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Autore: Kodamy    22/11/2006    18 recensioni
[NaruSakuSasu, Deathfic , Shounen ai. Threesome.]
Nonostante tutto, loro l’avevano sempre saputo.
Che era lei, a tenerli uniti.
[Sto avendo problemi con il conteggio delle recensioni, dato che sono stupida e non so starmi ferma con le mani. Le recensioni effettive di tale capitolo sono 11. 28, sè, mi piacerebbe XD]
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Tears for the Dead ~

~ Tears for the Dead ~

                   [ Epitaffio di una storia.] 

Una squadra. Tre persone sono una cosa sola.
Era così utopico, illudersi che tre cose distinte potessero fondersi così perfettamente, senza che qualcosa le tenesse insieme e le legasse, così strettamente fino a che tre respiri e tre battiti non diventano uno solo.
 Era piaciuto credere ed illudersi che tutto ciò sarebbe potuto essere anche senza di lei.

Ma, nonostante tutto, loro l’avevano sempre saputo.
Che era lei, a tenerli uniti.

 

 Ogni mattina, il letto era vuoto. Pochi mesi prima, avrebbe tanto agognato una mattina come questa: svegliarsi da solo, e restare in compagnia di stesso e pensieri, gesti quotidiani… con lacrime banali.
Fra quei cuscini c’era ancora l’ombra di lei, e l’ombra di lei li teneva divisi.
Sasuke Uchiha si sollevò sui gomiti, sopracciglia crucciate. Lasciò scorrere lo sguardo su quelle lenzuola disordinate. Poi, più in là, sul pavimento. Poi, sulla sedia vicina alla porta. I suoi vestiti erano piegati diligentemente lì.
Non erano stati lì la sera prima. Di questo era piuttosto sicuro.

Ogni notte lo stesso teatro, ancora, e ancora, e ancora.
Che ogni mattina lasciava lo spazio a quel banale dolore che esisteva soltanto ai raggi del sole.

Il letto sembrava sempre troppo grande, nonostante le piazze fossero due, e due fossero le persone al suo interno.
Sempre troppo freddo, sempre troppo vuoto, sempre troppo malinconico.
Come quello che avevano creduto amore, ed era diventato soltanto routine ed abitudine,
e passione e sfogo che con l’amore non avevano nulla a che fare.

Ancora, e ancora, e ancora, perché sono vivi. Ancora vivi. Loro.
Troppo grande. Troppo freddo. Troppo vuoto. Troppo malinconico.

Sempre troppo. E sempre troppo poco.

 

Non c’era stata alcuna dichiarazione, alcuna definizione per quel che era nato.
Ognuno di loro, dentro di sé, gli aveva dato un valore diverso.

Famiglia – mi affido a voi con la mia vita ed il mio cuore.
Bisogno – non poteva che finire a questo modo, e ancora non riesco a chiedervi scusa.
Amore – ci prenderemo cura l’uno dell’altro, e non saremo mai soli.
Era inevitabile, lei lo sapeva.
Lei muoveva quei fili, e quella commedia andava avanti, e sempre le stesse marionette, e le stesse scene, ogni giorno, ogni settimana, ogni anno.

 

 Sasuke Uchiha portava ancora le cicatrici e le conseguenze di un avventato errore di gioventù – errore che non era affatto un errore – errore di cui a Konoha non si parlava mai in sua presenza.
Alle sue spalle non era difficile udire il disprezzo, i sussurri sdegnati quando passava, sentire come l’Hokage aveva mal riposto la sua fiducia in quel traditore.

Naruto Uzumaki, fino a pochi mesi prima, gli camminava a fianco con quel suo sorriso sfacciato, e rispondeva a tono ogni qualvolta udiva uno di questi commenti.
“Ah, so cosa rispondere in questi casi, Sas’ke. Ci sono abituato.”
Ora non lo faceva
più, ormai.
Sasuke Uchiha portava ancora le cicatrici causate da Naruto Uzumaki durante quella battaglia disperata, il suo corpo ne era pieno. Non se ne vergognava, ormai, e ricordava lei che le tracciava delicatamente con l’indice, assorta, e che se la prendeva con Naruto, e che poi rideva e abbracciava entrambi. Un bacio, una carezza, un sussurro concitato ed affettuoso, una risata tranquilla.
Le ferite di Naruto si erano rimarginate il giorno stesso, e non ne rimaneva più nulla.

 


Ed ora, seduto accanto a lui, osservando quel profilo così vicino e così distante
[
accorgendosi di essere così vicino e distante anche lui ]
Sasuke si malediceva per aver pensato che nulla al mondo avrebbe potuto lasciare una cicatrice su Naruto Uzumaki.
Nessuna cicatrice, è vero. Ma una ferita che continua a sanguinare. Ancora, e ancora.
Troppo, troppo distanti. Senza di lei, tutto questo è nulla.

Come sempre… Sasuke Uchiha aveva rovinato tutto. Quasi fosse la sua seconda abilità innata.
Rovinare tutto in modo così perfetto.
Tsunade-baachan…” esordì Naruto, deglutendo l’ultimo boccone. “… vuole vederci oggi pomeriggio. Dice di avere un’altra missione.”
Quel tono casuale e disinvolto gli strinse lo stomaco in una morsa.
Ma Sasuke Uchiha annuì, con la stessa praticità. “ … Di che tipo?”

“Un altro assassinio commissionato, suppongo.”
“ … oh.”
Avrebbe pianto, di nuovo. Non ne può di quelle lacrime.
Sas’ke…”
“… mh?”
“Io sto ancora aspettando. Nient’altro che un mugugno, mentre guardava la ciotola vuota.
Ma l’Uchiha non rispose, masticando l’ultimo boccone. Naruto attese, invano.
Dopo un po’ si alzò, con quell’espressione ferita sul viso. Risentita. Quell’espressione che aveva sempre intenerito lei, lei che allora lo avrebbe abbracciato, piano, e gli avrebbe chiesto cosa non andava e l’avrebbe consolato.
Mentre lui, Sasuke Uchiha, sarebbe rimasto a guardare, non capace di consolare, ma lieto che ci fosse lei a farlo.

Incapace di consolare.
Non lo fermò, mentre andava via. Limitandosi a guardare quella schiena allontanarsi.
Sempre di più.

E’ così che si sentiva lei.
Troppo. Troppi distanti e troppo vicini. Tre vite erano state intrecciate, un tempo.
Ora ne erano rimaste due, e troppi, troppi buchi che non riuscivano a riempire.
Quei buchi erano una distanza troppo grande che non riuscivano a coprire.

Sempre troppo. Eppure sempre troppo poco. 

 

In qualche modo, lei era diventata il centro del loro mondo.
 Li aveva ammaliati con quel viso ingenuo e il corpo di ragazzina, con quei suoi sorrisi.
 “Sasuke-kun, sei ridotto davvero male.
La prima cosa che lui aveva sentito, tornato a casa, era stata la sua risata.
Come se non fosse successo nulla. In quel momento, non aveva avuto la forza di parlare.
Di rispondere. L’aveva guardata, mentre abbracciava Naruto.
Mentre rideva, sorrideva e piangeva, rigorosamente in quell’ordine, e lo ringraziava e Naruto rideva e basta.
Li aveva guardati mentre lei seppelliva il viso nell’incavo del collo di Naruto, mentre Naruto arrossiva e la abbracciava, piano, con una cura ed un affetto che Sasuke non avrebbe mai potuto eguagliare.
Mentre lui le stampava un bacio sulla guancia e lei, invece di arrabbiarsi, scoppiava a ridere in quella stanza d’ospedale. Ridevano.
Li aveva guardati.
Quelle due risate erano diventate il centro del suo mondo egoista, dove lui non dava nulla, ma prendeva, prendeva, prendeva e basta.

 

 “Anche adesso, mi manca.”
“Mi manca così tanto, anche se la sogno sempre… Ma non serve a nulla sognarla. Fa solo male.”
Il primo mese, Naruto Uzumaki aveva cercato conforto in quella schiena pallida, che gli volgeva sempre le spalle.
E non lo guardava mai. La disperazione lasciava posto a quell’ineluttabile senso di malinconia. Di rancore.

“Perché…?”
Perché tu? Perché tu, e non lei?
Quell’ultima domanda non veniva mai pronunciata ad alta voce.
Rimaneva lì, sospesa in quel flebile “perché”, senza che Naruto riuscisse a costringersi a pronunciarla.

Sasuke non sapeva rispondere a quelle domande, sebbene gli stringessero il cuore.
Ancora adesso, non riesce a chiedere scusa.
Faceva finta di continuare a far finta di dormire.
Naruto faceva finta di continuare a far finta che non avesse importanza.
Stufo di quel gioco infantile, si alzava dal letto e andava in cucina, per riempirsi lo stomaco di ramen.

 


Sasuke non ricordava se quella mattina era andata di nuovo così. Ricordava di essersi svegliato, e d’aver trovato il letto vuoto. Ed un Naruto che tirava avanti per essere di buon umore.
Anche ora, davanti al Quinto Hokage, sorrideva mentre chiedeva i particolari della missione.
L’intero mondo crede ancora che fra loro sia tutto come prima – non vedi come sorride, Naruto? Non vedi come sembra tranquillo, Sasuke? I due ninja più disprezzati dal villaggio devono essere felici insieme.
Nessuno pensava potessero arrivare a disprezzarsi così tanto l’un l’altro.
Naruto continuava a sorridere anche dopo aver saputo che la missione era un ulteriore assassinio.
Quando si è Jounin, era facile capitasse questo. Naruto non lo sopportava.
Sorrise all’Hokage, che sorrise a sua volta, mentre Sasuke guardava.
Sotto lo sguardo di Sasuke, Naruto ringraziò della missione di alto livello.

“Più missioni di alto livello, più vicino ad essere Hokage!”
 Quando se ne andò dall’ufficio della Godaime, Sasuke non lo seguì. Guardò l’Hokage.
La biasimò per quelle missioni, ma lei si limitò a sorridere e a rimproverarlo di essere infantile.
”Abbi cura di Naruto, Uchiha.”
Ne ha già cura.
Troppo infantile e troppo orgoglioso, troppo incapace e troppo insensibile, ed ormai troppo disilluso.
Pensare di potersi prendere cura di Naruto da solo era troppo assurdo.
Non riusciva neanche a chiedere scusa.
Ma aveva provato.
Sempre troppo, e sempre troppo poco.

 

 

Naruto era rimasto ad osservare come Sakura fosse felice di riavere l’Uchiha con loro, con quel senso di serenità stampato a caratteri cubitali nel cuore.
Il suo amore era felice, e quel bastardo del migliore amico che avesse mai avuto era a casa.
Guardava lei che dissipava via gli ultimi rancori rimasti, lei che abbracciava entrambi, lei che seriamente dichiarava di amare l’uno, di adorare l’altro.
Lei che rideva e si prendeva in giro “E’ così che dovrebbe essere una squadra, no?”
”Vi amo davvero. State attenti, in missione. E tu, Naruto. Non fare l’idiota e non farti male.”

Guardava lei medicare il fianco di Sasuke, che nonostante tutto ritornava nelle missioni sempre più malridotto di lui.
Guardava Sasuke arricciare il naso mentre lei disinfettava le ferite.
Guardava Sasuke voltarsi verso di lui con sguardo sicuro, con quel sorriso strafottente sul viso.
”La prossima volta sarai tu, quello da medicare.”
Diceva
sempre così. Di solito cominciavano a battibeccare, ma lei li interrompeva sempre.
Abbracciava entrambi. Naruto guardava i due, mentre lei stampava un vistoso bacio su un Sasuke fin troppo riluttante.
Rideva, insieme a lei, mentre il suo migliore amico sbuffava.
Quelle due persone erano diventate ormai la sua vera famiglia, il centro del suo mondo, le persone più importanti per lui. Loro che lo accettavano per quello che era, senza riserve. Avrebbe dato la sua vita per vederli felici.

 

Lei aveva avuto l’abitudine di disinfettare le mani di entrambi, ogni qualvolta nelle missioni erano costretti a sporcarsele di sangue altrui.
Per Sasuke Uchiha era sempre stata una routine, il modo in cui poi lei se le portava al viso, e piano vi poggiava la guancia sopra, con un sospiro di sollievo.
Il mondo in cui lei sfiorava le sue labbra, e poi riposava la testa sulla sua spalla, e rimanevano in silenzio così.
Laddove Sasuke ormai era abituato ad uccidere, dopo quegli anni al Villaggio del Suono…
Naruto aveva
sempre avuto più problemi ad accettare quella realtà.
All’inizio, aveva accettato il tutto come facente parte dell’ “essere ninja”.
Poi, aveva visto la figlia di uno dei loro obiettivi.
Per Naruto era sempre stato molto di più, ogni volta che Sakura gli disinfettava quelle mani, e piano le stringeva, e le portava al viso. Lo rassicurava che, nonostante quelle mani fossero state sporche di sangue…

… lei le accettava comunque, lei lo accettava comunque.
La baciava, piano, e lei sorrideva. Sasuke, mentre si occupava di disinfettare le armi, li guardava.

 

 In quella missione, le mani di Naruto si erano ancora una volta sporcate di sangue.
Mentre quelle di Sasuke erano ancora pulite.
Naruto se le guardava, con sguardo appena crucciato. Sasuke, a sua volta, guardava il compagno.
Gli occhi azzurri incontrarono per un attimo quelli neri, prima che Naruto stringesse le labbra.
L’Uchiha, da parte sua, si limitava a guardare quelle mani che si disinfettavano da sole.
Quando in realtà riusciva a vedere soltanto quelle che, una volta, le avrebbero disinfettate per loro.
Rimase lì quando Naruto si alzò ed abbandonò la stanza. Lo seguì solo con lo sguardo, braccia incrociate al petto, schiena contro il muro. Quando scomparve dietro quella porta, scostò lo sguardo sul pavimento.
Ed ancora non riesce a dire “Mi dispiace.”
Forse era troppo tardi, e aveva lasciato passare troppo tempo. Ormai erano troppo distanti, e si erano respinti troppo, senza che lei fosse lì a rendere nulle le loro differenze, e ad amarli, e a tenerli uniti.
A dire il vero, sapeva che il vuoto lasciato da lei era troppo grande, era un abisso. Un abisso a dividerli, ora.
Perché lei era troppo importante.
Sempre troppo. E lui… sempre troppo poco. 

 

Così diversi, eppure lei aveva avuto bisogno di entrambi.
Consolandosi con la semplice realtà che una vera squadra avrebbe dovuto essere così.
Ma aveva bisogno di entrambi, contro ogni principio morale che le era stato impartito da bambina.
La morale non c’entrava nulla, perché quello era amore.
Perché Naruto le era stato vicino, in quegli anni, l’aveva consolata e l’aveva abbracciata quando ne aveva avuto bisogno, ed ormai lei non poteva più fare a meno della sua presenza al suo fianco.
Lo aveva amato, per questo.
Perché Sasuke era stato il suo primo amore, e lo aveva rivisto. Aveva rivisto quegli occhi neri e quella pelle bianca, e quell’espressione distante. Aveva voluto farlo sorridere, e vedere quel sorriso solo per lei.
Voleva che lui avesse bisogno di lei, quanto lei aveva avuto bisogno di lui.
Lo aveva amato, per questo.
Li aveva amati, per questo.
Per lei, Naruto e Sasuke erano diventati il sole e la luna che illuminavano la sua vita.
 

 

Se qualcuno avesse domandato quando era cascato in quella trappola, Sasuke non avrebbe saputo rispondere.
Ricordava vagamente l’espressione di Naruto, com’era cambiata nel vedere quella bambina spuntar fuori dai cespugli.
Come quella bambina aveva guardato entrambi ed aveva guardato il padre morto per terra.
Quelle urla, quei pianti, quei “mostro!”, “demoni!” e “papà!” gridati al vento, e gli occhi di Naruto sbarrati che fissavano quella bambina di circa dieci anni correre vicino al corpo insanguinato del padre.
Sasuke aveva deglutito ed aveva sentito quella morsa al cuore togliergli il respiro.
Così ipocrita, perché sa che c’è sempre qualcuno a piangere una volta ucciso l’obiettivo.
Semplicemente tu non lo vedi.

Ma Naruto era rimasto lì, immobile.
Sapevano che l’uomo era un commerciante che aveva una certa influenza sul mercato di perle,
e che era arrivato al vertice usando metodi ben poco ortodossi:
se qualcuno viene odiato così tanto che qualcuno lo vuol morto, v’è sempre un motivo. Loro lo sapevano.
Ma la bambina questo non lo sapeva.
La bambina vedeva il cadavere di suo padre e chi l’aveva ucciso per denaro. Solo questo.

Sasuke aveva dovuto trascinarlo via da lì con la forza.
Aveva visto come il compagno stringeva i pugni, come affondava il canino nel labbro. Gli occhi lucidi.
Aveva avuto paura che iniziasse a piangere, perché non avrebbe saputo affatto come comportarsi.
[Era lei, brava in quelle cose…]
Naruto aveva iniziato a piangere non appena avevano raggiunto il boschetto che circondava Konoha.
Dapprima, in silenzio, lacrime frustrate che non voleva mostrare.
Poi si era fermato, con sguardo arrabbiato, ed aveva dato un pugno ad un albero.
Non aveva detto nulla, ma Sasuke si era fermato e lo aveva guardato. Aveva incontrato il suo sguardo.“Come fai?” la voce di Naruto era arrabbiata, frustrata.

“A fare cosa?”
“A restare così! Come fai? Come cazzo fai? Non l’hai vista?! Non l’hai…”
“E’ sempre così.”
Naruto si interruppe, stringendo i pugni, sollevando lo sguardo sull’altro.

“C’è sempre qualcuno che reagirà così, e ti chiamerà mostro. Che tu lo sappia o meno.”
Naruto aveva scosso il capo, serrando gli occhi e crucciando le sopracciglia. Non rispose.
Con un sospiro, allora, Sasuke gli si era avvicinato, poggiandogli una mano sulla spalla.
“Andiamo da lei, su. Sei ferito.”
Naruto aveva nascosto il viso contro la spalla dell’Uchiha, quasi si vergognasse si far vedere al mondo quelle lacrime, e gli strinse il braccio, affondando le unghie nella stoffa dell’altro, in quello che alla fine sembrava solo un abbraccio disperato.
Sasuke era rimasto lì, immobile, incapace di fare nulla. Di pensare a qualcosa da poter fare.
Alla fine, lentamente, aveva ricambiato quell’abbraccio.
Quella notte, sia lui che lei avevano tentato di consolarlo.
Con affetto che era sfociato troppo facilmente in amore – non sei un mostro, non vedi che ti accettiamo lo stesso?
Era stata quella, la trappola in cui era caduto, e la trappola di cui aveva bisogno.
Di cui tutti e tre avevano bisogno.

 

 Lei era stata insieme a lui, ed insieme erano riusciti a consolarlo, a fargli capire che in realtà non era un mostro, che ancora lo accettavano, dopotutto, che faceva parte della loro vita di ninja uccidere. Che era normale.
Ora che lei non c’era più, Sasuke non provava neanche a consolarlo.
Aveva paura di avvicinarsi e di vederlo così fragile, in quei momenti.
Naruto Uzumaki, sul corpo del quale non rimaneva mai una cicatrice, così fragile.
Lei, con quei suoi “Va tutto bene”, non rassicurava solo Naruto.
Ma rassicurava anche l’Uchiha, che faceva finta fosse tutto a posto.

Sasuke, in quel momento, sapeva dov’era andato Naruto, ma non trovava la forza di seguirlo, di andargli incontro.
Vederlo distrutto e non riuscire a chiedere scusa era troppo, perfino per l’Uchiha.
Era rimasto lì, seduto sul gradino di casa.
Perdendo il senso del tempo che scorreva, nonostante lui fosse fermo.
Cominciava a fare buio, ed era combattuto fra l’andare e riportarlo a casa, o l’aspettarlo lì.
Troppo orgoglioso e sentimentalmente inutile per la prima opzione, troppo impaziente e colpevole per la seconda.
In ogni caso, era sempre troppo.
E sempre troppo poco.

 


Tre attori che continuavano a recitare sullo stesso palco, calati nei loro ruoli, rassicurati dalla quotidianità di quelle commedie che andavano avanti, donando loro  quel tanto di conforto di cui avevano bisogno.
Rischiavano la vita ogni giorno. Ogni giorno della loro vita dovevano provare a loro stessi che erano vivi.
E che quello era amore, e tanto vi volevano credere che alla fine cedettero.

Il proverbiale Vaso di Pandora era stato aperto, quella notte, e nessuno dei tre era sicuro di volerlo richiudere presto.
Non prima di aver visto la piccola Speranza che giaceva sul fondo.

 

Sasuke Uchiha non sapeva spiegare bene come era iniziato, ma sapeva perfettamente com’era finito.
La Godaime aveva selezionato dei Jounin per scortare la Squadra Medica sul campo di battaglia dove una squadra ANBU era stata ferita, contro il Villaggio del Suono, al confine. Sapeva che molte persone si erano lamentate quando lei aveva scelto l’Uchiha, fra questi. Il Jounin Neji Hyuga, tanto per dirne uno.
Ma era stata lei, a chiedere alla Godaime di mandarlo insieme.
Perché non poteva avere Naruto al suo fianco, essendo il biondo in missione.
L’Uchiha non sapeva se sentirsi onorato o meno. Aveva giurato all’Hokage che avrebbe dato la sua vita, per proteggere i membri della Squadra Medica.  La Godaime aveva dannatamente sorriso, e gli aveva affidato quella missione.
Ed era in quella missione che Sakura Haruno era morta. Caduta in missione.

 


Da quando lei era morta non era difficile trovare Naruto Uzumaki davanti a quella lastra che fungeva da lapide, dove erano scritti i nomi di tutti i ninja caduti in missione.
Che vengono chiamati eroi di Konoha, ma che infine sono soltanto ricordi.
Sasuke Uchiha sapeva che l’avrebbe trovato lì: e ben presto gli occhi gli diedero ragione. Naruto era seduto a gambe incrociate lì davanti, mentre ancora si sfregava le mani, ormai perfettamente pulite.
In silenzio, l’Uchiha si avvicinò alle spalle del compagno, fermandosi a qualche passo di distanza.

Il nome di lei era scritto lì: “Sakura Haruno.”
Il sogno era durato soltanto pochi anni, ed era un pensiero così ridicolo e assurdo che gli venne quasi da ridere.
Non si erano promessi una vita insieme? Quindi, quella vita già passata.
Non sapeva più che farsene, ora, di questa vita supplementare che gli era stata data, senza di lei.
Entrambi non sapevano che farsene, pur avendo l’altro su cui contare.
Eppure si erano illusi che sarebbero bastati lo stesso, l’un l’altro.
“Perché?” mugugnò Naruto, dopo qualche attimo di silenzio. Nient’altro che un sussurro, e l’Uchiha non riusciva a coglierne gli occhi, nascosti dalle ciocche bionde.
“Cosa?”
E l’incredibile senso di dejà-vu.

“Perché doveva essere lei, a morire? Perché non tu? Eravate insieme. Perché lei?!
Quella domanda da troppo tempo taciuta sgorgò da quelle labbra abbronzate, venne sputata quasi fosse una bestemmia. L’Uchiha abbassò lo sguardo su quella lapide, su quel nome, serrando le labbra. Ma non rispose.

“Eri con lei, cazzo. Come hai potuto lasciare che morisse così? Come hai potuto… Io… non l’avrei mai lasciata morire così, tu lo sai fin troppo bene. Sarei morto io, piuttosto, sarei…”
“Lo so. Lo so.”
E mentre Naruto alzava la voce, Sasuke l’abbassò ad un sibilo, chiudendo gli occhi e crucciando la fronte.

“Invece tu sei vivo, sei fottutamente vivo, e lei non lo è. Non ti sopporto, non ti sopporto per niente, sei un bastardo che l’ha lasciata morire per salvarsi la pelle! Cos’hai fatto? Non sai… non sai neanche…. Non te ne frega assolutamente nulla! Te ne stai lì, e vai avanti come se nulla fosse.”
Mai bugia aveva fatto più male.
Sta cercando di andare avanti e basta.

“Sei tu che non fai altro che piangere. Fu ciò che uscì, invece, da quelle labbra pallide.
“Cosa cazzo sei, tu? Cosa sei? Non senti niente. Assolutamente niente! D’altronde, ti è tutto offerto su un piatto d’argento, sempre. Non sei mai grato di niente, non ti importa niente! Cazzo, Sasuke, l’hai lasciata morire mentre eri lì, hai lasciato che l’ammazzassero davanti a te!”
Nonostante tutto, Sasuke Uchiha non sapeva neanche dire mi dispiace.
Non sapeva nemmeno chiedere scusa.

Sapeva che Naruto avrebbe voluto esser potuto andare a quella fatidica missione al posto suo.

Sapeva che Naruto aveva troppo, dentro. Troppo rancore, troppa frustrazione, troppa nostalgia, troppa tristezza.
Che aveva tenuto dentro troppo a lungo.
Sempre troppo, troppo. Ma dannatamente sempre troppo poco.

 


Era un sogno troppo bello, credere che sarebbe continuato all’infinito.
Sapevano che, svegliandosi, ciò che avrebbero trovato non gli sarebbe affatto piaciuto.
La sveglia era arrivata sottoforma di lama tagliente, che aveva fin troppo facilmente reciso i fili della vita di lei. Lasciando cadere il centro del loro mondo nell’oblio.
Ed il centro del loro mondo, cadendo, li aveva trascinati con sé.
La solitudine tira fuori il peggio delle persone.
Come osa qualcosa di così importante un giorno, scomparire del tutto il giorno dopo?
Come osa rovinare quel delizioso teatrino della vita, al quale si aggrappavano ogni giorno per tirare avanti?
Mancava un’attrice. Mancava chi tirava i fili di tutto.
La commedia non poteva più andare avanti.

 

Quella sera, per tutto il tragitto, non l’aveva lasciata sola un attimo. Le era stato accanto, ombra silenziosa dei suoi passi, mentre a velocità sostenuta attraversavano le colline, per arrivare al confine.
Il buio nascondeva troppo agli occhi, ed avevano pensato che quello sarebbe stato un vantaggio.
Ricordava come il loro gruppo fosse rimasto separato dagli altri, con l’imboscata tesa dai Jounin del Suono.
Troppi Jounin del Suono, contro una manciata di Jounin della Foglia ed una Squadra Medica più adatta agli ospedali che ai campi di battaglia.
Il risultato era così scontato che faceva quasi male. Sasuke lo aveva saputo nel momento in cui aveva cominciato ad impastare il Chakra ed eseguire i primi segni dell’Arte del Fuoco.
Non avevano speranza.
Il pensiero era così vivido, che quasi faceva male. Avrebbe tradito la fiducia di Naruto. E la fiducia del Villaggio.
Naruto avrebbe perso Sakura, mentre lui non avrebbe sentito nulla, perché sarebbe stato morto.
Il fuoco abbandonò le sue labbra ed i suoi polmoni, e fu quello il suo grido di battaglia, prima di unirsi all’esiguo gruppo di Jounin che era in prima fila, nel difendere i medici di Konoha.
Loro neppure stettero con le mani in mano, difendendosi come meglio potevano.

Era una battaglia così disperata che gli veniva quasi da ridere. Ma lo Sharingan bruciava negli occhi, costringendolo alla concentrazione nei movimenti di coloro che gli stavano davanti.
Distrattamente vide Sakura utilizzare una Tecnica della Terra, alle sue spalle, ed ergere un muro di roccia. Sentì le grida indistinte di un paio di kunoichi, ragazzine appena entrate a far parte dell’Equipe.
Doveva correre ad aiutare lei, fra tutte. Lei, lei, lei e basta.

Il sangue del Ninja del Suono gli schizzò sul viso, mentre gli affondava il kunai nel petto.
Senza neppure prendersi la briga di estrarlo, si voltò dove prima c’era Sakura.
E dove ora c’era il cadavere di Sakura, trafitto da parte a parte dalla lama di una katana.
Un’espressione di eterna sorpresa stampata sul volto, mentre senza alcuna considerazione la lama fuoriusciva dal corpo senza vita, e lo lasciava cadere per terra.
Labbra dischiuse in quella piccola “o” di stupore, e che rimasero così, mentre gli occhi perdevano vita.

Sapeva che non avrebbero avuto speranza. Ma vederlo con i suoi occhi, era stato mille volte peggio.
E ancora peggio era stato risvegliarsi, alla fine, ridotto a brandelli ma fottutamente vivo,
e scoprire che non era stato l’ultimo incubo della sua vita, ma l’inizio di una vita da incubo.

Alla fine, i superstiti avevano dovuto trascinare Sasuke Uchiha a casa,
mentre lui, flebilmente, protestava di non volerci tornare mai più.   

 

“Avrei dovuto esserci io, quel giorno. Con lei.”
Mormorò Naruto, poggiando la fronte contro la pietra fredda, apparentemente tranquillo dopo quello sfogo.
L’Uchiha non ci cascò così facilmente, e continuò a fissare il cielo scuro, sedendosi di schiena contro la lapide.

“Già.”
“Io volevo essere un eroe ed avere il mio nome scritto qui. Alla fine è diventata lei l’eroina.”
“Già.”
“Smettila. Smettila di rispondere così, come se fosse nulla.”
“… va bene.”
Le dita abbronzate di Naruto accarezzarono piano quel nome sulla pietra, inscritto lì insieme a troppi altri nomi, un nome fra tanti. Non avrebbe avuto neanche la sua storia, la sua leggenda, alle spalle.
Una delle tante vittime durante un‘imboscata.
Piano voltò gli occhi azzurri, rossi di lacrime di rabbia, verso di lui.
Con la coda dell’occhio, l’Uchiha ricambiò lo sguardo.
“Non mi hai ancora risposto. Perché tu? Perché sei tu, qui, e non lei?”

Con un sospiro, Sasuke sollevò il volto pallido verso l’alto, chiudendo gli occhi.
“Me lo chiedo anche io. Io qui neanche volevo starci.”

“Non ho bisogno di te.”
“Lo so.”
“Non sei tu, quello che voglio.”
Purtroppo, lo sa.
Senza di lei, nessuno dei due sapeva che farsene dell’altro.
Senza di lei il letto sembrava sempre troppo grande, sempre troppo freddo, sempre troppo vuoto, sempre troppo malinconico. Senza di lei quello che avevano creduto amore, era diventato soltanto routine ed abitudine, e passione e sfogo che con l’amore non avevano nulla a che fare.
Che non aveva nulla a che fare con l’essere vivi, con il conforto, con quell’affetto e quella gentilezza che era capace di sanare il cuore e di placarlo…
Senza di lei, quello che c’era tra di loro non aveva nulla a che fare con quello di cui avevano davvero bisogno
.
Le guance di Naruto erano ancora bagnate di lacrime calde di rabbia,
 e Sasuke intuì che stava pensando la medesima cosa.

“Come siamo arrivati a questo punto?” si domandò l’Uchiha ad alta voce.
Con tono piatto, aprendo gli occhi e cercando le stelle in un cielo coperto di nubi.
Il compagno scosse il capo, stringendo le labbra.
Non lo sapeva neanche lui.
Rimasero in silenzio, rotto soltanto dagli occasionali singhiozzi involontari di Naruto, che continuava a battere il pugno contro quella lapide che alla fine era solo un pezzo di pietra, quasi volesse distruggerlo, in quel momento, con le sue mani. Via quei nomi, che per quanto eroici fossero, non facevano che far male a chi era ancora vivo.
Mentre gli poggiava una mano sulla spalla, piano, come quella notte in cui era iniziato tutto, Sasuke Uchiha avrebbe voluto dire tante cose.

                                                                                                          “La amavo anche io.”
“Dopotutto amo anche te, ma di questo amore non so che farmene.”
                                                                                                                                             “Smettila di piangere, non serve a niente.
                                “Non era stata colpa mia, sai.”

                         “Finirai per romperla.”

                                                                                                                       “Alla fine… eravate il mio mondo, voi due.

 “Mi dispiace.” fu ciò che invece gli scappò dalle labbra.

 

[ Troppo, troppo, troppo…
… ma in fondo Sasuke lo sapeva.
Che era sempre troppo poco. ]

 



Avevano provato a negarlo in ogni modo.
Ma l’avevano sempre saputo. Era lei, a tenerli uniti.


 

A/N: Probabilmente anche questa… ehm. Si può definire Threesome pura e casta, con una persona morta? Non so neanche io cosa sia, davvero. Non ne ho la più pallida idea.
Tuttavia, sono pienamente soddisfatta di come è uscita ^^ Forse è proprio il pairing [che poi è a “tre”, è un fatto] che sarà il problema di questa fic. XD Ma gli esperimenti sono esperimenti.
E volevo scrivere una cosa del genere da una vita, dannazione! Ora mi fiondo sull'epilogo di HSH, quindi boh. Comunque, l'ho già scritto a metà.

Aggiorno al 03/03/07: ho cancellato le altre due storie, che mi piacevano davvero poco.Questa è forse la storia di cui vado più fiera, quindi credo si sia meritata il posto singolo d’onore XD Si, sto cancellando le storie che non mi piacciono. Dato che ho cancellato il capitolo contenente la storia, e dato che l'ho riportata nel primo, ho riportato anche i commenti che erano andati cancellati :S Ovviamente, quelli inerenti a questa. Però il numero di commenti rimane invariato, nel contatore, quindi ci deve essere un piccolo problema. Farò cancellare anche i commenti relativi alla prima shot. Che riscriverò, probabilmente, con i consigli magnanimi di suzako-chan! Appena l'amministratrice mi risponde, ecco ò_ò Yay!

 

  
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