IL
BACIO DELLE FIAMME
L’ACCADEMIA
Rea
aveva deciso di seguire Laura alla True Cross Academy solo perché non voleva
rimanere da sola. Sapeva che, se non fosse andata con lei, se ne sarebbe
pentita, così, quando erano salite sul treno, si era sentita tranquilla e
rilassata: stava facendo la cosa giusta.
“Allora ci siamo, eh Rea?” le chiese l’amica. Lei
annuì.
“Già. Siamo proprio sicure di voler stare in un’accademia?
Insomma, non sarà come una specie di convento dove non possiamo fare
niente?”
“Speriamo di no!”
“Magari è un castello enorme dove ci sono i demoni e i
fantasmi!” sperò lei. Sapeva benissimo che Laura ne era terrorizzata,
però a lei piaceva l’idea che esistessero nel mondo delle cose sovrannaturali.
Ne era affascinata.
Vide
una luce in fondo al tunnel.
“Ehi, credo che ci siamo!” esclamò avvicinandosi al
finestrino.
Un
altro mondo si spalancò davanti ai suoi occhi, lasciandola a bocca aperta.
“Oddio!” pensò: non era una semplice scuola, era un
vero e proprio paese! Le ragazze rimasero a bocca aperta, incapaci di parlare.
La montagna sulla quale si ergeva la scuola aveva alla base una città che si
estendeva per qualche chilometro, circondata da una baia.
“Non… non mi sembra proprio un convento, sai Rea?”
disse Laura.
L’altra
annuì, ancora troppo stupita per rispondere.
L’interno
della True Cross era enorme, talmente grande che ci si poteva perdere da un
momento all’altro. Spaventate e insicure, le due ragazze rimasero vicine fin
quando il preside tenne il discorso.
“Le lezioni inizieranno la prossima settimana, così potrete
ambientarvi e sistemarvi per bene. Benvenuti alla True Cross Academy,
ragazzi!” disse.
Era un
tipo strano: vestito di bianco con buffe calze a righe rosse, portava una tuba
dello stesso colore del vestito e un foulard rosa a pois. Rea voleva scoppiare a
ridere per quella tenuta così assurda e si voltò verso Laura per vedere come
stava reagendo. Con sua sorpresa, l’amica sembrava rapita da
quell’uomo.
“Che stai guardando?” le chiese. Quando lo comprese,
rabbrividì.
“No! Non ci pensare!” le disse scuotendola.
“A cosa? Chi stava pensando? Ti sembro il tipo che
pensa?”
“Laura, non dirmi che ti piace il preside, ti prego non
dirmelo!” implorò disperata Rea. Si stavano dirigendo verso le loro
stanze. Sarebbero state in camera insieme.
“Possiamo parlarne una volta da
sole?”
“Sei un’idiota, ricordatelo, ma va bene” le disse.
Sapeva
per esperienza diretta che quando Laura si innamorava non esisteva nient’altro
che il soggetto del suo interesse.
Era
stato così già due volte e in entrambi i casi loro avevano
litigato.
Stavano
cercando la stanza a caso, seguendo la massa, e ci impiegarono venti minuti per
trovare l’alloggio. Quando, finalmente, aprirono la porta, Rea volò
letteralmente sul letto.
“Questo posto è gigantesco! Sei sicura di non
perderti?” insinuò Laura, sogghignando. Il senso dell’orientamento
dell’amica era paragonabile a quello di un cieco in un
labirinto.
“Cosa vorresti dire? Guarda che potrei dirti la stessa
cosa!” rispose lei arrabbiata.
“No, non puoi. Io so orientarmi molto meglio di te e lo
sai benissimo” ribatté Laura sedendosi sull’altro
letto.
“Ah sì? Ora la paghi!” le disse Rea, catapultandosi
dall’altra parte della stanza e stendendola sul letto. Iniziò a farle il
solletico sui fianchi, dove sapeva che l’amica soffriva
moltissimo.
“No! No, ferma, no! Ahahahahah, smettila, ti
prego!”
“Chiedimi scusa! Chiedimi subito
scusa!”
“Ok, ok, mi arrendo. Scusa!” disse l’altra tra le
lacrime.
“Mmh… forse posso perdonarti… ma ad una sola
condizione!” concesse Rea rimanendo a bloccare
Laura.
“Cioè?”
“Cosa stavi guardando prima?” domandò minacciosa
puntandole un dito contro. La ragazza sbiancò.
“Niente! Te l’ho già detto!” disse.
Rea
sospirò, già rassegnata alla catena di eventi che sapeva stavano per avvenire.
Non importava quanto si nascondesse dietro a stupidi “niente”, Laura era già
innamorata e questo significava solo una cosa: guai, grossi, grossissimi
guai.
Rea non
si era mai considerata una persona attraente: piccola, abbastanza in carne, con
la pelle piena di lentiggini anche in faccia e i capelli rossi, si riteneva una
ragazza mediocre. Non aveva mai attirato l’attenzione dei ragazzi, né ci aveva
mai provato. In realtà, a causa del suo carattere irriverente e sarcastico, di
solito tendeva a far scappare la gente. Aveva imparato a convivere con questa
cosa, ormai non se ne faceva nemmeno più un problema, però ogni tanto era
frustrante vedere come le altre ragazze erano capaci di fare amicizia
velocemente e lei no.
La sera
prima della prima lezione scolastica era nervosissima. Si era stesa sul letto a
fissare il soffitto per non pensare all’ansia che la stava tormentando, ma era
inutile.
“Come credi che sarà il primo giorno di scuola?”
chiese Laura.
“Sinceramente, non lo so. Non pensavo neanche che avrei mai
dovuto tornare a fare la studentessa dato che avevamo finito il liceo, però devo
dire che questo posto ha qualcosa di magico. Mi attira molto l’idea di passare i
prossimi tre anni qui” disse pensandoci. Era vero, aveva l’impressione
che dietro all’apparenza ci fosse un segreto enorme.
“Mi fa quasi paura questa nuova avventura, sai?”
disse Laura.
“Perché?” le chiese Rea,
incredula.
“Pensaci un secondo: dobbiamo ricominciare da capo, farci
nuove amicizie, creare un nuovo giro per uscire, non possiamo tornare a casa
quando vogliamo, siamo lontane dai nostri
genitori…”
“Laura, forse questo è un bene, no? Insomma, dobbiamo
riuscire a conquistare un po’ di sicurezza in noi stesse, di
indipendenza” le rispose Rea.
“E se non ce la faccio?”
“Perché non dovresti, scusa?” ribatté.
Sapeva
che l’amica era forte se ce la metteva tutta e sapeva che poteva fare ciò che
voleva. La costanza non era ciò che le mancava.
Quando
spensero la luce, i dubbi assalirono Rea. Se non fosse piaciuta ai suoi
compagni? Se per qualche motivo si fosse ritrovata sola? Non voleva tornare ad
avere paura del buio. Ogni volta che stava male emotivamente non riusciva a
spegnere la luce prima di dormire, temeva che sarebbe stata assalita da qualche
mostro creato dalla sua mente.
Sorridendo
nel pensare a quanto era infantile, chiuse gli occhi.
Quando
entrarono in classe il mattino seguente rimasero a bocca aperta: era un’enorme
stanza, lunghissima, molto più della loro vecchia aula. C’erano grandi finestre
da un lato, e una lavagna in fondo. I banchi erano disposti in file orizzontali,
in ognuno dei quali potevano sedersi due persone.
“Ma questa è una classe o sono due?” esclamò Rea
mettendosi a sedere. Laura prese posto vicino a lei.
“Credo sia una. Credo” rispose l’altra. Entrò un
insegnante dall’aspetto austero e intransigente, che iniziò subito la lezione,
senza troppi preamboli.
Facendo
finta di prendere appunti, la ragazza si mise a scrivere a caso, come solito.
Non capitava quasi mai che riuscisse a stare dietro ai professori quando
spiegavano, così aveva trovato il modo per non farsi riprendere quando non
ascoltava: si metteva a scrivere su un quaderno le prime cose che le passavano
per la testa e i pensieri se ne andavano da soli. Laura le dette una botta sul
braccio.
“Sì?”
“Rea, l’hai visto anche tu?”
“Che cosa?”
“C’era un cagnolino che correva in
cortile!”
“Può darsi. In fondo, non hai visto tutte le case che sono
qua intorno? Magari si era perso” la rassicurò.
Perdersi
dietro ad un animale era l’ultima cosa che aveva voglia di
fare.
La
campanella suonò poco dopo e, a causa della grandezza della scuola, dovettero
correre per arrivare in tempo alla lezione successiva, e così via fino all’ora
di pranzo. Rea si accasciò su una sedia e sbuffò.
“Mi sembra di fare la maratona invece di seguire dei corsi
scolastici” osservò.
“Questo posto è enorme, e non è semplice riuscire ad
arrivare da una parte all’altra dell’edificio in soli cinque minuti!” si
lamentò Laura.
“Cosa vuoi farci? C’est la vie” rispose.
Erano
sfinite, ma nel pomeriggio avevano ancora due corsi da dover
seguire.
“Voglio tornare in camera e dormire fino a domani!”
“Mi basterebbe un’ora per riposarmi come si
deve”
“No, troppo poco” la pausa pranzo durava un’ora e
loro ebbero il tempo di rifocillarsi e riposarsi. C’era una vista mozzafiato dal
cortile, che si apriva sulla baia. L’odore dell’acqua le raggiungeva fino a lì e
Rea si chiese quando avrebbe potuto andare di nuovo al
mare.
Sentì
la campanella suonare in lontananza e si girò.
“Andiamo, non voglio fare tardi il primo giorno” disse
a Laura. Si incamminò verso l’aula successiva, tenendo in mano il foglietto che
i professori le avevano dato. Si rese conto di aver preso per sbaglio anche
quello dell’amica e si girò per restituirglielo.
“Devo averlo da stamani, è tu… Laura?” chiamò,
rendendosi conto di essere sola. In mezzo a tutta quella gente non riusciva a
vedere bene e dato che l’amica era più bassa di lei il compito le era anche più
difficile. Perse mezz’ora a camminare in cerchio, tentando di vederla spuntare
tra gli studenti, ma invano. Dovette correre come una forsennata per arrivare in
classe.
“Professore… mi dispiace di aver fatto tardi… scusi…”
disse entrando come una furia. Stava cercando di riprendere fiato, rossa come un
peperone perché tutta la classe la stava guardando.
“Tu sei Arikushi o Shintuki?” le chiese
l’insegnante.
“Shintuki… Shintuki Rea” rispose la
ragazza.
“Siediti, dato che è il primo giorno ci passerò sopra, ma
non rifarlo più o sarò costretto a prendere provvedimenti” la
avvertì.
“Sì, mi dispiace” si scusò di nuovo. Si sedette in
fondo all’aula, attenta a tenere la testa bassa e a non fare rumore. Questa
volta Laura doveva avere una buona scusa.
Rientrò
in camera da sola. Non era riuscita a trovare l’amica, né a parlare con
qualcuno. Con la cartella in mano e lo sguardo basso, si avviò per il corridoio.
Non c’era niente da fare, in qualsiasi situazione si trovasse finiva sempre da
sola: a musica; a scuola; a casa. Non era capace di stare con le persone senza
rendersi ridicola in qualche modo. Il fatto di essere anche una testa calda non
l’aiutava: appena le si diceva qualcosa di vagamente offensivo scattava e
rispondeva a tono. Doveva commentare qualsiasi cosa succedesse e non era in
grado di stare zitta.
Quando
arrivò davanti alla porta della stanza si fermò. Non aveva compiti da svolgere
né appunti da studiare per il momento, perché non esplorare un po’ la scuola?
Entrò a posare la cartella e poi uscì per vedere com’era fatto
l’edificio.
Il suo
senso dell’orientamento non era in grado di farle capire dove si trovava, così
improvvisò: prima seguì un gruppo di ragazze che dicevano di dover andare in
cortile, poi le lasciò per andare dietro ad un professore. In un paio d’ore
riuscì a trovare la palestra, l’infermeria e l’aula insegnanti. Contenta di come
era riuscita a non perdersi, Rea non pensava che adesso doveva rientrare in
stanza.
“Oddio, e adesso?” si chiese. Da dove era venuta?
Dov’erano i dormitori femminili? In preda al panico, si mise a camminare senza
una meta.
“Calma, stai calma, non ti preoccupare, vedrai che adesso
riesci a trovare la camera” si disse. Vagò senza sapere dove stava
andando e vide dalle finestre che fuori si faceva buio. “Laura sarà già rientrata, se non torno verrà a
cercarmi” pensò.
Finalmente
riuscì a vedere una porta in fondo al corridoio.
“Io sono passata da una porta simile, magari è
quella!” esultò.
Quando
la aprì si rese conto che non aveva percorso quel corridoio quando era andata
lì: c’era una specie di scalinata senza fine che saliva sparendo nel buio.
“Non dovrei andare lassù, probabilmente ci sono i mostri o i
vampiri, e poi non c’è luce” consigliò a sé stessa. La cosa che
caratterizzava Rea era che i consigli che si dava erano saggi e giusti, ma lei
non ne seguiva nemmeno uno. Decise di salire.
Via,
via che lasciava dietro di sé la sicurezza della porta ed entrava in quel buio
fitto in cui spariva la scala, sentiva che non avrebbe dovuto essere lì.
Appoggiandosi con una mano alla parete per evitare di sbattere contro il muro,
continuò imperterrita a salire, nonostante la fifa. “Se sono arrivata qui, ormai, posso arrivare in cima,
giusto?” passò qualche minuto prima che la sua testa toccasse qualcosa.
Spaventata si abbassò, temendo che ci fosse un mostro sopra di lei, poi allungò
una mano.
“Questo è legno” disse. Seguendo il contorno con le
dita trovò una specie di anello che pendeva. Lo tirò verso di sé e una botola si
aprì davanti ai suoi occhi.
Uscì
fuori all’aria aperta e si ritrovò in cima ad una torre, da cui poteva osservare
la baia e parte della True Cross dall’alto.
“Oddio!” gridò. Soffriva di vertigini e quell’altezza
le dava la nausea. Camminando a ritroso con molta calma cercò di rientrare, poi
il suo sguardo fu attratto da qualcosa. Ci fu una specie di lampo blu, seguito
dal buio più completo, vicino al cancello d’ingresso.
“Ma che diavolo…?” si chiese.
Vide
qualcosa muoversi vicino a dove era esplosa la fiamma e poi scomparire.
Impaurita, tornò di corsa dentro.
Riuscì
a ritrovare la camera dopo poco; rispetto a dove aveva trovato la porta non era
molto lontana.
Poco
dopo tornò anche Laura e lei l’aggredì subito.
“Dove sei stata?” le chiese.
“Mi sono persa!” si scusò Laura riprendendo fiato.
“Sei completamente idiota? Mi hai lasciata
sola!”
“Mi dispiace ma dopo il pranzo ti ho persa di vista e poi
ho seguito il cane…”
“Quale cane?”
“Quello bianco di stamani!” spiegò lei,
angelicamente. Rea rimase basita.
“Tu… hai passato la giornata a inseguire un cane?”
chiese incredula.
“Più o meno” annuì Laura
“Non ho parole” esclamò lanciando le braccia in aria.
Poi la osservò meglio.
“Cosa hai fatto alla gonna? Sembra bruciata” le fece
notare. In effetti, il retro della gonna era nero in fondo. Laura lo guardò
stupita.
“Non lo so proprio” rispose.
“Sei un caso perso” sospirò
sconsolata.
“Dai, andiamo a dormire, sono stanca” le disse.
Non
riuscendo ad addormentarsi, Rea si chiese come mai aveva visto del fuoco blu.
Che lei sapesse non esisteva in natura una cosa simile.
Si
ripromise di parlarne con Laura la mattina dopo.