Crazy
Little Thing Called
Love
Capitolo
uno: Make a change!
“And I’ve been a fool and
I’ve been blind
I can never leave the past behind
I can see no way, I can see no way
I’m always dragging that horse around
Tonight I’m gonna bury that horse in
the ground
So I like to keep my issues strong
But it’s always darkest before the dawn
Shake it out, shake it out, shake it out
And it’s hard to dance with a devil
on your back
So shake him off”
(Shake it out- Florence and The Machine).
Tornare
a Fell’s Church dopo un mese
trascorso a girare per la Spagna era stata per me, Bonnie McCullough,
un’esperienza
tutt’altro che piacevole; e a dirla tutta ne avrei fatto
volentieri a meno.
Era
stata una bella vacanza; uno stacco dalla solita vita.
Per un mese intero non
ero stata
classificata solo come ‘quella dai capelli rossi’,
non ero rimasta all’ombra
delle mie amiche. In Spagna, lontano da casa, ero finalmente riuscita a
trasformarmi in una persona diversa, più sicura di me, meno
ansiosa di ciò che
pensavano gli altri.
Ma
qui a Fell’s Church tutto sarebbe tornato come prima;
sarei stata Bonnie, l’amica di questo o di quella, sarei
stata solo la ragazza
dai capelli rosso fuoco.
In
fondo non mi era mai pesato molto; dopotutto avevo delle
amiche fantastiche, che mi conoscevano per quella che ero veramente e
non
giudicavano.
In
tanti si erano chiesti che diamine avessi di speciale per
fare parte del gruppo di ragazze più popolari e benvolute
della città.
Ero
carina, ma non bella; simpatica, ma non propriamente uno
spasso; intelligente, ma non un genio. Una ragazza totalmente ordinaria.
E
questo provocava l’antipatia di tutte le altre che erano
rimaste escluse dalle luci della fama. Il che era davvero strano,
perché di me
si sarebbe potuto dire di tutto tranne che fossi antipatica. Cercavo
sempre di
essere gentile con tutti e disponibile. Ero di una bontà
disarmante.
Forse
la mia amicizia con Stefan Salvatore non era molto di
aiuto. Insomma, immaginate se nella vostra piccola città ci
fosse stata una
ragazza totalmente comune, apparentemente senza alcun merito, cui
però era
permesso di essere in confidenza con i più belli e popolari
del liceo. La
domanda sarebbe sorta spontanea: che
diamine ha quella lì di tanto speciale che io non ho?
Non
ero in grado di rispondere perché non lo sapevo neanche
io. In realtà ero tutto fuorché speciale dal mio
punto di vista; eppure ero
stata così fortunata.
Stefan
era un bel ragazzo, riservato ed educato, che con il
suo fare misterioso e sfuggente aveva fatto battere il cuore a molte
ragazze,
ma solo in poche erano riuscite a conquistare il suo; anzi forse
soltanto una
avrebbe potuto arrogarsene il merito: Elena Gilbert, la cui bellezza
folgorava
chiunque.
Conoscevo
Stefan da tutta la vita ed era stato inevitabile
diventare amici. Avevamo la stessa età, eravamo vicini di
casa, entrambi
avevamo perso la mamma da piccoli. Eravamo cresciuti insieme,
aiutandoci a
vicenda, facendoci da spalla, supportandoci nei momenti di
difficoltà.
Neanche
mi ricordavo quando avessimo iniziato a considerarci
quasi come fratello e sorella; era accaduto e basta. Tutto
così naturale e
spontaneo, come se fossimo stati destinati a divenire così
intimi.
Non
ci eravamo visti per un mese intero e non era mai
successo. Di solito facevamo tutti le vacanze insieme; non eravamo
abituati a
stare così lontano.
L’unico
mio pensiero, appena finiti di disfare la mia valigia,
fu quello di attraversare la strada, fiondarmi a casa sua e
abbracciarlo fino a
soffocarlo.
“Mary”
urlai a mia sorella “Vado da Stefan”.
Mary
bofonchiò qualcosa in risposta che io non recepii.
Uscii e andai dall’altra parte della via, trovandomi subito
sotto il portico di
casa Salvatore.
Aprii
la porta con il duplicato delle chiavi che il mio
amico mi aveva dato qualche anno prima per le emergenze.
“Stefan”
chiamai.
Non
ci fu risposta.
Proseguii
su per le scale. Ero certa che il signor Giuseppe Salvatore
non ci fosse; a quell’ora doveva essere al lavoro. Sperai di
avere la stessa
fortuna con Damon, il fratello maggiore di Stefan.
Non
ero mai andata molto d’accordo con quel ragazzo, nemmeno
quando eravamo bambini. Damon era bellissimo e questo era innegabile.
Di una
bellezza disumana, quasi irreale. Ma era anche egoista, arrogante,
opportunista, donnaiolo, sfacciato e troppo sicuro di se stesso e aveva
l’innata capacità di farmi venire i nervi a fior
di pelle con una sola
occhiata.
Sapeva
di avere un certo ascendente sulle persone, in
particolare sulle donne, e se ne approfittava senza ritegno.
Ogni
ragazza che contava a Fell’s Church era passata per il
suo letto; tranne Elena. Damon aveva un debole per lei, da sempre. Il
costante
rifiuto della ragazza non faceva altro che alimentare la sua
fissazione.
“Stefan!
C’è nessuno in casa?”.
Mi
sentii improvvisamente sollevare da dietro e urlai
d’istinto. Quando ritoccai terra, feci qualche passo avanti e
mi girai.
“Stef!”
boccheggiai “Volevi farmi venire un infarto?!”.
Il
ragazzo non mi
ascoltò nemmeno e mi riabbracciò, sollevandomi di
nuovo “Sei tornata
finalmente!” esclamò facendomi fare un mezzo giro
“Fatti un po’ vedere” mi
disse “Ti sei fatta riccia?”.
“Sì”
confermai toccandomi i capelli con un sorrisino
soddisfatto “Ti piacciono?”.
“Stai
molto bene” mi squadrò da capo a piedi
“Hai fatto
qualcos’altro, sembri più …
più …”.
“Tonica?
Allenata? Tutta colpa di Caroline” spiegai “Mi
faceva svegliare tutte le mattine alle sette per andare a correre sulla
spiaggia.
Uno strazio” mi lamentai.
“Sei
in gran forma, Bonnie” si complimentò
“Farai girare la
testa a tutti i ragazzi quest’anno” e
strizzò l’occhio.
“Ma
smettila!” gli tirai uno schiaffetto sulla spalle e mi
buttai sul letto “Dimmi di te piuttosto,
com’è andata al campo estivo per il
football con Matt?”.
“Alla
grande” rispose stendendosi accanto a me “Il posto
era
completamente immerso nel verde, ho conosciuto un sacco di gente e
soprattutto
sono stato lontano da Damon”.
“Va
ancora così male con lui?”.
“Ora
va anche peggio”.
Sapevo
perfettamente a cosa si riferiva: Damon non aveva
accettato la storia del fratello con Elena e questo non aveva avuto
altro
risultato che aumentare la tensione tra loro. Da che ricordassi i due
non erano
mai andati molto d’accordo; non certo per volere di Stefan,
che aveva sempre
fatto di tutto per non scontentare il fratello, specialmente durante
gli anni
dell’infanzia. Stefan cercava di stargli alla larga, di non
dargli noia, di
recuperare il loro rapporto, ma Damon aveva sempre e solo un obiettivo:
tormentarlo. Lo accusava infatti della morte della madre, deceduta poco
dopo
aver dato alla luce il figlio più giovane, per delle
complicazione post-parto.
Aveva covato questo rancore nei confronti del suo fratellino ed era
cresciuto nel
corso degli anni allontanandoli uno dall’altro. Senza
contare, poi, che, mentre
Stefan sembrava incarnare l’essenza del figlio perfetto,
Damon risultava sempre
una delusione su tutti i fronti; cosa che il padre non dimenticava di
sottolineare ogni volta che ne aveva occasione.
Stefan
avrebbe pagato vagonate d’oro per cambiare la sua
situazione, per farsi accettare dal fratello, ma era ben consapevole
che Damon
non lo avrebbe mai perdonato; e ne soffriva senza trovare pace.
Gli
posai una mano sul braccio “Vedrai che prima o poi la
smetterà”.
“No
Bonnie, mi odia”affermò “Ma ormai ci
sono abituato” e
sorrise tristemente “Non voglio annoiarti con i solito
discorsi. Dai, parlami
della Spagna”.
Passammo
così le due ore successive, a raccontarci le nostre
rispettive estati, a ridere e a scherzare; almeno fino a che il rombo
di quella
che sembrava una macchina da corsa non ci interruppe bruscamente.
Io
guardai stranita fuori dalla finestra e Stefan
m’imitò.
Una Ferrai nera luccicante stava percorrendo la via. Ma di chi poteva
essere?
Il
mio stupore crebbe ancor più quando la vidi fermarsi
davanti a casa Salvatore e parcheggiare nel vialetto
d’ingresso.
“E’
di Damon” spiegò Stefan quasi avesse letto i miei
pensieri.
“E
quando l’ha presa???”.
“Qualche
giorno dopo la tua partenza. Papà era furioso!
Credo si sia pentito di avergli cointestato il conto in
banca” ridacchiò
Stefan.
“Tuo
fratello è completamente fuori dal mondo”
commentai
sempre più sbalordita. La famiglia Salvatore era ricca e lo
sapevano tutti, ma
viveva in un quartiere normalissimo, in una casa normalissima che non
faceva
sfoggio di nessuno sfarzo. Era una famiglia che preferiva mantenere un
profilo
basso, anche se avrebbe potuto permettersi i lussi più
sfrenati. Ma Damon era
un caso a parte.
“Credo
fosse geloso del fatto che io guidi una Jaguar”
ipotizzò Stefan.
“Sì
ma è della tua famiglia!” replicai io
“Non hai speso una
fortuna per un capriccio”.
“Ma
papà l’ha data a me e non
a lui” precisò il mio amico
“Sai che smacco per il suo ego!
Battuto un’altra volta da suo insignificante e odioso
fratellino”.
“Tu
non sei né odioso né insignificante”
ribattei “Se lui la
smettesse di fare lo spaccone, forse tuo padre non lo tratterebbe come
uno
stupido incapace”.
“Oh
Bonnie, ti assicuro che Damon è ben lontano da essere
uno stupido incapace” lo difese Stefan.
“Hai
ragione; è peggio!”.
Stefan
rise di gusto e andò a prendere il cellulare che
aveva preso a vibrare insistentemente. “E’
Elena” disse.
“Rispondi”.
Stefan
rifiutò la chiamata e prese a guardarmi seriamente
“Non te l’ho mai chiesto e credo che sia il momento
di farlo” incominciò
facendomi un po’ preoccupare “Ti dà
fastidio che io mi sia messo con la tua
migliore amica?”.
Un
paio di secondi e io scoppiai a ridere tenendomi la
pancia “N-no” pronunciai tra una risata e
l’altra “Stefan, siete due persone
meravigliose e meritare di stare insieme più di chiunque
altro” questa era una
chiara allusione a Damon “Sono strafelice che vi siate
trovati, davvero” lo
rassicurai “E adesso richiamala, perché se la
conosco si starà facendo un
mucchio di paranoie sul perché non le hai
risposto”.
“Te
l’ho già detto che sei la ragazza migliore del
mondo?”
mi disse baciandomi sulla fronte con fare fraterno.
“Lo
so” scherzai. Lo salutai con un gesto della mano,
uscì
dalla sua camera e scesi le scale.
Raggiunsi
l’ultimo gradino e mi bloccai all’ingresso: la
porta di casa si stava aprendo. Per un momento considerai
l’idea di nascondermi
da qualche parte o di ritornare di corsa in camera di Stefan e
rinchiudermi
dentro finché la via non fosse stata libera, ma non ebbi
nemmeno il tempo di
mettere in atto nessuno dei due piani. Ero letteralmente in mezzo
all’entrata,
in piena vista e la porta ormai era completamente spalancata. Lui mi aveva già beccata e io
non avevo
possibilità di svignarmela.
Richiuse
la porta con un semplice gesto del polso. Come al
solito era vestito di nero, portava sempre abiti neri o per lo meno
molto
scuri. Era un po’ abbronzato; non molto dato la carnagione
bianchissima, ma
quel colore dorato gli donava parecchio. Lo osservai togliersi gli
occhiali da
sole e il giubbotto di pelle. Fuori c’erano quaranta gradi
all’ombra, ma pur di
apparire superfigo si sarebbe sciolto al sole. Probabilmente nel
tragitto verso
casa aveva fatto svenire metà della popolazione femminile di
Fell’s Church, la
metà cui era permesso di uscire dopo le sei di sera.
Alzai
il mento con fare altezzoso e lo superai salutandolo
con un freddo “Ciao Damon” e lui mi rispose con lo
stesso identico tono “Bon
Bon”.
Damon
Salvatore aveva coniato un’innumerevole sfilza di
soprannomi appositamente per me, uno più idiota
dell’altro. Andavano dal più
sopportabile ‘Bon Bon’ al denigrante e canzonatorio
‘Uccellino’.
Uccellino.
Poteva
apparire come un nomignolo dolce e affettuoso, ma le
sfumature che gli aveva conferito Damon erano di natura ben peggiore. Perché io ero fragile e fastidiosa come
gli
uccellini che cantavano al mattino svegliando la sua regale persona!
Avevo
quasi raggiunto la porta e stavo per uscire
trionfante, quando la sua voce pronunciò con una nota
derisoria “Cosa cavolo
hai fatto ai capelli?!”.
Mi
voltai e lo guardai stranita “Si chiama permanente,
Damon”.
“Somiglia
a quelle parrucche rosse che usano i clown”
sentenziò tra una risata e l’altra.
“Nessuno
ha chiesto il tuo parere” replicai.
Damon
ghignò alzando le spalle “Senza offesa. Lo dicevo
per
te, ma se preferisci andare in giro come una che ha messo le dita nella
presa
della corrente, fa’ pure”.
“Quanto
sei idiota” commentai indispettita marciando fuori
di casa.
Lo
odiavo, lo odiavo, lo odiavo!
C’era
stato un tempo in cui aveva cercato di farmelo
piacere: non volevo stringerci amicizia, ma almeno provare ad avere un
rapporto
civile. Ma con Damon Salvatore non esistevano le vie di mezzo: o tutto
o
niente, o odio o amore.
No,
forse odio era una parola troppo forte. Io non ero certo
capace di provare un sentimento così forte e netto nei
confronti di qualcuno.
Più
che altro non sopportavo il suo modo di fare da “sono il
più figo del pianeta e tu sei soltanto uno sgorbio che non
merita la mia
attenzione”.
Da
che potessi ricordare non aveva mai avuto molto rispetto
nei miei confronti; mi considerava solo una bambina, fastidiosa e
sprovveduta,
una che non poteva prendersi cura di se stessa, un’inetta in
tutto. Era la
migliore amica del suo odiato fratello e questo bastava per
disonorarmi.
Il
grande difetto di Damon era la sua immensa superbia. A
volte mi stupivo di come la sua testa non venisse schiacciata dal suo
enorme
ego. Si riteneva dieci gradini sopra tutti e se, per un malaugurato
caso,
decideva che qualcuno non era degno della sua compagnia, non si
abbassava
nemmeno a fare un saluto.
Avrei
preferito di gran lunga essere ignorata come tanti
altri, ma il mio legame con Stefan, il fatto che fossimo vicini, che i
nostri
padri fossero amici, tutto ciò ci obbligava a stare a
contatto.
Comunque
dovevo ammettere che i nostri rapporti erano
parecchio migliorati da quando Damon si era diplomato. A scuola mi
aveva fatto
piangere quasi ogni settimana; trovava sempre un modo per imbarazzarmi
davanti
a tutti. Di norma non era un tipo gentile, ma sembrava sfogare tutta la
sua
rabbia su Stefan e la sua arroganza su di me, per cui si era prodigato
con
particolare cura a rendere il nostro primo anno un inferno. Poi
finalmente la
sua esperienza liceale si era conclusa (con gran sollievo degli
insegnanti) ed
era arrivata l’università. Si era trasferito a
Dalcrest* e ritornava raramente
a casa. Forse la lontananza dal padre oppressivo o dal fratello
perfetto, forse
l’incontro con una nuova realtà; non so dire di
preciso che cosa avesse causato
il suo cambiamento, ero solamente certa che fosse maturato.
Rimaneva
sempre il solito spaccone, a tratti maleducato, ma
almeno aveva smesso di torturarmi. Io stessa ero cresciuta, ero
diventata meno
impressionabile e capitava che gli tenessi perfino testa. Non era
più così
facile portarmi sull’orlo delle lacrime.
In
definitiva potevo affermare che il nostro rapporto si
basava più che altro sulla sopportazione forzata. Non
eravamo amici e mai lo
saremo diventati. Ognuno dei due avrebbe proseguito per la sua strada e
non ci
saremmo mancati; e se dopo vent’anni ci fossimo incontrati di
nuovo, ci saremmo
salutati cordialmente e niente di più.
Perché
io e Damon Salvatore eravamo due anime incompatibili.
Costretti dalle circostanze a condividere una parte della nostra vita e
più che
felici di separarci definitivamente quando sarebbe giunto il momento.
Io
amavo** e rispettavo un solo Salvatore e Damon ne era
decisamente l’opposto.
Me
ne stavo semistesa sul dondolo che avevamo in veranda.
Risi ironicamente.
Il
dondolo in veranda. Che cliché. Se ne vedeva almeno uno
in ogni serie tv americana. Gettando un’occhiata intorno ci
si rendeva conto
che tutta la via rispecchiava l’essenza della famiglia media
americana: casette
con il portico, vialetto d’ingresso, giardinetto retrostante,
strade tranquille
che ad Halloween si riempivano di zucche intagliate.
Era
fine estate, la scuola sarebbe ricominciata in pochi
giorni e volevo godermi gli ultimi momenti di pace. Mia sorella e mio
padre
stavano litigando come al solito.
A
Mary mancavano pochi esami per ottenere la sua laurea in
infermeria e aveva
deciso di trasferirsi
in un piccolo appartamento preso in affitto con il suo fidanzato.
Papà
aveva dato ovviamente di matto. Da quando nostra madre
ci aveva lasciato, lui aveva fatto il possibile per crescerci al meglio
e per
colmare quella mancanza; d’altra parte si era talmente
attaccato a noi da non
riuscire nemmeno ad immaginare che un giorno che ne saremmo andate.
In
realtà il problema per me non sussisteva nemmeno: mi
piaceva Fell’s Church, era casa mia, era il mio guscio
protettivo. Mi lamentavo
spesso di quanto le persone fossero provinciali, di come avrei voluto
essere
guardata in modo diverso, ma in fondo al mio cuore avevo una paura
matta di
lasciare il luogo in cui ero nata e cresciuta.
Ormai
mi ero troppo abituata al ruolo di Bonnie la brava
ragazza, mi trasmetteva una sicurezza confortante. Qui avevo delle
amiche, una
famiglia, avevo Stefan e potevo anche fregarmene
dell’opinione di tutti gli
altri; ma là fuori? Come sarebbe stato?
Non
credevo che sarei riuscita ad essere qualcosa di
diverso. Quel mese in Spagna era stata una specie di prova, ma si era
trattato
di poco tempo. Cosa ne sarebbe stato davvero della mia vita una volta
finita la
mia adolescenza?
Le
mie amiche avevano tutto dei piani, più o meno
realizzabili: Meredith avrebbe fatto domanda ad Harvard, Caroline
voleva
trasferirsi a Los Angeles per una carriera da modella, Elena
probabilmente
avrebbe seguito Stefan a New York e sarebbe diventata dirigente di
qualche
azienda. Lei era forte e decisa; ce la vedevo proprio a comandare a
bacchetta
delle povere stagiste.
Io
al contrario non ne avevo la più pallida idea. Quasi
certamente sarei finita in un college di serie B e avrei trovato un
lavoro
mediocre a Fell’s Church. Non ero un tipo ambizioso; avevo
una visione più
romantica della vita: un matrimonio, dei figli, un cane. Eppure
… eppure
sentivo che mancava qualcosa. Avevo solo un anno di tempo per capire
che cosa
fosse e mi pareva pochissimo tempo.
Abbandonai
la testa sul cuscino dietro di me. La porta di
casa si aprì e uscì papà sbuffando. Si
appoggiò contro il muro con fare
esasperato.
“Tu
sei sempre stata più semplice da gestire”
commentò.
Certo,
pensai
amaramente, io dico
sempre di sì.
“Dovresti
lasciarla andare, sai” gli consigliai piegando le
gambe per fargli posto sul dondolo.
Lui
si voltò verso di me fulminandomi “Due contro uno
non
vale”.
“E’
grande papà, ha quasi ventitre anni. Studia e ha
già
cominciato un apprendistato; praticamente si mantiene da sola. Non sta
andando
a vivere con uno sconosciuto, ma con Alec e lo conosci da anni. Non mi
sembra
tanto male come prospettiva”.
“Da
quando sei tu a dare consigli a me?!” chiese incredulo
“Stai crescendo anche tu, gattina?”.
Gattina.
Uccellino. Avrei tanto voluto sapere perché la
gente si divertiva tanto a darmi quei nomignoli; mi facevano sentire
ancora più
piccola di quanto già non fossi.
“Sì,
papà, capita anche a me” risposi “Ho
diciott’anni”.
“Ne
hai diciassette e sette mesi***. Non barare”
precisò lui
“E comunque ci devo pensare, non posso cacciare tua sorella
fuori di casa da un
giorno all’altro”.
“In
realtà non la stai cacciando, è lei che se ne
vuole
andare” gli feci notare con un sorrisino furbo.
“Non
starò a discuterne con te” ribadì mio
padre “Piuttosto,
che ne dici di raccontarmi com’è andata in Spagna.
Non ne hai ancora fatta
parola”.
“Bene.
E’ molto diverso da qui … i loro orari sono
pazzeschi”. Era stato abbastanza destabilizzante abituarsi a
mangiare alle
undici tutte le sere. Negli Stati Uniti cenare alle sette era
considerato già
tardi.
“E
ti sei divertita?”.
“Certo!
Ero con le mie migliore amiche … non potevo chiedere
di meglio” confermai.
“Tutto
qui? Non c’è nient’altro che vorresti
dirmi?”.
Alzai
un sopracciglio: so dove voleva andare a parare e non
erano certo cose di cui volevo discutere con lui. “Non tirare
in ballo
l’argomento ragazzi. La
mia bocca
rimarrà sigillata”.
“E’
solo che non ti vedo mai con nessuno e beh, so che
preferiresti parlarne con una donna; potrei mettere una parrucca se ti
fa
sentire più a tuo agio”.
Io
scoppia a ridere tirandogli un leggerissimo pugno sulla
spalla “Ma smettila!”.
“Se
mi dici che va tutto bene, gattina, io ti credo” disse
mio papà “Però cerca di trovartene uno
con la testa a posto, ok? Il giovane
Salvatore qui davanti sarebbe una scelta che approverei”.
“Stefan
è il mio migliore amico” replicai indignata.
Soltanto l’idea mi sembrava assurda “E poi lui sta
con Elena”.
“In
realtà mi riferivo all’altro”
precisò lui abbassando la
voce e indicando con la testa la casa di fronte a noi. Mi voltai anche
io e
vidi Damon uscire di casa, sicuramente pronto a una nottata di baldoria.
Non
avevo mai capito come mio padre potesse ritenerlo un
ragazzo a posto. Lui lo adorava!
Davvero
non so quell’ammirazione da dove saltasse fuori, dato che era
risaputo che
Damon fosse un’emerita testa di cazzo. Tutti i padri di
Fell’s Church avrebbero
pregato che loro figli stessero lontane da un tipo del genere e invece
il mio
avrebbe festeggiato per il contrario. Vallo
a capire!
Mio
padre si alzò per salutarlo, sventolando la mano
“Ehi
Damon! Mi farai fare un giro prima o poi, vero?”.
Io
mi schiaffai una mano in fronte: papà che chiedeva a
quell’imbecille di fargli provare la macchina era una delle
situazioni più
imbarazzanti cui avessi assistito.
“Certo,
signor McCulluogh” rispose Damon avvicinandosi al
nostro portico “Per lei questo ed altro”.
Rotei
gli occhi irritata. Ovvio che mio padre avesse una
predilezione per lui: Damon era un vero maestro della captatio
benevolentiae****.
Come riusciva quel ragazzo ad arruffianarsi le persone, nessuno mai!
Iniziarono
a parlare di automobili, potenza dei motori,
numero dei cavalli … tutte cose assolutamente
incomprensibili per me e
sostanzialmente inutili.
Cosa
diamine serviva comprare una macchina così veloce
quando non la si poteva usare al massimo delle sue
possibilità senza rischiare
una sanzione o addirittura la vita? Un grande spreco di soldi.
“Sa
signor McCullough, dovrebbe parlare con mio padre; lui
non sa godersi la vita come fa lei”.
Il
mio papà mise su un’espressione un po’
più seria, senza
però mostrare tutto il rimprovero che avrebbe voluto
“Beh Damon, forse avresti
dovuto avvisarlo prima di prelevare tutti quei soldi per comprarti
l’auto”.
“Che
posso dire in mia difesa?” alzò le spalle lui
“Anche io
so godermi la vita”.
Mio
padre ridacchiò “Avresti dovuto esserci, gattina!
Il giorno
in cui l’ha portata a casa … le urla di suo padre
arrivavano fino alla fine
della strada!”.
Tirai
un sorriso e allungai le gambe sul dondolo con fare
annoiato. Certo che avrei voluto esserci: vedere Giuseppe mentre
cercava di staccare
la testa a quel disgraziato di suo figlio, sarebbe stato uno dei
momenti più
belli della mia vita.
“Tuo
fratello è tornato oggi, giusto? Non l’ho ancora
visto.
Come sta? Si è divertito?”
s’informò mio padre.
“Sì”
rispose Damon con fare suppositivo. Era chiaro che non
ne avesse la più pallida idea “Stefan adora il
baseball”.
“Era
un campeggio di football” lo corressi tagliente.
L’indifferenza verso suo fratello era vergognosa e non potevo
proprio
accettarla.
“Sempre
di sport si parla” dissimulò Damon con incredibile
nonchalance, anche se aveva percepito perfettamente tutta la mia
ostilità.
Quando
si trattava di Stefan diventavo estremamente
protettiva.
Anche
mio padre fiutò la tensione che si stava creando e
preferì ripiegare in casa e congedare Damon per impedire che
ci addentrassimo
troppo nell’argomento ‘Stefan’.
“Beh,
è stato un piacere vederti! Salutami tanto tuo
padre”.
“Lo
farò” gli assicurò Damon osservandolo
entrare in casa.
Come
no!
Credevo
che a quel punto il ragazzo se ne sarebbe andato,
magari con un saluto accennato. Invece si lasciò scivolare
sul dondolo, nel
posto prima occupato da mio padre, sedendosi quasi sui miei piedi. Li
ritirai
in fretta e ne arricciai la punta innervosita per
quell’invasione di spazio.
Si
stiracchiò portando le mani dietro la testa, poi mi
guardò piegando leggermente il collo
“Perché sei sempre così fredda con me, gattina?” mi chiese con un
finto
broncio, calcando bene quel nomignolo per prendermi in giro.
“Non
sai nemmeno dove ha passato l’estate tuo fratello”
lo
biasimai “Sei così pieno di te stesso! E non
chiamarmi così”.
“Adoro
quando tiri fuori il tuo lato tenero” ironizzò lui
solleticandomi la pianta del mio piede sinistro con un dito. Lo calciai
via con
poca forza per non fargli male; volevo solo levarmelo di dosso.
“Comunque
quei posti sono tutti uguali per me” sembrò quasi
giustificarsi “Niente divertimento, niente vita sociale,
niente ragazze. Solo
allenamenti e contatto con la natura. La solita noia”.
“Tu
sì che sei un uomo profondo, Damon” commentai con
sarcasmo.
Fece
un sorriso di falsa modestia e continuò “Parliamo
di te
piuttosto. Un intero mese in Spagna? Ti devi essere divertita
parecchio”.
Mi
chiesi come facesse a sapere dove avevo passato l’estate,
poi mi ricordai che con me c’era anche Elena. Era chiaro che
lui fosse così ben
informato sui nostri spostamenti “Sì, mi sono
divertita molto”.
“Anche
Elena si è divertita?”.
Bingo!
Capii perché era rimasto a parlare con me.
Normalmente mi evitava come la peste e quella sera era troppo gentile
per
essere sincero.
“Anche
lei si è divertita, ma non come intendi tu” ci
tenne
a specificare “Elena si diverte solo con il suo
ragazzo”.
Gli
occhi di Damon per un attimo s’indurirono. Odiava quando
qualcuno gli ricordava di quanto suo fratello fosse migliore di lui e
se a
farlo ero io, la sua irritazione aumentava. Mi chiamava la paladina di
Stefan.
Io
non potevo fare altro che difenderlo; gli ero troppo
affezionata e ai miei occhi Damon era una sorta di carnefice e cercavo
di
punirlo ogni volta che mi si presentava l’occasione.
“Questo
perché non ha ancora provato cosa significa stare
con me”.
“Il
tuo ego prima o poi chiederà una stanza tutta per
sé”dissi.
Le
sue labbra si tirarono in un mezzo sorriso, probabilmente
intenerite dal mio pallido tentativo di fare del sarcasmo.
Mi
chiesi pure io da dove venisse tutta quella spavalderia.
Non che normalmente volassero della parola gentili tra noi, ma quella
sera ero
particolarmente sicura di me; cosa che non capitava quasi mai,
soprattutto
quando Damon era coinvolto. Di solito mi metteva soggezione, a volta
paura, e
non mi azzardavo a tirare troppo la corda. Piuttosto chiudevo la
conversazione,
me ne andavo o evitavo di rispondere.
Avrei
potuto rifugiarmi in casa e sottrarmi a quel
confronto, ma qualcosa mi aveva fermato. Era la mia casa, la mia
veranda, il
mio dondolo! Semmai era lui a dover sloggiare. Per cui ero rimasta
lì con lui
tenendogli testa.
Sapevo
bene che mi stava permettendo di essere così
sfrontata. Se avesse alzato di un pelo la voce o se avesse indurito il
tono,
probabilmente avrei abbassato le orecchie come un cucciolo impaurito.
Sembrava,
però, di buon umore e io ne approfittai per
rimetterlo al suo posto. In quel momento mi resi conto che il mio
viaggio in
Spagna era stato più utile del previsto per la mia autostima.
“Rinfodera
gli artigli, gattina.
Volevo soltanto scambiare due parole con la mia adorata
vicina di casa” mi stuzzicò. Si alzò
decidendo finalmente
di liberarmi della sua fastidiosa presenza “Comunque oggi ho
detto una bugia”.
Spostai
lo sguardo su di lui, confusa.
“I
tuoi capelli” si spiegò “Non ti stanno
male”.
Incredula,
storsi la schiena e seguii i suoi movimenti fino
all’altro lato della strada, dov’era parcheggiata
la sua Ferrari.
Damon
Salvatore mi aveva appena fatto un complimento? Forse
quella era una parola un po’ forte.
Riformulai
il pensiero: Damon Salvatore aveva appena detto
una cosa gentile sul mio aspetto?
Era
la prima volta da quando ci conoscevamo e mi sorprese
parecchio. Non aveva detto chissà che, non era neanche un
commento lusinghiero,
anzi era piuttosto mediocre, ma sentirlo proprio da lui appariva una
cosa di un
altro mondo.
Infine
mi rigirai e mi toccai i capelli attorcigliandomeli
tra le dita. Mi piacevano molto; di natura li avevo dritti e abbastanza
fini,
per cui la maggior parte delle volte non avevano una vera forma. Quella
permanente mi dava un tocco grintoso.
Sembrava
una massima banale, ma il look influiva molto sulla
personalità di una ragazza. Bastava un piccolo accorgimento
per farci sentire
subito più forti.
Ed
era così che volevo essere: forte; una che non si
piegava.
Ero
soddisfatta di come mi ero comportata quella sera con
Damon, di come ero riuscita a rispondergli a tono senza abbassare la
testa.
Non
potevo più continuare con la storia della ragazza timida
ed indifesa, non a quasi diciott’anni, non al mio ultimo anno
di scuola
superiore.
Non
potevo promettere a me stessa dei grandi risultati, ma
mi sarei impegnata per far sì che quel lato più
aggressivo del mio carattere,
di solito latente, emergesse un po’ di più.
Saltai
giù dal dondolo e entrai in casa, canticchiando una
canzone che avevo sentito in auto, alla radio, di ritorno
dall’aeroporto.
Mondo
preparati
alla nuova me.
Il
mio spazio:
Prima
cosa: non sto trascurando la mia storia Ashes&Wine
(anzi ne approfitto per avvisarvi che posterò il nuovo
capitolo mercoledì);
solo che mi sono trovata con una voglia matta di iniziare questa nuova
storia e
ho buttato giù il primo capitolo. Sarà che con
l’avvicinarsi dell’estate ho
voglia di un di leggerezza, ma alla fine ho scelto la prima delle trame
che vi
avevo proposto.
Seconda
cosa: parliamo di Crazy Little Thing Called Love.
Questo
è solo un capitolo di assaggio, una specie di sneak
peek. Ho deciso di postarlo così voi lettrici potevate farvi
un’idea di come
sarebbe stata questa nuova storia e magari darmi delle idee per gli
eventi
futuri, dato che non ancora programmato niente.
Non
credo verrà più aggiornata fino a che non
avrò terminato
Ashes&Wine, quindi mi sa che passerà molto tempo
prima che potrete vedere
il secondo capitolo. Ma vi prometto che ci lavorerò su e se
mi renderò conto di
riuscire a portare avanti due storie contemporaneamente, lo
farò con piacere!
Crazy
Little Thing Called Love è ambientata sempre a
Fell’s
Church, ma i nostri protagonisti sono tutti umani. Non ci
sarà il dramma che
avete incontrato nell’altra mia storia; ho intenzione di
scrivere qualcosa che
si avvicini più alla commedia! Ho voglio di farmi quattro
risate e di essere un
po’ ironica. Non so quanto ci riuscirò ma spero
che apprezzerete.
Ho
messo anche l’avvertimento OOC perché si tratta
appunto
di un “altro universo” e si conoscono tutti fin da
bambini, quindi le loro
relazioni saranno un po’ diverse da quelle del libro e di
conseguenza anche i
loro atteggiamenti. Tranquille, non ho intenzione di sconvolgere la
personalità
di nessuno (solo quella di Caroline, scusate ma amo troppo quella della
serie
tv!).
Più
che altro credo che Bonnie sarà quella che
affronterà i
cambiamenti più significativi. Sono un po’ stufa
di vedere , sia nei libri sia
nella serie, il suo personaggio un po’ sottovalutato; insomma
si merita di
ricevere le stesse attenzione che hanno le altre ed è il
momento che qualcuno
dei nostri uomini si accorga di lei!
Non
la trasformerò in una diva o in una mezza sgualdrina che
si ubriaca e si lascia andare con i ragazzi, non ho intenzione di farla
nemmeno
troppo seducente o sfacciata; non sarebbe più Bonnie
altrimenti. Le voglio solo
dare un po’ di sicurezza!
La
stessa che ha mostrato in questo capitolo con Damon,
anche se, come lei stessa ha detto, è stato lui a
permetterglielo. Bonnie lo
conosce da quando è nata quindi può prendersi la
confidenza di parlargli così
schiettamente, ma rimane comunque la solita ragazza tenera e sensibile,
ancora
soggetta al carisma di Damon, anche se non ne è affascinata
come nei libri.
Sarà
principalmente narrata dal punto di vista di Bonnie, ma
anche Damon avrà i suoi i spazi.
Spero
davvero che vi piacerà quanto Ashes&Wine e spero
continuerete a lasciarmi i vostri splendidi consigli e commenti.
A
mercoledì! E grazie in anticipo!!!
*In
Phantom i ragazzi decidono di frequentare il college di
Dalcrest; ho seguito questa linea per Damon.
**
Tra Bonnie e Stefan ci sarà solo un amore fraterno!
Sarà pieno
di bei momenti tra loro, ma non vedrete mai un’interazione
romantica. Anche perché
in questa storia Elena rimarrà SOLO con Stefan. Nessuno
dubbio sulla sua
fedeltà. Damon ha bisogno di un altro percorso.
***Allora
la questione dell’età per me è
abbastanza un
problema. Mi spiego meglio: da quanto ne so io, negli Stati Uniti le
superiori
durano solo quattro anni, quindi i ragazzi all’inizio
dell’ultimo anno, hanno
solo diciassette anni (quante volte ho scritto anno in questa frase??
Ahah). Però
in alcune serie tv (TVD per esempio) compiono diciott’anni
prima di gennaio. Ora
io mi atterrò alle mie conoscenze e qui gli studenti
diventeranno maggiorenni
solo dopo gennaio del loro ultimo anno di scuola, come dovrebbe essere.
In ogni
caso se qualcuno ha capito come funzione questa cosa, per favore mi dia
delle
delucidazioni perché comincio a credere di essere stupida e
di non sapere fare
nemmeno dei calcoli elementari. Anche Internet la pensa come me, ma
fidarsi è
bene, non fidarsi è meglio ahah.
****Captatio
benevolientiae: letteralmente “accattivarsi la
simpatia”; era una tecnica dei retori classici per portare il
favore delle giuria
dalla loro parte.