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Autore: controcorrente    12/04/2012    8 recensioni
Prima classificata al cntest indetto da veroni90 sul forum di Efp e valutato da (Gaea), "Al di là di quel tempo che fu]Una mamma dà alla figlia dei consigli su come gestire la propria vita matrimoniale, raccontandole la propria esperienza, di come l’astuzia possa essere, a volte un’alleata per riuscire ad avere la meglio sulle disavventure nuziali.
p.s. Mi sono ispirata all'italiano del rinascimento, quindi certe espressioni possono sembrare strane ma servono a rendere bene l'idea del linguaggio dell'epoca.
Genere: Generale, Satirico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Nickname( forum, efp) : cicina., cicina
 
Titolo : Di necessità, virtù
 
Epoca : Epoca rinascimentale
 
Rating : giallo
 
Avvertimenti : Het, One Shot
 
Prompt usati : Palazzo Medici, tradimento
 
Note : Una mamma dà alla figlia dei consigli su come gestire la propria vita matrimoniale, raccontandole la propria esperienza, di come l’astuzia possa essere, a volte un’alleata per riuscire ad avere la meglio sulle disavventure nuziali.
 
 
DI NECESSITA’, VIRTU’
 
Fine XV secolo  epistolario anonimo
 
 
Acciòcche la cosa non vi affligga troppo, mia amatissima Lucrezia, vorrei precisare che  voi e vostro fratello Alessandro siete stato il dono che Dio e la Virtù mi hanno concesso, con estrema fatica ed abnegazione, e che quanto leggerete, costituisce un segreto che io e, forse, Messer Duccio, custodiamo con estrema cura.
Eppure, ora che quest’ultimo ha lasciato questo mondo e che io, data la salute malferma a me concessa, ho pensiero che presto lo raggiungerò, desidero parlarvi con franchezza di un fatto avvenuto durante il mio matrimonio. Ho timore però che, nel momento in cui verrete a conoscenza di siffatta vicenda, il vostro animo non mostrerà la medesima accondiscendenza finora concessami, sebbene in niuna occasione abbia mai dato prova di scostumatezza o falso pudore.  Abbiate però la benevolenza di credere che ho agito in buona fede, senza alcuna malizia.
La ragione per cui vi parlo in tale misura riguarda la nascita vostra e di Alessandro, un evento così miracoloso che persino Messer Duccio, mio sposo e involontario artefice delle nostre fortune, non ha mai smesso di benedire come cosa lieta.
Ed io non posso che essergli grata.
Poche mogli hanno la fortuna di avere un marito tanto accorto ed assennato.
Quarant’ anni fa, come ben saprai, sposai tuo padre, Messer Duccio Albizzi. A costo di essere tacciata di superbia, ero una delle più belle fanciulle di Fiesole, nonché una delle più istruite…anche se il mio sesso mi impediva di poter accedere ad una carriera votata al sapere. La mia famiglia di origine, a causa di una serie di sciagurate scelte, di alleanze sbagliate e di calamità impreviste, aveva perso molti dei suoi possedimenti. Cosa che spinse mio padre, ovvero tuo nonno, a lasciare quella splendida città per ritirarsi nei suoi possedimenti di Volterra, dove riusciva a trarre delle ricchezze, grazie alla proprietà di alcune saline.
Ho trascorso pochi anni in quelle lande brulle e desolate ma confesso di aver avuto comunque tutto il tempo per odiarle e disprezzarle.
La malaria e la lontananza dalle feste che, nel periodo di carnevale, avevano reso la mia cara Fiesole un luogo piacevole, erano un pensiero quanto mai fastidioso che mi riempiva di nostalgia.
Non vi erano svaghi degni di nota e le malattie di quella zona ricca e malsana avevano falcidiato molti membri della mia famiglia. Eppure, malgrado le difficoltà economiche, divenni la moglie di Messer Duccio Albizzi, figlio del vecchio Arriguccio Albizzi.
Furono i tuoi nonni a combinare le nozze.
La ricchezza che avrebbe portato questa alleanza e la leggiadria del mio aspetto avevano alimentato notevoli speranze. Nessuno dubitava che presto avrei dato un erede alla famiglia, permettendone la prosecuzione…nessuno, tranne vostro padre ovviamente.
Lo scoprii a mie spese, dopo il primo anno di matrimonio.
Messer Duccio non adempiva ai propri obblighi matrimoniali con la dovuta solerzia e, quando lo faceva, eseguiva il compito con estrema indolenza per parte sua…e con dispiacere da parte mia. Mi auguro che il vostro consorte sia all’altezza dei propri doveri, poiché ciò costituisce la massima rassicurazione per noi donne; qualora, invece, egli sia inetto o, peggio ancora, vi batta eccessivamente, custodite tale consiglio con estrema cura.
Come vi stavo raccontando, Messer Duccio, l’uomo che voi riconoscete come padre (poiché tale è, almeno in termini di legge) non nutriva desiderio per me. Poche volte frequentava il mio letto, preferendo la compagnia dei garzoni e la caccia nei suoi possedimenti. Dopo i primi anni, la mia residenza presso gli Albizzi cominciò ad essere insostenibile. Le vostre zie e vostra nonna non avevano mai amato la mia unione con il loro primogenito. Non possedevo una dote all’altezza della famiglia di cui ero entrata a far parte e il fatto che non fossi riuscita a generare un erede o, perlomeno, una bambina, aveva minato la mia permanenza lì.
Tornare presso mio padre non era concepibile, dal momento che i patti del matrimonio comportavano la restituzione della dote e degli extradotali da parte della famiglia di mio marito: una somma considerevole, che nessuno avrebbe mai versato. Venni sottoposta a numerose visite presso tanti sapienti e sedicenti maghi ma tutti, indistintamente, dichiararono che il mio corpo era sano e potevo generare.
Ciò non doveva stupire, poiché la responsabilità apparteneva tutta al mio consorte.
Eppure, come ben saprete, cara figliuola, queste giustificazioni non hanno ragion d’essere, dal momento che io sola ero causa della mia infelicità, qualunque fosse la colpa di mio marito. Lo compresi nel momento in cui, dopo aver assolto il suo dovere, Messer Duccio mi guardò con un misto di disgusto e fastidio…come se non amasse il mio corpo.
Fu una rivelazione per me, cara bambina, e non vogliatemene male, se poi agii in tale maniera. Quelle nozze non erano benvolute da mio marito e, dato che non avevo ancora avuto una gravidanza, ero sommersa da notevoli pressioni, sia da parte della famiglia con cui mi ero imparentata, sia da parte di mio padre e mio fratello, che speravano in un consolidamento della mia posizione e poter così ottenere dei profitti dal  legame con gli Albizzi.
Ricevere le loro lettere era per me un continuo tormento.
Passai dei giorni terribili, spesso cedendo quasi al desiderio di piangere.
Era umiliante leggere le loro richiese e lamentele e sapere di non poter far nulla per smuovere quella faccenda…senza contare la vergogna!
Forse mio marito intuì quale disagio dovessi subire, poiché poco dopo gli ultimi diverbi con i suoi parenti, chiese ed ottenne da mio suocero il permesso di lasciare la casa d’origine per stabilirsi a Firenze, presso i Medici.
All’epoca, infatti, Messer Duccio stava intrattenendo dei proficui rapporti d’affari con questa famiglia, così potente da determinare le sorti di una città come Fiorenza.
Fu lì che conobbi colui che mi permise di essere madre, determinando la mia sicurezza, la mia gioia, la mia soddisfazione.
Non vi dirò subito il nome, cara bambina, poiché desidero che voi siate, prima di tutto, consapevole del fatto che non importa quale sia il seme che genererà la pianta, purché il terreno su cui è seminato sia il medesimo.
Sappiate solo che costui mi venne presentato da Madonna Simonetta Cattaneo, una creatura di gentile aspetto e, purtroppo, di salute quanto mai cagionevole.
Era bello e colto, abile in ogni disciplina della giostra.
Ne rimasi subito abbagliata.
Sembrava, ai miei occhi, una di quelle divinità che i pagani ritraevano in pose che molti nostri religiosi considererebbero peccaminose. Più volte, la mia mente si perdeva in immagini disdicevoli, che sembravano uscite da una pastorella, più che dalla mente di una pia donna. Anche costui sembrò accorgersi della presenza di vostra madre, merito forse del mio aspetto giovane e piacente.
Madonna Simonetta parve notare questa attenzione e, malgrado fosse chiara a chiunque la sua relazione con un tale distinto uomo, tuttavia non ostacolò in alcun modo il mio interesse nei suoi riguardi. Ella, infatti, conosceva bene le mie sofferenze di moglie e le pressioni che subivo da parte delle famiglie di appartenenza.
Motivo per cui non mi ha mai serbato rancore, né dato prova di alcuna forma di gelosia. Al contrario, mia cara Lucrezia, si rivelò femmina saggia e accorta, con mia grande sorpresa. Fu lei ad invitarmi a compiere quel gesto, assistendo la mia impresa con un fare così amorevole e disinteressato da commuovermi tuttora.
Dati i rapporti di lavoro che mio marito era tenuto ad avere, per motivi di rappresentanza, più volte ho frequentato palazzo Medici, per conversare con Madonna Lucrezia, la madre degli uomini più potenti della città. Una persona assai piacevole e ambiziosa, come solo la sposa di un personaggio insigne come Piero il Gottoso avrebbe potuto essere.
Abbiamo passato delle bellissime giornate a chiacchierare nelle sale del palazzo e più volte, durante tali conversazioni, i miei occhi hanno incrociato quelli di colui che ha determinato le mie fortune. Non dimenticherò mai quelle iridi, calde e piene di una passionalità consapevole.
Ogni istante che passavo ad osservarle, sentivo le ossa farsi acqua, la pelle scolorirsi e farsi pregna di brividi che riuscivo a coprire solo a stento: poiché egli era pericoloso per il delicato equilibrio di sposa che ancora conservavo.
Vi confesso, figlia dilettissima, che non avrei mai pensato di tradire mio marito, se le cause che mi spingevano verso una così dolce tentazione non fossero state tanto stringenti.
Pure nella bella Firenze, le missive e le raccomandazioni degli Albizzi e della mia famiglia non mancavano di affliggermi, giungendo spesso e volentieri a disturbare il rapporto amichevole che avevo con Messer Duccio.
Mio marito non me ne parlò mai…ma avevo visto in lui una certa tensione, soprattutto quando gli ricordavo i suoi obblighi, con suppliche e pianti sconsolati. Mai una sola volta mi ha dato qualche rassicurazione e solo ora, dopo la sua morte, ne comprendo il motivo…tuttavia taccio: quali che siano le preferenze del consorte, una brava sposa, specie se trattata bene, non deve lagnarsene.
Decisi quindi di agire, per la mia salvezza e per la salute del mio casato.
L’occasione giunse durante le festa carnevalesca che si teneva presso Palazzo Medici. Era una tradizione che risaliva fin dai tempi di Cosimo. La famiglia aveva addobbato le sale, dando sfoggio della loro innata raffinatezza, elargendo spettacoli e pietanze delicate che non avevo mai visto.
Partecipai a tale evento a fianco di mio marito, come era lecito dovesse essere.
Messer Duccio rimase accanto a me per qualche tempo, prima di congedarsi per conversare con un gruppo di studiosi romei che, dopo la caduta di Costantinopoli ed il recente concilio a Firenze, vi si erano stabiliti per qualche tempo. Mi dette tuttavia il permesso di danzare con chiunque volessi, a patto che fosse una persona ammodo. Non seguii comunque il suo suggerimento subito, troppo a disagio con quella solitudine improvvisa, e preferii rimanere in un angolo per qualche tempo, lasciando che la mia presenza svanisse in mezzo a tutti gli invitati. La musica e gli spettacoli degli acrobati, le rappresentazioni classiche  e i giochi degli artisti, rallegravano la festa.
Ero convinta che avrei passato il mio tempo in disparte a lasciare che gli altri si divertissero, anche se la cosa mi rallegrava assai poco.
Madonna Simonetta non era presente, dal momento che era indisposta e non sapevo con chi conversare.
Non potendo venire mi aveva donato uno dei suoi abiti più belli. Era verde bosco e metteva in risalto sia la mia carnagione chiara che i capelli scuri. Ancora adesso non comprendo la ragione di un simile dono, né ho mai avuto il coraggio di chiederlo, troppa è la stima che nutro per la sposa di quel Cattaneo.
La melodia e le risate nella sala riempivano le mie orecchie, impedendomi di pensarci troppo. Ero intenta ad osservare quegli spettacoli, quando una fragranza muschiata raggiunse le mie narici.
Mi voltai di scatto, incontrando una maschera scura dietro alla quale erano celati due occhi neri.
-Vi state annoiando, Madonna?- domandò con una voce allegra.
Lo guardai.
Era molto bello e misterioso.
Possedeva un fisico prestante, di chi partecipava spesso alle giostre ed ai tornei.
Inevitabilmente arrossii.
Non avevo mai visto un corpo simile.
Forte, vigoroso, che trasudava virilità da ogni poro.
Mio marito, le rare volte che, senza volerlo, mi si mostrava, era assai più gracile. Non vogliatemene cara figlia, se parlo così di Messer Duccio: ha molte qualità ma concedetemi di dire che vi sono uomini assai più attraenti di lui. Egli non è brutto d’aspetto, certamente, ma è anche vero che è stato lui a spingermi ad agire in tale modo.
Conversammo per qualche tempo, beandoci l’uno degli occhi dell’altra. Mi raccontava delle giostre che aveva vinto, del mecenatismo di cui si faceva portavoce, dei problemi che ancora minavano la supremazia della sua famiglia. Io mi limitavo ad ascoltarlo, tentando di non lasciarmi travolgere dall’effetto che la vista di quel corpo mi suscitava.
Senza riuscirvi, giacché quelle iridi sembravano avermi stregato.
–Madonna- disse improvvisamente – a costo di sembrarvi sfacciato, vorrei chiedervi se volete seguirmi un momento…per approfondire la nostra conversazione. –
Io rimasi qualche secondo in silenzio.
Sebbene fosse disdicevole per me nutrire simili pensieri, non avevo faticato a comprendere il significato di un simile invito.
Vi giuro, figlia mia, che non avrei mai concesso il mio corpo a qualcuno che non fosse mio marito. La Necessità, tiranna delle mie azioni, mi comandava però di andare contro agli obblighi del sacramento, per assolvere quelli che Natura mi aveva imposto.
Per questo, lo seguii.
Per questo, mi ritrovai da sola in sua compagnia.
Tuttora non mi vergogno ad ammettere che più volte giacqui con lui quella sera, conoscendolo carnalmente come una moglie avrebbe dovuto fare con il marito.
Tuttora il ricordo di quella notte mi fa rabbrividire di piacere e rimpianto: mai una sola volta, Messer Duccio è stato in grado di trasmettermi una simile passionalità.
Alla fine, dopo che entrambi finimmo di godere ciascuno delle piacevolezze che il corpo dell’altro era capace di offrire, ci ricomponemmo, pronti ognuno a riprendere il proprio ruolo.
- Mi auguro Madonna – fece questi, ghignando ironico – che questa conoscenza sia stata per voi proficua.-
- Certo Messere- risposi a mia volta con un sorriso tranquillo –ognuno deve essere abile conoscitore della virtù che Fortuna gli ha dato. In quel caso, sappiate che avete la mia più totale riconoscenza…Messer Giuliano-
L’altro tacque, forse sorpreso del fatto che ero riuscita a riconoscerlo, malgrado la maschera, poi scoppiò a ridere, prima di allontanarsi per raggiungere gli altri e augurarmi una felice sorte.
Non ci parlammo più.
 
Due giorni dopo lasciammo Firenze, per tornare a Volterra.
Nove mesi dopo nasceste voi, Lucrezia Simonetta Albizzi e vostro fratello, Alessandro Giuliano Albizzi.
Le mie gioie.
Le mie soddisfazioni.
Il mio orgoglio.
Per la felicità che voi mi avete concesso, con la vostra nascita, non dimenticherò mai ciò che Messer Giuliano Medici ha fatto per me. Grazie a lui, ho messo a tacere le voci di un possibile ripudio, rallegrando mio marito che, malgrado non mi amasse, mi voleva bene. Siete cresciuti forti e sani, rendendo contenti me e a Messer Duccio, che per voi è e deve essere un padre, dato l’affetto che da sempre vi ha riversato.
Da questa mia esperienza, cara figliola, desidero che voi comprendiate
quanto le pressioni di una gravidanza possano essere per noi femmine, una crudele necessità e che, qualora la Sorte non sia benigna nei nostri riguardi, è bene farci noi stesse portatrici e destinatarie di Virtù, sfruttando le occasioni che ci vengono offerte.
Non biasimare quindi il mio costume.
Se ho tradito, non è stato con la mente ma con il corpo.
Il mio cuore e la mia anima sono sempre rimaste lì dov’erano: dentro di me, per la mia famiglia.
 
MEDAGLIA D'ORO 

Cicina - Di necessità, virtù 

Originalità: 10/10 
Stile: 10/10 
Correttezza: 14,5/15 

Caratterizzazione dei personaggi: 15/15 
Gradimento personale : 5/5 
Totale: 54,5/55 

L’ho amata. Per il modo in cui l’hai scritta, per l’argomento che hai scelto di trattare, per lo stile che hai usato e che catapulta il lettore in un’altra epoca e in un altro mondo. Le corti italiane del Rinascimento. Che meraviglia… e poi ci sono mille piccoli dettagli che non fanno che richiamare e rafforzare l’idea che si tratti davvero di una lettera antica. Citare il genere della pastorella, per esempio. Sono morta quando parli dei pensieri disdicevoli e impuri ^^ e ancor più ho apprezzato il sottotono di “senso di colpa” che la protagonista sente, nonostante metta bene in chiaro che l’inetto è il marito. Se non fosse un’originale, ma una fan fiction, userei il termine “canon”… qui mi accontento di dire che è storicamente ineccepibile. Essere sposata con un omosessuale che non si degna neppure di provare a generare un erede, ben sapendo che la colpa del mancato concepimento ricade sempre e solo sulle donne… l’hai descritto benissimo, è un povero uhm inetto? Userei un’altra parola, ma non si può. Un povero diavolo stretto nei propri panni di figlio maschio ed erede, forse. E lei. Grata alla sicurezza che il marito le dona, affezionata ormai, innamorata dei propri figli. E se per soddisfare il desiderio ( e l’obbligo…) di una maternità è dovuta ricorrere all’inseminazione artificiale… chi oserebbe criticarla, oggi? C’è anzi, invece, da elogiare il suo essersi contenuta. L’essersi fatta bastare una volta. Anche se io non credo che una che si sia sentita finalmente donna una volta, riesca poi a smettere… parli di sesso, caspiterina, eppure lo fai in una maniera delicata, ma non lieve: c'è sesso, c'è bisogno di carnalità, un desiderio che deve venir soddisfatto non per se stesso ma per un fine più grande: salvaguardare la famiglia d'origine, salvaguardare il matrimonio, divenire madre. Praticamente, facendo il marito cornuto, lei fa un atto d’amore. Salvare una famiglia con un tradimento… è originale. Mai, davvero, l’avrei pensato. Anche perché, alla fine, non si tratta di un tradimento, giacchè non la testa, ma il corpo l’han voluto. Ah, sublime! 
Il lessico è davvero perfetto, non so nemmeno cosa farti notare: so che questa recensione sarà molto breve, ma non ho molta altra scelta: potrei scrivere tutte le frasi che mi hanno colpita, ma si andrebbe per le lunghe. Mi hai fatta sorridere, anzi, ridacchiare, per buona parte della storia. Che ho letto incantata. Il punto di correttezza è dovuto a “acciocché” : è proprio lì all’inizio, evidentissimo; inoltre qua e là mancano in tutto due o tre virgole, soprattutto prima del “ma”! Che altro dirti, se non “complimenti”? 
   
 
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