Il solito suono acuto e
sgradevole della sveglia destò
Mark. Quella non era una giornata come tutte le altre, forse era una di
quelle
più importanti della sua vita: finalmente il ragazzo avrebbe
potuto ottenere il
diploma di maturità. Mark si era preparato a lungo per quel
momento, studiando
molto intensamente per giorni e giorni, e alla fine il momento era
giunto. Si
spogliò del pigiama verde scuro e andò in bagno a
lavarsi prima di fare
colazione; sentiva già la madre in cucina che scaldava la
sua tazza di latte
nel microonde. –Promessi sposi, Manzoni, peste…
Seconda guerra mondiale, Hitler,
Mussolini, bomba atomica…- Mark adorava ripassare
mentalmente i macro-argomenti
che avrebbe dovuto esporre poco prima di qualsiasi interrogazione,
specialmente
in quel giorno in cui avrebbe sostenuto l’esame finale.
Appena ebbe finito in
bagno, tornò in camera sua per vestirsi: in occasione del
grande evento, scelse
una camicia bianca con una cravatta nera, un paio di jeans scuri e
delle scarpe
bianche e blu di una famosa marca. –Sono davvero elegante.
Magari mi alza un po’
il voto.- pensava il ragazzo tutto soddisfatto mentre si sistemava il
nodo
della cravatta.
Prese il suo cellulare, lo accese, e indossò
l’orologio
che gli aveva regalato il nonno morto pochi mesi prima; si diresse in
cucina e
cominciò a versare i cereali nel latte bollente.
–Einstein, relatività
generale, moto uniformemente accelerato, bomba atomica…
Sangue, piastrine,
globuli bianchi… Porca put… > Una grossa
goccia di latte cadde sui pantaloni
di Mark, facendogli saltare i nervi. Bevve velocemente quello che
rimaneva
nella tazza e corse in bagno; gettò i jeans sporchi nel
cesto degli indumenti
da lavare e corse in camera a prenderne un altro paio. -Fortunatamente
ne ho un
altro paio quasi uguali. Lo sapevo che dovevo cambiarmi dopo aver
mangiato!-
Si lavò i denti e prima di uscire di casa gridò
un bel
‘Ciao mamma!’. Prima di chiudere la porta,
però, Mark sentì la madre piangere e
riuscì a percepire qualche parola tra i singhiozzi:
-… l’ho fatto ancora,
nonostante lui non…-. Il ragazzo corse di nuovo in casa per
capire almeno la
causa dell’infelicità di Sally, ma
l’orario non glielo permetteva: mancava poco
meno di un’ora all’inizio del suo esame.
–Mi dispiace, ma non ho proprio tempo.
Quando tornerò sarà più felice.-
Furioso, Mark si avviò verso il suo liceo in
via Golfetta che distava circa un chilometro da casa.
Appena svoltato l’angolo, il ragazzo si trovò
davanti
agli occhi uno spettacolo mai visto: nonostante fossero le sette meno
dieci di
mattina, la strada era piena di gente sconosciuta che camminava veloce.
Mark
rimase un intero minuto a osservare la scena, come se si fosse trovato
davanti
a un bellissimo quadro che non aveva mai visto prima. –Mi
scusi, dove sta
andando? Non l’ho mai vista qui prima- chiese alla prima
persona che incrociò
con lo sguardo. L’uomo era vesto con un abito lungo e nero e
indossava un
grosso cappello a cilindro. -Vado al mio Posto, e dove se no?- rispose
stupito
come se quella fosse la domanda più sciocca al mondo.
–E ora se non ti
dispiace, ho fretta.-
Mark era davvero sconvolto, non riusciva proprio a capire
da dove fosse comparsa tutta quella folla di stranieri.
–Sicuramente oggi c’è
qualche particolare festa in paese, non trovo altra spiegazione.-
Quando fu nei pressi della sua scuola fu completamente
persuaso dal suo pensiero, e tornò calmo e concentrato come
lo era dieci minuti
prima. Sulla soglia dell’atrio del liceo, Mark
notò nel parco lì accanto un
venditore di gelati con un bel sorriso raggiante. –Strano!-
pensò il ragazzo. –Mi
sembra di averlo già visto da qualche parte.-
Determinato più che mai, Mark entrò in classe, ma
ad
attenderlo c’era soltanto un professore che per giunta non
conosceva affatto:
-Chi è lei? Dovrebbero esserci le sessioni
dell’esame. Dove sono tutti gli
altri professori?- chiese il ragazzo incuriosito. L’uomo era
anziano, con pochi
capelli bianchi e un paio di occhiali molto spessi. –Io sono
al mio Posto, e ti
assicuro che oggi non c’è nessun esame.- rispose
con tutta la calma di questo
mondo. –Davvero? E gli altri?- chiese Mark che ormai si stava
anche un po’
scocciando. Il vecchio professore rise di gusto: -Qui sono solo,
d’altro canto
questo è il mio Posto.- Infastidito, il ragazzo
uscì dall’aula sbattendo la
porta, e andò alla ricerca di qualcun altro a cui chiedere
spiegazioni.
Più camminava per il liceo e più si rendeva conto
che l’edificio
era completamente deserto. Improvvisamente scorse in lontananza un
uomo, forse
un bidello: -Mi scusi!- gridò il ragazzo –Per
favore mi può dire perché non
c’è
anima viva in giro?- Pian piano l’uomo si
avvicinò, portando con sé uno
spazzolone per pulire e una scopa vecchia almeno cent’anni.
Squadrò il giovane
da cima a fondo e dopo una decina di secondi cominciò a
parlare: -Qui ci siamo
io, il professore della quinta F e Laura al piano di sopra. Nessun
altro.- Mark
indietreggiò, tenendo sempre lo sguardo fisso
sull’uomo: -È uno scherzo. È
tutto falso. Ora mi sveglio!- Dopo aver distaccato il bidello di un
paio di
metri, il ragazzo gli rivolse la schiena e corse velocemente fuori
dalla
scuola, bagnando così tanto la camicia bianca di sudore, che
sembrava avesse
appena fatto una doccia.
Una volta all’esterno dell’edificio, Mark riprese
fiato,
mentre l’uomo dei gelati gli si era avvicinato: -Ciao Mark,
dove vai? Vai al
tuo Posto?- Il ragazzo credette di impazzire e, senza accorgersene,
aveva
cominciato a piangere: -Come mi conosci? E cos’è
questo Posto?!-
Con mille pensieri che si contorcevano nella sua testa
come un covo di serpenti, Mark si mise a correre verso il fiume, dove
solitamente si recava tutte le volte che voleva stare da solo e in
pace. L’acqua
scorreva pura e cristallina come in ogni singola giornata
dell’anno e la brezza
estiva rendeva l’aria fresca e frizzante.
Il ragazzo si sdraiò all’ombra di un grosso salice
che
lasciava cadere nel fiume i suoi rami, disegnando piccoli solchi
nell’acqua
azzurra. –Adesso torno a casa, e la mamma mi dirà
che mi sono sbagliato giorno,
e che l’esame è domattina.-
Mark si alzò dal prato con la camicia che ormai aveva tre
strisce verdi lungo tutta la schiena; a passi lenti percorse una parte
di
fiume, fino ad arrivare al cimitero vicino casa sua.
In piedi, in mezzo al camposanto, c’era un uomo giovane,
al massimo di trent’anni, che guardava fisso una lapide. Mark
gli si avvicinò,
spinto dal sentimento che li accomunava per aver perso qualcuno di
importante. –Mi
scusi, a chi sta rendendo omaggio, se mi è concesso
saperlo?- L’uomo,
contrariamente a ciò che Mark si sarebbe aspettato, si
girò con un grosso
sorriso stampato sulle labbra, come se quella fosse stata una gita di
piacere. –Oh,
ma questa è la… Ma piuttosto, tu cosa ci fai qui
così giovane? Mi dispiace
molto!- rispose con una voce chiara e cristallina –Si figuri,
è per mio nonno. Sa,
se ne è andato più o meno un mese fa.- -Ah, ma
allora non sai nulla.-
Improvvisamente l’uomo si fece scuro in volto: -questo non
è il tuo Posto,
vero?- Ormai Mark aveva esaurito tutta la pazienza, ed esplose come un
vulcano
in eruzione: -Basta, non ne posso più! È tutto il
giorno che mi ripetono di ‘questo
Posto!’ Almeno lei, me lo spieghi!-
Il viso di Stephen da radioso com’era si fece
incredibilmente triste, come quando un fiore perde lentamente i suoi
petali
prima di morire. –Se vuoi sapere come stanno le cose, vieni
con me.- disse
sconsolato.
Mark, rassegnato, decise di seguire Stephen attraverso il
cimitero: inspiegabilmente quell’uomo gli ispirava fiducia.
-Allora, immagino che oggi non hai visto nessuno che conosci,
giusto?- chiese l’uomo –Vero! Ma come fa a
saperlo?- rispose il giovane. –È sempre
così la prima volta, si è confusi.-
Dopo un paio di minuti di silenzio, Stephen riprese a
parlare con il tono di voce sempre più basso e triste: -Per
caso hai visto tua
madre o tuo padre stamattina?- Il cuore di Mark ebbe un sussulto: -No,
ma ho
sentito la mamma in camera sua.- L’uomo stava piangendo:
-Quando si è legati a
una persona si possono ancora sentire le sue parole. È una
regola. Oh Becky, la
tua voce per me è una gioia e un tormento allo stesso
tempo!-
Il ragazzo non capiva più nulla: -Cosa significa tutto
ciò? Chi è Becky? Cos’è la
‘regola’? urlò a squarcia gola.
-È sempre orribile
dare questo tipo di notizie, specialmente a un ragazzino.- rispose
Stephen.
Ormai l’uomo aveva il volto tra le mani, e le sue parole
erano difficili da comprendere tra le lacrime incessanti: -Oggi magari
hai
incontrato qualcuno che hai perso tempo fa.- Un flash apparve nella
testa di
Mark: quella mattina, il gelataio che aveva visto era suo nonno da
giovane. Il
ragazzo cominciò a capire quello che gli stava accadendo,
mentre piccole
lacrime iniziavano a scorrergli lungo le guance rosse. –Non
è vero, è un incubo!
Ora mi sveglio!- urlò con tutto il fiato che aveva in gola,
come se ciò
servisse a convincerlo delle sue stesse parole, e a destarlo da
quell’orribile sogno.
L’uomo, con il braccio tremante, indicò una
lapide, e
fece cenno a Mark di andarle vicino. Appena il ragazzo si
accostò alla pietra
grigia, e lesse il nome che vi era inciso, le gambe gli cedettero e
cadde a
terra, come se qualcuno gliele avesse brutalmente spezzate.
Mark Rockfet era morto il giorno prima.
Commento
dell’autore: tutto è nato da una frase di un
film o cartone (non ricordo) che mi è stata ripetuta da un
amico: -E se domani
mi svegliassi morto?-