. A me stessa, perché quando cercavo qualcuno a cui dedicare questa storia non ho trovato nessuno, e magari autodedicarsi una storia può essere divertente. Al fatto che mi sono divertita a scrivere questa piccola storia e mi si sono illuminati gli occhi tante volte, ed al fatto che pensavo non l’avrei pubblicata né finita mai.
Hello little girl
Prima parte
"There's
no time to lose", I heard her say
Catch your dreams before they slip away
Dying all the time
Lose your dreams and you will lose your mind
Ain't life unkind?
Non
c’è tempo da perdere, l’ho sentita dire
Raccogli
i tuoi sogni prima che dormano altrove
Morendo
Perdi
i tuoi sogni e perderai la testa.
Ingiusta
la vita vero?
(Ruby
Tuesday, the rolling stones.
13
novembre 1964
Elinor
vendeva parole ed aveva ventun’anni.
Era
giovane per gestire una libreria da sola, ma suo padre si era
trasferito nella
campagna inglese e
le aveva lasciato
quel piccolo negozio odoroso di carta e di storie.
Erano gli anni ’60, quelli. Quegli anni ’60 che
sarebbero diventati gli anni
dei diritti e dei doveri, della rivoluzione verso i padroni e dei
movimenti
studenteschi.
Gli
anni dell’esplosione musicale, della Swinging London, dei
movimenti pacifisti e
di quelle canzoni in cui chiunque poteva riconoscersi.
Ma ad Elinor importava di quel suo piccolo negozio in una strada
secondaria di
Londra,dei suoi romanzi e delle lunghe chiacchierate coi clienti. A lei
la
musica ed i primi fermenti dei giovani arrivavano da lontano, persa
com’era fra
le righe di un libro.
Forse
era l’unica persona in tutta l’Inghilterra a non
saper distinguere i Beatles
dai Rolling Stones o Bob Dylan da Roy Orbison. Era riuscita a
riconoscere il
viso di Elvis per miracolo, quando aveva visto un suo rotocalco.
A
lei la musica non piaceva. Leggeva, scriveva, sognava un po’.
Ma gli accordi di
una chitarra non le comunicavano molto.
Era
il tredici novembre 1964 e faceva freddo. Una di quelle sere col cielo
di
peltro e le nuvole a velarlo, dandogli un’aria di spettrale
malinconia.
La
ragazza la saracinesca del negozio l’aveva abbassata
già da tempo e se ne stava
lì, china sul registratore di cassa a contare i soldi
guadagnati quel giorno.
Poi
era arrivato lui. Dei passi veloci prima, un bussare frenetico alla
porta poi.
Era sostenuto da una ragazza molto bella, ma ubriaca se non quanto lui,
almeno
un po’.
Lei aveva aperto terrorizzata, respirando con la bocca per non cogliere
l’odore
di alcol impregnatosi sui vestiti dei due ragazzi.
La
giovane donna se n’era andata quasi subito, lasciando il
ragazzo tremante e con
gli occhi dilatati, a mugugnare incoerenze.
Ed
Elinor era restata lì, tormentandosi il labbro incerta su
cosa fare.
Poi
l’aveva guardato davvero. Non l’aveva riconosciuto
subito e non lo riconobbe
mentre lo trascinava su per
le scale,
aiutandolo a vomitare convulsamente nel lavandino, sfilandogli la
giacca
macchiata e guardandolo svestirsi in maniera incerta, mentre si
rintanava nel
suo letto. Non le aveva chiesto né chi fosse, né
da dove venisse.
Lei
l’aveva osservato chiudere gli occhi ed addormentarsi
lì con un misto di stizza
e compassione.
Era bello, pensò distrattamente mentre lo scrutava. Poteva
essere
tranquillamente un personaggio di un qualche romanzo che lei amava
tanto
divorare, con quei capelli biondi che gli ricadevano sugli occhi e
quell’aria
quasi fragile, che nel sonno era tanto lampante.
Dormiva
inquieto, quasi come se neanche in quel momento riuscisse a ritrovare
la pace.
Stette
così tutta la notte, alternando sguardi inteneriti ad altri
più irritati perché
l’aveva privata del letto.
Lo
riconobbe così, fra un’occhiata e
l’altra. Fu quella frangia che gli copriva
gli occhi a darle un primo indizio.
Probabilmente
era già comparso su una qualche rivista patinata che vendeva
in libreria senza
nemmeno leggerle davvero. Forse era un attore del cinema, avrebbe
tranquillamente potuto esserlo.
Però
il suo viso chissà perché le riportava alla mente
la musica. Quelle mani
abbandonate distrattamente sul piumone se le figurava benissimo mentre
strappavano lamenti alle corde di una chitarra, con le dita veloci ed
il fuoco
negli occhi. Quel fuoco che solo la musica e l’arte in
generale sapevano dare.
I
Rolling Stones, certo. Quei cinque ragazzi londinesi che facevano
impazzire
milioni di ragazze con la loro musica e quell’aria da cattivi
ragazzi.
Lei
rifletté con un mezzo sorriso che quel giovane biondo che le
aveva quasi
vomitato addosso senza nemmeno presentarsi e che ora dormiva in un
letto ignoto
le sembrava tutt’altro che cattivo. Le pareva solo fragile,
con un grande
bisogno d’affetto e di sorrisi.
Se
ne innamorò già quella notte, forse.
S’innamorò di lui senz’averlo mai
sentito
parlare e senza conoscerlo neppure.
“Perché?”,
si sarebbe chiesta
mille volte.
Perché
sognava nella stessa maniera sfrontata ed innocente in cui sognava lei,
forse.
Perché
dietro a quel “cattivo ragazzo” lei intuiva un
qualcosa di più delicato ed
incerto, una sensibilità acuta che lo angosciava giorno dopo
giorno.
Si
addormentò con una mano al mento fissando la figura che si
rigirava inquieta
nel suo letto.
**
la
testa era pesante e muovere gli occhi gli doleva incredibilmente.
Intravide
in maniera indistinta una camera. Forse la ragazza della sera prima,
quella con
cui aveva bevuto qualche birra, l’aveva portato a casa sua ed
avevano fatto
sesso. Lui nemmeno se ne era reso conto.
Poi
piano piano la mise a fuoco. Sulle prime pensò fosse una
bimba, da tanto era
esile.
Aveva
morbidi boccoli castani sparsi sulle spalle magre ed indossava ancora
un
vestito da giorno. Dormiva accartocciata sulla sedia, i capelli davanti
al volto.
Doveva
stare molto scomoda, rifletté lui.
No,
decisamente non era la ragazza con cui aveva trascorso la serata.
Quella
l’avrebbe messo alla porta o quantomeno avrebbe dormito con
lui.
Quella
ragazzina era… Buffa e bella. Bella senza che ci fosse un
perché vero, bella
perché era il contrario di tutto ciò che lui
reputava bello, con quei suoi
capelli castani aggrovigliati ed il visino poggiato alla mano.
Poteva
essere sua coetanea, rifletté vedendola dormire
così.
Si
alzò con cautela dal letto, la testa gli doleva ancora e la
bocca era riarsa.
Scrutò
la stanza che gli stava intorno. Libri, tanti libri. Libri poggiati in
buon
ordine sugli scaffali, altri sparsi per terra e sul comodino
Gli
stessi libri che lui amava tanto leggere prima che anche quel suo amore
per la
lettura fosse morto, il tutto per seguire la musica.
Un
piccolo bagno disordinato, pieno di flaconcini e di bottigliette di
profumo.
C’era
un buon odore di lavanda. Ogni piccola cosa di quella casa gli parlava
di
quella ragazza di cui non conosceva il nome.
Si
sciacquò il viso e le mani, sperando di alleviare con
l’acqua fredda il mal di
testa.
Era
sempre così quando beveva troppo e dire che avrebbe dovuto
saperlo, lui, che
l’alcol lo aveva sempre retto malissimo.
Poi
la vide. Incorniciata dalla soglia del minuscolo bagno c’era
lei. Era, se
possibilebile, più buffa da sveglia che da addormentata.
I capelli erano scarmigliati
ed in mano
reggeva una tazza di caffè e lo osservava stupita con due
occhi azzurro scuro.
“Ehm…
Fai come se fossi a casa tua, eh.”, mormorò lei
incerta se ridere o sgranare
gli occhi.
Brian
la scrutò di nuovo. Dio, se lo faceva ridere.
“No…
Scusa… ma come mi sono ritrovato qui?”,
domandò curioso squadrandola.
Lei
alzò le spalle:
“Non
lo so. Eri con una ragazza che temo avesse bevuto poco meno di te
e… Sembra
assurdo, ma ti ha lasciato nella mia libreria. Ti ho portato a dormire
e ti ho
aiutato a vomitare.”, spiegò lei con calma, anche
se la sua voce tradiva un
velo d’incertezza.
“Oh…
Um… Beh…”, iniziò lui.
“Chiaro.”,
osservò lei con le mani sui fianchi.
Si
guardarono e scoppiarono a ridere simultaneamente. Lui, appoggiato ad
un
lavandino di porcellana di una ragazza che non conosceva. Lei, in piedi
sulla
porta del proprio bagno ad osservare uno sconosciuto.
Prima
di riprovare a parlare, Brian si sfiorò distrattamente la
frangia scostandola
dagli occhi con fare stizzito. C’erano certe occasioni in cui
adorava
nascondere i propri occhi e pensieri dietro a quella frangia, altre in
cui gli
sembrava solo poco pratica ed inutile.
“Io
sono Elinor, comunque.”, gli sorrise lei porgendogli la mano.
A
quel punto a lui venne spontanea una domanda che formulò
prima di trattenerla:
“Ma
tu non mi conosci?”, chiese. La sua faccia era, anche se da
non moltissimo
tempo, su tutti i giornali ed era assurdo che quella ragazzina non gli
fosse
svenuta davanti. Ma perché continuava a chiamarla ragazzina,
poi? Poteva anche
essere sua coetanea…
“Aehm,
effettivamente il tuo volto non mi è nuovo. Sei uno dei
Rolling Stones, vero?”,
chiese un po’ timidamente, e prima che lui annuisse aggiunse:
“Oh,
lo sapevo. Sei John Lennon e ti ho scambiato per un membro della band
di cui tu
e gli altri Beatles siete “rivali”. Sono una capra
in fatto di musica, ma la
rivalità fra voi mi è nota.”,
farfugliò lei.
A
quel punto Brian rise davvero. Di quella sua risata roca, che
riempì
immediatamente il bagno e fece arrossire furiosamente la libraia.
“No,
sono una pietra rotolante, io. E comunque, se fossi Lennon non credi
che avrei
quella pettinatura da deficiente?”, chiese con finto tono
indispettito.
“Oh,
già…”, fu tutto quel che disse lei.
“Ti preparo del caffè, comunque. Ne hai
bisogno.”, costatò ed uscì dal bagno.
**
note:
Piccola
storia destinata ad esaurirsi in pochissimo tempo (anche se potrei
aggiornare ad
ottobre, perché sono di
un’imprevedibilità che….).
Il
capitolo non ha un finale vero e
proprio.
Ma
mi serviva solo questo per presentarli, i miei due protagonisti.
Una
è questa libraia mezza svampita, l’altro
è… Beh, è Brian.
Elinor
è un nome che non so se correttissimo. L’ho
trovato su un libro e mi piace di più
rispetto ad Eleanor, e perciò l’ho usato.
Il
titolo della storia, hello little girl, si riferisc ad una canzone dei
Beatles pubblicata
nell’anthology.
Io
l’adoro, tral’altro, perciò
l’ho citata così.
Ed
adoro John Lennon e la sua pettinatura da deficiente. Che poi ho voluto
che Brian
ne parlasse così perché, pur considerando idiota
la presunta rivalità fra Beatles
e Stones, ce lo vedo ad ironizzare bonariamente su una caratteristica
dell’altro.
A
presto, e per grazia vostra non continuate a leggerla
Cami