I don’t want to miss
you right now
La mamma è stupida. E’ un dato di fatto e Sherlock non può farci
niente, e non capisce perché se la sia presa con lui. Anche le maestre se la
prendono con lui. E i suoi compagni. E i bidelli. E le cuoche della mensa. Ci deve
essere qualcosa che non funziona bene, in questa storia del dover essere
sinceri e onesti e dire sempre la verità perché Gesù ha insegnato così.
Sherlock non si interessa molto di catechismo, è una cosa inutile e non merita
di occupare spazio nella sua mente, ma è abbastanza sicuro che Gesù non sia mai
finito in punizione e che sua madre non gli abbia mai detto che era un bambino
cattivo e pertanto quella sera sarebbe andato a letto senza cena, e appena suo
padre fosse tornato da lavoro avrebbero visto di prendere provvedimenti seri
per il suo comportamento, perché non si poteva andare avanti così. Ci sono
anche ottime probabilità che Gesù non si sia mai attorcigliato tra le lenzuola
piangendo nel proprio orsacchiotto, ma questa è un’altra storia.
Qualcuno bussa piano. Un colpo, un altro, poi due, tre e cinque.
Vuol dire serie di Fibonacci, vuol dire Mycroft. Sherlock corre alla porta e si
aggrappa alla sua camicia, e suo fratello gli accarezza i capelli e gli dice di
calmarsi e di non fare rumore, lui non dovrebbe essere lì, ha promesso alla
mamma che non sarebbe venuto. Sherlock annuisce, e Mycroft lo prende in braccio
e gli asciuga le lacrime con un fazzoletto.
-Sherlock, tu sei intelligente, e so che lo sai. Abbastanza
intelligente, mi auguro, da capire che ci sono cose che non si devono dire.-
-Anche se sono vere?-
-Proprio perché lo sono. E’ per questo che le persone si
spaventano, perché tu capisci e loro no.-
-Non è colpa mia se sono stupidi e non vedono niente, è tutto lì,
è davanti a loro e non lo vedono, e io vedo tutto e dicono che non va bene e
che sono sbagliato, ma io non sono sbagliato, non sono strambo, sono loro che
non funzionano nel modo giusto!-
Mycroft sospira e se lo stringe addosso, altre lacrime che gli
bagnano la camicia. –Lo so che è difficile, ma a volte devi fermarti e spiegare
piano tutti i passaggi, lasciare che gli altri ti possano seguire. Aspettare
che ci arrivino anche loro, con i loro tempi. E poi ci sono volte in cui non
devi dire niente e basta, come oggi. La mamma ha parlato con papà, Sherlock. E’
tanto arrabbiata. Vogliono mandarti in un collegio, parlano di trasferirti tra
due, forse tre settimane, il tempo di ottenere i permessi e l’iscrizione.-
Sherlock alza lo sguardo e soffoca un singhiozzo nella sua spalla,
e lo stringe più forte e farfuglia qualcosa tra le lacrime, dice che non vuole
andare via, non vuole, può cambiare, sarà bravo, farà finta di essere come
tutti gli altri e di non capire niente come tutti gli altri ma per favore, per
favore, non vuole andare via. Per favore.
Mycroft gli accarezza piano la schiena con una mano, segue la
spina dorsale, risale il collo e intreccia le dita ai suoi capelli. –Andrà
tutto bene, Sherlock. Te lo prometto. Domani parlerò con la mamma e le
spiegherò che ti dispiace tanto, che sai che è tutta colpa tua e non succederà
più. Non dovrai trasferirti. Andrà tutto bene.-
Sherlock si calma lentamente tra le sue braccia, ma Mycroft non lo
lascia. L’orsacchiotto, per la prima volta nella sua storia di orsacchiotto,
quella notte dorme sul pavimento.
Quando Sherlock torna a casa da scuola la mamma sta urlando contro
Mycroft. La mamma non urla mai contro
Mycroft, lui è quello che può presentare alle cene, quello che serve il tè alle
sue amiche, intelligente ma cortese, sarcastico ma di buone maniere. Non è per
niente un buon segno.
Sherlock sale in camera di suo fratello di corsa, butta lo zaino
dietro la porta e si nasconde nell’armadio aspettando i suoi passi sulle scale,
il leggero scricchiolio del penultimo scalino. Ha paura, ed è strano perché non
ha paura da quella volta in cui ha sognato di essere stupido e tutti quanti
erano intelligenti e lui non riusciva a seguirli e non capiva niente. E’ stato
anni fa, che è più o meno tutta una vita, quando di anni ne hai otto. Ma questo
è diverso, questo è vero, e lui non se ne vuole andare. Non che gli importi
della casa, o dei giocattoli, o della scuola, però ci sono cose che non è
pronto a lasciare, non adesso, non ancora. I libri, per esempio. E il
microscopio, i cappelli da pirata e le spade di legno, la sua stanza, l’armadio
di suo fratello. Suo fratello.
Quando Mycroft entra Sherlock apre appena l’anta dell’armadio per
vederlo attraverso le giacche e i pantaloni appesi, la distanza tra le grucce
misurata con un righello che è ancora sulla scrivania. Ha un segno rosso sulla
guancia e l’impronta dura delle dita della mamma sulla pelle, ma sorride e si
china ad accarezzargli i capelli e dice che ci riproverà stasera, e domani, e
andrà avanti per sempre e lui non dovrà andarsene mai. Sherlock non è sicuro,
ma non ci vuole pensare, non vuole pensare a niente, vuole scomparire dentro
suo fratello e non pensare mai, mai più, fino alla fine dei suoi giorni, fino
alla fine del tempo.
-Mycroft? Giochiamo ai
pirati?-
E Mycroft ha due verifiche, domani. E una relazione da consegnare.
E un saggio. E poi ha un fratello, aggrappato alle sue gambe, che ha bisogno di
lui. –Vai a prendere le spade di legno, io penso ai cappelli.-
La mamma sale nella sua camera dopo la cena. Sherlock ha mangiato
in cucina, con la governante, perché è un bambino cattivo e i bambini cattivi
non meritano di sedere a tavola con il resto della famiglia. A quanto pare non
meritano nemmeno la pasta al forno e l’arrosto di vitello, e devono mandare giù
il loro piatto di broccoli fino alla fine, chiudendo gli occhi ad ogni boccone.
Attraverso la porta ha sentito Mycroft parlare e papà rispondere qualcosa, poi
la mamma ha urlato contro papà e papà ha urlato contro la mamma. Un bicchiere
deve essersi rotto, ma se Sherlock chiedesse perché sarebbero tutti pronti a
giurare che è stato un incidente, davvero, soltanto una distrazione. Funziona
così, a casa loro.
E poi la mamma sale, e Sherlock sa che è una cosa importante.
Prende in braccio l’orsacchiotto e lo stringe un po’ più forte ad ogni scalino.
Mycroft gli ha detto che sarebbe successo, e gli ha fatto promettere che
sarebbe stato bravo e avrebbe chiesto scusa e no, non si sarebbe lamentato
della sua stupidità, no, non avrebbe lanciato cose contro il muro come fa
quando è arrabbiato, no. Neanche per idea.
Quando la mamma apre la porta Sherlock è sulla sedia della
scrivania, attorcigliato in un nodo strettissimo. La guarda dal basso e
aspetta, secondi che sono anni che sono un battito di ciglia.
-Puoi restare, a quanto pare. Ringrazia tuo fratello e prega che
tuo padre continui a credere a lui più che a me.- Respira
dal naso, sibilando piano. Si guarda intorno, ma Mycroft ha messo in ordine la
stanza e non riesce a trovare un motivo per arrabbiarsi. Si arrabbia lo stesso
e urla per un po’, ma Sherlock si morde le guance per non rispondere e pensa
che non se ne deve andare, può rimanere qui e continuare i suoi esperimenti e
farsi accompagnare a scuola e giocare ai pirati. E va tutto bene.
Sono le quattro di mattina quando Sherlock entra nella camera di
suo fratello. Mycroft ha finito adesso di scrivere la relazione e il saggio e
ha davvero, davvero bisogno di dormire un paio d’ore prima delle verifiche di
domani, però si gira tra le lenzuola e cerca di metterlo a fuoco attraverso il
buio e il sonno sulle sue palpebre.
Sherlock si arrampica sotto il piumone e gli si stringe addosso.
Dice grazie, grazie, grazie. Dice ti voglio
bene. Mycroft mette in bocca ogni parola e la succhia piano come una
caramella, perché sa che non succederà mai più. E poi si addormenta e c’è il
sorriso di Sherlock, premuto contro il suo collo, ed è qualcosa che non
è pronto a lasciar andare. Non adesso, non ancora.
Angolino
Essendo io una persona
cattiva che campa sul lavoro altrui, sappiate che l’idea di scrivere di
Sherlock e Mycroft da piccoli non è propriamente tutta mia, ma mi è venuta dopo
aver letto frotte di fic di Mikaeru (fic
che sono la meravigliosità e che trovate
qui - http://thefeel-again.livejournal.com/). E ora
che ho fatto il mio bravo lavoro di spammer compulsiva posso anche andarmene,
sì xD