Titolo: Di
emozioni
incomprensibili ed illogiche conclusioni.
Autore: Iria
Fandom:
Sherlock (BBC)
Personaggi/Claim/Coppia:
John Watson/Sherlock
Holmes
Generi:
Introspettivo,
Malinconico, Slice of Life.
Avvertimenti:
Missing Moments, Slash,
What if..?
Rating: Giallo
Set: Set
Alpha
Note: Bhé,
che dire?
Anche per queste cinquanta frasi ci ho messo parecchio impegno e spero
che possiate
apprezzare, essendo anche la mia
prima fic John/Sherlock! 8D *emozionata*
Ci tenevo a scrivere in questo fandom, soprattutto su ‘sti due quindi;
e come
sempre 1frase mi ha dato il
pretesto
e l’ispirazione per farlo!
Mi auguro solo che queste frasi possano piacervi, grazie a chi leggerà
e a chi
lascerà la propria opinione!
Buona lettura!
Iria.
*Partecipa all'iniziativa 1frase
su LJ*
Di
emozioni incomprensibili ed illogiche conclusioni
01 - Anima.
La
metafisica non poteva ovviamente
essere definito il campo d’azione di Sherlock; e John sapeva bene di
doversi
astenere dal pronunciare certe inutili parole come “anima”,
“sentimenti” o “emozioni”,
però a quel punto poteva dire
di vantare una maggiore compresione del perché l’uomo compisse certe
stupide ed
idiote -a detta di Holmes- azioni prive d’ogni senso logico.
02 - Seconda volta.
Quando John premette il grilletto per difendere Sherlock,
nonostante quel
primo scatto per lui fosse stato totalmente irrazionale, si rese conto
di
essere disposto a sparare anche una
seconda volta e poi una terza per il solo piacere di riavvertire tutto
il
proprio corpo vibrare dall’eccitazione al rinculo del colpo –ed avere,
quindi,
l’opportunità di ricambiare lo
sguardo (forse soddisfatto, poco
presumibilmente sorpreso, di certo a tratti amareggiato) che
il coinquilino
gli avrebbe lanciato.
03 - Uomo.
Sherlock era ovviamente un uomo -e, no, da questo punto di
vista non
c’erano dubbi a cui aggrapparsi-, quindi John proprio non riusciva ad
accettare
d’essere affascinato –irritato e alle volte decisamente esasperato- dal
suo
agire; però, poi, sospirando, si rendeva conto che ad ipnotizzarlo non
fosse
tanto l’involucro di carne che determinava il sesso del coinquilino,
quanto più
il suo essere semplicemente -incomprensibilmente-
‘Sherlock Holmes’.
04 - Denaro.
Alle volte John credeva che fosse davvero un spreco
che Sherlock rifiutasse il denaro -spesso ingenti somme- che
gli veniva offerto per risolvere questo o quel caso; e, nonostante lui
per
primo avesse declinato la vertiginosa somma offertagli da Mycroft per
tenere
d’occhio Holmes, quando poteva, preferiva prendere personalmente il
compenso ed
assicurarsi, quindi, che in casa -la loro
casa- potesse entrare almeno qualche extra.
05 - Preghiera.
“Non… essere morto.”
John non aveva intenzione di rimanere solo, non voleva impazzire sotto
il peso
dei sensi di colpa (troppi “se”
sospesi ed irrisolti, il suo coinquilino lo avrebbe sicuramente
deriso), però, forse -senza alcun
dubbio, in verità-,
rivolgersi ad una fredda lapide non era poi stata una soluzione
particolarmente
sana -non ricevere risposte da Sherlock
Holmes risultava sempre frustrante,
qualsiasi fosse la circostanza.
06 - Padrone.
John sapeva che non poteva più definirsi padrone di sé:
legato com’era a
Sherlock Holmes, pareva utopistico anche solo contemplare la
possibilità di
considerarsi un uomo libero; e la cosa suonava decisamente male detta
in tali
termini, in quanto i due erano solo coinquilini, non di certo novelli
sposi
–eppure, non era questo il messaggio che le donne recepivano, quando il
povero
dottore veniva costretto a rimandare appuntamenti su appuntamenti a
causa degli
improvvisi bisogni di Sherlock.
07 - Attesa.
Forse
le loro vite s’erano incrociate ed annodate proprio
perché avevano atteso a lungo di incontrarsi, osservando tanti -troppi- volti vuoti andar via: Sherlock voleva qualcuno che potesse essere
all’altezza
della sua persona -che riuscisse a
tollerarlo, in realtà-, mentre John era andato alla ricerca
di chi avesse
potuto farlo sentire vivo -ed ancora nessuna donna era riuscito a
strappar via
la patina di apatia che l’avvolgeva.
08 - Miglior amico.
Sherlock
aveva delle difficoltà nel relazionarsi col prossimo -aveva decisamente delle difficoltà-,
però da
tempo era riuscito ad inquadrare più o
meno
-anche se non poteva dirsi del tutto sicuro in un ambito talmente
astratto come quello dei sentimenti e dei rapporti- la famigerata
figura del ‘migliore
amico’,
vedendola molto simile
(non del tutto identica, meno intima)
alla costante presenza di John nella sua vita.
09 - Notte.
Alle
volte, a notte fonda, John non riusciva a prendere sonno, tormentato
com’era dai suoi assordanti incubi; allora, attendeva che Sherlock
-preso da
uno dei suoi soliti attacchi di frenetica insonnia-, posizionandosi
innanzi
alla loro finestra, iniziasse a suonare il violino solo per potersi
cullare in
quelle note delicate che lo abbracciavano segretamente.
10 – Pazzia
John
zittì e con la bocca appena schiusa e gli occhi spalancati per lo
stupore osservò Sherlock che, quasi con rabbia, intonava le note di
quella che
doveva essere “La Follia” di Vivaldi: la frenesia nelle dita del
coinquilino,
la forza dell’archetto che accarezzava il violino con irruenza
appassionata lo sfinirono; ed il dottor Watson
si
accasciò sulla poltrona lasciandosi trasportare in un’estasi
sconosciuta, sfumata
di pazzia,
con cui Holmes lo
nutrì sino ad assuefarlo.
11 - Fidanzamento.
Sherlock
provò davvero (per quanto possibile nei suoi standard, quindi no,
non è che si fosse impegnato granché bene) ad evitare che anche
l’ennesima
fidanzata di John girasse sui tacchi (dodici,
piedi gonfi, niente affatto avezza ad indossarli) e filasse via, ma di
certo il dottore non poteva fargliene una colpa se la giovane che si
apprestava
a frequentare stabilmente era stata tanto stupida da recuperare dal
frigo i suoi pollici mozzati
anziché l’incarto
delle salsicce.
12 - Vita.
Il
confine fra ciò che Sherlock riteneva
interessante e ciò che, invece, lo lasciava totalmente indifferente era
assai
sottile e John ancora non era riuscito del tutto a capire cosa, della
vita
quotidiana, potesse stimolare il compagno; però doveva ammettere che
per
diverso tempo il dottor Watson nutrì il sospetto che il consulting
detective combattesse l’apatia semplicemente portandolo
all’esasperazione -e in quelle occasioni aveva visto un sorriso tingere
più
volte il viso dell’altro, e ciò lo rabboniva, perché quell’improvvisa e
nascosta scintilla di vitalità era quanto mai rara per Sherlock.
13 - Noia.
Sherlock
sapeva quanto la noia potesse essere pericolosa: gli si insinuava
sotto pelle, trapanandogli la mente e non riusciva, non era fisicamente in grado di liberarsi
da quella
morsa che stringeva il suo cervello; quindi, per lungo tempo concesse
alla
cocaina di essere la soluzione (al 7%) a
tale tormento, fino a quando non incrociò la propria esistenza con
quella del
dottor Watson.
14 - Indifferenza.
Sherlock
non riusciva a prestare
indifferenza a nulla, e con la sua capacità d’osservazione era in grado
di
cogliere i particolari della vita delle persone più scialbe; poi, solo
dopo
un’attenta analisi valutava se concedere o meno a queste la propria
attenzione
-e fiducia-, quindi, con grande
piacere e sorpresa comprese che John avesse passato a pieni voti tale
esame -divenendo fondamentale.
15 - Letto.
Sherlock
scoprì che un letto poteva essere
condiviso quando, ferito in seguito ad un caso che aveva richiesto
l’arma della
forza oltre che dell’intelletto, si risvegliò al mattino di fianco ad
un dottor
Watson profondamente addormentato che stringeva con forza delle garze
sporche
di sangue -oh, il suo ovviamente.
16 - Stelle.
John
riteneva inconcepibile che Sherlock non avesse alcuna nozione di base
riguardante l’astronomia, ed una sera aveva anche tentato di spiegargli
il
ciclo vitale delle stelle, provando a renderlo consapevole di quanta
infinita
energia si stesse producento in quell’istante nell’intero universo; ma
come demotivante
risultato ricevette soltanto uno sguardo dell’altro del tutto
disinteressato:
“Noioso ed inutile. Prettamente
noioso, a dire il vero, anche se l’inutilità ha combattuo questa
estenuante
battaglia ad armi pari.”
17 - Minuto.
Sessanta
secondi
potevano essere
considerati un tempo infinitamente lungo, e Sherlock poté comprendere
tale
asfissiante sensazione mentre, fissando John dall’alto del St. Barts,
chiedeva
solo che il medico continuasse a guardarlo, ignorasse
il trucco,
venisse intrappolato nel suo sporco inganno –provare a piangere,
incrinare il tono di voce, “John, sono un
bugiardo” (“Guardami,
credi in me”)- e che tutto avvenisse in un solo,
disperato minuto.
18 - Limite.
John
aveva imparato ad accettare il fatto che la mente di Sherlock operasse
su livelli al limite del comprensibile, o meglio dell’inimitabile: il dottore, infatti,
sorridendo in direzione del
profilo del compagno, riconosceva la sua -insopportabile- unicità e ben
sapeva
che al di là di quell’agitato cervello
era stato confinato un uomo nei cui -splendidi- occhi poteva essere
ancora
intravisto il romantico sogno di diventare un folle pirata -talmente stupido, così
meravigliosamente
eccitante.
19 - Cuore.
John
era soprattutto cuore, e questo particolare si poneva in cima alla
lista dei difetti del medico, tanto che Sherlock avrebbe voluto
pesargli tale
organo, porlo su una bilancia, prenderne le misure con la sua cura
meticolasa e
sezionarlo al fine di esplorarlo a fondo per cercare di comprendere
come,
battendo, potesse pompare nelle vene del compagno anche un calore diverso da
quello del sangue: l’irrazionalità
fuorviante del coinvolgimento emotivo.
20 - Fede.
John
aveva dimenticato cosa significasse “avere fede” negli uomini, nella
loro umanità o nella loro presunta
intelligenza; e la perdita di Sherlock era stata il colpo di grazia a
tale
speranza straziata nel sangue che impregnava l’asfalto.
21 - Estate.
Sherlock
Holmes odiava l’estate ed infatti, secondo la sua modesta opinione,
in quel periodo dell’anno i criminali stranamente s’impigrivano
-riducendosi solo
a rapinare case ed appartamenti vuoti (così
noioso)- e per
loro -lui e John, ovviamente- non c’era
poi tanto lavoro da sbrigare; quindi, il dottore da parte sua iniziava
a
pregare rispettivamente Gesù, Allah, Buddha, il Karma e Zeus -meglio accontentarne
il più possibile-
affinché la piattezza di quelle giornate non si prolungasse
ulteriormente:
l’afa lo rendeva più suscettibile e non avrebbe sopportato le assurdità di Sherlock ancora
per molto…
22 - Pioggia.
Per
lungo tempo John aveva affermato di apprezzare
la pioggia, perché con quelle sue gocce per un po’ era in grado di
sciacquare via
il marciume dalle strade -e dai cuori-
londinesi; in seguito riuscì addirittura ad adorarla, in quanto fu
l’unica amante in grado di ripulire
il viso
grigio del dottore dai solchi delle lacrime scavati da Sherlock.
23 - Cielo.
Si
ripromise di non alzare più gli occhi al cielo, perché riteneva che
fosse decisamente insopportabile -e
terribilmente sciocco, ovviamente illogico, concretamente inutile-
continuare a rivedere stagliata contro la luce opaca della grigia
Londra la
sagoma di Sherlock pronto a precipitare.
24 - Nero.
Gli
incubi di Sherlock non avevano nulla di
spaventoso -noioso, persino sognare
poteva definirsi assolutamente
noioso-,
però spesso in quell’oscurità impenetrabile il nero delle ombre
divorava la sua
razionalità, ed il detective si ritrovava proiettato in un deserto di
cenere
ardente che, collassando su stesso, lo rinchiudeva in una prigione
senza
logica, colma solo di sensazioni astratte e di sentimenti nutriti dalla
voce sempre
più disperata del dottore che invocava il suo nome da lontano -troppo
distante,
impossibile dire se fosse
raggiungibile.
25 - Medico.
John,
come medico, sentiva il dovere
di tenere Sherlock alla larga da qualsiasi tipo di avventatezza che
avrebbe
potuto compromettere la sua salute; certo è che, spesso, alla stessa paradossale maniera proprio lui per primo provava
l’impellente
desiderio di fargli almeno un occhio
nero.
26 - Parole.
Quando
Sherlock rifletteva o esponeva le proprie deduzioni non si perdeva
in futili giri di parole, ma era in grado di giungere al succo del
discorso con
fredda linearità, quindi John si sorprese decisamente quando il
compagno,
fissandolo per un lungo momento come a decidere se parlare o meno,
preferì voltarsi
e tornare a dedicarsi ai propri esperimenti di chimica, piuttosto che
rispondere al semplice ed improvviso bisogno -insensato e decisamente privo
di logica, in verità- di ringraziare John.
27 - Uccidere.
Il
dottor Watson era convinto che un uomo
potesse essere ucciso nel momento stesso in cui avesse subito una damnatio memoriae, la totale rimozione
del suo ricordo dalla terra, ed il fatto che sulla figura di Sherlock
venisse
gettata così tanta merda lo
preoccupava relativamente, perché per ogni insulto, per ogni battuta
maligna
esisteva, era forte la presenza di
chi gridava all’inganno di Moriarty, alla sincerità di Sherlock Holmes;
e
comunque John, sorridendo mesto, ammetteva candidamente che sarebbe
stato assai
ben disposto a sparare a chiunque avesse osato infangare la persona del suo -insopportabile, odioso,
saccente,
impenetrabile- Sherlock Holmes davanti a lui.
28 - Posto.
John
alla fine aveva compreso che il suo
posto nel mondo fosse al 221b di Baker Street, per essere lì pronto con
un tea
fumante -earl grey- ad accogliere,
un
giorno, il sicuro ritorno di Sherlock Holmes -ma ad ogni calar del sole
la
bevanda si raffreddava e nessuno, se non Mrs. Hudson, si soffermava a
fissare
le sue mani tremanti.
29 - Credere.
John
camminava a capo chino senza badare a quale strada stesse percorrendo,
né pareva particolarmente interessato a tornare in una casa ancora
infestata
dalle memorie di un morto; però ben presto comprese che neanche da
ubriaco,
sbattendo la testa contro l’asfalto dei marciapiedi, poteva sfuggire a
quell’ombra che gli lacerava l’anima nella disperazione: un graffito
nascosto
gridava silenzioso, e con lui si perdevano anche gli spettri delle sue
lacrime
non versate…
“I do believe in Sherlock
Holmes. I do, I do.”
30 -
Lontano.
Ponendo
lontano dalla propria ragione ogni ridicola inibizione, John
accarezzò con il dorso della mano lo zigomo di Sherlock che ancora
recava il
rossore del suo pugno; poi, come se improvvisamente avesse ricordato di
aver dimenticato
l’acqua per il tea sul fuoco, lasciò sfumare quel tocco, borbottando un
poco convinto “controllavo di non
averti rotto niente” ad un Holmes
decisamente sospettoso.
31 - Barca.
John
ancora non riusciva a comprendere come fosse finito sulla stessa barca
traboccante di misteri e domande scelta da Sherlock: sapeva soltanto
d’essere
l’unico costretto a remare, lasciando al capitan
Holmes tutto il tempo di elaborare una nuova gamma di sottili ironie
con cui
attaccare l’inaffidabilità di Scotland Yard -e l’assoluta incapacità di
Anderson,
naturalmente.
32 - Ricordi.
I ricordi
dell’Afghanistan avevano smesso di infilarsi sotto le lenzuola del
dottor Watson -non
gridavano più, non lo
ferivano ogni notte-, però nella sua
mente buia e stanca quelle ombre erano
state sostituite dall’immagine assai più
dolorosa
di due occhi chiari che, spalancati nell’oblio di una caduta,
venivano divorati da tenebre voraci.
33 - Morte.
John
aveva conosciuto la morte in diverse circostanze, aveva danzato con la
nera signora sotto il ritmo primordiale delle scariche dei proiettili e
sapeva
quanto quella dama potesse essere crudele, considerando che s’era fatta
scudo col
suo corpo procurandogli la ferita alla spalla; però, a detta del
dottore si dimostrò
una vera puttana meschina quando,
abbracciando lascivamente Sherlock, tramutò la propria risata in un suono simile ad
un tonfo
sordo.
34 - Peggio.
John
non aveva idea di cosa fosse più terribile, se osservare Sherlock
contorcersi sulla poltrona in preda alla noia o dedicarsi alla dannata spesa pur di evitare
di
ascoltare i monologhi del detective col suo caro teschio; era solo
consapevole
che una volta tornato al 221b sarebbe stato sicuramente
trascinato in chissà quale caso… e che ciò fosse il migliore dei beni o
il
peggiore dei mali non appariva poi così importante, se per un po’ il
coinquilino poteva definirsi in pace con se stesso e con il proprio
cervello.
35 - Braccia.
Le
loro braccia si allungarono l’una verso l’altra, ma le mani non si
sfiorarono: l’aria fredda si infilò tra le dita John, l’asfalto,
invece,
frantumò quelle di Sherlock.
36 - Elettricità.
Quando
erano vicini alla risoluzione di un caso, John avvertiva sempre una
certa elettricità nell’aria, come se la smania di Sherlock si
trasmetesse
all’atmosfera circostante, posandosi anche sul suo animo ancora confuso
–osservava gli occhi ed i
movimenti di
Holmes, provava ad afferare il filo dei ragionamenti del coinquilino, ma non comprendeva- ed allora il dottore
si sentiva davvero inutile, fermo come restava, poi, ad attendere
quella svolta
prevista nei piani del compagno.
37 - Cellule.
Sherlock
si chiedeva spesso perché mai
sentisse ogni singola cellula del proprio organismo tremare e morire
nel
percepire -che cosa curiosa e singolare-
John allontanarsi: avrebbe voluto chiedere al dottore cosa potesse
significare
quel particolare sintomo, ma in seguito preferì tenerlo sempre per sé e
non condividerlo -tale perire e
rinascere in base a John riusciva, paradossalmente,
a farlo stare bene.
38 - Promessa.
Mantenere
una promessa non era un’impresa di
poco conto e per quanto complicato ed impervio potesse essere John
sapeva che
non doveva distruggere la fiducia e la -celata- stima che Sherlock
covava ormai
nei suoi confronti; ma accettare che una segreta scorta di cocaina
fosse nascosta
lì, nel loro appartamento, gli faceva venir voglia di scagliarsi su
Holmes,
picchiarlo selvaggiamente e poi gridargli contro quanto la sua grande
mente
fosse vittima di uno stupido e ridicolo e nocivo vizio umano.
39 - Speranza.
Sherlock
non aveva ben chiaro il concetto di
“speranza”, e John era quasi certo che fosse perché tale stato d’animo
si
contrapponeva alla sicurezza assoluta che il detective aveva nei propri
metodi;
eppure il medico nello sfiorare una spalla, un braccio, le
dita del coinquilino lo sentiva fremere e tendersi desideroso
-irrazionale, stupido: avrebbe dovuto
smetterla- verso quel tocco leggero e nascosto.
40 - Buco.
John
non aveva udito le grida impaurite di Mrs Hudson e, imprecando contro Sherlock, Dio, Mycroft Holmes,
Sherlock, la Regina, Moriarty,
Sherlock, continuò
imperterrito a
sfondare con un martello la dannata
parete dove un sorriso fin troppo crudele lo osservava senza mai
staccargli gli
occhi di dosso; e fu soddisfatto solo quando un nero buco ebbe
sostituito quell’odioso
smile giallo -fu
ancora preda della
disperazione solo quando, ricadendo sulla propria poltrona,
notò che, come
sempre,
Sherlock continuasse a sedergli di fronte.
41 - Rivelazione.
Per
John le deduzioni di Sherlock erano spesso -okay, sempre- una rivelazione,
quindi non riusciva proprio a trattenere
i vari “Meraviglioso!”, “Incredibile!”, “Brillante!”, “Stupefacente!”,
“Magnifico!”, “Wow…” che si lasciava
sfuggire con genuina spontaneità ed ammirazione; e, pur sapendo di
nutrire in
maniera smodata l’ego del coinquilino, consapevolmente ammetteva di
essere
forse l’unico in grado di apprezzare del tutto quelle sue qualità
mentali così legate
alla persona che il compagno era, senza odiare
l’intera essenza di Holmes.
42 - Volontà.
John
spesso temeva la ferrea volontà di Sherlock, perché diverse volte
quella tremenda testardaggine,
esiliando il resto dell’umanità dalla sua persona, lo aveva trascinato
in
situazioni di dubbia sicurezza ed il dottore sapeva –come un macabro
presagio-
che, anche desiderandolo, un giorno
non sarebbe riuscito a restargli accanto fino ala fine.
43 - Facile.
Il
dottor Watson si sorprese di quanto fosse stato facile -semplice,
indolore-
baciare
Sherlock ed in realtà non lo aveva né calcolato, né previsto -così come
lo
stesso Holmes, che lo fissò smarrito per la prima volta da quando si
erano
conosciuti-; allora John si allontanò e, biascicando qualche parola di
scusa
–in aggiunta a diverse imprecazioni, da ciò che il detective riuscì ad
udire- non
tornò fino al mattino successivo, quando, col volto scavato dalla notte
insonne, pronunciò quelle parole che Sherlock aveva già intuito, e che
non
aveva intenzione di ascoltare né, tanto meno, di accettare come vere:
“Non permetterò
che accada ancora.”
44 - Terrore.
John
rabbrividì e sotto la sua pelle
strisciò una sensazione che inizialmente non seppe definire, ma che
vide
sconvolgere anche gli occhi di Sherlock; e se la consapevolezza d’esser
nudi e sudati, di avvertire ancora i
propri cuori battere simultaneamente
poteva forse rientrare nei sintomi del desiderio, la paura, il terrore che irrigidì i muscoli dei due
coinquilini trovava ragioni in un sentimento che il dottore non aveva
mai del
tutto assaporato e che Sherlock conosceva solo come astratta
nozione:
“È
amore,
questo asfissiante sentore d’aver perso tutto?”
45 - Fuoco.
Alle
volte John ricordava come il fuoco si riflettesse negli occhi Sherlock
che, immerso nelle proprie elucubrazioni, poco si curava di ciò che lo
circondasse,
di mangiare o addirittura di bere: se ne stava semplicemente immobile,
le mani
giunte e la fronte corrugata, mentre il mondo tutto attorno a lui
sarebbe
potuto andare anche in rovina; ed il caro dottor Watson comprese
d’essersi
totalmente perso
quando tale odiosa
abitudine iniziò a mancargli -al pari dell’aria nei polmoni- sino a
soffocarlo.
46 - Risposta.
Sherlock
riusciva sempre a trovare una risposta e, soprattutto, una spiegazione
ragionevole ad ogni questione che gli veniva posta, anche se John si
rese ben
presto conto che i misteri descritti da Cluedo non sarebbero mai
rientrati tra
i successi del coinquilino; ed infatti conficcare con un pugnale tale
odioso
nemico contro il muro parve essere la soluzione migliore e più logica
che Holmes
avesse messo a punto per vincere il gioco –un piccolo falò in casa non
gli era
sembrato affatto conveniente: il dottore non avrebbe mai apprezzato e
Mrs
Hudson sarebbe andata nel panico più totale.
47 - Chiaro.
Franchezza
e dubbio erano due aspetti inscindibili di Sherlock, si
fondevano in lui e sgorgavano dalle parole, dai gesti del giovane uomo;
quindi
John, osservandolo, spesse volte riusciva a distinguere nelle sue iridi
la
calma distendersi prima della tempesta, del
disastro naturale e lui, il dottore,
allora precipitava nell’occhio del
ciclone: aiutare Sherlock, proteggerlo, sopportarlo, supportarlo - e, sì, farlo solo per i suoi occhi
chiari, dannazione…
48 - Insieme.
John
sapeva quanto fosse importante che restassero insieme -lui e Sherlock,
naturalmente-:
il
dottore aveva imparato in fretta ad accettare tutte le stranezze del consulting detective -pallottole nelle
pareti, melodie alle tre del mattino e pezzi di cadavere tenuti al
fresco
assieme alle verdure rappresentavano ormai una tanquilla routine-; ed
intuiva
come Sherlock stesse lentamente metabolizzando quanto risultasse fondamentale -o forse vitale, doveva ancora
chiarirne la
sfumatura- la presenza di una persona su cui poter contare.
49 - Mente.
John
sapeva che non sarebbe mai stato capace di infrangere le spesse mura
della mente di Sherlock, e questo spesso lo aveva fatto sentire
completamente
escluso dalla vita del coinquilino - ad Holmes bastava semplicemente
osservarlo
per dedurre persino quanti pazienti si fossero presentati a lui quel
giorno-,
però, poi, comprendeva che fare irruzione nel cervello di Sherlock gli
avrebbe
sicuramente sottratto quel brivido -di
ammirazione, o più probabilmente di eccitazione- che lo scuoteva ad
ogni
nuova deduzione del detective.
50 - Strada.
Il dottor
Watson non era in grado di dire cosa il futuro gli riservasse, ma
sapeva che un giorno, percorrendo Baker Street da vecchio pensionato,
sarebbe
stato consumato dal rimorso di non aver lasciato che in un appartamento
di
quell’antica strada (al 221b, per esser precisi) si realizzasse
l’insensatezza,
ed il desiderio, e l’emozione più
dolorosa, pericolosa, ossessiva ed
azzardata di tutta una vita: amare
Sherlock Holmes.
*Fine*