto l’esame finale. Appena ebbe finito in bagno, tornò in camera sua per vestirsi: in occasione del grande evento, scelse una camicia bianca con una cravatta nera, un paio di jeans scuri e delle scarpe bianche e blu di una famosa marca. –Sono davvero elegante. Magari mi alza un po’ il voto.- pensava il ragazzo tutto soddisfatto mentre si sistemava il nodo della cravatta.
Prese il suo cellulare, lo accese, e indossò l’orologio che gli aveva regalato il nonno morto pochi mesi prima; si diresse in cucina e cominciò a versare i cereali nel latte bollente. –Einstein, relatività generale, moto uniformemente accelerato, bomba atomica… Sangue, piastrine, globuli bianchi… Porca put… > Una grossa goccia di latte cadde sui pantaloni di Mark, facendogli saltare i nervi. Bevve velocemente quello che rimaneva nella tazza e corse in bagno; gettò i jeans sporchi nel cesto degli indumenti da lavare e corse in camera a prenderne un altro paio. -Fortunatamente ne ho un altro paio quasi uguali. Lo sapevo che dovevo cambiarmi dopo aver mangiato!-
Si lavò i denti e prima di uscire di casa gridò un bel ‘Ciao mamma!’. Prima di chiudere la porta, però, Mark sentì la madre piangere e riuscì a percepire qualche parola tra i singhiozzi: -… l’ho fatto ancora, nonostante lui non…-. Il ragazzo corse di nuovo in casa per capire almeno la causa dell’infelicità di Sally, ma l’orario non glielo permetteva: mancava poco meno di un’ora all’inizio del suo esame. –Mi dispiace, ma non ho proprio tempo. Quando tornerò sarà più felice.- Furioso, Mark si avviò verso il suo liceo in via Golfetta che distava circa un chilometro da casa.
Appena svoltato l’angolo, il ragazzo si trovò davanti agli occhi uno spettacolo mai visto: nonostante fossero le sette meno dieci di mattina, la strada era piena di gente sconosciuta che camminava veloce. Mark rimase un intero minuto a osservare la scena, come se si fosse trovato davanti a un bellissimo quadro che non aveva mai visto prima. –Mi scusi, dove sta andando? Non l’ho mai vista qui prima- chiese alla prima persona che incrociò con lo sguardo. L’uomo era vesto con un abito lungo e nero e indossava un grosso cappello a cilindro. -Vado al mio Posto, e dove se no?- rispose stupito come se quella fosse la domanda più sciocca al mondo. –E ora se non ti dispiace, ho fretta.-
Mark era davvero sconvolto, non riusciva proprio a capire da dove fosse comparsa tutta quella folla di stranieri. –Sicuramente oggi c’è qualche particolare festa in paese, non trovo altra spiegazione.-
Quando fu nei pressi della sua scuola fu completamente persuaso dal suo pensiero, e tornò calmo e concentrato come lo era dieci minuti prima. Sulla soglia dell’atrio del liceo, Mark notò nel parco lì accanto un venditore di gelati con un bel sorriso raggiante. –Strano!- pensò il ragazzo. –Mi sembra di averlo già visto da qualche parte.-
Determinato più che mai, Mark entrò in classe, ma ad attenderlo c’era soltanto un professore che per giunta non conosceva affatto: -Chi è lei? Dovrebbero esserci le sessioni dell’esame. Dove sono tutti gli altri professori?- chiese il ragazzo incuriosito. L’uomo era anziano, con pochi capelli bianchi e un paio di occhiali molto spessi. –Io sono al mio Posto, e ti assicuro che oggi non c’è nessun esame.- rispose con tutta la calma di questo mondo. –Davvero? E gli altri?- chiese Mark che ormai si stava anche un po’ scocciando. Il vecchio professore rise di gusto: -Qui sono solo, d’altro canto questo è il mio Posto.- Infastidito, il ragazzo uscì dall’aula sbattendo la porta, e andò alla ricerca di qualcun altro a cui chiedere spiegazioni.
Più camminava per il liceo e più si rendeva conto che l’edificio era completamente deserto. Improvvisamente scorse in lontananza un uomo, forse un bidello: -Mi scusi!- gridò il ragazzo –Per favore mi può dire perché non c’è anima viva in giro?- Pian piano l’uomo si avvicinò, portando con sé uno spazzolone per pulire e una scopa vecchia almeno cent’anni. Squadrò il giovane da cima a fondo e dopo una decina di secondi cominciò a parlare: -Qui ci siamo io, il professore della quinta F e Laura al piano di sopra. Nessun altro.- Mark indietreggiò, tenendo sempre lo sguardo fisso sull’uomo: -È uno scherzo. È tutto falso. Ora mi sveglio!- Dopo aver distaccato il bidello di un paio di metri, il ragazzo gli rivolse la schiena e corse velocemente fuori dalla scuola, bagnando così tanto la camicia bianca di sudore, che sembrava avesse appena fatto una doccia.
Una volta all’esterno dell’edificio, Mark riprese fiato, mentre l’uomo dei gelati gli si era avvicinato: -Ciao Mark, dove vai? Vai al tuo Posto?- Il ragazzo credette di impazzire e, senza accorgersene, aveva cominciato a piangere: -Come mi conosci? E cos’è questo Posto?!-
Con mille pensieri che si contorcevano nella sua testa come un covo di serpenti, Mark si mise a correre verso il fiume, dove solitamente si recava tutte le volte che voleva stare da solo e in pace. L’acqua scorreva pura e cristallina come in ogni singola giornata dell’anno e la brezza estiva rendeva l’aria fresca e frizzante.
Il ragazzo si sdraiò all’ombra di un grosso salice che lasciava cadere nel fiume i suoi rami, disegnando piccoli solchi nell’acqua azzurra. –Adesso torno a casa, e la mamma mi dirà che mi sono sbagliato giorno, e che l’esame è domattina.-
Mark si alzò dal prato con la camicia che ormai aveva tre strisce verdi lungo tutta la schiena; a passi lenti percorse una parte di fiume, fino ad arrivare al cimitero vicino casa sua.
In piedi, in mezzo al camposanto, c’era un uomo giovane, al massimo di trent’anni, che guardava fisso una lapide. Mark gli si avvicinò, spinto dal sentimento che li accomunava per aver perso qualcuno di importante. –Mi scusi, a chi sta rendendo omaggio, se mi è concesso saperlo?- L’uomo, contrariamente a ciò che Mark si sarebbe aspettato, si girò con un grosso sorriso stampato sulle labbra, come se quella fosse stata una gita di piacere. –Oh, ma questa è la… Ma piuttosto, tu cosa ci fai qui così giovane? Mi dispiace molto!- rispose con una voce chiara e cristallina –Si figuri, è per mio nonno. Sa, se ne è andato più o meno un mese fa.- -Ah, ma allora non sai nulla.- Improvvisamente l’uomo si fece scuro in volto: -questo non è il tuo Posto, vero?- Ormai Mark aveva esaurito tutta la pazienza, ed esplose come un vulcano in eruzione: -Basta, non ne posso più! È tutto il giorno che mi ripetono di ‘questo Posto!’ Almeno lei, me lo spieghi!-
Il viso di Stephen da radioso com’era si fece incredibilmente triste, come quando un fiore perde lentamente i suoi petali prima di morire. –Se vuoi sapere come stanno le cose, vieni con me.- disse sconsolato.
Mark, rassegnato, decise di seguire Stephen attraverso il cimitero: inspiegabilmente quell’uomo gli ispirava fiducia.
-Allora, immagino che oggi non hai visto nessuno che conosci, giusto?- chiese l’uomo –Vero! Ma come fa a saperlo?- rispose il giovane. –È sempre così la prima volta, si è confusi.-
Dopo un paio di minuti di silenzio, Stephen riprese a parlare con il tono di voce sempre più basso e triste: -Per caso hai visto tua madre o tuo padre stamattina?- Il cuore di Mark ebbe un sussulto: -No, ma ho sentito la mamma in camera sua.- L’uomo stava piangendo: -Quando si è legati a una persona si possono ancora sentire le sue parole. È una regola. Oh Becky, la tua voce per me è una gioia e un tormento allo stesso tempo!-
Il ragazzo non capiva più nulla: -Cosa significa tutto ciò? Chi è Becky? Cos’è la ‘regola’? urlò a squarcia gola. -È sempre orribile dare questo tipo di notizie, specialmente a un ragazzino.- rispose Stephen.
Ormai l’uomo aveva il volto tra le mani, e le sue parole erano difficili da comprendere tra le lacrime incessanti: -Oggi magari hai incontrato qualcuno che hai perso tempo fa.- Un flash apparve nella testa di Mark: quella mattina, il gelataio che aveva visto era suo nonno da giovane. Il ragazzo cominciò a capire quello che gli stava accadendo, mentre piccole lacrime iniziavano a scorrergli lungo le guance rosse. –Non è vero, è un incubo! Ora mi sveglio!- urlò con tutto il fiato che aveva in gola, come se ciò servisse a convincerlo delle sue stesse parole, e a destarlo da quell’orribile sogno.
L’uomo, con il braccio tremante, indicò una lapide, e fece cenno a Mark di andarle vicino. Appena il ragazzo si accostò alla pietra grigia, e lesse il nome che vi era inciso, le gambe gli cedettero e cadde a terra, come se qualcuno gliele avesse brutalmente spezzate.
Mark Rockfet era morto il giorno prima.

 

 

Commento dell’autore: tutto è nato da una frase di un film o cartone (non ricordo) che mi è stata ripetuta da un amico: -E se domani mi svegliassi morto?-

  
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