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Autore: logosandpathos    29/04/2012    4 recensioni
« John si è sposato. La moglie, una giovane infermiera dalla carnagione chiara e gli occhi color nocciola, si chiama Mary Morstan. A quanto pare, la dolce mogliettina è davvero un tesoro di donna. Sempre attenta alle esigenze di John, meticolosa e zelante nel suo lavoro. »
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Patrick Lowe
Summary: Sherlock riceve una lettera da Molly che gli riassume cose della vita di John che già sa.
Words: 1929
Rating: G
Disclaimers: I own nothing.
Notes: Post-Reichenbach. Accenni OOC e Johnlock. Partecipa alla Sherlothon dello SFI, col prompt #11 - "Travestimento" del Team Canon.

 

Patrick Lowe


« John si è sposato.

La moglie, una giovane infermiera dalla carnagione chiara e gli occhi color nocciola, si chiama Mary Morstan. A quanto pare, la dolce mogliettina è davvero un tesoro di donna. Sempre attenta alle esigenze di John, meticolosa e zelante nel suo lavoro.
Si sono conosciuti due mesi dopo la tua presunta morte. Come mi hai chiesto, ho indagato un po’ e ho potuto constatare che John si è quasi totalmente ripreso dall’accaduto circa sei mesi fa, ovvero dopo ventotto mesi di matrimonio e quattro di convivenza con la signora Watson, mesi in cui sembra che i due si siano sposati e abbiano anche avuto prole. Una figlia, per essere precisi. E Mary porta ora in grembo un maschietto di otto mesi che hanno deciso di chiamare William, come il padre di lei.
I due si sono sposati a Dicembre. È stata una cerimonia intima ed essenziale, con pochi invitati, in una chiesetta verso la periferia est di Londra. John era radioso nel suo elegantissimo vestito nero. Lestrade e Mycroft hanno fatto da testimoni dello sposo. Francamente, nessuno si aspettava la partecipazione di tuo fratello, ma in fin dei conti forse è stato un bene che sia venuto. Oltre a me, a loro e a mrs. Hudson, c’erano ovviamente Sarah, Ella, Harry e Stamford, più tutta l’allegra famigliola della sposa. Anderson e la Donovan sono forse l’unica ancora che tiene tuttora John attaccato al rancore del passato: non ha più rivolto loro la parola da quel 16 Giugno.
Per quanto riguarda la bambina, la piccola Laura oggi ha poco più di un anno e mezzo. Cammina già e sta imparando ad articolare i primi discorsi basilari. Il padre ama portarla al parco: li ho incontrati spesso nel mio tragitto verso il Barts. Sono felici. Una famiglia esemplare. John meritava di smettere con tutta quella sofferenza.
Credo sia ancora presto per dirlo, ma gli occhi e il naso sono del padre. I capelli mossi invece, già piuttosto lunghi e folti, sono di un biondo miele che è sicuramente di proprietà di mrs. Watson.
John, dal canto suo, si è dimostrato un marito e un papà instancabile, nonostante le tendenze isteriche di Mary dovute ad un grave caso di depressione post-parto, passato circa sette mesi fa.
Non mi cerca, non più almeno. Prima di conoscere Mary aveva un disperato bisogno di parlare ma, quando aveva l’occasione di discorrere liberamente dei suoi ricordi, manteneva sempre il contegno del militare che era stato. Solo una o due volte, nel corso di una delle nostre cene, la sua voce si era spezzata. Entrambe le volte mi stava raccontando dei vostri momenti più intimi, dei tuoi rari slanci d’altruismo, delle parole prima del salto.
Mi spezzava il cuore vederlo così e non potergli dire che tu in realtà in quel momento eri a Istanbul, a risolvere un caso per conto di tuo fratello.
Gli ho consigliato di scrivere ciò che sente, per tutta risposta mi ha guardato in un modo davvero strano, un misto di disapprovazione e avvilimento. Il suo blog è rimasto muto dal giorno in cui ha comunicato la tua scomparsa. Mi ha confessato più di una volta di averlo voluto chiudere, ma resta ancora lì, silenzioso e privo di visite.
Da quando John si è trasferito al numero 2 di Chance Street nel quartiere di Shoreditch, mrs. Hudson ha passato un periodo in cui non voleva assolutamente affittare l’appartamento al 221b. Poi le esigenze economiche l’hanno fatta ragionare. Ora ci vive una coppia di immigrati portoghesi che pagano una miseria.
Inizialmente la padrona di casa, per arrotondare, si era messa a fare la baby-sitter di Laura, scoprendo così la gioia di essere nonna. Ha smesso di farsi retribuire quasi subito. Adesso aspetta impaziente la nascita del piccolo William e incontra ogni sabato Mary per un tè. 
Ogni tre giorni – a volte quattro – si reca al cimitero per salutare la tua bara vuota e ti chiede se hai incontrato suo marito lì dove sei tu ora. Si direbbe che in questo momento quell’uomo le manchi, nonostante le sue abitudini alcooliche o la sua facilità ad alzare le mani su di lei. O forse, semplicemente, le manca qualcuno con cui parlare, dato che oltre a Mary e a Laura, le sue conversazioni col mondo si sono ridotte ad un farfugliato “Com licença” quando deve passare in mezzo ai portoghesi che restano a chiacchierare nell’androne del palazzo.
Lestrade brancola nel buio. Sta cercando di fare del suo meglio, davvero. Semplicemente, il suo meglio non è abbastanza. I primi tempi, poi, si è preso una pausa dal suo lavoro, sentendosi in parte colpevole del tuo suicidio. Ha scatenato così una lite furiosa con la moglie, come se già i loro rapporti non fossero abbastanza esplosivi. Hanno divorziato poco dopo. Greg è solo, ma ci facciamo spesso compagnia. Anche solo per una tazza di tè.
L’ospedale non è più lo stesso. E devo dire che, passato un periodo in cui ero quasi sollevata nel non vederti martoriare i cadaveri, credo che ora come ora mi manchi il tuo atteggiamento dispotico in laboratorio e il rumore del frustino sui corpi freddi e immobili. Ma sto farneticando, credo di aver esagerato con i commenti personali.
Sempre tua,

Molly Hooper »

Fissi la lettera da sotto la frangetta bionda e liscia schiacciata dal cappello, poi la ripieghi e la infili nella tasca interna della giacca. Alzi lo sguardo, lo vedi. Non mi hai detto nulla che non sapessi già, Molly. Lo pensi con una punta di disprezzo per quella ragazza follemente innamorata di te che ha sopportato le tue madonne per mesi prima che potessi ricominciare a lavorare per i servizi segreti. Un lavoro di merda, sì. E ancora più schifosa è la sensazione che ti da la voce di tuo fratello pronta a dare ordini. Io volevo sapere se mi ha dimenticato. Volevo sapere se, nonostante la famiglia, mi pensa ancora. Stringi il pugno, ti penti, imprechi: la ferita sull’avambraccio brucia ancora. Ti tiri su dalla panchina. John continua a giocare con la bambina. Quanto sarà la distanza? Venti metri? Respiri, osservi il cielo. Pioverà. O adesso o mai più. Ti alzi, ti avvicini di qualche passo. “Non ti azzardare a far saltare la copertura.” È la voce di tuo fratello che tuona nella mente. Ti fermi e passi una mano sulla barbetta che ti punteggia le guance e il mento. Il grande Sherlock Holmes ha paura di una bambina di diciotto mesi. No, il grande Sherlock Holmes ha paura del papà della bambina. Lo fissi. Guardami, John. Per l’amor di Dio, prova a riconoscermi. Ma niente: la piccola è una distrazione enorme. Un tuono, poi due. Una goccia, poi due. Apri l’ombrello prima che con l’acqua i tuoi capelli tornino ad essere inconfondibilmente inanellati. John prende in braccio Laura, non ha l’ombrello. Il solito, John. Mai una volta che guardi le previsioni meteo. Sbuffi e in fondo sei dispiaciuto, forse credevi che quello sciocco medico militare potesse provare ad essere un po’ più brillante, in tua assenza. Anche solo in termini di organizzazione pratica. E per la prima volta nella tua vita, ti rendi conto che il tuo pensiero è presuntuoso. Ma la bambina si sta bagnando, John sta andando via e tu devi prendere una decisione in fretta. Fai la pazzia.
« Hey! Permetta che l’aiuti » dici con un forte accento americano, raggiungendo John a grandi falcate.
Ci siamo, John. Guardami negli occhi. Tieni gli occhi fissi su di me, come ti ho chiesto quel giorno.
« Oddio, la ringrazio tantissimo » è l’esclamazione sincera di John, tutto intento a coprire la bambina. Ti guarda appena. La piccola Laura ha il vestitino completamente bagnato.
Restate qualche secondo fermi, nella pioggia. La figlia smette di frignare, ma il paparino continua ad ignorarti. Poi, come scosso dal suo estroso amore paterno, suggerisce a mezza voce: « Forse dovremmo dirigerci verso un bar. »
Continui la tua pantomima. Ti schiarisci la voce: « Certamente, così potrà chiamare un taxi e tornarsene a casa. » Poi ti rendi conto di ciò che hai appena detto e ti maledici.
Ora è John a fissarti mentre tu cerchi di evitare quegli occhi verdi.
« Come faceva a sapere che non ho una macchina? »
Cerchi di apparire indifferente, come se la tua fosse stata una deduzione del tutto involontaria: « Non lo sapevo, infatti.. ma se l’avesse avuta, con questo tempo, sarebbe corso ad aprirla e a mettere all’asciutto la bambina – ti rendi conto di quanto sembri saccente la tua risposta, metti una parola che indichi supposizione e non certezza assoluta – credo. »
« Oh, è vero, che sciocco. »
Sospiri. È andata. In un’altra vita, signor Holmes, saresti stato un attore dal discreto successo.
Camminate fianco a fianco, in silenzio. Ti mancava, Sherlock, Dio se ti mancava. Ma il suo profumo ora è diverso. È il profumo di un uomo che vive con una donna. Sa di abiti ben stirati, di cibo cucinato con amore, di dopobarba costoso. Un regalo da parte di lei. Lo deduci, spontaneamente. Non capisci se ti infastidisce di più il fatto di dover dedurre qualcosa che riguarda John di cui prima conoscevi anche la più piccola mossa o che si sia fatto condizionare la vita da una mocciosetta di qualche mese, dal suo vomito, da una mogliettina che gli prepara il pranzo e che lo bacia prima di uscire di casa la mattina.
Ti dici è la seconda e sorridi tra te e te, perché non ci hai nemmeno provato davvero a mentire a te stesso, ma state ancora camminando insieme. Stessa gamba, stesso ritmo, proprio come prima. Istintivamente vi guardate per qualche secondo. È pericoloso e lo sai. Non porti le lenti: i tuoi occhi sono di dominio della sua memoria. Ma lui sembra aver rimosso tutto, non reagisce, sono occhi azzurri come quelli di un qualunque altro ragazzo biondo e di statura alta. Forse si sta chiedendo se hai origini scandinave o dell’est europeo. Un americano di discendenza polacca, ecco come ti deve aver classificato.
Non sei straordinario, Sherlock. Sei una semplice coincidenza.
Ad interrompere il tuo inarrestabile flusso di pensieri c’è l’arrivo al bar. Gli dici addio mentalmente mentre rifiuti il suo invito a prendere un caffè.
« Chiami il taxi » e torna da Mary, John.
È imbarazzato, bofonchia un grazie che percepisci appena. Sorridi, gli fai un cenno di saluto con la mano, riapri l’ombrello e sei già scomparso. Lo percepisci mentre si affaccia dalla porta del locale e si interroga sull’identità di questo buon samaritano che senza chiedere nulla in cambio, ha salvato la sua pargoletta da un possibile raffreddore. Non hai più bisogno di quella curva all’insù sul viso, ora puoi sfogarti. Velocizzi il passo, non ne puoi più. La piccola stanza d’albergo a nome di Patrick Lowe non ti è mai sembrata così accogliente. Ti chiudi la porta dietro e fissi il letto nella penombra, il pulviscolo sospeso nell’aria e il piccolo comò di mogano sormontato dal grande specchio rotondo. Siedi proprio davanti a quest’ultimo, passando due dita sullo strato di polvere che lo sovrasta. La persona che ti fissa è così diversa da te. I capelli biondi e lisci di Patrick non ti donano come facevano i ricci corvini di Sherlock. E quella lanugine sulla faccia la odi tanto quanto il basco in tinta al tuo completino beige. Cerchi a tastoni la lettera sotto la giacca. La trovi. La strappi. Prima di prenderti la testa tra le mani e di cominciare a piangere a dirotto riesci solo a mormorare un nome.
« John. »
   
 
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