- gli scheletri della pioggia -
Ho obliato il decadere delle mie dita,
divaricate come lettere,
voli affranti e nastri che
confezionavano tombe delle nostre vita,
mortificata, ella, dal moto dei nostri battiti,
ricadeva, piccola belva, aggraziata fiera,
in merletti d'urli per vestire la sera.
Giacché ti rincorrevo, mio principe,
sfuggevole come il veleno che addolciva
le tue vene, per imbrogliare il destino
di una caduta, ai malleoli della nostra morte
perduta, seppur effimera,
e sottile osava specchiare
il nostro tremar gentile.
Ma le ortensie, le ortensie? Mio principe,
dove sono finite le ortensie? Se esiste una fine
per il vento che deturpa gli scheletri della pioggia,
è solo la rugiada a chiamarmi amore.
Ma le forbici, allora, le forbici?
Dove sono finite le forbici
con cui tagliavi le mie rose?
Dove sono finite, quelle?
Eppure non serbavi abbastanza mani
Maledetto io, e le spine delle frasi
a rischiararne il candore,
è caduto il fulcro del tuo sapore
è addormentato il brivido del dolore.