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Autore: ShadowMoonLady    03/05/2012    4 recensioni
E in un momento, con l’acre odore del sangue che t’impregnava le vesti, che ti rendeva cieco, che ti ricordava tutto e niente, ti mettesti a gridare, fregandotene di quello che sarebbe potuto accadere, la tua fanciullezza mai nata che si estingueva con l’eco del tuo urlo di dolore tra quelle mura.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nome autore:ShadowMoonLady
Titolo storia:Quale, la differenza?
Prompt:Acre odore di sangue
Personaggio: Vegeta
Genere:Introspettivo, Triste

Avvertimenti:One shot
Rating:Giallo (giusto per precauzione)
Note: Questa storia partecipa al contest di Haleey Grey, “Leggenda”.
 




Quale, la differenza?

 
Nella tua breve vita hai sempre combattuto, hai sempre guardato avanti con fare borioso e strafottente, sicuro di avere il mondo ai tuoi piedi. Come ti avevano insegnato, d’altronde.
Hai sempre ucciso a sangue freddo, senza battere ciglio. Hai distrutto pianeti interi, senza sapere neanche il motivo. Hai deciso la vita o la morte, per un tuo vizio. Un capriccio da bambino, l’unico che ti potevi concedere. Assunto il potere, soggiogata la popolazione, stuprate le donne, uccisi uomini, vecchi e bambini davanti al tuo sguardo attento, rimaneva qualche combattente particolarmente coriaceo. Erano portati davanti a te, legati, debilitati da profonde ferite, imploranti di pietà che sapevano già non sarebbe stata concessa. Storcevi il naso, un ghigno sadico storpiava il tuo volto angelico, i tuoi giovani occhi già spenti, si animavano con una luce rossa e cruenta. Schioccavi le dita, la loro sorte era decisa. E ti sentivi potente, potente come non mai. Una scarica di adrenalina ti percorreva il gracile corpo sottoposto a sforzi troppo grandi per un bambino di soli otto anni, al pensiero che per un attimo il destino di qualcuno era dipeso da te, e da te soltanto. Non dal re, non da quella lucertola bianca che dettava legge, da qualche tempo a quella parte. Potevi decidere, finalmente. Ti avvicinavi a uno di loro, con passo lento e il mento alto, come avevi visto fare tuo padre quando eri tu, quello in ginocchio. Sapevi che la cosa più dolorosa era l’attesa, lo sapevi fin troppo bene. Poi, un colpo deciso, la tua mano perforava il petto, sangue che sgorgava, urla agonizzanti, il tuo sorriso che si allargava, come avrebbe fatto un bambino nel momento più bello del gioco.  Tu non eri un bambino, non lo eri mai stato, non sapevi neanche che cosa volesse dire. Con l’altra mano rompevi il collo, le urla che solitamente emettevano, t’irritavano. Il corpo si accascia tra le tue mani, gli occhi si spengono, il volto deturpato in una smorfia di dolore. E poi più niente. Finiva tutto lì. Ti toglievi i minuti guanti ormai rossi, e il corpo veniva portato via, mentre uscivi dalla sala, le urla degli altri prigionieri che venivano trucidati come sottofondo.
 

Perché, ora, non riuscivi a distogliere lo sguardo? Quale, la differenza?

 
Il dolore fisico era sempre stato un tuo compagno fedele. Era stato una consapevolezza, fin dai tuoi primi momenti di vita.
Quando ti allenavi, solo, in quella piccola stanza, sentivi i muscoli che dolevano fino allo spasimo, che t’imploravano pietà, ma avevi la certezza che saresti stato più forte. Sapevi che avresti portato alto il nome della famiglia, della tua razza, e saresti riuscito finalmente a vedere quella scintilla di orgoglio negli occhi di tuo padre. Quella scintilla fantasma, che lampeggiava unicamente quando, mettendoti una mano sulla spalla, ti diceva che saresti diventato un super sayan.
Se sentivi ancora dolore, voleva dire che non eri morto. Te l’eri ripetuto ossessivamente, le volte che il re ti picchiava, lasciandoti nella sala del trono, immerso in una pozza rossa.  Dovevi solo aspettare che qualcuno ti notasse, e senza domande ti portasse nella camera di rianimazione. Ti dicevi che almeno eri vivo. Che ti saresti vendicato, un giorno. Che più ti picchiava, rinfacciandoti le tue debolezze, più saresti diventato potente. O che forse il re aveva fatto bene, e che dovevi essere forte. Che eri il principe dei sayan, e non potevi permetterti di sbagliare. Nella tua testa, emozioni contrastanti cercavano di venire fuori sotto forma di goccioline salate, ma tu lo impedivi. Lo impedivi, concentrandoti sul dolore, che era molto più semplice. “I veri uomini non piangono” gridava lui, quella volta che una minuscola lacrima aveva osato scendere pigramente dal tuo occhio.
Così era diventato un amico, il dolore, un compagno quasi. Un modo per non farti affrontare niente di quello che nella tua testa sembrava essere urlato, intontendoti. Un modo per non complicarti ancora di più l’esistenza. Lo infliggevi agli altri, cercando di riscattarti. Il prezzo da pagare, però, era sempre troppo altro.
 

Ma, quel dolore, non l’avevi mai provato. Un dolore che lasciava senza fiato, che ti avvolgeva completamente, e non potevi curarlo. Quale, la differenza?

 
Il re era entrato nelle camere di tua madre, e ti eri nascosto sotto il letto, rannicchiandoti più che potevi. La regina si era alzata, il volto scuro. Avevano gridato, forte. Ti eri tappato le orecchie, e avevi chiuso gli occhi. Sapevi che era stupido, sapevi che era puerile, ma avevi sperato che così facendo non fossi stato più lì. Poi avevi sentito un tonfo, e avevi aperto di scatto le palpebre. Tuo padre aveva atterrato tua madre, prendendola per i capelli. Lei si era dimenata, ma lui aveva stretto più forte, un gemito era scaturito dalle labbra della sayan. Poi, l’aveva spogliata. Eri troppo attonito per muoverti, e davanti ai tuoi occhi terrorizzati, fece scempio di lei. Ogni gemito ti graffiava l’udito, ogni urlo ti lacerava l’anima. E infine, il silenzio. Un taglio netto, e dalla sua gola sbocciarono mille fiori cremisi, che si dipanarono per tutto il pavimento, infiltrandosi nelle fessure, disegnando arazzi inquietanti. Se n’era andato, come se niente fosse, premurandosi di chiudere la porta. Eri uscito dal tuo nascondiglio, buttandoti sul suo corpo straziato, guardando i suoi occhi spenti. Avevi cercato di pulirle il volto sporco di sangue, di toglierle i capelli impiastrati di quel nettare rosso, e trovare la donna che ti aveva cresciuto, combattendo contro tutti i dogmi su cui era basata la società sayan. Ma quello, ormai, era solo un corpo. E le lacrime, inesorabili, ti avevano travolto. Un dolore che non ti era amico, che non sapevi controllare, ti aveva fatto schiavo. Le avevi fatte scivolare, quelle lacrime. Perché non ti sentivi il principe dei sayan. Non ti sentivi il grande erede di quella potente e sanguinante stirpe. Ti sentivi un insignificante bambino spaurito. Ti era stata portata via l’unica cosa cui avessi mai realmente tenuto, senza che avessi potuto fare niente. Eri pieno di rabbia, frustrazione, odio che ti sommergeva. Eri pieno di paura. Ma non potevi fare niente. Assolutamente niente. La regina era morta, e questo non potevi cambiarlo. Ti accasciasti sul suo corpo martoriato, stringendole convulsamente il polso e sfregandoti gli occhi arrossati, come per voler nascondere quella debolezza a te stesso. Non avresti mai più pianto, te lo promisi, scostandoti da lei e tirando un pugno sul pavimento. Il sangue t’impregnò i guanti candidi, e una goccia si fermò sul tuo volto.
Sangue, sangue dappertutto. Quel sangue che avevi sempre considerato normale, ora ti ripugnava. Morte, morte dappertutto. Quella morte che era stata tua unica fonte di divertimento, ora ti aveva portato via ciò che non ti aspettavi. Ma lui, lui se la sarebbe presa, la sua rivincita. Mai più avrebbe sofferto, mai più. E in un momento, con l’acre odore del sangue che t’impregnava le vesti, che ti rendeva cieco, che ti ricordava tutto e niente, ti mettesti a gridare, fregandotene di quello che sarebbe potuto accadere. La tua fanciullezza mai nata che si estingueva con l’eco del tuo urlo di dolore tra quelle mura.
 

Quale, la differenza? Quale la differenza del sangue nemico, immolato per la propria patria e della madre, immolato per lui?
 
Quale, la differenza? Quale la differenza della morte di un innocente, e quella della persona cui teneva più al mondo?
 
Quale, la differenza? Quale la differenza del dolore fisico e debilitante, e quello struggente dell’anima che va in frantumi?
 
Domandatelo, Vegeta, quando sentirai di nuovo il sangue di un nemico inesistente sommergerti l’essenza.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




IL MIO ANGOLINO
Salve a tutti ^^
Questa è il primo contest a cui partecipo, e sono davvero in pena. Avere qualcuno che giudica senza riserve il mio racconto mi mette un po’ in ansia, ma sopravvivrò… credo.
Comunque, in ogni caso, spero vi sia piaciuta
Anche le vostre, di opinioni, sono sempre ben accette!
Bacioni :*
Shadow

  
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