Anime & Manga > Inazuma Eleven
Ricorda la storia  |      
Autore: Melabanana_    05/05/2012    6 recensioni
Marco/Gianluca | Questa storia fa parte della serie .:need:. | scritta da Roby
---
Χαίρε” disse piano.
"Come?” Marco alzò un sopracciglio. Sembrava più rilassato, dal momento che Gianluca aveva deciso di restare. “Cosa significa?”
Sii felice, alla lettera. Era un modo per salutarsi, in Grecia. Quando l’ho scoperto, ho voluto saperne di più. Non è un semplice ciao… È un po’ un modo di conoscere la felicità, secondo me.”
La voce di Gianluca era quasi un sussurro.
Marco lo abbracciò.
---
Gianluca Zanardi sarebbe morto all’età di quattromilasettecentoquarantotto giorni, settemilaquattrocento ore e circa duemilacentoventi minuti(...)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gianluca Zanardi, Marco Maseratti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie '.:need:.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ci ho messo tre giorni per completare questa shot... non mi piaceva, e continuavo a scriverla e cancellarla. Adesso il risultato mi soddisfa abbastanza, 100% Angst/Fluff, proprio come piace a me 
Suggerisco come "colonna sonora" della ff Runaway di Avril Lavigne~
Roby


Χαίρε.

 
Il verde non era mai stato il suo colore preferito.
Gianluca preferiva il blu -il blu apparteneva al mare, al cielo e agli zaffiri.
Ma ultimamente il verde era diventato un colore apprezzabile; il verde apparteneva alla natura e agli occhi del ragazzo-del-marciapiede-di-fronte.
Quel ragazzo che da un mese a questa parte aveva preso l’abitudine di sedersi sul marciapiede di fronte alla sua scuola, senza mai avvicinarsi all’edificio, quel ragazzo sconosciuto il cui volto era sempre un po’ coperto dal cappuccio della felpa –quel ragazzo aveva gli occhi di un color verde brillante.
Ma no, il verde non poteva certo essere diventato un bel colore solo per gli occhi di quello lì.
In fondo, i suoi stessi occhi erano blu zaffiro, che c’entrava il verde?
Però da quando il suo sguardo aveva incrociato quel verde smeraldino aveva l’impressione di trovarselo davanti più spesso di prima, quel ragazzo.
O forse era solo che prima non ci faceva caso.
Gianluca andava a scuola a piedi dalla terza elementare ormai.
Era passato davanti a quel marciapiede milioni di volte solo in quello stesso anno, eppure era solo da un mese che si era accorto di quella presenza.
Non vi si era mai avvicinato, ovviamente.
Aveva sempre preferito restare cautamente sul marciapiedi della scuola e osservare da lì il ragazzo che stava seduto dall’altra parte della strada.
Da sotto la visiera del cappuccio –lo sapeva con certezza- quegli occhi smeraldini scrutavano tutto.
 
xxx
 
Un bagliore improvviso entrò nell’aula, guizzò in una frazione di secondo sui loro test di matematica e si spense lasciando posto alla pallida illuminazione al neon.
Tutti lanciarono uno sguardo confuso al compagno più vicino.
Gianluca invece continuò tranquillamente a scrivere. Non si scompose neppure quando il fragore del tuono che venne subito dopo fece sobbalzare il resto della classe –tanto già aveva rapidamente calcolato, fra un’equazione l’altra, quanti secondi sarebbero occorsi prima che il suono seguisse la luce.
Circa 2,9 secondi, la sua previsione si era rivelata esatta.
Ora tutti fissavano sbigottiti la finestra, allargando la bocca in una O di sorpresa, e si lamentavano della pioggia che li avrebbe colti senza ombrello.
Gianluca sospirò. Per fortuna era l’ultima ora.
Quando la campanella suonò, era l’unico ad aver finito anche di copiare.
In realtà aveva finito un’ora prima, ma aveva preferito far finta di niente.
Aveva imparato a non mettere mai troppo in mostra la propria intelligenza, da quando l’anno prima, nel primo giorno di scuola, aveva quasi offeso il prof. di matematica rispondendo correttamente a tutte le domande più difficili –per lui anche le equazioni del liceo erano trascurabili.
Gianluca odiava essere al centro dell’attenzione e aveva risultato per essere sgarbato.
A dire il vero si era sempre sentito un po’ un pesce fuor d’acqua. Amava leggere libri difficili, lo interessavano il latino, il greco e la matematica, e fin da piccolo lo divertiva calcolare in giorni, minuti e secondi la propria età.
Lui l’ombrello ce l’aveva, e dopo aver consegnato uscì sul marciapiede da solo.
Non si vedeva niente, la strada era avvolta da foschia e la strada era vuota.
Con l’ombrello sulla testa e le scarpe che affondavano nell’acqua, Gianluca attraversò la strada.
Una Mercedes blu per poco non lo sbalzò per aria.
Proprio mentre il ragazzo constatava che era patetico passare gli ultimi tre minuti della sua vita a fissare un’auto che ti viene addosso, sentì le dita di qualcuno stringersi intorno al suo braccio e poi cadde all’indietro. Riuscì miracolosamente a mantenere l’ombrello fra le mani.
L’auto bussò e passò avanti, schizzando acqua e fango.
Gianluca la guardò passare, poi alzò lo sguardo sulla persona con cui ora condivideva involontariamente l’ombrello.
Un volto abbronzato, circondato da folti riccioli rossi schiacciati sotto un cappuccio, era chino su di lui e occhi smeraldini lo fissavano con una scintilla di preoccupazione.
“Stai bene?! Quell’auto poteva ammazzarti!” gridò il ragazzo-del-marciapiede-di-fronte.
Gianluca sentì uno spiacevole rossore farsi strada sulle proprie guance.
Con un gesto brusco si rimise in equilibrio, schiaffeggiando le mani del ragazzo, la cui preoccupazione mutò in sorpresa.
“Grazie” disse Gianluca freddamente. Odiava lui stesso essere così sgarbato, ma era nel suo carattere stare sempre sulla difensiva.
Quando si voltò, si trovò faccia a faccia con l’altro ragazzo. Arrossì di nuovo, con suo grande disappunto.
Il viso dell’altro era ad un palmo dal suo naso e il suo respiro era piacevole. Non sembrava offeso dalla sua freddezza, ma sul suo volto era dipinta un’espressione di pura curiosità.
“Come mai sei venuto su questo marciapiede oggi?” chiese.
“Come?”
Lui scrollò le spalle, fradicio nella sua felpa e nei suoi jeans.
“Di solito fai un’altra strada no?”
“Oh, scusa, non avevo capito che avevi l’hobby dello stalking.”
Il sarcasmo che avrebbe fatto storcere il naso ai suoi compagni di classe fece invece sorridere il ragazzo.
“Perché no? In fondo non mi conosci affatto. Ed io non conosco te. Non ci siamo mai parlati” disse.
Sorrideva; un sorriso che voleva dire parlati no, ma osservati sì, e anche a lungo direi.
Gianluca sbuffò. Quel ragazzo doveva essere proprio un gran rottura di scatole.
“Sei irritante” commentò, ma non si mosse. Restò accanto a lui, a proteggerlo con l’ombrello.
“E allora perché non te ne vai?” Non c’era cattiveria nella domanda, ma sincera curiosità. Gianluca lo scrutò, chiedendosi che intenzioni avesse, ma non riuscì a trovare nessuna risposta.
“Ti devo un favore” ammise infine con una smorfia. L'altro sorrise e fece finta di crederci: riparare qualcuno dalla pioggia non è un gran favore, se quel qualcuno ti ha appena salvato la vita.
Rimasero in silenzio per molto tempo, forse. Poi il ragazzo dagli occhi verdi parlò.
“Senti… me lo dai il tuo numero?”
 
Il giorno in cui conobbe Marco Maseratti, Gianluca Zanardi aveva quattromilasettecentoquarantotto giorni, settemilacinquecentotrentasei ore e circa tremilacentoventi minuti.
 
xxx
 
Erano seduti su un divano, nel caotico soggiorno dell’appartamento di Marco.
Il ragazzo l’aveva invitato il giorno stesso, adducendo come scusa che tanto a quell’ora i suoi coinquilini –vale a dire una coppia di simpatici coniugi sull’ottantina- erano impegnati in un torneo do bridge.
Non accennò minimamente al resto della sua famiglia, per cui Gianluca non chiese.
“Cosa stai leggendo?”
Marco era chino su di lui e cercava di sbirciare le pagine del libro.
Poteva sentire il suo respiro sulla propria nuca scoperta –per leggere si legava sempre i capelli.
 “La smetti? Metti ansia” lo rimbeccò Gianluca torvo, chiudendo il librodi scatto.
Marco si spostò leggermente, ma rimase seduto sulle ginocchia accanto a lui.
“Ma io mi annoio! Parla con me!”
“Ma se passi intere mattinata qui a non fare nulla!”
“Non è vero che non faccio nulla.” Marco mise il broncio. “Ti aspetto.”
Gianluca lo guardò senza capire, e quando capì divenne paonazzo e distolse lo sguardo.
“Beh, non è granché! Potresti fare qualcos’altro, tipo non so, andare a scuola!” esclamò.
Marco scrollò le spalle. “Faccio l’autodidatta, io. E poi neanche a te piace la scuola.”
Gianluca si fermò, sorpreso. Questo non gliel’aveva mai detto, come faceva lui a saperlo?
“Non fare quella faccia. Non stai mai in giro con i tuoi compagni di classe, te ne torni sempre a casa da solo. Chiunque capirebbe che non ti piace.”
Gianluca sbuffò. “Non è che non mi piace la scuola. Non mi piacciono i miei compagni. Ma tu ti apposti fuori scuola per carpire i segreti degli altri, razza di stalker?”
“Ma va’. Mica guardo tutti.”  Marco sorrise, lasciando sottintendere molto.
Gianluca riaprì il libro, seccato che il suo sarcasmo fosse, ancora una volta, andato a vuoto.
“È un libro di mitologia greca, comunque” disse, con una punta di fierezza. “I testi sono in lingua, non ci capiresti nulla.”
Marco sgranò gli occhi e chinò di nuovo sul libro. “Davvero leggi questa lingua?! Ma è da secchioni!”
Punto nel vivo, Gianluca gli lanciò un’occhiata fulminante, quindi si alzò e cominciò a trascinare via la cartella.
Marco capì subito di aver parlato troppo e lo inseguì.
“Ehi, Gianlu, dove vai? Ti sei offeso? Mi dispiace!” gridò. Gianluca non rispose, intenzionato ad ignorarlo.
Si diresse alla porta e mise la mano sulla maniglia, ma Marco gli bloccò il braccio.
“Lasciami. Sei proprio un cretino, come tutti gli altri” gli sibilò Gianluca. Marco non si fece intimidire.
“Non fare così, dai! Parlami! Perché ti piace il greco?” domandò, mentre con delicatezza gli toglieva la mano dalla maniglia e lo tirava via dalla porta. Stavolta, Gianluca abbassò lo sguardo.
Χαίρε” disse piano.
"Come?” Marco alzò un sopracciglio. Sembrava più rilassato, dal momento che Gianluca aveva deciso di restare. “Cosa significa?”
Sii felice, alla lettera. Era un modo per salutarsi, in Grecia. Quando l’ho scoperto, ho voluto saperne di più. Non è un semplice ciao… È un po’ un modo di conoscere la felicità, secondo me.”
La voce di Gianluca era quasi un sussurro.
Marco lo abbracciò.
“Sei proprio uno Scorpione, intelligente e sensibile.” Marco ridacchiò ed affondò il viso nella sua spalla, gli tremavano le spalle per il ridere.
“Ma che, leggi gli oroscopi? Mah, sì, sono uno Scorpione, come dici te. E se non stai attento, ti pungo e ti avveleno.” Gianluca alzò gli occhi al cielo, irritato dal fatto che il sarcasmo aveva solo l'effetto di far ridere Marco ancora di più.
“La smetti di arrampicarti su di me come un panda sui bambù?!” protestò allora.
“Temo sia impossibile per un panda arrampicarsi su un bambù, sai.”
“Allora come uno stramaledetto koal… C-che stai facendo?!” Gianluca interruppe l’insulto e arrossì.
Marco, talmente vicino al suo viso da mozzargli il fiato, fece un sorrisetto.
“No?” chiese maliziosamente, senza rispondere all’altra domanda.
Come Gianluca vide che non poteva indietreggiare –dietro di lui c’era la porta- lo spintonò.
“No! Siamo entrambi maschi, imbecille!” disse, imbarazzato e scioccato.
“Non ti piaccio?”
Gianluca stava per mandarlo al diavolo ma ammutolì davanti all’espressione insolitamente seria di Marco.
Sentì immediatamente l’impulso di distogliere lo sguardo, ma non ci riusciva. Si morse il labbro, cercando in fretta una soluzione -la risposta sembrava essere più complicata di un’equazione di quinto grado…
Due dita gli colpirono la fronte e lo risvegliarono di colpo.
“Tu pensi troppo” osservò Marco con semplicità. Gianluca lo fissò spaesato.
“A me non piace pensare molto, ti confonde e basta. Le convenzioni rubano solo tempo e spazio. In fondo, nell’antica Grecia non si facevano questi problemi giusto?” Sorrise di nuovo.
Mentre Gianluca continuava a non capacitarsi dello smacco subito, il ragazzo dagli occhi verdi si staccò da lui e si allontanò un po’. Si mise le mani in tasca e rimase ad osservarlo, con naturalezza e disinvoltura.
“Perché sei sempre così… rilassato? Non ti preoccupa nulla?” boccheggiò Gianluca.
Marco scosse il capo, ancora sorridente.
“I miei sono morti in un incidente. Sono sopravvissuto soltanto io… Finché sono vivo, voglio fare quello che voglio. Apprezzo molto il fatto di essere vivo, sai. Non posso certo perdere tempo a pensare.”
Gianluca non disse più nulla.
Rimase con lo sguardo fisso a contemplare il ragazzo, immerso nelle proprie riflessioni.
I suoi genitori non rientravano fino a tardi e lui non li vedeva se non nel weekend, ma erano sempre rari gesti d’affetto profuso da parte loro. Avevano sempre interpretato la soggezione del loro bambino come una forma di indipendenza, credevano che lui non avesse bisogno di quell’affetto.
Gianluca Zanardi era sempre stato abituato a pensare come i grandi.
Forse per questo motivo quella cosa ovvia –il fatto di essere vivo- non gli era neanche mai passata per la testa. Era sempre stato troppo occupato a rispondere alle aspettative altrui per pensarci davvero.
Ora, immergendosi in quel verde sterminato, si rese conto che gli sarebbe piaciuto avere il carattere e la filosofia di Marco. Il ragazzo ancora una volta gli lesse nel pensiero.
“Non pensarci neanche. I Cancro sono solo lunatici. Sono gli Scorpione, ad essere dei geni.”
 
Quando tornò a casa, sua madre e suo padre lo aspettavano in cucina.
Suo padre aveva un volto molto serio. “Gianluca, ti dobbiamo parlare.”  
Il ragazzo si accigliò. Parlare? Ma se non lo facevano mai!
“Ha chiamato il tuo insegnante di matematica. Dice che i tuoi voti sono calati drasticamente, e che sei sempre distratto…”
Gianluca si morse il labbro e imprecò mentalmente. Ah, ecco, non dovevano parlare: lui doveva stare seduto a sentire le loro lamentele. Gran bella conversazione! E poi, sapeva benissimo qual era la ragione di quel calo di media: aveva studiato solo il minimo indispensabile, visto che ormai trascorreva sempre i suoi pomeriggi a casa di Marco.
Quel ragazzo lo intrigava sempre di più: allegro e spensierato, ma sempre circondato da un alone di malinconia. Era sicuramente meno stupido di quel che volesse far credere.
Gianluca non era sicuro di essere pronto ad ammetterlo ad alta voce, ma cominciava a credere che non sempre la logica c’entrava, con la vita. Ogni giorno trascorso con Marco distruggeva una piccola parte di lui, ricostruendola da capo.
“Devi impegnarti di più. Noi ti chiediamo solo questo, in fondo, che tu faccia il tuo dovere come noi facciamo i nostri” continuò suo padre. Gianluca strinse i pugni.
Quante volte aveva sentito quel discorso, fin da piccolo? Chissà perché ora era diventato insopportabile, ogni parola sembrava impossibile da digerire. Chiuse gli occhi e pensò a Marco.
“Basta” sussurrò.
Suo padre non parve sentirlo. “Non hai studiato abbastanza. Smetti di concentrarti sulle cose inutili e pensa al tuo futuro. Sei un ragazzo intelligente e responsabile e di certo capirai che…”
“Scusami.” Stavolta parlò ad alta voce. Suo padre sembrò soddisfatto.
“Se hai compreso vai subito in camera tua.”
Gianluca obbedì, uscì dalla stanza e si chiuse nella sua.
Non voleva più sentire nulla.
Basta.
Si tappò istintivamente le orecchie con le mani, scivolò dietro la porta e pianse.
Provava disgusto verso se stesso e quel mondo di vedute così ristrette che non gli apparteneva più.
 
xxx
 
Gianluca starnutì.
Novembre aveva sorpreso Venezia all’improvviso, avvolgendola in una calotta di vento freddo.
Fece vagare lo sguardo tutto intorno.
Il mondo non sembrava poi così diverso, però a lui non quadrava più nulla.
Quel giorno la scuola gli era sembrata meno sopportabile del solito –forse perché era sabato?- e più d’una volta aveva avuto l’impulso di scagliare i libri dalla finestra.
Dalla sera precedente aveva gli occhi gonfi dal pianto e i muscoli tesi.
Si sentiva in fibrillazione, come una bomba che non aspetta altro d’esplodere –e capì che era lo stress.
Più vedeva Marco, più gli appariva chiara la verità sul cambiamento che lo stava travolgendo.
Lui non voleva più essere nulla di tutto ciò che era stato fino a quel momento.
Gli Scorpioni sono persone contraddittorie, rifletté. Aveva paura di cambiare, ma al tempo stesso lo voleva ardentemente. Voleva essere come Marco e non voleva più essere se stesso.
Con il freddo, Novembre aveva portato con sé il buio: erano appena le sei però un velo d’oscurità copriva ogni cosa. Il canale che scorreva al fianco della strada recava con sé i riflessi della luna prematura.
Tastando a tentoni nel buio della sera scesa, Gianluca trovò la scaletta e scese i primi scalini, finché non si ritrovò immerso nell’acqua gelida fino alle ginocchia. Brividi freddi gli percorsero la schiena. Aveva letto che molte menti geniali se ne erano andate togliendosi la vita. Dopotutto qualunque cosa era meglio della gabbia in cui –dopo tredici anni- si era reso conto di essere rinchiuso.
Chiuse gli occhi e lasciò andare la presa.
La corrente si fece immediatamente sentire in tutta la sua forza. Un gelo amorfo gli attanagliò lo stomaco. L’acqua gli arrivava al petto e il gelo gli opprimeva i polmoni. Affondò in un attimo, finendo con tutto il corpo sott’acqua. Aveva paura. Voleva morire, ma aveva paura.
Gianluca Zanardi sarebbe morto all’età di quattromilasettecentoquarantotto giorni, settemilaquattrocento ore e circa duemilacentoventi minuti, calcolò rapidamente. A soli sei giorni dal suo compleanno, il sedici novembre.
Ma, invece, prima di morire, il volto di Marco gli apparve d’improvviso, prepotentemente, nella memoria.
Gianluca riemerse dall’acqua gelida inspirando profondamente con naso e bocca, sconvolto.
 
“Cosa diavolo pensavi di fare?!” La sua voce s'incrinò, i suoi lineamenti pieni di rabbia e disperazione –Marco sembrava così fuori di sé, dov’era finita la sua solita aria da allegro fessacchiotto?
“Marco” sussurrò Gianluca. Capiva perfettamente lo stato d’animo dell’amico: dopotutto, si era appena presentato grondante d’acqua davanti al suo pianerottolo, con quel vento freddo che tirava e il volto livido e il cielo scuro.
Marco gli afferrò il braccio e lo tirò dentro. Si chinò verso di lui e cominciò a spogliarlo, febbrilmente.
“Devo toglierti i vestiti fradici” si giustificò imbarazzato, ma a Gianluca non importava. Rimase in piedi, in silenzio, mentre Marco correva nella stanza a fianco. Tornò con vestiti probabilmente suoi, che gli ficcò in mano.
“Cambiati e vieni di là” disse in fretta, agitato.
Gianluca annuì e lo fece, senza protestare: si sentiva svuotato di ogni forza, di ogni voglia di resistere.
Marco lo fece sedere accanto a sé sul divano, poi lo abbracciò con una coperta.
“Allora…” disse in tono di rimprovero. “Mi vuoi dire che hai combinato? Non mi sembra che piova!”
“Non ti piacerà…”
“Dimmelo lo stesso.”
Gianluca inspirò profondamente. “Sono sceso nel canale” confessò con disarmante semplicità.
Come previsto, Marco sgranò gli occhi e piegò le labbra in una smorfia. Riuscì con uno sforzo a contenere la propria reazione e la voce gli uscì un po’ soffocata.
“Vuoi dire che ci sei caduto dentro..." disse, sperando intensamente che fosse andata così, ma Gianluca scosse il capo.
Marco lo fissò con un’espressione indecifrabile per lunghi istanti, poi nascose il volto nella sua spalla.
“Gianluca, Gianluca, Gianluca” sussurrò con voce roca. Il suo corpo era scosso da singhiozzi e tremiti discontinui.
Gianluca rimase immobile. “Marco… perché stai piangendo?” La domanda gli affiorò alle labbra.
“Zitto, stai zitto!” urlò l’altro. Si sollevò improvvisamente, gli prese il volto fra le mani e lo osservò con attenzione. Gli occhi di Gianluca erano limpidi e tradivano solo una profonda solitudine.
“Hai le labbra livide” sussurrò Marco, prima di riscaldarle con le sue.
Gianluca si lasciò scivolare nell’oblio, pensando che Marco senza saperlo gli aveva di nuovo salvato la vita.
 
xxx
 
La banchina della stazione era affollatissima.
Il fischio del treno riempì per un attimo la sua testa. Chiuse gli occhi.
La sera prima aveva pianto ma, quando si era immerso nell’acqua gelida del canale, le lacrime si erano cancellate. Era uscito di lì con la testa confusa e il corpo tremante.
Proprio vero che la notte porta consiglio.
Infatti, quella mattina si era svegliato e fissando il soffitto illuminato debolmente dall’alba si era reso conto
che non era più confuso come prima. Anzi, una certa chiarezza dominava la sua mente.
Sapeva esattamente cosa voleva e poteva fare.
Aveva spostato con delicatezza il ragazzo, ancora dormiente, che l’aveva tenuto abbracciato tutta la notte.
Aveva lasciato casa di Marco quella mattina, all’alba.
Si rendeva conto che forse quella era stata l’ultima volta che vedeva il suo salvatore, ma aveva scacciato il pensiero per non farsi prendere dalla solitudine.
E così se n’era andato, era passato a casa propria solo per prendersi tutti i soldi che aveva vinto con tutti quegli stupidi concorsi che i suoi genitori gli avevano fatto fare solo per potersi ringalluzzire del loro figlio genio. Almeno erano valsi a qualcosa. Aveva da parte un bel gruzzolo.
La casa era vuota –probabilmente i suoi erano rientrati così tardi e riusciti così presto che neanche si erano accorti che lui non c’era.
In quel momento Gianluca focalizzò per l’ultima volta l’immagine dei suoi genitori e si rese conto che per lui non erano molto diversi dalle altre persone sulla banchina.
Anche quel briciolo d’affetto che provava per loro stava per essere cancellato.
Il treno fischiò di nuovo. Gianluca prese il cellulare di tasca e scrisse un sms a Marco, poi lo spense e lo buttò in un cestino dell’immondizia. Non gli sarebbe servito più.
Salì sulla sua carrozza, senza avere nessuno da salutare sulla banchina.
Ma si sentiva ugualmente sereno.
 
 

To: MarcoMaseratti
From: GianlucaZanardi
 
Χαίρε.

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inazuma Eleven / Vai alla pagina dell'autore: Melabanana_