Disclaimer:
I personaggi presenti in questa storia non mi appartengono. Essa
è stata creata
esclusivamente per piacere personale e non a scopo di lucro.
Warning: missing moments, one-shot, slash
Genere: angst, introspettivo, triste
Rating: giallo
Autore: snowfeather
Little wizard, broken heart
La
fronte alta, increspata
da piccole rughe d'espressione, era nascosta da ciocche di capelli
neri,
leggeri sbuffi di fumo sfuggenti che danzavano con la tramontana di
novembre.
Gli
occhi lucidi di un
dolore segreto scrutavano lontano, persi dietro a pensieri troppo
grandi.
Le
labbra erano sottili, la
bocca stretta in una smorfia che deformava il suo bel viso affusolato,
quasi a
cercare conforto nel dolore che la pelle soffice sentiva stretta nella
crudele
morsa dei denti.
Sulle
guance arrossate dal
freddo - quegli zigomi così definiti da sembra quasi
scolpiti nel marmo di
Canova - si rincorrevano impietosamente gocce di lui, lui che non aveva
più
saputo contenere tanto dolore nel suo piccolo cuore grande e che lo
lasciava
uscire attraverso gli specchi della sua anima lacerata. Cercando un
sollievo
che non sarebbe arrivato mai.
Perché
la consapevolezza era
una lama rovente che gli dilaniava le carni senza pietà,
affondando malevola a
ripetizioni sempre più ravvicinate, togliendo il fiato
dall'angoscia, la luce,
la speranza la vita. Tutto, tutto andato.
E
la cosa che faceva più
male di tutte era che lui sapeva essere solo ed esclusivamente colpa
sua.
Era
arrivato a Camelot
oramai due anni prima, nella sacca leggera solo un carico di sogni.
Cosa credeva, che il destino lo avrebbe condotto a trovare la sua
strada?
Sperava forse di trovare la felicità? No, il destino era
stato crudele,
addirittura beffardo, perché a lui aveva fatto trovare
solamente l'illusione
della felicità. Aveva fatto a pezzi i suoi sogni, le sue
speranze, tutto ciò
che lui aveva sempre pensato di poter essere di buono.
E in fondo non si era neppure dovuto sforzare, non aveva fatto
granché, non ci
aveva messo chissà quanto, non aveva neppure fatto fatica,
perché gli aveva
semplicemente messo sul cammino lui.
L'aveva amato fin dal
principio, adesso ne era consapevole, anche troppo. Tutto di lui
l'aveva
attratto in un istante, come una calamita con un magnete recettivo. Il
suo baricentro
si era spostato, tutto di lui puntava verso Arthur; non aveva
più senso di
esistere, se non in funzione di Arthur; ogni azione, ogni pensiero,
ogni
parola, ogni sogno era votato indissolubilmente ad Arthur. Non avrebbe
più
potuto fare a meno di lui, neanche volendo, nemmeno combattendo contro
se
stesso con tutte le sue forze.
Arthur
era bello, alto,
biondo... un vero principe dagli occhi azzurri e il mantello rosso
svolazzante
nel vento. Aveva le mani più grandi che avesse mai visto e
non riusciva a fare
a meno di incantarsi ogni volta che, brandendo la spada, si allenava
con i suoi
cavalieri, concentrato e perfetto sulla sabbia dell'arena.
Più gli stava vicino, più si accorgeva che
c’era qualcosa di strano nel modo in
cui piano piano iniziava a guardarlo. Più lo conosceva e
più sentiva il
desiderio di conoscerlo ancora di più. Più lo
scopriva e più lui lo incantava.
Ma
era l'immediata affinità
che aveva avvertito fra le loro anime che lo aveva travolto, sconvolto,
totalmente ribaltato. Perché Arthur, a dispetto della
maschera altezzosa e
superba che spesso indossava, era buono.
Era nobile.
Era disinteressato e fedele.
Idealista, modesto, attento.
Aveva occhi che non sapevano (e non volevano) mentire.
Era cristallino, diretto, sincero.
Non si nascondeva, Arthur.
E ciò che era più doloroso era il fatto che, nel
tempo, si era lasciato
conoscere da lui. Ormai era un libro aperto e non si vergognava mai di
ciò che
era, non aveva paura. Era coraggioso, Arthur.
E
lui cos'era? Lui era solo
un bugiardo, era un satellite buio che gravitava attorno ad un pianeta
luminoso, sempre nascosto nell'ombra.
Sì,
perché si era finalmente
reso conto che lui, per Arthur come per chiunque altro, non esisteva in
quanto
Merlin. Lui non si era mai lasciato conoscere veramente, era importante
solamente dal momento in cui "faceva", mai semplicemente nell'essere
se stesso. Anche perché, effettivamente, chi era lui
realmente? Era così
abituato a fingere per la paura di farsi vedere, per il
terrore folle e
irrazionale di essere scacciato, incompreso, deriso, che ormai aveva
preso a
farlo sempre. Era abituato a sorridere, a mostrare la battuta pronta,
al
sarcasmo salace, quando avrebbe voluto solamente morire. Ormai non
sapeva
neppure lui chi fosse veramente.
Quanto esisteva in quanto Merlin?
O quanto invece esisteva in quanto utile per gli altri?
Quanto, in realtà, esisteva per gli altri?
E quanto esisteva per se stesso?
A
parte sua madre, Gaius e Will,
suo amico di infanzia, ora lontano, nessuno l'aveva mai amato.
E
la colpa era sua,
solamente sua, perché non si era lasciato conoscere.
Guardò
una nuvola solitaria,
staccata dal fronte compatto gravido di pioggia che incombeva su di
lui. Si
sentiva così: diverso, inadeguato, misero, solo. Non sarebbe
mai stato felice
veramente. Non sarebbe mai stato amato. Non ne era degno, quasi non
voleva,
irrazionalmente. Perché lui si disprezzava, si faceva
schifo, era solo un
rifiuto della natura, uno scherzo sarcastico del destino.
Non meritava nulla, nemmeno l'amicizia che Arthur sembrava condividere
con lui.
Se fosse stato qualcun altro al suo posto, per Arthur sarebbe stato
uguale, non
sarebbe cambiato niente.
Si
fermava sì a parlare con
lui, ma solo quando aveva bisogno di qualcosa, specialmente se aveva
bisogno di
sfogarsi dell'idiozia di suo padre o quando era turbato dai suoi
sentimenti per
Gwen (quella strega... ma perché a lei riusciva
così semplice farsi amare da
lui?).
Merlin c'era sempre, e ascoltava.
Ecco un'altra cosa che "faceva". Lui ascoltava e dava sempre buoni
consigli, mettendo a tacere il suo cuore quando gli consigliava di
buttarsi, di
sopportare, di amarla. Era solamente più semplice fingere,
recitare una parte.
Era l'unica maniera che conosceva per mettere a tacere quel fottuto
dolore. Non
voleva provare dolore, non voleva stare male, e allora si nascondeva.
Non parlavano mai di loro, non lo avevano mai fatto. Probabilmente
perché non
esisteva alcun loro.
Aveva
capito che era un
gatto che si mordeva la coda, era perso in un circolo vizioso
maledetto: fino a
che non si fosse lasciato conoscere, avrebbe sofferto e sarebbe rimasto
solo,
ma non riusciva a lasciarsi andare perché il terrore del
rifiuto e della
solitudine era troppo.
Aveva
tentato una volta, a
Ealdor, lontano dalla routine di Camelot. Era stato a tanto
così da svelare il
suo segreto ad Arthur che, per una volta, sembrava incuriosito,
sinceramente
interessato a lui.
Ma non ci era riuscito e si era fatto ancora più pena.
Lui
era innamorato di
Arthur, cazzo!
E Arthur neppure sapeva chi lui fosse veramente!
Ma si poteva essere più patetici?
Si poteva essere più miseramente inutili?
L'ultima
volta che si erano
visti, la sera precedente, nelle stanze del principe, dopo averlo
preparato per
la notte, lui accucciato vicino al fuoco, Arthur seduto a gambe
incrociate sul
suo grande letto a baldacchino, avevano parlato per ore.
E
mentre l'erede al trono
gli spiegava con ardore perché non riusciva più a
fare a meno di Guinevere
nella sua vita, Merlin avrebbe solamente voluto prendergli il viso fra
le mani
e baciarlo fino a fargli dimenticare anche il suo nome.
Arthur
aveva detto che
oramai, alla loro età, innamorarsi era una questione di
affinità delle anime,
di conoscenza e di amicizia reciproca, che non poteva più
essere una questione
puramente fisica. E lo stregone si chiedeva come cazzo facesse,
quell'asino
reale, a non accorgersi che praticamente stava parlando di loro, Arthur
e
Merlin. Che non c'era nessuno di più perfetto di loro due
insieme. E invece
quel cretino patentato continuava a sbavare sul culo secco di una donna
che non
avrebbe mai ricambiato il suo amore (non era scemo - e non lo era
neppure
Arthur -, si era accorto che il cuore di Gwen apparteneva totalmente a
Lancelot...), che lo avrebbe tradito, che gli avrebbe fatto patire le
pene
dell'inferno, che gli avrebbe spezzato il cuore e ne avrebbe buttato i
cocci
come se niente fosse. Che lo avrebbe fatto soffrire.
Aveva
dovuto recitare bene
la sua parte, perché le espressioni del viso avevano
rischiato di tradirlo più
di una volta.
Poi
Arthur l'aveva
congedato, soddisfatto di essere riuscito a parlare così
tanto di lei, convinto
che Merlin facesse il tifo per loro. E lui se ne era dovuto andare
ancora una
volta, con mille domande inespresse a fior di labbra, col cuore
pesante, con
una necessità soffocante di un confronto che non sarebbe mai
venuto.
E
aveva pianto,
attraversando i corridoi bui, aveva pianto e singhiozzato, lasciandosi
cadere
vicino al pozzo nel grande cortile lastricato del castello, prima di
ritrovare
un minimo di contegno e ritornare silenzioso nella sua stanzetta, sotto
lo
sguardo preoccupato e tuttavia rassegnato di Gaius.
Lo
voleva, lo desiderava,
non faceva che sognarlo ad occhi aperti e nel sonno più
profondo, mentre faceva
di tutto per allontanarlo da sé, spingendolo nelle braccia
della regina del passato
e del futuro.
Quanto
sarebbe stato bello
sentire le mani forti del principe su di lui, tese ad esplorare il suo
corpo
trepidante d'attesa.
Quanto
sarebbe stato vero il
sentimento con cui avrebbe risposto ai suoi timidi baci, che mai
avrebbe
pensato di poter donare a lui, Merlin, il suo servo.
Quanto
sarebbe stato giusto
il fondersi dei loro corpi, delle loro anime, delle loro vite, del loro
destino.
E
quanto era effettivamente
massacrante sapere che tutte quelle immagini vivide e letali sarebbero
rimaste
solo e solamente in lui.
Ma
valeva la pena stare così
male, se ciò significava poter restare vicino ad Arthur,
anche se solo come
servo.
Arthur
era il tutto che
rendeva il suo niente degno di essere vissuto.
Difficile,
doloroso,
mortale, ma degno.
Almeno
gli doveva la sua
lealtà. E quella l'avrebbe sempre avuta, anche a costo della
sua stessa vita.
Odiava
odiava odiava quella
parte di sè che l'aveva e l'avrebbe allontanato
ineluttabilmente da Arthur.
Odiava la magia. Odiava dovergli mentire. Odiava doversi nascondere e,
più di
tutto, odiava se stesso perché non era capace di essere
sincero con l'uomo che
amava.
Forse,
la cosa migliore per
lui sarebbe stata andarsene, lasciare Camelot, tanto nessuno avrebbe
sentito la
sua mancanza. La vita sarebbe comunque andata avanti anche senza di
lui.
Sarebbe stato velocemente dimenticato.
E
nonostante tutto sentiva
nelle orecchie una voce proveniente dal futuro, una voce
destabilizzante e così
simile alla sua, una voce accompagnata da una strana melodia elettronica (e
quella parola da dove gli era rimbalzata così
inaspettatamente in testa?), una
voce che cantava:
I am
not my own
for I have been made new.
Please, don't let me go.
I desperately need you.**
Non
voleva andare via... O
meglio, voleva che Arthur gli chiedesse di restare.
Aveva
la necessità di
sentirsi importante per lui.
Ah,
maledetti pensieri!
Era
una contraddizione
vivente, anche con se stesso!
Col
dorso della mano asciugò
le lacrime che non avevano avuto il tempo di seccarsi nel vento, tanto
scendevano copiose dai suoi insondabili, profondi, bugiardi occhi blu.
Tirò
su col naso guardando
l'alba in lontananza, un tenue chiarore che rompeva il tempo che ogni
notte si
prendeva, per lasciare sfogare il suo dolore.
E
come ogni mattina guardò
in su, verso la torre che ospitava le stanze del suo signore, del suo
principe,
sperando irrazionalmente che le tende fossero scostate, che lui lo
scorgesse
nel suo momento di debolezza, che riuscisse a vedere per un secondo la
sua
dilaniante verità di essere. E poi che lo raggiungesse e,
con un braccio
intorno alla sua spalla, gli domandasse dolcemente "Merlin,
perché
piangi?"
Sperò che il suo amore si accorgesse di lui, anche se era
Merlin a non farsi
vedere da Arthur.
Come
ogni giorno le tende
chiuse lo riportarono alla realtà dei fatti. Lui era
diverso, era solo e lo
sarebbe sempre stato.
E
come ogni iniziare del
giorno, il ragazzo dai capelli neri strinse i pugni e spense il cuore,
pronto
come sempre ad inseguire solo i propri doveri.
*Angolo
dell'autrice*
A chi leggerà, scusate la stranezza, ma credo che questi possano benissimo essere i pensieri di un Merlin innamorato e disperato. Guarda caso sono esattamente i miei in questo momento, perciò, anche se è un po' anomala come cosa, voglio dedicare questa fiction al protagonista, Merlin. Grazie, senza di te non sarei riuscita a mettere così chiaramente nero su bianco tutto quello che ho nel cuore. Sei un amico prezioso e, anche se non sei reale, ti voglio bene.
** "Meteor shower" - Owl City
Non sono me stesso,
perché sono stato creato nuovamente.
Ti prego, non lasciarmi
andare.
Ho un disperato bisogno
di te.