Autore: Sophrosouneh
Titolo: Il ventre gravido della Vergine.
Fandom: Angel Sanctuary
Personaggi: Astaroth, Astarte
Genere: Introspettivo, Dark
Avvertimenti: One shot
Rating: Arancione
Prompt: Sangue
Credits:
tutti i personaggi appartengono a quella santa donna di Kaori Yuki, che
personalmente venero anche solo per il fatto di aver disegnato questo
manga.
Prima Classificata al Contest In the Darknes.
Il ventre gravido della vergine.
Lentamente fece
scorrere la superficie affilata della lama sulla pelle diafana
dell’angelo. Sebbene non applicasse che
un’irrisoria pressione, la carne si lacerò,
rivelando due lembi pulsanti di muscoli e tessuto sotto cutaneo. Dalla
nuova ferita sgorgarono rivoli di liquido scuro. Il taglio non era
tanto profondo da disperdere un’ingente quantità
di sangue, ma doloroso oltre ogni dire.
Ne furono la prova le altre grida che si levarono dalla gola
scarnificata della donna che, ormai, dopo giorni di tortura, implorava
a gran voce la morte.
Ma il Duca del terrore pareva avere una diversa opinione.
Con sguardo trasognante inalò il dolcissimo aroma del nuovo
sangue versato, avvicinando, quasi inconsciamente, il volto alla fonte
del suo piacere.
La donna, memore delle passate esperienze, urlò
istintivamente, ma
ciò non distolse Astaroth dal suo intento. Lambendo quella
tenera carne poteva assaporarne la deliziosa consistenza e il sapore
intenso.
Se c’era qualcosa a cui non era capace di resistere era la
vista del sangue. Lo adorava poiché era la sola cosa che
riuscisse un poco a distrarlo dalla dilagante noia in cui trascorreva
la sua monotona vita.
Dominando su un immenso labirinto, l’unico piacere che
Lucifero gli aveva concesso era di dilettarsi con i topolini stolti ed
ingenui che vi finivano dentro e, ingenuamente, coltivavano la speranza
di uscirne.
Appostato in silenzio nell’ombra, come il più
letale dei predatori, attendeva di poter sbranare le sue prede. E
quella volta aveva avuto più fortuna del solito: invece dei
soliti sudici topi di fogna, nella sua trappola era caduta una spaurita
colombina. Sarebbe stato delizioso strapparle le candide ali.
Con dita lascive percorse lento le curve della Vergine severa. Da
innumerevoli secoli essa era divenuta sua fedele compagna nella
monotonia di quel luogo. Allargando le braccia ne cinse il seno in un
moto di sconsiderato affetto.
Il metallo freddo della donna d’acciaio risvegliò
in lui antichi ardori, e con la lingua andò a ripulire la
sua algida consorte da una goccia di sangue che ne aveva imperlato lo
statico volto.
La vergine di Norimberga restava stupenda ai suoi occhi, bella e
perfetta nella sua ieratica maestà.
Neppure il tempo e la noia avrebbero minimamente scalfito i sentimenti
che provava per lei.
“Tu sei l’unica donna che io possa amare”
le sussurrò suadente il Duca, accarezzandone la solida
consistenza.
Lei era la sua gioia e il suo diletto, l’immortale compagna
capace di farlo sentire vivo e di accendere una fiammella di passione
nel suo cuore. Freddo per indole, il Duca del terrore odiava legarsi in
modo troppo stretto a coloro che lo circondavano, anche
perché provava per ognuno di loro un profondo disgusto.
Persino il tanto magnanimo e glorificato Re Oscuro per lui non era che
un mero simulacro: gli doveva la sua vita, ma questo non pregiudicava i
sentimenti che provava per lui.
Solo lei era capace di restargli accanto, la Vergine assisteva
impassibile, dalla sua metallica prigione, alle più sfrenate
perversioni dell’angelo caduto. Aveva visto quel demone
smarrire la sua coscienza ogni giorno di più, venir
schiacciato da un peso troppo grande anche per lui.
L’unica cosa che chiedeva era che lui le donasse bambini da
racchiudere nel suo grembo per sentire il loro sangue venir prosciugato
e scorrere abbondante nel suo freddo corpo senza vita.
“Sei contenta amore mio? Sta volta ti ho portato una bambina
davvero dolce, non trovi?” per tutta risposta
l’essere in grembo alla Vergine si mosse in segno di
protesta, ma questo non fece che rendere più gravi le sue,
ormai numerose, ferite. Le
lame affilate penetrarono in profondità la tenera carne
lacerando le viscere della prigioniera, mentre una nuova cascata di
sangue si riversava dal corpo esanime.
“Mi chiedo quanto tempo ancora ti sia rimasto?”
sussurrò il demone, scrutando dalla feritoia gli occhi
morenti della sua giovane preda. Erano di un azzurro limpidissimo,
paragonabile solo a quello dell’Aziluth. Possedevano un
lontano e mistico sapore di liberta; sarebbe volentieri volato via in
quegli spicchi di cielo.
Parevano quasi implorarlo di lasciarla andare.
Aveva sempre odiato quella particolare tonalità di azzurro.
Ad esso erano legati spiacevoli ricordi.
Alla nascita era stato avvolto dalla luce splendente color lapislazzulo
che filtrava dalle eteree nubi.
Da quel momento era iniziato il suo martirio –il loro martirio.
Lo avevano definito
figlio di Dio, ma ben sapeva di non essere altro che un esperimento non andato a buon fine.
Solo lei
sapeva amarlo.
Solo Lucifero lo aveva accolto.
Solo in quel luogo poteva realmente essere se stesso.
Quella cripta era il loro perfetto
santuario d’amore.
Nascendo come angelo aveva imparato ad odiare l’azzurro, e
rinascendo come demone aveva scoperto la bellezza del rosso scarlatto
del sangue.
“Mi dispiace, mio piccolo uccellino, ormai non volerai mai
più” a quella parole un velo cristallino parve
calare lentamente sulla cornea dell’amara ospite del Duca.
“Astaroth, fammi uscire!” quella
voce la conosceva fin troppo bene.
Rimbombava nella sua
testa con un ritmo costante e serrato, non lo lasciava ragionare
neppure un attimo.
Aveva mantenuto il controllo su di lei fin troppo a lungo, adesso
Astarte premeva per uscire con rinnovato vigore, sapeva che non sarebbe
riuscito a trattenerla per molto.
Dallo scarno trono di marmo del Duca un enorme boa bianco
strisciò fino a raggiungere i piedi del suo padrone, prono a
terra per lo sforzo di mantenere la sua personalità.
Lentamente le squame del rettile cominciarono ad imbrunirsi sotto lo
sguardo impotente di Astaroth che, con le mani cinte attorno alla
testa, tentava invano di resistere alla sorella.
In pochi secondi l’incantesimo del Re Oscuro si
manifestò in tutto il suo devastante potere:
l’intera pelle del serpente era mutata e adesso appariva del
colore stesso della caligine infernale.
L’animale andò lentamente ad avvolgere le sue
spire lungo il corpo flessuoso della sua padrona.
Astarte era riuscita, con non poca fatica, a prendere il controllo del
corpo del fratello. I suoi occhi grandi e luminosi si levarono sulla
Vergine che troneggiava di fronte ai suoi occhi.
C’era un odore pungente e metallico nell’aria.
Si trovava in una sala per le torture, non avrebbe dovuto
meravigliarsene, ma in una quantità così grande
poteva voler dire solo una cosa: carne fresca.
Riappropriandosi di tutta la grazia che si addiceva a una Duchessa del
suo calibro, si appoggiò alla donna di ferro per riuscire a
scorgerne l’interno.
Il suo sguardo parve riprendersi , animandosi di un ardore che
raramente possedeva.
Un sorriso dolcissimo andò ad incresparle le labbra,
lasciando scoperti i denti perlacei.
“Ecco dov’eri finita, bambina mia.”
Le mani della donna
corsero ai suoi capelli, intrecciandoli dolcemente mentre intonava una
rilassante ninnananna.
Morbidamente sedeva , rinchiusa nelle sue stanze, su di un soffice
talamo ricoperto dalle più preziose stoffe e ricami.
“Sai, Astaroth è cattivo con me, non mi lascia mai
uscire di qui. Dice che nessuno deve vedermi.”
Sussurrò continuando a modellare la morbida chioma.
“Ma io gli voglio bene, lui è pur sempre il mio amato fratello. Dio si
è divertito ad unirci in un unico corpo dal momento della
nostra nascita.” A rivangare quei dolorosi ricordi le mani
del demone tremarono percettibilmente.
“E Astaroth, sebbene sia più forte di me, non ha
mai neppure tentato di sopprimere la mia coscienza. Non è
così che si comporta un buon fratello?” chiese,
assaporando il dolce sapore di quelle parole.
Per quanto dolore
potesse infliggerle, non sarebbe mai stato abbastanza per farle
dimenticare quanto gli doveva.
La duchessa sussultò, portandosi le mani al grembo.
“Sei davvero una birichina, bambina mia. Hai proprio voglia
di venir fuori, eh?” disse, sorridendo al suo ventre gravido.
“Ma non temere, staremo insieme per sempre.”
Sta volta suo fratello le aveva fatto un regalo davvero stupendo.
Quella colombina continuava ad agitarsi inquieta nel suo ventre, ma
sapeva che sarebbe diventata un’ottima figlia.
Con le lunghe dita affusolate sfiorò la soffice consistenza
del vestito, morbidamente drappeggiato sopra il ventre rigonfio.
D’altro canto, per quanto lui potesse disprezzarla, Astarte
sapeva di essere l’unico suo più grande diletto.
Era una vergine dal grembo perennemente gravido di un sangue non suo.
Ne era sicura, questa sarebbe diventata la sua bambina più
bella.
Ti
piace nostra figlia, Astaroth?
Note (post
lettura): volevo
far notare soltanto l’assonanza tra la Vergine di Norimberga
e il personaggio di Astarte che sono la stessa persona nel cuore di
Astaroth. Infatti l’angelo che lui chiude
all’interno della Vergine si ritrova all’interno
dell’utero di Astarte, cresciuto da lei come una figlia.
Alla fine Astarte
si riferisce all’anima come “nostra
figlia” poiché, sebbene, come anatomicamente ovvio
(poiché condividono lo stesso corpo), Astaroth non sia il
padre della bambina, è stato lui che ha rinchiuso
l’anima nella Vergine di Norimberga, facendo in modo che poi
si reincarnasse nel corpo della sorella.
Lo so, è una cosa dannatamente malata e perversa, ma se non mi fossi presa queste licenze con Astaroth e Astarte non me le sarei prese più con nessuno!