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Autore: Levineisabitch_    13/05/2012    2 recensioni
Brezza tira.
Otomi la guarda.
Brezza vince.
Otomi piange.
E Ale?
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MOSCA.



«Ma quindi conosci Ale?»
«Sì, viene alla mia scuola. »
«Ah, capito. Siete amici?»
«Non proprio.»

Così iniziò e si concluse l’ennesima discussione -che poi era più uno scambio di battute- tra le due ragazze, mentre camminavano per il corridoio della scuola media, dove si svolgevano gli allenamenti di tiro con l’arco. Non erano proprio amiche, erano più conoscenti, e i loro discorsi si riducevano a qualche complimento per aver fatto “mosca” o per la necessità di organizzare un incontro prima di una gara importante.
Non avevano mai parlato della loro vita privata, delle loro amicizie, dei loro gusti e cose del genere, mai.
«Come conosci Ale?» chiese all’improvviso Otomi, guardando Brez.
«E’ un amico di mio fratello.» la liquidò in fretta lei, estraendo una freccia dalla faretra impedendo a Otomi di porgere altre domande.
La sessione di allenamento durò tre ore, anche se i principianti restavano solo per due, ma Brez rimase nella palestra polverosa per un’altra mezz’oretta, tirando e tirando.
Fu solo quando le luci si spensero che si accorse dell’ora inoltrata: era mezzanotte.
E ovviamente lei non aveva un passaggio per tornare a casa e fuori la pioggia cadeva inesorabilmente.
Era una di quelle situazione che lei catalogava tra i “Perfetti Esempi di come la Legge di Murphy influisce sulla mia Esistenza”. Altrimenti detta “una situazione di merda”.
«Oh, fanculo.» sussurrò tra sé, senza smettere di tirare.
Avrebbe tirato al buio, aveva una buona vista, non era importante la luce. I gatti vedevano senza luce, perché lei non avrebbe dovuto potere?  Il problema si sarebbe presentato la mattina dopo, quando la scuola avrebbe accolto branchi di ragazzini urlanti. Si sarebbe inventata qualcosa e sarebbe uscita da lì, senza farsi notare.
Aveva sempre vissuto un po’ così, alla giornata, senza realmente preoccuparsi di quello che le sarebbe potuto capitare.
Così passo la nottata a tirare frecce, strattonarle fuori dal paglione e rimetterle nella faretra. Non si stancava mai. Ogni tiro era puro divertimento.
Si allenava per le gare regionali, nessuno sarebbe riuscito a metterle i bastoni tra le ruote, a romperle le uova nel paniere, a intralciarla.. a romperle le palle.
«Vincerò. Ce la farò.»si incitò, per poi rimettere a posto tutta l’attrezzatura nel suo armadietto.
Dentro di esso stazionavano da anni foto, dediche, autografi, carte di caramelle mai buttate nel cestino e persino cicche masticate che tenevano insieme appunti di scuola finiti lì per qualche assurdo scherzo del destino.
Controllò l’ora sul vecchio orologio da parete e notò che erano già le sei e mezza di un nuovo giorno. Notò, con maggior felicità, che Dio si era dato una regolata e che non stava più piangendo o pisciando che fosse.
Si precipitò a recuperare il proprio zaino nero e il suo giubbetto per poi sgattaiolare per il corridoio che la sera prima aveva percorso con Otomi.
Spuntò nel grande atrio, dove qualche bidella puliva con uno spazzolone il pavimento, svogliatamente.
Si guardò in giro e vide Maria, una bidella che la conosceva, dato che quella non era la prima volta che rimaneva a tirare per tutta la notte. La prima cosa che aveva pensato quando l’aveva conosciuta era “Ma tutte le bidelle si chiamano Maria? Ricordatemi di non chiamare mia figlia Maria!” ma poi si era subito sgridata: lei non avrebbe avuto figli, non poteva, aveva di meglio a cui pensare.
«Maria! » disse agitando la mano cercando di farsi notare.
La bidella le gettò un’occhiata fugace e poi le si avvicinò con un sorriso gentile sulle labbra.
«Brezza, cosa ci fai qui?» le chiese, nonostante fosse davvero felice di rivederla.
«Quello che faccio sempre. Ieri sono rimasta a tirare. Mi fai uscire dall’auditorium?» rispose mangiandosi qualche parola Brez.
«Te l’ho mai vietato? Vieni, dai. Hai tempo per la colazione?» disse Maria, dirigendosi verso l’auditorium, adiacente alla saletta dove c’era il piccolo bar.
«Sì, ma di velocità. Sono già entrata alla seconda ora ieri.» spiegò la ragazza, ricavando un’occhiataccia da parte di Maria.
«E tua madre?» erano oramai arrivate al bar e si erano sedute sui seggiolini più scomodi mai inventati prima d’ora.
«Bhe, non lo sa. Finché la preside non lo scopre, va tutto bene.» le due ordinarono dei cappuccini.
«Non giocare col fuoco, Brezza.» fu l’unico avvertimento della bidella, oramai sapeva che la ragazza non avrebbe preso in considerazione niente di quello che le dicevano.
Dopo aver finito di bere Brez si dileguò per la porta anti-incendio correndo sul marciapiede, sperando di arrivare in tempo alla fermata dell’autobus, cosa che puntualmente non successe.
«Merda.» borbottò e compose il numero di uno dei suoi compagni di classe a caso sul cellulare.
Il malcapitato era Alessio, il primo della rubrica, che rispose con tono poco entusiasta alla chiamata.
«Pronto.»
«Sono Brez. C’è nessuno che può venire in motorino fino alle scuole Da Vinci? Avrei bisogno un passaggio, ho perso il pullman.»
pregò la ragazza.
«Forse Ste.» rispose il ragazzo poco convinto e chiese a Stefano se era disposto ad andare da lei.
«Arriva. Fatti trovare all’incrocio con Via Caduti.» furono le istruzioni che Alessio comunicò.
«Va bene, grazie mille!» ringraziò velocemente Brez, chiudendo la chiamata e dirigendosi verso l’incrocio. Dopo dieci minuti d’attesa un motorino color carota apparve e un biondino sopra di esso: non era Stefano.
Girava senza casco, ma la ragazza non riuscì a capire chi fosse finché non si avvicinò: era Roberto.
«Ciao Rob! Perché sei venuto tu?» chiese lei, montando sul motorino.
«Ste non aveva voglia, perciò m’ha circa obbligato a venire.» rise il ragazzo.
«Facciamo in tempo a entrare alla prima ora?» domandò ancora.
Roberto rise di nuovo, accelerando: ce l’avrebbero fatta di sicuro a quella velocità.
I due ragazzi erano arrivati a scuola alle otto e mezza, giusto in tempo per infilarsi nell’aula senza essere notati.
«Brez, non credere che non t’abbia visto! Sempre in ritardo, eh?» le disse il professore, senza nemmeno girarsi dalla lavagna. La ragazza sbuffò e qualcun altro ridacchiò.
«Affermativo.» rispose con calma, mentre sistemava le proprie cose sotto il banco.
«Qual è la tua scusa oggi?»
«Tiravo!» fu la risposta scocciata della ragazza.
«Brezza, ricapita anche solo un’altra volta e la visita dalla preside non te la toglie nessuno.»
Brez stava per fare una battutina idiota e anche parecchio sarcastica e acida riguardante il Pelide, ma si disse, in cuor suo, che forse era meglio evitare. Anche perché il professore di matematica avrebbe difficilmente capito.



NOTE AUTRICE.
Abbiamo capito che non pubblicavo da tanto e qualcosa dovevo pur mettere qui se no mi uccidevate.
Bho, spero vi piaccia. (?)
Non aspettatevi un seguito PER NESSUNA RAGIONE AL MONDO.
Spero che qualcuno capisca 'MOSCA', anche se non penso, lol.
Ciau.
   
 
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