Videogiochi > Altro
Ricorda la storia  |      
Autore: Subutai Khan    09/11/2006    6 recensioni
(Chrono Trigger)
Magus è, nella sua classica posa da uomo che non deve chiedere mai, a riflettere su una scogliera di ciò che una volta era il regno di Zeal. La sua mente, traviata da una serie di disgrazie che avrebbero ucciso un elefante affetto da gigantismo, perde la capacità di essere logica e obiettiva. Una sola è la sua convinzione, ora.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fierezza. Sguardo altero e sprezzante. Consapevolezza di essere il migliore.
Erano tutte mie doti, quelle.
Eppure ora mi sfuggono velocissime fra le dita, come se fossero fatte d'aria. E probabilmente lo sono davvero, considerata la loro vacuità.
Il mio nome è Janus Zeal.
Ma non è l'epiteto con cui sono famoso in ogni dove. In un'altra era, ben diversa da quella in cui mi trovo ora, sono il terribile Magus. Il re dei Mistici. Colui il quale, secondo una vecchia leggenda di quel popolo, li avrebbe liberati dal giogo della schiavitù umana.
Poco contano una serie di fattori, per me di estrema importanza, agli occhi dei miei seguaci. Poco conta che io non sia nato nel Medio Evo. Poco conta che io sia stato allevato in cattività da quel viscido incapace di Ozzie. Poco conta che della guerra non m'interessi nulla di nulla.
Soprattutto poco conta che io sia un uomo ferito.
Adesso come adesso sono ferito nel corpo, dopo il disastroso scontro che ho sostenuto con Lavos all'interno del palazzo Oceano.
Ma non mi riferivo a quello.
No. Ben infima cosa sono i tagli, le abrasioni e le bruciature derivatemi dall'umiliante sconfitta appena patita.
Parlo di una ferita interna, mille volte più incandescente.
Parlo di Schala.
La mia amata e ormai perduta sorella.
L'unico raggio di vita in un'esistenza altrimenti piena solo di misantropia, cinismo e cattiveria.
Quel suo sorriso, disarmante come nemmeno la peggior arma sa essere.
Quel suo costante preoccuparsi per me, quando ancora ero un bambino relativamente innocente.
Quel suo assurdo essere buona con chiunque, anche con quella pazza di nostra madre che ormai la considerava solo una batteria per tenere accesa la Macchina Mammon.
Già, la Macchina Mammon. E, per estensione, Lavos.
Non esiste in questo mondo essere che io odi più di Lavos.
Ha rovinato quella scintilla di bontà e felicità che c'era in me.
Mi ha scaraventato quasi tredicimila anni nel futuro, lasciandomi in balìa di un mostro dalla pelle verde che ha deciso per me cosa avrei dovuto fare.
Beh, a volerla dire tutta è stato quasi il contrario.
Tenendo in piedi la farsa “sono il magnifico, imbattibile, invincibile Magus” ho avuto accesso alla libreria del suo forte, stracolma di vecchi tomi di arti magiche. Lì ho potuto affinare il mio innato talento e ho potuto costruirmi attorno una corazza di sicurezza e risentimento. Questa corazza, unita all'assoluta convinzione che sarei riuscito a sventrare Lavos con le mie sole mani, mi ha tenuto in piedi per tutti quei gravosi anni di praticantato e propaganda.
Sono cresciuto in un ambiente ostile e difficile.
I Mistici, pur venerandomi come un dio in terra, pretendevano un comandante infallibile. Ma è difficile concentrarsi su una guerra a tutto campo quando la tua mente è perennemente fissata su un unico punto fermo, attorno al quale ruota anche il più semplice dei tuoi respiri.
Ho spesso sbagliato in quei frangenti.
Un grave errore, ad esempio, è stato quello di sottovalutare la combriccola di quel saltimbanco di Glenn.
Saputo che si stavano dirigendo verso il mio castello ho ritenuto più che sufficiente seminare i miei fedeli accoliti per le varie stanze, sicuro che li avrebbero fermati.
E mi avrebbero dato il tempo necessario per concludere il rituale di evocazione di Lavos.
Ero pronto, mi dicevo. Ero forte, mi dicevo. Avrei vinto, mi dicevo.
Ho da poco avuto la conferma di quanto effimera fosse la mia sicumera.
Man mano che la lunga e complicata magia procedeva, giungevano alle mie orecchie notizie di come Flea, Slash e lo stesso Ozzie erano caduti come birilli.
Ero preoccupato.
E non di certo per la salute di quei tre buffoni.
Quel che mi premeva davvero era di poter finire ciò che avevo iniziato.
Quando poi mi sono visto spuntare sotto al naso quella ranaccia balzellante e il suo gruppetto di beneficenza ho avuto un sussulto.
Il brivido che tutto il tempo investito in Lavos potesse andare in fumo.
Mi sono voltato, li ho squadrati velocemente e ho deciso che, a causa dell'incompetenza dei miei luogotenenti, era compito mio mettere a tacere quegli scocciatori.
Avevo un parassita da fare a pezzi, non potevo perdere tempo in simili schermaglie da campo di allenamento.
E invece ho masticato il pavimento.
Maledetti Masa e Mune. Sin da quando ero un poppante quei due spiritelli si divertivano a farmi degli scherzi idioti. E a quanto pare non avevano perso il vizio.
Sconfitto ma non ucciso, mi sono prostrato su un ginocchio solo. Maledicendo loro e, soprattutto, me stesso.
Disgustato dalla mia insensatezza.
Disgustato dalla mia lentezza.
Disgustato.
L'evocazione, interrotta in malo modo, si è conclusa inaspettatamente: si è aperto un gigantesco portale che ha risucchiato tutti e quattro.
Non so dove siano finiti loro, e nemmeno mi interessa.
Io, per uno scherzo di non so quale dio, mi sono schiantato davanti all'ingresso del palazzo Zeal.
Ero a casa.
Non credevo ai miei occhi.
Quella che consideravo la mia dimora, in un tempo che per il mio orologio personale sembrava un'eternità prima, era assolutamente identica a come la ricordavo da piccolo.
Mi sono quasi sentito bene. Ma non troppo.
Dopo un rapidissimo momento di smarrimento ho ripreso in mano la situazione e, cercando di passare inosservato il più possibile, ho raccolto informazioni in giro per sapere esattamente in che anno ero giunto.
Ho capito quasi subito che era l'anno della Caduta del Regno di Zeal.
Su quei libroni polverosi conservati nella catacomba più buia del castello di Ozzie erano riportati, anche se solo come voci e fatti mitologici, date e avvenimenti risalenti sino al 12000 AC e oltre. Alcuni autori sconosciuti dicevano che, stando ai loro mirabolanti studi storici su certe rovine rinvenute a Medina e Porre, in quell'epoca remota esisteva un fantasmagorico complesso di città sospese in aria. Poi, a causa di un cataclisma mai identificato, questo prodigio della magia sarebbe precipitato disastrosamente sulla terraferma.
Ho semplicemente fatto due più due: dai pettegolezzi raccolti a Kajar ed Enhasa pareva chiaro come la regina, un tempo amata e riverita come una saggia guida, fosse ormai dedita a oscure macchinazioni con la figlia. Si vociferava anche di un misterioso aggeggio succhia-energia.
Quale migliore fonte di energia, per una mente fragile e malata come quella di mia madre, se non Lavos?
E quale giustificazione migliore alla caduta di Zeal che il risveglio di un Lavos affamato?
Tornava. Anche se mere supposizioni erano sufficientemente realistiche da farmi pensare che fosse effettivamente andata così.
A quel punto ho preso il tutto di petto.
Mi sono procurato una cappa, me la sono legata in testa e mi sono presentato a palazzo spacciandomi per un profeta, di quelli che non sbagliano mai.
D'altronde, avendo vissuto in prima persona quello che era, o sarebbe, successo, andavo su una strada in discesa.
La regina, stranamente poco sospettosa nei miei confronti, mi ha accolto a braccia aperte. È arrivata al punto di sostituire Dalton col sottoscritto a capo del progetto riguardante il palazzo Oceano.
Ho anche incrociato più di una volta il me stesso dell'oramai mio passato.
Stranissima impressione guardarsi dall'esterno. Eppure Janus, mentre accarezzava Alfador, non mi era per nulla familiare. In lui vedevo ciò che sono stato, ovviamente, ma anche qualcosa che non mi apparteneva più.
Un briciolo di speranza, quel tanto che basta per non odiare il mondo intero.
E quella speranza era un riflesso del radioso volto di Schala.
Janus, in me, era ormai morto. Al suo posto bruciava fortissimo il fuoco del dolore e della vendetta, di quello scarlatto che ustiona gli occhi.
Anche se gli devo riconoscere che certi tratti del mio carattere erano già palesi in lui. Sì, non riesco a chiamarlo “me”, o “com'ero”. Non riesco a usare la prima persona riferendomi a quel bambino. Lui aveva ancora la possibilità di essere un pochino felice.
Solo un pochino, certo. Perché, come ho appena detto, alcune cose erano immutate: la generale sfiducia nei confronti del prossimo, lo sguardo duro, le parole taglienti. Di mio gli mancava giusto il sarcasmo, ma era troppo piccolo e gliela perdono.
Il mio piano procedeva.
La mia intenzione primaria era quella di assicurarmi che la Macchina Mammon facesse il suo dovere e che Lavos emergesse, guidato dall'insaziabile sete di potere della regina. A quel punto gli avrei presentato il conto per due vite gettate alle ortiche. La mia e quella di Schala.
Giusto per evitare ogni possibile intrusione esterna, specialmente da parte dei viaggiatori temporali della domenica, ho avvisato la regina che sarebbero arrivati, presto o tardi, dei guastafeste guidati da un bamboccio coi capelli rossi.
Oh sì, era chiaramente quello chiamato Crono il capo della cricca. Anche se quando sono arrivati al mio castello c'era Glenn in prima fila, si vedeva lontano un miglio come fosse quel tipo lì a sbraitare ordini a destra e a manca, neanche fosse stato un generale di cavalleria.
Quindi, con una fiducia di cui sinceramente non la credevo capace, Zeal ha accettato di lasciare quel grattaginocchia di Dalton indietro, a ricoprire il ruolo di mastino da guardia che tanto male ha sempre fatto. D'altronde si sa come i mediocri riescano pessimamente, in particolar modo quando hanno in testa vaneggiamenti di diventare i re del mondo.
“Magus!”.
Finalmente sono arrivati.
Mi giro con studiata lentezza lasciando che il mio mantello ondeggi al dolce vento dell'apocalisse appena finita.
“Era ora. Vi ho aspettato sin troppo, babbei”.
Glenn zompetta in avanti come solo lui sa fare e mi lancia sul grugno lo sguardo più truce di cui quella sua faccia da rana è capace: “Non siamo qui per farci insultare da uno che ha appena perso in maniera tanto ignobile. Dicci cosa ti serve, noi abbiamo fretta”.
Ingoio la constatazione della mia incapacità.
Mi schiarisco la voce: “Ho solo due notizie da comunicarvi, una buona e una cattiva da migliore tradizione. La notizia buona è che esiste un modo per riportare in vita il vostro amico, quello chiamato Crono”.
Nei loro occhi nasce una speranza che definire “fiammeggiante” equivarrebbe a dire che la regina Zeal non è matta come un cavallo.
“Come? Cosa? Crono può tornare?”. Dal fondo del loro gruppuscolo si alza una voce femminile e si fa avanti a poderose spintonate una ragazza, invero molto carina, coi lunghi capelli biondi raccolti in una coda. Ripete due o tre volte la sequenza delle domande, incredula alle sue orecchie.
“Tu no prendere in giro Ayla? Ayla arrabbia se tu prende in giro”.
Che gente. Ma sanno con chi stanno parlando?
“Quietatevi, ammasso di galline starnazzanti. Confermo quanto ho detto: Crono può tornare. Non so bene come, ma è possibile”.
Spero che questa parziale ritrattazione della gaudiosa notizia smorzi il loro puerile vociare.
Un'altra ragazza, che pare aver digerito la novità con minore entusiasmo dei suoi compari, mi rivolge uno sguardo piuttosto perplesso: “E la cattiva notizia?”.
Finalmente posso divertirmi un po' dopo aver preso un sacco di batoste. Mi sfrego le mani come un bambino pestifero pronto a combinarne una.
“È semplice: non servirà a nulla riportare in vita quel visionario scellerato di Crono. Lavos è troppo forte. Io stesso non ho potuto fare nulla di fronte alla sua immensa potenza. Se anche riusciste, cosa di cui comunque dubito perché io ai miracoli non credo, fallireste dopo e andreste a fargli compagnia nell'angolino che gli hanno ormai prenotato nell'aldilà. Non siate sciocchi, lasciate perdere e attendete insieme a me la fine”.
Le reazioni sarebbero da incorniciare tanto mi fanno venir da ridere.
La donna preistorica comincia a saltellare come se un dinosauro le avesse morso la coda posticcia.
La ragazza dai capelli biondi crolla a terra, abbattuta come un albero sradicato dai boscaioli.
Gli altri variano da una faccia sconsolatissima a un pianto isterico.
Bah. Che marmaglia. Neanche capaci di affrontare la realtà per quel che è.
Non che io ci sia riuscito granché meglio, posso dire col senno di poi.
Eh già. Il mio eccezionale progetto si è sbrodolato come neve al sole.
Quando mi sono trovato faccia a faccia con Lavos sono crollato dopo soli due colpi. Come il peggiore dei maghi novizi. Non mi ha lasciato nemmeno il tempo di preparare un incantesimo da scagliarli addosso.
Mi ha annichilito.
E con me la mia vendetta, studiata e assaporata per lunghissimi anni.
Sono qui, su questa scogliera innevata, e posso ancora pensare solo grazie al ridicolo sacrificio di questo Crono, che al momento del colpo finale di Lavos si è frapposto fra noi e la bocca di quel mostro. La naturale conseguenza? È stato incenerito.
Ma ormai non ho più voglia di restare.
Ho fallito. Non c'è un solo motivo che mi spinga a proseguire, una volta constatata la mia radicale inferiorità rispetto a ciò che odio più al mondo.
Cavalcando l'onda di autodistruzione che pasteggia nel mio cervello fisso il mio sguardo su Glenn e gli faccio cenno di farsi sotto, con una gestualità che sta a dire “Accomodati, scherzo della natura. È tempo della resa dei conti”.
Lui coglie subito la mia intenzione e sfodera la Masamune, intimando agli altri di scostarsi.
Questa battaglia è solo mia e sua.
Volano fendenti, brandelli di vesti e parecchio sangue.
E nonostante tutto mi sto trattenendo. Per quanto riconosca e, in un modo tutto mio, rispetti il valore di Glenn come spadaccino sappiamo entrambi che a piena potenza lo distruggerei nell'arco di sei secondi.
“Magus, starai scherzando. Non siamo qui per uno scambio amichevole”. Quel ranocchio è bravo, sì. Se n'è accorto subito.
C'è un profondo taglio sulla mia guancia destra, laddove la Masamune stava per portarmi via un occhio se non fosse stato per i miei acuti riflessi.
Cogliendo l'occasione intingo più che posso una mano nella ferita e spalmo il rosso liquido lungo strisce verticali appena sotto le cavità oculari.
Lacrime di sangue. Devono starmi d'incanto.
“Avanti Glenn, chiudiamola qui”.
Inizio la procedura per il Dark Matter e nel contempo lui si getta a peso morto verso di me, la spada spinta in avanti.
E, ancora una volta, rallento.
Quando l'acciaio fa la conoscenza delle mie viscere manca solo una strofa alla conclusione dell'incantesimo. Incantesimo che, è ovvio, lo avrebbe ridotto a pezzetti minuscoli minuscoli.
Nello slancio la sua faccia arriva a poche spanne dalla mia e lo sento sussurrare: “Mi hai davvero deluso. Se avessi saputo che sarebbe andata così mi sarei rifiutato, non sono prono a simili atti”.
“S...cusa ran...a, non vo...lev...o offe...nd...ndere la tua se...ns...ibi...lità” riesco a balbettare, mentre uno spruzzo di sangue emesso dalla mia bocca gli bagna totalmente il volto.
“Perché l'hai fatto? Perché non mi hai concesso l'onore di una sfida? Perché tutto questo? Con che faccia potrò presentarmi a Cyrus?”.
“So...sono pro...blemi tuoi”.
Il buio cala sul grande Magus. In una maniera a lui consona.
Da perdente. Da sconfitto. Da misero.
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Altro / Vai alla pagina dell'autore: Subutai Khan