Jack is back
A Giulia,
che mi sopporta sempre,
anche quando sono da rinchiudere.
Non riusciva a spiegarselo.
Un attimo prima era immerso nell'acqua gelida, tremante, circondato da
gente morente e appeso a un pezzo di legno; poi, quando aveva riaperto
gli occhi, si era trovato legato ad un tavolo di metallo, una luce
bianca puntata negli occhi e un'orda di uomini in camice bianco muniti
di cartelline che parlavano tra di loro in un linguaggio
incomprensibile.
« Dove sono?» aveva chiesto più volte, senza ricevere risposta.« Dov'è Rose?»
Gli uomini parevano troppo occupati ad analizzare dati, a mantenere
costanti le “sue funzioni vitali” per badare a lui. Jack,
quindi, superando lo stato iniziale di incredulità si era
ritrovato ad osservare quella sorta di laboratorio dalle pareti bianche
che puzzava di disinfettante.
Per quanto riguardava le dimensioni, gli ricordava vagamente la sala da
pranzo del Titanic, ma più spoglia e arredata con strani
scatoloni di metallo che riportava scritte e disegni e altri
marchingegni che Dio solo sapeva cos'erano.
Cercò di alzare leggermente il collo, sebbene si sentisse
indolenzito, in maniera tale da scrutare meglio l'ambiente quando
l'unica porta presente si aprì. Un uomo di mezza età in
giacca e cravatta, seguito da una donna dai capelli scuri, fece il suo
ingresso nel laboratorio, un sorriso vagamente compiaciuto sul volto.
Uno scienziato gli andò incontro per consegnargli una cartella
che il nuovo arrivato osservò, sebbene egli sembrava troppo
interessato a Jack per prestare a quelle carte la dovuta attenzione.
« Allora,» esordì l'uomo, avvicinandosi al tavolo dov'era legato Jack,« come sta, mio caro?»
« Dove sono?» ripeté Jack.
L'uomo sorrise,«ah, ottima domante. Bé, caro ragazzo, per
risponderle è necessario fare un piccolo passo indietro.»
fece una pausa, inumidendosi le labbra,« immagino che l'ultima
cosa che ricordi sia l'affondamento dei Titanic, vero? Bene, allora la
informo che lei è sicuramente il mio esperimento migliore. Vede,
sono passati cento anni dall'inabissamento del transatlantico e i miei
scienziati sono riusciti, dopo anni di ricerche ed esperimenti, a
riportare in vita una delle vittime. Certo è stata un'impresa
lunga ma ne è valsa la pena,» sorrise, orgoglioso del
risultato.
Jack, dal canto suo, era perplesso. Aveva le sopracciglia inarcate
mentre elaborava tutte le informazioni che quell'uomo strambo gli aveva
appena fornito.
« Io sarei...»
« Morto,» concluse l'uomo con l'ennesimo sorriso che iniziò ad irritare Jack,« ovvio.»
« No, non è possibile... se fossi morto come avreste fatto...»
« Moderna tecnologia, ragazzo. Abbiamo strumenti che gli scienziati dei tuoi tempi potevano solo sognare.»
Prima che Jack riuscisse a porre un'altra domanda, la donna prese la parola.
« Moderna tecnologia o complessi megalomani?» domandò con un'alta percentuale di sarcasmo nella voce.
L'uomo non parve toccato da quell'affermazione, si limitò
sospirare pesantemente.« Mia nipote disapprova il mio
lavoro,» spiegò.
« Se possiamo considerarlo lavoro,» continuò lei,
incrociando le braccia al petto,« è un essere umano,
nonno.»
« Era un
essere umano, cara. Ora è un esperimento, il più grande
che abbia mai avuto tra le mani,» affermò con un sorriso
smagliante, poi si rivolse a Jack,« ora, spero che mi perdoni
ragazzo, ma dobbiamo fare ancora alcuni esami con il suo corpo. Le
auguro un buon riposo.»
Un camice bianco, cogliendo il cenno di quell'uomo, gli posò una
mascherina sul volto. I contorni del laboratorio si fecero sempre
più sfuocati, fino a far precipitare Jack nel buio.
*
Quando
Jack si risvegliò, era disteso su un letto decisamente
più comodo del precedente. Rimase immobile, ad osservare il
soffitto bianco.
Sapeva di non aver sognato,- quello strano laboratorio e i tizi in
camice bianco che ci lavoravano,- eppure non riusciva a credere che le
parole di quell'uomo corrispondessero alla realtà. Come poteva
essere vivo? Come potevano essere passati cento anni?
E, poi, la domanda che più lo angosciava: che fine aveva fatto Rose?
L'ultimo ricordo che aveva di lei era quello di una donna infreddolita,
con le labbra blu, distesa su un pezzo di legno galleggiante.
Rammentava le ultime parole che le aveva rivolto, come se fossero
passati pochi istanti da quel momento.
Si era salvata? Era riuscita a ricostruirsi una vita senza la soffocante presenza di quel prepotente del suo fidanzato?
Doveva saperne di più o sarebbe impazzito.
Si alzò da letto e gettò una rapida occhiata alla stanza
completamente spoglia, eccezion fatta per il letto: non vi erano
finestre e l'unica porta di metallo sembrava troppo resistente da poter
sfondare.
Sospirò, passandosi una mano sulla fronte quando la porta di
aprì e la ragazza che aveva visto poco prima gli consegno dei
vestiti e delle scarpe.
« Mettili, darai meno nell'occhio così,» gli spiegò.
Spiazzato, Jack si ritrovò ad ubbidire. Quando la ragazza si
voltò, indossò velocemente quei strani indumenti.
« Seguimi,» continuò lei, facendogli strada nel
fitto reticolato di corridoio- costantemente con pareti bianche,- che
quel posto aveva. Uscirono da un portone di plastica verde, senza
incontrare nessuno, e giunsero in un parcheggio illuminato.
Lei non disse nulla, gli fece cenno di salire su un auto rossa. Auto
che Jack non identificò come tale: rimase ad osservare senza
parole quell'insieme di metallo e ruote finché lei, spazientita,
lo afferrò per un braccio e, poco garbatamente, lo spinse a
salire.
« Eva,» disse finalmente facendo un mezzo sorriso.
« Jack Dawson,» rispose lui spiccio,« cosa sta succedendo?»
« Mio nonno, insieme ai suoi folli soci, ha deciso di investire
tutto in un progetto innovativo,» fece una smorfia, mettendo in
moto e guidando fino all'uscita del parcheggio,« riportare in
vita una persona congelata cento anni fa. E' stata un caso che sia
stato il tuo corpo a finire in quel laboratorio. Lo so è da
rinchiudere,» commentò Eva, cogliendo l'espressione di
Jack.
« Che cosa vuole farne di me?»
« Il suo burattino, un facile strumento per guadagnare dei soldi.
Ma non preoccuparti, non permetterò che accada.»
« E perché mi stai aiutando?»
Eva gli lanciò un'occhiata con i suoi penetranti occhi
scuri,« perché non condivido il sottomettere una persona
alla legge del calcolo. Ad ogni modo, hai presente il braccialetto di
metallo che hai legato alla caviglia?» Jack annuì,«
bene,» tirò fuori un coltellino dalla tasca dei jeans e
glielo consegno,« taglialo.»
« Come?» Jack sgranò gli occhi.
« Se lo osservi bene, non è interamente fatto di metallo.
C'è una parte di stoffa scusa. Tagli lì.»
Jack eseguì quanto gli era stato detto e consegnò quello
strano braccialetto alla donna. La osservò per qualche istante,
mostrava una ventina d'anni anche se qualcosa nello sguardo la rendeva
più matura.
La stava ancora guardando quando una serie di luci e suoni
attirò la sua attenzione: su una strada a due corsie vi erano
molte auto come quella di Eva. Ciò nonostante, non fu quello a
sbalordirlo, ma l'enorme città illuminata da centinaia di luci
che sorgeva davanti ai suoi occhi.
Jack si sporse dal finestrino, le labbra semi chiuse. Era uno spettacolo.
« Benvenuto in America, Jack,» fece sorridendo Eva mentre
giungevano alle porte della città. Una volta entrati,
accostò l'auto vicino a un marciapiede e, individuando un camion
dei netturbini avvicinarsi, lanciò il braccialetto in un bidone.
Quando risalì in auto lo guardò inarcando le
sopracciglia,« il “Codice da Vinci”, insegna. Okay,
Jack, ti avviso che questo non impedirà a mio nonno di trovarci,
ma, se non altro, ci darà parecchio tempo di vantaggio.»
Lui annuì, sebbene non comprendesse bene come poteva quell'uomo individuarlo grazie a quel braccialetto.
Eva parcheggiò nuovamente vicino a un locale e tirò fuori
da una borsa sul sedile posteriore, un portatile. Lo accese e
digitò velocemente la password.
« E' un computer,» spiegò notando l'occhiata basita
del ragazzo,« una sorta di scatola contente un sacco di
informazioni. Ed è grazie a questa scatola se sono riuscita ad
inserirmi nel server di quel laboratorio, disattivando le telecamere,
riuscendo ad aprire le porte...»
« Eva,» la interruppe lui,« non ho la minima idea di quello che stai dicendo.»
Lei annuì come se non avesse colto qualcosa di ovvio,«
dobbiamo pensare a nasconderti ora,» disse chiudendo il portatile
e accendendo l'auto.
« No,» disse Jack, improvvisamente serio,« c'è una cosa che devo fare prima.»
Eva parve irritata,« ha aspettato cento anni, non può aspettare ancora qualche giorno?»
« Appunto, ha già aspettato troppo.»
Sebbene riluttante, Eva annuì. Jack sembrava troppo determinato per cedere.
« Okay,» disse infine,« che devi fare?»
« Devo cercare una persona.»
« Chi?»
Jack evitò il suo sguardo,« Rose.»
*
«
Ti rendi conto che è una follia, vero?» la voce squillante
ed irritata di Eva giunse alle orecchie di Jack come un dong.
« Come?» fece lui, lievemente traumatizzato.
Eva sbuffò,« sono passati cento anni, come puoi sperare
di...» ma non finì la frase. Jack aveva nuovamente
distolto lo sguardo ed i tratti del suo viso si erano fatti più
duri.
Aveva affittato una stanza in un motel, giusto per fare il piano della
situazione ed agire. Eva aveva riacceso il suo pc e quando aveva saputo
che la persona che Jack cercava di rintracciare era una passeggera del
Titanic aveva dato di matto. Per lei, fredda e razionale, era
impossibile comprendere i sentimenti del ragazzo.
« Come si chiama?» chiese, stupendo persino se stessa per
l'aver posto quella domanda. Aprì il file che conteneva i nomi
dei superstiti alla tragedia del transatlantico, pronta alla ricerca.
« Rose DeWitt Bukater.»
« Prima classe?»
Jack annuì e attese il responso della ricerca.
Eva indugiò qualche istante prima di alzare gli occhi dallo schermo del computer,« nessun responso.»
« Come?» Jack allarmato si alzò di scatto dalla
sedia,« Non può essere,» mormorò mentre
l'ipotesi peggiore riguardante Rose si faceva lentamente strada nella
sua mente.
« Non perdiamo d'animo. Può avere usato un altro nome,
no?» gli fece notare la ragazza, alzando gli occhi al
cielo,« se faccio una ricerca incrociata di questo nome in tutte
e tre le liste, sicuramente la troveremo,» si mise all'opera
battendo freneticamente le dita sui tasti.
Dopo qualche minuto, carico di tensione e di disperazione per qualcuno,
Eva accennò un sorriso e comunicò che aveva trovato ben
sette Rose. Fiducioso, Jack ascoltò con calma quell'elenco di
nomi, un sorriso tirato sul volto; sorriso che iniziò a
spegnersi insieme alle sue speranze quando mancava solo un nome.
«... e Rose Dawson,» disse infine Eva, sorridendo,« direi che l'abbiamo trovata, no?»
In quel momento, dalla prima volta che era tornato, Jack distese le
labbra in un sorriso che illuminò anche i suoi occhi chiari.
*
Era una villetta di due piani, situata in fondo alla via, il cui giardino era pieno di fiori.
Jack la osservò attentamente, gli occhi azzurri raggianti. Era
di nuovo vicino a lei, mancava così poco per rivedersi...
« Okay, resta qui,» affermò Eva, slacciandosi la
cintura di sicurezza e scendendo dalla macchina. Si affacciò al
finestrino e gli sorrise,« vado solo a sondare il terreno. Cinque
minuti.»
Jack annuì, senza nemmeno a provare a ribattere. Andava bene
così, in fondo: cosa importava se era Eva ad annunciare il suo
arrivo? L'importante era rivederla, guardarla nuovamente negli occhi,
sfiorarla.
Dal finestrino vide Eva parlare con una giovane donna dai capelli
biondi, la nipote di Rose. Jack la osservò attentamente: era
bella, questo non poteva negarlo, ma non c'era traccia di Rose nei suoi
tratti. I suoi occhi verdi, per quanto stupendi, lo lasciavano
indifferente.
Dopo una pausa che sembrò infinita, Eva salì in aiuto, le sopracciglia corrugate e il volto serio.
« Che succede?» chiese Jack, insospettito dalla sua reazione.
« Ti porto da lei.»
*
Jack
spalancò gli occhi, senza fiato. Sicuramente la lapide davanti
ai suoi occhi doveva essere frutto di uno scherzo, non poteva essere
vero.
« Mi spiace, Jack,» bisbigliò Eva, gli occhi bassi,« ti aspetto in macchina.»
Jack non le rispose, non diede nemmeno cenno di aver sentito le sue
parole. Gli occhi erano fissi su quel nome stampato crudelmente nel
marmo sopra la data di nascita e di morte.
Rose DeWitt Bukater
Dawson
Calvert
1895-1997
Ebbe un lieve giramento di testa e si sedette sull'erba umida. Sospirò afflitto mentre le lacrime cominciavano a rigargli le guance.
Quando la nave attraccherà, io scenderò con te.»
« E' una follia.»
« Lo so,» Rose sorrise,« per questo ci credo.»
In quel preciso istante, Jack si maledì con tutto se stesso.
Si maledì di essere morto.
Si maledì di essere tornato.
*
« Vuoi che metta un po' di musica?» la voce di Eva giunse come da lontano.
Lui scosse la testa, senza guardarla. Non aveva detto ancora una parola
da quando se n'erano andati da quel cimitero e, per un attimo, Eva lo
capì. Doveva essere un trauma, avere una seconda
possibilità, poter tornare in vita e cercare disperatamente la
donna amata, per poi scoprire che quest'ultima era morta.
Sembra proprio uno scherzo del destino, commentò Eva.
« Il peggio è che sei tornato, Jack.»
Lui scosse la testa,« no,» disse continuando a guardare un
punto non precisato dell'orizzonte,« il peggio è pensare a
come sarebbe potuto essere.»
Okay,
premetto che l'idea non è farina del mio sacco. Siccome
recentemente ho rivisto Titanic al cinema, è tornata
l'ossessione per questo film; di conseguenza, girando su You Tube ho
visto questo filmatohttp://www.youtube.com/watch?v=MUkzJzsFVtc e mi è venuta voglia di mettermi a scrivere.
Lo so, la fan fiction sembra proprio una presa per i fondelli: pensare
che quando finalmente hanno una possibilità di stare nuovamente
insieme, la vita gliela nega.
Non scriverò nessun'altra fan fiction su questo meraviglio film, ispirato ad una tragedia, perciò...
Addio
Emily