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Autore: mamie    29/04/2012    4 recensioni
Il generale Belisario, vittorioso in Oriente e in Occidente, fu ripagato dall'imperatore Giustiniano, dice la laggenda, con la peggiore delle ingratitudini. Accusato di tradimento, fu accecato e ridotto a vivere da mendicante. Probabilmente non è vero, ma l'ingratitudine dei potenti non è cosa recente...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
- Questa storia fa parte della serie '... e di altre Storie'
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  DATE OBULUM BELISARIO
 
Quanto di tutto ciò che avevi, di tutto ciò che eri – o pensavi di essere – non ti resta più niente, neanche la dignità, neanche l’onore… è quasi un sollievo.
Sei disperso: un guscio vuoto, senza più desideri, passioni o rimpianti. Sei morto e i morti non sanno, non credono, non soffrono. Non hai più paura né vergogna. Continui a camminare diritto e non ti importa se davanti a te c’è il mare, il deserto o il nulla.
Però è una condizione che non dura. Dopo un po’ il corpo fa implacabilmente sentire la sua presenza: hai sete o fame, vorresti riposare, vorresti dormire. Questa macchina stupidamente tenace ti riporta sempre a qualche miserevole forma di vita. Te la fa amare, la vita, proprio quando senti che ti sfugge, ti scivola e ti cade di dosso come un vestito stracciato. Allora qualsiasi cosa, la più infame e bruta, sembra meglio della morte.
 
Guardatemi, signori!  Guardatemi voi, perché io non posso vedervi. Se siete nobili guardate dove finisce la nobiltà, se siete ricchi guardate a cosa giova la ricchezza, se siete miseri guardate qualcuno più misero di voi.
Io ho guidato eserciti in Oriente e in Occidente: io ero un grande generale.
Perché ridi, signore? Fatti avanti. Guardami. Guardatemi. Non c’è nessuno che si ricordi di me?
 
Io, invece, mi ricordo di tutto. Mi ricordo i fuochi del campo di notte, con gli uomini che ci giravano attorno come falene abbagliate. E mi ricordo il sole che svegliava l’oro della cupola di Santa Sofia certe mattine d’inverno.
E ogni cosa, da questa notte senza più sfumature, mi appare più grande e più viva, come la materia di un sogno.
I ricordi sono la sola cosa che mi rimane, ma sono troppi. Si affollano, mi premono qui, dietro gli occhi, vogliono uscire alla luce e non possono poiché la strada è chiusa. Il mio Dio e il mio signore mi hanno consegnato alla notte: la notte senza fuoco, il buio senza lampade, il peggior castigo degli uomini – negargli la luce.
Che importa ormai quello che ero? Non sono più niente.
E nel mio niente voglio vivere.
 
Date  un obolo a Belisario, buoni signori… date un obolo a Belisario.
  
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