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Autore: Escapist96    01/05/2012    4 recensioni
Racconto vincitore del contest di scrittura "E se non fosse andata così?"
Una versione diversa, quella che avrei voluto io, per il finale del Ciclo dell'Eredità e la storia tra Eragon e Arya.
"Certo, sono cambiata da quando ci siamo conosciuti, adesso ho Firnen e un popolo da guidare oltre che degli amici a cui sono legata. Ma ancora non sono pronta ad aprire totalmente il mio cuore a qualcuno"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya, Eragon | Coppie: Eragon/Arya
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Arya, che cosa ne sarà di noi?” chiese Eragon, raccogliendo il poco coraggio che sentiva dentro di sé.
Lei sembrò impallidire e abbassò la testa per non guardare l’amico negli occhi. Nel suo cuore vorticarono mille emozioni che rischiarono di farla impazzire. Cercò di fermarle, inutilmente, quindi prese un lungo e profondo respiro per calmarsi. Non voleva ferire il Cavaliere, non in quel momento, non dopo che avevano combattuto fianco a fianco contro l’uomo più potente che il mondo avesse mai conosciuto e lo avevano sconfitto. No, finalmente la guerra era finita e l’elfa non voleva che Eragon soffrisse ancora ma…
“Niente…” sussurrò sollevando appena la testa, gli occhi sempre a terra.
L’altro sussultò. Non se l’aspettava. Dopo tutto quello che avevano passato insieme credeva che lei avesse cambiato idea su di loro, sull’impossibilità di stare insieme.
“Perché?” La sua voce era rotta, tratteneva a stento le lacrime mentre cercava lo sguardo di Arya. “Perché?” ripetè “Perché ho cent’anni meno di te? Perché tu sei nobile e io no? Non sono alla tua altezza? Perché? Perché? Spiegamelo, ti prego!”
La regina sollevò lo sguardo ma non verso il ragazzo. Guardava un punto alle sue spalle dove il sole stava ormai calando. Le ombre danzavano sul suo viso pallido mentre i lunghi capelli corvini era appena smossi dall’aria.
“E’ vero, sono figlia di una regina e ricopro questo ruolo io stessa, ma senza dubbio tu sei più nobile di me. Io, io non sono alla tua altezza. Tu, appena un ragazzo, hai preso sulle tue spalle le sorti di un regno intero e, nonostante ciò hai avuto il tempo per provare sinceri sentimenti, verso di me e verso gli altri. Io, che ho avuto oltre un secolo per farlo, mi sono chiusa in me stessa dopo la morte di Faolin, per paura di soffrire. Certo, sono cambiata da quando ci siamo conosciuti, adesso ho Firnen e un popolo da guidare oltre che degli amici a cui sono legata. Ma ancora non sono pronta ad aprire totalmente il mio cuore a qualcuno”.
La sua voce era seria e venata di malinconia. Eragon non poteva vederle il viso ma aveva l’impressione che stesse piangendo. Aprì la bocca per rispondere ma fu interrotto dalle successive parole che l’elfa gli rivolse.
“Per cui, Argetlam, ripeto che tra noi non può esserci niente perché siamo troppo diversi. Non per la nostra differenza sociale né per l’età. No. Noi siamo diversi nell’animo. Tu sei aperto alle emozioni, tue e altrui, io non riesco nemmeno ad accettare le mie, né il dolore né l’amore”
Tacque.
Il Cavaliere sentì il vuoto dentro di sé espandersi e giungere fino alla gola mentre le parole gli venivano a mancare. Non riusciva a risponderle.
Allungò un braccio per sfiorarle una spalla e sentì che tremava sotto le sue dita. Quindi, con l’altra mano le prese delicatamente il mento e la rivolse verso di lui. Finalmente la poteva vedere. I suoi occhi erano grandi e lucidi per le lacrime che li offuscavano. Arya cercò di sfuggire al suo sguardo ma lui la trattenne in quella posizione. La guardò. La guardò davvero. Attraverso gli occhi tristi intravide la sua anima chiusa a riccio per proteggerla dal dolore. Passò oltre. Vide il dolore che aveva provato in passato e la paura che aveva di sentirlo nuovamente. Ancora di più. Vide la felicità che una volta l’animava e di cui sentiva la mancanza. Tutto questo, Eragon lo percepì in pochi secondi e provò il desiderio di aiutarla.
Come un amico, cercando di metter da parte i propri sentimenti più profondi, la avvolse in un abbraccio. All’inizio, l’elfa rimase rigida, ormai così poco abituata ad un contatto affettuoso da non sapere quasi cosa fare. Poi cominciò a sciogliersi e si lasciò consolare dalla persona che più sentiva vicina al mondo, anche se non abbastanza quanto avrebbe voluto.
Rimasero così, mentre il sole sparivo lontano e i due draghi amoreggiavano in alto nel cielo. Rimasero così, attaccati e allo stesso tempo separati dalle emozioni.
Una prima stella fece capolino nel manto oscuro della sera, seguita da molte altre. Ma Eragon sapeva che erano più di quante ne potessero vedere da lì, più di quanto potessero anche solo immaginare. Per questo, si sciolse da quell’abbraccio e mostrò ad Arya la volta stellata, evitando di tornare sull’argomento che gli stava tanto a cuore ma che provocava dolore alla regina. Ostentando un sorriso non del tutto forzato, le indicò gli astri nascosti, quelli che aveva scoperto durante il volo verso Vroengard. Vide che gli occhi dell’elfa brillavano ed ebbe un’idea.
Senza dire nulla, chiamò Saphira con la mente, cercando di non rendersi partecipe della sua passione, ormai ininterrotta da quando si era allontanata.
Arriviamo… gli rispose la dragonessa con un tono che Eragon non esitò a definire infastidito. Ma nel momento in cui i due raggiunsero terra, quella sensazione era sparita, sostituita dall’approvazione per l’idea del ragazzo.
Solo in quel momento, Arya si riscosse e percepì i pensieri eccitati di Firnen. Non appena ebbe capito, rivolse un rapido sorriso riconoscente all’amico e montò sul drago. Eragon fece lo stesso ed entrambi si sollevarono da terra.
E’ bello volare in compagnia disse il giovane a Saphira.
Non sei mai solo! Esclamò quella risentita, emettendo uno sbuffo dalle narici che investì il Cavaliere.
Sai cosa intendo… la riprese lui … e poi, che la mia compagna sia lei rende tutto questo ancora meglio… continuò. Finché comunicavano attraverso il legame, poteva tranquillamente rammaricarsi di essere ancora stato respinto e pensare ad Arya con tutto l’amore che provava.
Saphira non rispose. Era ancora troppo presa da Firnen per poter capire la delusione che pervadeva il ragazzo, per cui si limitò ad condividere con lui un ricordo.
Era accaduto non molto tempo prima della battaglia ad Uru’baen. Eragon e Arya erano seduti a gambe incrociate sull’erba e insieme guardavano l’alba tingere il cielo di rosa. Le loro mani, appoggiate a terra, quasi si toccavano. L’espressione sul viso dell’elfa sembrava felice mentre con occhi incantati vedeva la natura seguire il suo corso. Si era voltata verso l’amico e, non vista, aveva sorriso dolcemente.
Quelle immagini sparirono troppo in fretta ma Eragon le tenne a mente.
Graziedisse a Saphira. Non c’erano altre parole da dire tra loro. La dragonessa aveva fatto ciò che riteneva opportuno per sollevare il morale del suo Cavaliere.
Con uno scatto repentino, i due raggiunsero Firnen e Arya, che li avevano preceduti fino a quel momento, e li affiancarono. L’elfa si girò a guardarlo e sorrise, questa volta con il cuore. Spronò il drago verde ad avvicinarsi ancora di più e sussurrò:
“Hai un cuore grande, Eragon. Non sprecarlo per me, che non ne sono degna. Cerca qualcuna che ti renda felice come io non sono in grado di fare”
Lui non replicò per non riportarle alla mente dolorose memorie ma dentro di sé non poté evitare di pensare: Nessuna potrebbe farlo meglio di te. Mi basta guardarti, vedere che sorridi, e sono al settimo cielo. Per me esisti solo tu. Il mio cuore ti appartiene, non puoi pensare di non esserne degna perché ormai è successo. E come una volta donasti il tuo a Faolin, fai lo stesso con me adesso. Non te ne pentirai…
Non ebbe il coraggio di dire ad alta voce queste parole e si limitò a condividerle con Saphira, che commentò con un altro sbuffo.
Intanto, erano arrivati in alto e cominciava a fare freddo. I due maghi invocarono un incantesimo di protezione e proseguirono il volo verso l’alto.
 
Eragon e Saphira erano arrivati a Ellesmera da poco più di un’ora quando due elfi dai capelli scuri li raggiunsero nella sua abitazione.
“Sua Altezza Arya desidera vederti Ammazzaspettri” disse il più giovane inchinandosi.
Il Cavaliere non esitò un secondo. Si legò Brisingr al fianco e corse verso il palazzo reale. Prima di entrare, recuperò un po’ di contegno e rallentò il respiro.
Lei era lì, bellissima nel suo abito del colore delle chiome degli alberi in primavera. Con un gesto, fece allontanare i cortigiani e gli spettatori e raggiunse l’amico a metà della sala del trono. Si guardarono negli occhi, memori dell’ultima volta in cui erano rimasti soli. Quelli della ragazza erano diversi da come Eragon ricordava –e ci pensava spesso. Qualcosa era cambiato. Lei era cambiata. Erano passati pochi giorni da quando si erano salutati, eppure non sembrava più la stessa. Il Cavaliere pensò tutto ciò nell’arco di un secondo, poi si accorse di non trovare le parole per descrivere quel cambiamento.
Lei lo notò e l’ombra di un sorriso attraversò il suo viso serio, infrangendo momentaneamente la maschera di regina compita che stava tenendo.
Un fruscio li fece voltare entrambi verso il fondo della stanza. La figura minuta di una bambina cresciuta troppo in fretta emerse da dietro una tenda e camminò in silenzio fino a porsi al fianco di Arya.
“Elva? Lei com’è arrivata qui?” chiese Eragon incredulo. “Quando siamo partiti non c’era!”
La piccola umana non lasciò che la regina rispondesse e disse al ragazzo:
“Non fare domande e posa la mano destra sulla mia”. Non diede spiegazioni -non lo faceva mai- ma semplicemente attese che lui obbedisse –perché ne era sicura, lo avrebbe fatto. E infatti, esitante, Eragon fece come gli era stato detto.
Subito venne travolto da un vortice nero ed ebbe paura. Paura che Elva lo avesse tradito e ingannato. Paura che succedesse qualcosa ad Arya o peggio… che anche lei fosse coinvolta nel tranello. Ma non era nulla di tutto quello. No. Era un ricordo. Non come quello che Saphira gli aveva mostrato giorni prima. Era un rapido riassunto di ciò che era successo da quando si erano lasciati a Uru’baen.
Sento il drago prendere il volo e mi stringo più forte alla sua coda. So di non poter cadere ma essere così, sospesa sul vuoto, non fa per me. Firnen non si accorge della mia presenza grazie al fatto che sta trasportando quattro persone oltre me. Sono diventata invisibile con l’aiuto dell’erborista che mi segue spesso.
- Angela! - pensò Eragon.
Il volo è abbastanza veloce e ci fermiamo solo un paio di volte. Raggiungiamo la capitale elfica la terza sera e, non vista, mi nascondo nelle camere della regina. Non so come la maga abbia fatto a permettermi di superare indisturbata le difese della foresta ma le sono grata per averlo fatto. Tutto ciò mi faciliterà il compito. Mi rendo conto che nessuno si aspetti la mia presenza né le mie intenzioni, ma ormai ho deciso e sono qui. Per una volta farò qualcosa che non riguarda né me stessa né la guerra di Nasuada.
Passano pochi minuti prima che l’elfa dai capelli corvini entri nella stanza. E’ stanca, il suo viso lascia trapelare i suoi sentimenti. -E’ il momento perfetto per agire- mi dico.
“Cosa le hai fatto?” chiese il Cavaliere, preoccupato, scrollandosi per un attimo da quella dimensione in cui Elva lo aveva portato. Di nuovo, non ottenne risposta.
“Sua Altezza” sussurro. Tengo la voce bassa affinché lei non si spaventi. Sento l’incantesimo di Angela scivolare via dal mio corpo e rendermivisibile. Nonostante le mie precauzioni, l’elfa sobbalza e si guarda attorno incredula.
“Come hai fatto a entrare qui? E… aspetta… come sei arrivata qui?” la compostezza che l’ha sempre caratterizzata sembra essere sparita. Sembra essere in balia delle emozioni. Lo so. Sono io la causa di tutto questo. La guardo negli occhi e vedo che oppone resistenza. Ma non può sfuggirmi, nessuno può, ormai l’ho imparato.
“Non farlo, Elva!” mi supplica, mentre capisce ciò che sto per fare. In un attimo, i suoi sentimenti si riversano in me e capisco quello che prova.
Un gemito interruppe la visione. Proveniva dalle labbra di Arya.
“Lascia che sia io a parlare a questo punto…” il suo tono, in apparenza duro, nascondeva una grande insicurezza e paura.
Eragon si risvegliò completamente udendo la sua voce. “Io non capisco… cosa sta succedendo?”
La piccola umana rivolse lo sguardo al viso dell’elfa e poi a quello del Cavaliere. Poi, in silenzio, sparì nel nulla. Gli occhi di Eragon non si staccarono dalla ragazza davanti a lui.
Le sue guance improvvisamente erano rigate di lacrime trasparenti che bagnavano le punte dei lunghi capelli scuri, sparsi sulle spalle.
“Se solo non avessi sbagliato quella benedizione… se solo ti avessi impedito anche solo di provarci… tutto questo non sarebbe successo…” la sua voce è ridotta a un sussurro e rotta da singhiozzi. La sua calma, la sua durezza, sembrano essere svanite insieme alla bambina.
L’elfa fermò il giovane prima che si avvicinasse o aprisse bocca.
“Ripeto, è il mio turno di parlare” disse piano. Lui annuì mentre dentro di sé non sapeva se essere preoccupato o felice per quella dimostrazione di debolezza –e fiducia, di conseguenza.
“Elva, a quanto pare, ti è riconoscente. Voleva aiutarti, per questo è venuta qui…” cominciò lei con la voce sempre più bassa ma un po’ più ferma. “Il suo intuito è più forte di qualsiasi difesa mentale, anche delle mie. Quasi non ci credevo quando è riuscita a leggere i miei pensieri più reconditi e i miei più grandi timori. Ma devo ringraziarla, dopo tutto. Grazie a lei, ho capito che non posso sempre guardare al passato, che devo costruire un nuovo futuro come lo voglio io”
Negli occhi del ragazzo si accese una scintilla. Forse questa volta la minuscola umana aveva davvero fatto la cosa giusta.
Arya sollevò lo sguardo su di lui e non lo distolse quando i loro occhi si incontrarono a pochi centimetri di distanza. Sentiva il suo respiro caldo sulla pelle. Lesse il sollievo nei suoi occhi e le sembrò di percepire la felicità che stava provando. No, non era vero. Quella non era la felicità di Eragon, era la sua. Nel momento in cui lo realizzò, non riuscì a trattenersi e poggiò le sue labbra sulla bocca del semi-umano. La sfiorò soltanto ma le bastò per sentire un brivido percorrerle la schiena e una scarica elettrica invaderle la mente. Lui la guardò incredulo per un attimo. Poi le prese la testa con una mano e la avvicinò di nuovo a sé. Si baciarono dolcemente. Lacrime salate di gioia si mescolarono al sapore meraviglioso di quel bacio tanto desiderato da entrambi e il resto del mondo perse importanza. Esistevano solo loro due, al centro dell’universo, tutto ruotava attorno a quell’istante. Tutto quello che era successo fino a quel momento era servito solo per portarli lì, persi l’uno nell’altro, labbra contro labbra, fronte contro fronte.
L’elfa si scostò appena per sussurrare: “Verrò con te, ovunque tu vada!”
“Come farai con il regno?” chiese lui, sperando comunque di non farle cambiare idea.
“Ci penserà qualcun altro” mormorò lei, tornando a baciarlo “Ellesmera è piena di nobili che potranno prendere il mio posto”
Eragon si avvolse una scura ciocca di capelli attorno a un dito e le sfiorò il collo con le labbra. Lei sorrise e pensò a quanto era cambiato nella sua vita negli ultimi giorni. Molto. Tutto. Era arrivato il momento di esprimere a parole quel mutamento.
“Ti amo” disse. E mentre lo diceva, si rese conto di quanto fosse vero.
  
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