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Autore: Mrs Teller    13/05/2012    4 recensioni
“Quando dico corri, corri!” Sussurrai alla donna inginocchiata davanti a me, brandendo con forza la scimitarra, pronto a colpire.
Cos'è successo tra Sherlock e Irene dopo il rocambolesco salvataggio? Eccone la mia personale versione: Irene cerca di dominare, ma Sherlock ha in serbo una sorpresa per lei. (Nonostante la protagonista sia Irene, la storia è molto Johnlock)
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Irene Adler, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Play the game
 

Open up your mind and let me step inside
Rest your weary head and let your heart decide
It's so easy when you know the rules
It's so easy all you have to do
Is fall in love
Play the game
Everybody play the game of love

(Play the game – Queen)

 
 “Quando dico corri, corri!” Sussurrai alla donna inginocchiata davanti a me, brandendo con forza la scimitarra, pronto a colpire. Se solo John avesse saputo dove fossi e cosa stessi facendo, probabilmente gli sarebbe venuto un infarto: infiltrato in una cellula terroristica di Karachi, cercando di salvare la vita a una donna che mi aveva malamente usato e ripetutamente deriso.. Ma no, lei non era una donna qualsiasi, lei era LA DONNA. Irene Adler, meglio conosciuta come Dominatrix. Dopo che l’avevo lasciata in pasto a mio fratello Mycroft, avevo comunque continuato a tenerla sotto stretta osservazione: sapevo benissimo che, senza protezione, non sarebbe durata nemmeno 6 mesi, e non potevo permettermi che morisse. Non volevo che morisse: sarebbe stato un enorme spreco di acume e intelligenza.

Irene era l’unica donna che fosse mai stata in grado di tenermi testa, anzi di battermi in astuzia più volte e costringermi a fare ciò che voleva con estrema facilità; era l’unica donna che mi avesse mai dimostrato di saper riflettere abbastanza da poterci fare una conversazione senza annoiarmi. Era l’unica donna che mi avesse mai davvero colpito e affascinato, nel profondo: ero terribilmente attratto dalla sua mente svelta e acuta, sebbene mi avesse usato come un giocattolo e poi messo in ridicolo. C’era qualcosa che mi univa a lei, un legame indecifrabile che mai avrei pensato di poter sviluppare con una donna, e la sola idea di non potermi più confrontare con lei mi risultava insopportabile.

Così, avevo lavorato nell’ombra per ben 2 mesi per potermi infiltrare nella cellula terroristica cui sarebbe stata data in consegna La Donna affinché venisse decapitata; non era stato facile, anzi ci era voluto tutto il mio ingegno per riuscire ad evitare i mastini di Mycroft e mettere in atto il mio piano di salvezza, ma alla fine me l’ero cavata alla grande. Non che avessi il benché minimo dubbio in proposito.. L’idea di fregare di mio fratello, tra l’altro, mi rendeva il momento ancora più dolce e appetibile: sarebbe andato su tutte le furie quando avesse realizzato che la vera Irene era ancora in circolazione. Sorrisi appena sotto il turbante quando Irene mi riconobbe e mi rivolse uno sguardo tra lo stupito e lo speranzoso: nemmeno lei si aspettava la mia presenza li. Probabilmente si era crogiolata nel pensiero che andassi a salvarla, ma non riponeva concrete speranze su quell’idea, si capiva da come mi stava guardando: ancora una volta, mi ero dimostrato due passi avanti a lei.

 In una frazione di secondo, tagliai di netto la testa al terrorista che stava accanto a me e ne fronteggiai un altro, mentre Irene si ritraeva appena prima di essere colpita da un quarto uomo. In pochi attimi era tutto finito: io avevo ucciso il secondo terrorista che mi si era parato davanti e lei, dopo aver rubato la scimitarra del primo che avevo ucciso, si liberò dell’uomo che la stava aggredendo. Ecco un’altra cosa che mi piaceva di Irene: sapeva essere letale come un uomo, anzi forse anche meglio. La guardai e indicai in silenzio una grossa Jeep a poca distanza da noi. “Non abbiamo molto tempo, sali.” Ordinai in tono perentorio saltando sul lato di guida. Irene non se lo fece ripetere due volte e mi raggiunse un attimo dopo dal lato del passeggero. Misi in moto e mi allontanai velocemente, dirigendomi verso un bunker poco lontano che avevo usato come personale base operativa.

Parcheggiai in modo da nascondere la Jeep e la feci entrare dentro, chiudendo con cura la porta. Il bunker era spartano: c’erano solo un letto, un paio di sedie e un tavolo; tutto ciò che serviva e bastava in una situazione di emergenza. Mi tolsi finalmente la pesante veste locale e rimasi con un paio di leggeri jeans e una maglietta a mezza manica: abbigliamento non usuale per me, ma nel mezzo del deserto non potevo certo indossare vestito e giacca. Irene si appoggiò al tavolo e mi rivolse un sorrisetto malizioso, togliendo a sua volta la veste e restando in intimo: se voleva impressionarmi, il suo tentativo era destinato a fallire miseramente. Avevo già visto ampiamente il suo corpo, molto più di quanto desiderassi fare e anche con meno vestiti addosso: non aveva un grande appeal su di me.

“Sono lusingata, Sherlock Holmes, davvero lusingata. Mi hai salvato la vita.” Aveva usato un tono volutamente basso e sensuale: la sua intenzione era palese (sedurmi e farmi finalmente capitolare) ma serviva molto più di un corpo mezzo nudo e un tono ammaliante per farmi anche solo vacillare. Senza contare che ormai avevo maturato una certa esperienza coi suoi “metodi”..  Infatti scossi il capo pigramente. “Oh, non esserlo. Non hai davvero alcun motivo per essere lusingata.” Irene si staccò dal tavolo e si avvicinò a me, fermandosi quasi a contatto col mio corpo, i suoi occhi piantati nei miei. “Ah no? Hai messo da parte il tuo prezioso lavoro, hai rischiato la tua vita per infiltrarti in una cellula terroristica e tirarmi fuori dai guai. Non dirmi che l’hai fatto solo per irritare tuo fratello, non ci credo..” Stava chiaramente giocando la parte della damigella in pericolo salvata dal principe senza macchia e senza paura (definizione che, per altro, nemmeno mi si addiceva): peccato che quella caricatura se la fosse già giocata in precedenza, ormai avevo capito il meccanismo.

“Beh considerando quanto io detesti Mycroft, questo potrebbe essere da solo un motivo sufficiente.” Risposi con nonchalance, facendomi però leggermente più vicino al suo corpo semi nudo: non potevo negare che ci fosse una certa.. tensione tra noi. E lei lo sapeva. Irene fece a sua volta un altro passo avanti, fermandosi col viso a pochissimi centimetri dal mio. “Sei un bugiardo, Sherlock Holmes. Un pessimo bugiardo. Provi qualcosa per me, ma hai paura ad ammetterlo, è questa la verità.” Quelle parole mi fecero riflettere: provavo davvero qualcosa per Irene? Qualcosa che andasse oltre la profonda ed evidente ammirazione/ attrazione per la sua mente brillante? Non ne ero del tutto certo, ma non avevo nemmeno altri parametri femminili pregressi per valutare la cosa in modo corretto. Anzi, in realtà avevo un solo parametro valido con cui fare confronti: era solo una la persona per cui provavo con certezza dei sentimenti (di che tipo dovevo ancora capirlo..), ed era al 221B di Baker Street.

Mi sarei dovuto sentire euforico e felice dopo averla liberata? Poteva essere quella una spia di eventuali sentimenti per Irene? Perché in realtà non provavo assolutamente nulla, eccetto un moderato autocompiacimento per un’impresa ottimamente architettata ed ampiamente riuscita. Al massimo provavo soddisfazione per averla fatta a Mycroft, ma davvero non provavo alcun tipo di gioia vera e incondizionata nell’averla accanto in quel momento. Quella gioia che ti fa palpitare il cuore. Io stesso mi sarei aspettato di sentire qualcosa al riguardo, e invece la cosa mi lasciava del tutto indifferente! Avevo a pochi centimetri una donna bellissima e sensuale, avrei dovuto avvertire qualcosa come batticuore, farfalle nello stomaco o simili, e invece tracciato piatto. 

Nulla a confronto con il panico e il terrore che avevo provato vedendo John coperto di esplosivo (il cuore sembrava essermi arrivato in gola, i sensi tesi e pronti, il respiro trattenuto e i muscoli rigidi), e il sollievo e la gioia che mi avevano invaso nel momento in cui gli avevo strappato di dosso la bomba, allontanando il pericolo (i muscoli di nuovo rilassati, i polmoni pieni finalmente d’aria, il cuore che continuava a battere all’impazzata ma stavolta per ben altri motivi). Erano sensazioni oggettive, fisicamente misurabili e soppesabili: le avevo provate, erano un affidabile mezzo di paragone. In quei momenti ero stato preda di emozioni e reazioni fisiche così forti e palesi da far capire anche a me, un sociopatico avulso dai sentimenti, che John era davvero importante, importante come non era mai stato nessun altro prima. Fino a quel momento ero stato solo io, da quella sera in poi c’era stato anche (forse soprattutto) lui. Non bisognava essere dei geni per trarre le dovute conclusioni da queste considerazioni.

Scossi il capo in risposta alla sua affermazione. “Cosa ti fa pensare che io provi qualcosa per te? Solo il fatto che ti abbia salvata?” Presi la sua mano e me la portai sul petto, all’altezza del cuore che batteva calmo e regolare: nessuna particolare emozione mi attraversava il corpo. Grande cosa la chimica, così semplice e lineare: non le si poteva mentire, il corpo finiva per tradire sempre le emozioni di cui era preda (se c’erano..). Irene aprì il palmo sul mio petto e comprese subito dove volessi andare a parare: dopo che avevo usato con lei lo stesso trucco per smacherarla, era elementare comprendere. Ma non si scompose. Anzi si fece più vicina, fino quasi a sfiorare le mie labbra con le sue: potevo avvertire distintamente il suo respiro ma non mi ritrassi. “E allora perché non mi hai lasciata al mio destino? E’ stato più forte di te..” Era più forte di lei, invece, darmi prova del fatto che mi avesse in pugno. Ma non era così.

Annuii guardandola negli occhi. “E’ vero, non ne ho potuto fare a meno. Ma solo perché non potevo permettere che una donna come te venisse uccisa. La tua mente e la tua personalità sono troppo.. preziose” si, mi sembrava il termine più adeguato “per me per lasciare che ti accada qualcosa. Quando mi ricapiterà di trovare una donna intelligente abbastanza da capire che un uomo è stato ucciso dal suo stesso boomerang?” Sussurrai con un sorriso sardonico. “Tu sei come una perla rara, Irene, ed era giusto preservarti. Ma non c’è nulla di tutto ciò che pensi tu. O meglio, ciò che tu speri ci sia..” Conclusi allontanandomi dal suo viso di appena pochi millimetri: la vicinanza tutto sommato non mi spaventava, ma volevo farle capire chiaramente che aria tirasse. “Non credo. Vediamo se riesco a convincerti in altro modo.” Non ebbi il tempo di realizzare ciò che stava per fare, quando compresi era troppo tardi e le sue labbra morbide erano già premute con forza sulle mie, la sua lingua che sfiorava delicatamente il mio labbro inferiore, le mani sulle mie guance.

Per un attimo rimasi immobile, irrigidito per quel gesto così inaspettato: quanto meno, aveva il merito di avermi colto del tutto impreparato, dovevo riconoscerglielo. Superato lo shock iniziale il mio corpo rispose in automatico, adeguandosi ai suoi movimenti senza che nemmeno me ne rendessi conto: schiusi le labbra e andai alla ricerca della sua lingua, sfiorandola appena. Poteva essere un buon esperimento per ottenere ulteriori prove, non aveva senso bloccare quell’iniziativa. Tuttavia, il mio cervello fu improvvisamente invaso da un’immagine ben diversa, così dettagliata e precisa da farmi quasi male per la sua concretezza: le labbra di John premute sulle mie, la sua lingua che si muoveva sensuale nel mio palato, le mani che mi accarezzavano i ricci con dolcezza.

Era un sogno che facevo spesso da qualche mese a questa parte (John che si chinava su di me nel dormiveglia e mi baciava con trasporto), ma ancora dovevo capirne il significato: non avevo mai avuto fantasie di quel tipo, e mai avrei pensato di farne sul mio migliore amico. Ero propenso a dare a quel sogno il significato che tutti, comunemente, danno ai sogni: una rappresentazione del subconscio per dare sfogo a un qualche desiderio seppellito sotto la superficie. Non trovavo altra spiegazione plausibile. Mi stava bene affrontare certi desideri oscuri e misteriosi durante il sonno, perché mi era più facile chiuderli a chiave in un cassetto e dimenticarli una volta sveglio; ma non sapevo bene cosa fare in quel frangente.. Anch’io arrivavo a capire che c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel baciare una persona e pensare a un’altra, anzi desiderare  un’altra persona al posto di quella che si stava baciando, eppure era così. Non erano le labbra di Irene Adler quelle che volevo sentire sulle mie, non era la sua lingua che volevo nel mio palato: semplicemente non era lei la persona con cui volevo condividere un gesto così intimo come un bacio. O meglio, il gesto intimo per eccellenza, il gesto che tutti associavano a una manifestazione di sentimento. A quanto pareva, io stesso non facevo eccezione a quel cliché: me ne stavo rendendo conto ogni secondo che le mie labbra restavano a contatto con le sue. Banale forse, ma da quel punto di vista specifico potevo essere considerato una persona comune, normale.

Il mio corpo me lo stava facendo capire in modo molto più che chiaro: nessuna scarica di endorfina, nessuna partecipazione nei miei gesti, nessun coinvolgimento, solo una risposta automatica e naturale ai suoi stimoli. Il mio cuore batteva all’impazzata mentre il cervello visualizzava l’immagine di John, ma il corpo si opponeva a Irene restando rigido e distaccato. Quella era l’ennesima dimostrazione che non si poteva ingannare la chimica. Ne avevo abbastanza di quell’esperimento, anche perché avevo ottenuto la migliore risposta che potessi desiderare. Lasciai scemare il bacio fino a staccarmi completamente da lei e rimasi a guardarla, cercando di nascondere il turbamento che mi attraversava la mente e le ossa.

Irene mi scoccò uno sguardo intenso, penetrante, poi scosse appena il capo: evidentemente, l’esperimento non aveva avuto per lei un risultato soddisfacente. “Sono sinceramente offesa, Signor Holmes: non è carino baciare una persona e pensare a qualcun altro..” Mi rivolse un sorriso beffardo quando spalancai gli occhi, le sopracciglia altissime: beccato come un ragazzino con le mani nella marmellata. Avrei dovuto metterlo in conto: aveva molta più esperienza di me in quel settore, eppure mi ero fatto trovare impreparato, ancora una volta.. “Oh andiamo, era evidente!! Sei così.. banale a volte Sherlock Holmes. Trasparente! Tanto intelligente quanto semplice, scontato.” Rincarò la dose con fare canzonatorio. Era più forte di lei: non riusciva a non mettermi in ridicolo quando ne aveva la possibilità, non era capace di non cercare di superarmi dimostrandosi più scaltra di me. Il nostro rapporto non era nient’altro che questo: un continuo, inesauribile tentativo di batterci a vicenda, cercare di provare l’uno all’altra chi fosse il migliore, dominare e approfittarsi delle debolezze altrui per colpire e fare male. Affermazione di superiorità e orgoglio ferito: era tutto in quel binomio. Nulla era cambiato. Non c’era nient’altro, non c’era cuore. Di certo non potevano essere quelli dei sentimenti veri e sani, giusto?

“Penso di non poter negare.” Mi limitai a replicare incassando il colpo. Una cosa, però, l’avevo capita con certezza in quell’eterno gioco del gatto col topo: chi aveva le carte vincenti ero io, per il semplice fatto che Irene voleva che io capitolassi ai suoi piedi in un modo o nell’altro, e non si sarebbe data per vinta finché non avesse raggiunto il suo scopo. Allora avrei potuto confezionarle uno scacco matto da manuale. Non dovevo fare nulla, solo aspettare che andasse avanti con le sue iniziative. Infatti, non aspettai molto.

“Beh sai una cosa? Io, a differenza del tuo fidanzato, non sono affatto gelosa.” Sussurrò con fare malizioso sulle mie labbra, la sua lingua che tracciava il contorno del mio labbro inferiore, la sua mano che scorreva libera sul mio petto e poi sull’addome dove, finalmente, si posò. La lasciai fare valutando se quel gesto mi avrebbe provocato reazioni particolari, ma non mi diede alcun tipo di brivido né mi mise addosso alcun tipo di voglia. Sussurrai a mia volta. “Non siamo una coppia.” Erano le medesime parole che le aveva detto John, e anche alle mie stesse orecchie suonarono false. “Si che lo siete..” Fu la sua, prevedibile, risposta. Da un certo punto di vista aveva ragione: l’avevo già capito origliando di nascosto la loro conversazione, ma sentire quelle parole rivolte direttamente a me fu la conferma definitiva. “Ma ripeto, non sono gelosa. Ciò che voglio è lontano anni luce da.. quello.” Concluse spostando la mano sul cavallo dei miei jeans: palese dimostrazione di cosa volesse. Era il momento per darle lo scacco.

Presi la sua mano e la allontanai, facendo un passo indietro. “Mi dispiace per te, ma non otterrai ciò che vuoi. Sono IO a non essere interessato.” La confusione si dipinse nei suoi occhi, e seppi che ero sulla strada giusta per batterla ancora, definitivamente. “Non sei interessato? Mi stai dicendo che non vuoi giocare con me, Sherlock Holmes?” Provò ad allungare anche l’altra mano verso di me, ma io la bloccai prontamente tenendole entrambe adeguatamente lontano dal mio corpo. “Oh no, non voglio. Non è questo il gioco che intendo fare con te Irene. Mi piace giocare al gatto e topo con te, mi piace giocare a chi è più intelligente, mi piace anche giocare a chi ferisce prima l’altro. Ma non è il gioco dei sentimenti che voglio fare con te, perché non provo nulla. Non sono innamorato di te, né voglio fare qualsiasi altra cosa con te.” Eccolo lo scacco matto. La confusione sul suo viso si trasformò velocemente in offesa e dolore, pura sconfitta: tutti i suoi programmi crollarono come un castello di carte. Mi diede una strana e crudele soddisfazione vedere quello sguardo mortificato, quegli occhi lucidi, gli occhi di una donna rifiutata: perché tra noi era così, affermazione di superiorità e orgoglio ferito.

Mai avrei sopportato di vedere un simile sguardo negli occhi di John, del mio John: avrei preferito farmi del male piuttosto che vederlo soffrire, piuttosto che vedere la sconfitta  e la disperazione sul suo viso. Soprattutto, non sarei mai e poi mai stato capace di farlo soffrire volutamente, intenzionalmente, per il puro gusto di farlo, come avevo appena fatto con Irene. Sicuramente conoscendomi avrei finito per farlo soffrire prima o poi, ma l’avrei fatto senza cattiveria, senza rendermene conto oppure solo per una valida ragione. Erano sentimenti quelli? Si, erano chiari e profondi sentimenti, non potevo in alcun modo dubitarne. Ed erano tutti solo per John.

“A questo punto penso proprio che sia vero.. Mi sono sbagliata, Sherlock Holmes: ero convinta di poter lasciare un segno più profondo rispetto a un John Watson qualsiasi. Evidentemente devo ricredermi. Complimenti, hai vinto. Un’altra volta.” Ammise a denti stretti, cercando di non mostrare troppa delusione. Le scoccai un sorriso trionfale, dando il colpo di grazia. “Non è stato difficile, in fondo sei così.. banale. Trasparente direi!” Usai volutamente gli stessi aggettivi che aveva usato lei per mettermi in ridicolo pochi minuti prima. “Sono ancora convinto che l’amore sia uno svantaggio pericoloso, e so che prima o poi finirò per farci i conti, ma di certo non devo temere più nulla da te. Grazie per avermi dato la prova definitiva. Addio Irene, è stato un piacere.” Le scoccai un ultimo, beffardo sorriso e uscii dal bunker. Era ora per me di tornare al 221B di Baker Street: era li che avevo lasciato il mio cuore, era li che i sentimenti mi stavano aspettando.
   
 
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