Lo
sapevo, era solo questione di tempo prima che arrivassi ad infestare
anche
questo fandom. Ci ho provato ad ignorare tutte le sfumature slash di
questo
telefilm ma evidentemente non ha molto funzionato, anche
perché quei due non
fanno altro che fare sesso con gli occhi per il 70% di ogni puntata!
Pure la
mia volontà ha dei limiti.
In ogni
caso, tutto ciò solo per salutarvi *fa breve inchino* e
ringraziare chi di voi
avrà la bontà di farmi sapere che ne pensa.
Magari mi rivedrete, magari no…dipende
da cosa combinano questi due ;)
Passando
alla storia: è ambientata dopo l’ultima puntata
della quarta stagione, come
sicuramente avreste capito da soli tra qualche riga ma a me piace
rompere le
scatole a gratis. Ringrazio la mia beta –Euterpe- che mi
segue in ogni fandom e
mi insegna a migliorare sempre più; inoltre il titolo
è suo perciò fate inchino
anche a lei :*
Detto
ciò, buona lettura.
Peace,
tea and biscuits ^^
Edenya
_Puzzle
me when the darkness falls_
L’aria
di Camelot sapeva essere tagliente come
lame a quell’ora della notte, poteva sentirla strisciare
silenziosa tra le
guglie e sferzarlo ripetutamente. Tuttavia lui rimaneva immobile, a
dispetto
dell’insensibilità che gli masticava la pelle del
volto, capelli neri a
mescolarsi con la notte ed occhi blu a scrutare verso il basso. Sotto
di lui
una città semi-deserta ubriaca di festeggiamenti per il
matrimonio del re,
sazia di felicità, quella stessa felicità che
Merlin aveva sentito correre via
dal suo corpo nel momento esatto in cui la corona aveva carezzato i
ricci scuri
di Gwen, risucchiata completamente da quel bacio così giusto
per il regno ma
così sbagliato per lui. Aveva aspettato fino a che i suoi
occhi scuri non lo
avevano cercato per rifilargli un sorriso che era tanto necessario
quanto
doloroso, una finzione con cui avrebbe dovuto convivere d’ora
in poi.
Nell’ombra per stargli vicino, nel buio per poterlo vedere. E
avrebbe dovuto
farselo bastare fino alla morte.
Strinse i pugni, gettando lo sguardo alla
notte in una muta richiesta d’aiuto senza destinatario
alcuno; persino la magia
sembrava aver perso la sua consueta forza, rannicchiata come un feto
alla base
del suo stomaco.
-Non
ricordavo di averti nominato sentinella,
Merlin.
Lasciò
cadere il capo in avanti, ciondolante
sul petto come il suo animo improvvisamente spezzato dalla sorpresa.
-Non
dovreste essere qui, sire.
Non
a quell’ora, non durante la sua prima
notte di nozze, non con lui. Avrebbe dovuto stare con Gwen,
abbracciarla tra le
coltri regali che lui stesso aveva preparato. Sbagliato, sbagliato,
sbagliato.
-Già,
probabilmente non dovrei.
Si
posizionò accanto a lui, scariche di calore
che sfuggivano alla veste da notte e andavano a colpire ogni suo
centimetro di
pelle ricordandogli quanto era stato bello toccarla e farsi toccare.
Una folle
notte umida di baci e sollievo, nascosti tra le mura di un vecchio
castello con
un solo fuoco a proteggerli e la gratitudine per essere di nuovo
insieme
nonostante i Dorocha. Quella notte che non si era ripetuta ma che li
aveva
cambiati nel profondo e continuava a spingerli a cercarsi in modo
ossessivo e
malato, tanto che scappare era diventato impossibile.
-Merlin?
La
mano del re posata sulla sua spalla lo
scosse come un campanello d’allarme, la magia che ribolliva
nelle vene…
specchio di un desiderio che lo stava corrodendo fin nello stomaco.
Avrebbe
sputato l’anima, se non si fosse fermato.
-Gwen
sentirà la vostra mancanza, non è
cortese sire.
Arthur
scosse la testa allontanando la mano e
lasciandosi sfuggire un amaro sorriso. Merlin stava tessendo la sua
personale
rete di finzioni come un vecchio ragno ferito, affidandosi totalmente
alla
misera possibilità che lui vi cadesse in un modo o
nell’altro.
-Non
è da te essere così formale.
-Ci sono tante cose che non sapete di me,
sire.
L’occhiata
gelida che gli rivolse fece
irrigidire il biondo sul posto, le dita cominciarono a tremare e
continuarono a
farlo anche dopo che Merlin gli ebbe voltato le spalle a monito di
ciò che gli
stava rapidamente sfuggendo ma di cui necessitava se voleva respirare.
Lasciò uscire un sospiro che morì nella notte,
riflesso di una speranza infranta che lottava contro il nulla, debole
ma
comunque più forte di loro due.
-Merlin,
quello che è successo tra noi…
Il
mago sentì qualcosa spaccarsi nel petto,
una crepa sottile ma profonda che iniziò a scalfire le ossa
e sgretolargli
l’anima. Non era pronto a sopportare un rifiuto,
né a ripercorrere strade di
pentimenti e incomprensioni, sarebbe stato come bruciare lentamente su
un rogo
inesauribile. Si concesse di stringere gli occhi solo perché
l’altro non poteva
vederlo.
-È
stato solo un errore, Arthur. Non si
ripeterà, non temere.
-Cosa ti fa pensare di sapere cosa temo?
Il
giovane re lo afferrò per una spalla
costringendolo –senza alcuno sforzo- a voltarsi, un furore
negli occhi che
sapeva di battaglia, di una guerra all’ultimo sangue che
avrebbe potuto
benissimo concludersi senza alcun vincitore.
-Sei
davvero tanto presuntuoso, Merlin?
L’altro
abbassò gli occhi per un attimo raccogliendo
tutto il coraggio che aveva in corpo e che, a dispetto
dell’evidenza, il biondo
sapeva essere decisamente più grande del suo.
-Mi
attengo solo all’evidenza dei fatti.
Quella
risposta colpì Arthur come un dardo
dritto tra le scapole, sentì il respiro mancare e un dolore
sordo bucargli i
polmoni. Un solo secondo in cui tutto parve sgretolarglisi intorno. Un
solo
infinito secondo in cui morì e rinacque sotto la calma
devastazione di Merlin.
-I
fatti spesso non sono altro che il riflesso
di ciò che gli altri si aspettano di vedere, dovresti
saperlo.
Il
giovane mago avvertì gli occhi farsi umidi
ed un groppo di pensieri arrotolarsi in gola. Era troppo per lui,
troppo stare
lì a farsi riaprire ferite dall’unica persona che
non avrebbe mai dovuto neppure
infliggergliele, con la magia che gorgogliava di dolore. Come se non ce
ne
fosse già abbastanza, come se il destino non lo avesse
già sufficientemente
deriso.
-Vattene,
Arthur.
Un
solo bisbiglio che bastò a tagliare l’aria
e calciare nello stomaco l’orgoglio già a pezzi
del re.
-Non
ho intenzione di prendere ordini da un
servo.
Sorriso
ad aprirgli le labbra. Piccola, misera
richiesta di tregua che Merlin neppure colse, accecato
com’era da una delusione
tanto abbagliante quanto dannosa.
-Pensavo
di poter essere considerato almeno un
amico, giunti a questo punto.
Riconobbe
il tono di chi si arrende alla
sconfitta pur senza scapparne. Riconobbe la posizione di ultima difesa,
ma
quella era una lotta che Arthur non aveva mai affrontato e non sapeva
come
comportarsi. La battaglia contro un cuore sanguinante in cui ogni
ferita è tale
e quale ad un colpo auto-inflitto. Li sentiva tutti, dentro e fuori, a
pelle e
nelle viscere e la consapevolezza di non sapersi difendere alimentava
la sua
rabbia come aria sul fuoco.
In due falcate si avvicinò a Merlin,
schiacciandolo contro le mura, le mani ai lati del suo corpo ed un
tremore incomprensibile
al petto.
-Sei
proprio un’idiota. Adesso ne ho la
conferma.
Il
mago alzò su di lui uno sguardo lucido e
combattivo ed Arthur seppe che il nodo da sciogliere era vicino. Merlin
esigeva
delle risposte e se non gliele avesse fornite avrebbe perso
definitivamente
qualsiasi cosa fosse quella che li aveva legati fin dal primo giorno.
-Perché
non sei con Gwen?
Il
biondo deglutì ripetutamente , lottando
contro il suo animo di cavaliere che graffiava la trachea per impedire
a quelle
parole di uscire ed acquistare consistenza. Affrontare la
realtà non era una
cosa che avrebbe voluto fare, adesso che aveva un regno sulle spalle ed
una spada
di comuni pregiudizi che premeva sulla nuca, ma almeno questo glielo
doveva.
-Sentivo
la tua mancanza, ma evidentemente la
cosa non è reciproca.
Merlin
ripensò ad ogni notte passata nel suo
letto. Quando Arthur glielo chiedeva e lui si addormentava rannicchiato
sopra
le coperte, con la mano del re affondata nei capelli scuri o stretta
attorno al
suo fianco magro. Ripensò a tutte le volte che avrebbe
voluto togliersi i
vestiti e scivolare sotto le coltri con lui, per sentirlo vicino fino a
confondere
la sua pelle con la propria. Vi ripensò e fece male, tanto
che l’amaro si
tramutò in una risata strozzata.
-Sei
un asino presuntuoso, Arthur. Non ruota
tutto intorno a te anche se hai una corona in testa.
L’orgoglio
del biondo spezzò le catene con cui
lo aveva legato e ruggì nel suo stomaco, una rabbia sorda
risvegliata dal tono
irriverente con cui il suo servo –mentre la mente gli urlava
quanto fosse
inappropriato quel termine- aveva osato rivolgersi a lui. Scavalcato.
Criticato. Ferito. Impaurito dalla possibilità di essere
scacciato di nuovo,
anche se non lo avrebbe mai ammesso.
La voce si fece più alta, rimbombando tra le
costole.
-Hai
sorriso, Merlin!
-Che altro dovevo fare?
L’urlo
del mago squarciò il silenzio di una
Camelot addormentata ma fu il suo sguardo, denso e azzurro come un lago
di
notte, ad impietrire Arthur. Aprì gli occhi sul quel volto
contratto e
improvvisamente tutto il male che gli aveva causato prese forma davanti
a lui,
lo afferrò per il mento, costringendolo ad osservarne ogni
piaga sanguinante, e
cominciò a colpirlo sotto pelle rendendogli ogni ferita
amplificata dal senso
di colpa e da quel legame che ancora non si sapeva spiegare.
-Hai
deciso di sposarti, hai cercato il mio
appoggio. Non ti ho negato nulla. Non puoi venirmi a rinfacciare di
aver finto
una felicità che mi hai chiesto tu stesso.
-Io non ti ho chiesto di essere felice. Volevo
solo che mi fossi accanto.
Merlin
maledisse la lacrima che rotolò sulla
sua guancia, scosse il capo e, con lentezza, spostò le
braccia che lo tenevano
intrappolato.
-Sei
un re Arthur ed io sono un servo, oltre
che un uomo. Non posso esserti accanto come entrambi vorremmo. Gwen non
se lo
merita.
-E tu?
Il
silenzio che seguì inghiottì Camelot
intera, spalancando una voragine sotto ai loro piedi. C’era
qualcosa in quel
corpo sferzato dal vento qualcosa, sotto ai muscoli da cavaliere, che
palpitava
di debolezza e che spingeva il giovane mago a lottare contro se stesso
per non
cedere alla tentazione di afferrarlo e chiuderselo nel petto. Lo
guardò con gli
occhi che tremolavano alla luce della luna, lasciandosi accarezzare da
quelle
sopracciglia bionde aggrottate. Conosceva quell’espressione,
era quella con cui
Arthur calava le difese di arroganza e gli mostrava quanto fossero
vicini.
-Ti
ho giurato fedeltà innumerevoli volte e,
per quanto tu sia una gran testa di fagiolo, non ho intenzione di
cambiare
idea.
Il
sorriso che gli rivolse celava una sofferenza
genuina e spiazzante che nessuno dei due aveva intenzione di rendere
palese. La
lasciarono lì a penzolare nel vuoto come un feticcio,
sospesa tra due volontà
contrastanti.
-Non
voglio la tua fedeltà se non ti rende
felice.
Il
moro tornò a voltargli le spalle, sebbene
tutto ciò che i suoi occhi chiedevano era posarsi sulla
pelle del re, ancora e
ancora.
-Mi
stai suggerendo di andarmene?
Tono
sarcastico, troppo coraggioso per quel
corpo gracile.
-Non
fare l’idiota Merlin.
Arthur
gli si accostò, sfiorando appena col
torace la sua schiena, facendo desiderare al mago di gettarsi
all’indietro ed
affondare nel suo abbraccio per sempre. Ma c’era ancora
troppa aria tra i loro
corpi e sembrava bruciare come lava attraverso i vestiti.
-Ho
bisogno di te. Non farmelo ripetere
ancora.
Le
labbra di Merlin si stirarono in un amaro
sorriso, una folata di vento gelido gli fece stringere le spalle. Aveva
sognato
mille volte di sentire quelle parole eppure adesso, per uno strano
scherzo del
fato, avrebbe usato volentieri la magia pur di non farle giungere alle
sue
orecchie. Era tutto sbagliato, tutto doloroso, troppo da sopportare
persino per
uno stregone potente quanto lui.
-Non
sarà più come prima Arthur.
Le
mani del re si poggiarono sulle sue
braccia, i polpastrelli che premevano leggermente avvertendo sotto la
pallida
pelle quelle ossa fragili che avrebbe sempre protetto, ad ogni costo.
-Questo
lascialo decidere a me.
Merlin
si sporse all’indietro poggiando la sua
schiena al petto ampio e rassicurante di Arthur, un gesto tanto intimo
e raro
che li fece rabbrividire entrambi. Due facce della stessa medaglia,
ecco che
cosa voleva dire.
-Il
fatto che tu sia re non significa che puoi
ottenere tutto ciò che vuoi.
Il
biondo strinse le braccia attorno al corpo
gracile dell’altro, l’odore dolce della sua pelle
che gli penetrava a forza
nelle narici intossicandogli anima e cuore.
-Hai
ragione, ma posso ottenere dei
compromessi.
Merlin
si voltò nel suo abbraccio ed Arthur
pensò di morire alla vista di quegli enormi occhi azzurri
lucidi di imminenti
lacrime. Odiò il suo orgoglio di cavaliere, che uccideva in
gola tutte le
parole che avrebbe voluto dirgli ed odiò la sua debolezza,
che sanguinava ogniqualvolta
si trovava ad incrociare quello sguardo screziato d’oro senza
poterlo osservare
troppo a lungo per non destare sospetti.
Amava Gwen ed aveva sempre pensato che fosse
la sua metà perfetta ma, dopo quella notte passata con
Merlin, dopo aver
rischiato di perderlo per sempre ed aver visto quegli occhi prosciugati
dai Dorocha,
aveva compreso che c’era molto di più tra loro.
Gwen era un’amica, un ottimo
sostegno e l’unica donna che avrebbe mai voluto al suo
fianco. Tuttavia il
sentimento che aveva scoperto di provare per il suo servo andava ben
oltre
tutto ciò; Merlin era bisogno essenziale, passione,
àncora di salvezza… era il
Destino ed Arthur aveva desiderato di non essere re, di essere libero,
nello
stesso istante in cui se n’era reso conto.
Preda di una irrazionale ed improvvisa paura,
lo strinse maggiormente a sé; le loro bocche vicine, i
respiri a mescolarsi. Il
giovane mago deglutì, la magia che gli bruciava le membra e
un dolore sordo al
petto.
-Non
voglio essere un compromesso.
Probabilmente
aveva ragione, Gwen non si
meritava tutto questo ma il regno chiedeva una regina ed Arthur aveva
fatto ciò
che era giusto, solo che perdere Merlin non era un prezzo che era
disposto a
pagare. Per una volta il giovane Pendragon aveva deciso di essere
egoista e non
provava alcun rimorso al riguardo. Si tuffò nello sguardo
del moro e scese
attraverso le iridi fino a baciargli l’anima.
-Neppure
io.
La
notte si aprì alla bugia accogliendola tra
le sue nere ali come una madre premurosa. Le labbra di Arthur si
poggiarono
sulle sue, dolci come veleno, e Merlin pensò di respingerle
mentre vi si
abbandonava completamente, rendendosi sporco fin dentro le viscere.
Corse via nella sua mente innumerevoli volte
ma le sue gambe, nella consistenza di quella realtà
distorta, seguirono il re
in una stanza degli ospiti vuota. E non era lui che si faceva
spogliare, che
gemeva al tocco deciso del giovane Pendragon. Non era lui che schiudeva
le
gambe lasciandosi prendere per la seconda, meravigliosa, volta. Eppure
era lui
che stringeva quel corpo come se ne andasse della propria vita e
baciava quelle
labbra bagnandole di lacrime. Arthur lo guardò confondersi,
fidarsi, ferirsi. Avvertì
il suo caldo respiro avvolgerlo stretto e seppe, con una sicurezza che
squassò
il suo orgasmo, che non ne avrebbe mai potuto più fare a
meno. Che tutto
sarebbe cambiato ma Merlin sarebbe sempre rimasto lì, tra le
sue coperte e
sotto la sua pelle, ogni volta che l’ombra fosse scesa ad
abbracciarli.