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Autore: Darkrystal Sky    27/05/2012    2 recensioni
[Crossover Fic: Doctor Who, Sherlock BBC, Once Upon a Time, Torchwood, Pandora Hearts, Code Geass, Death Note]Il Dottore ha incontrato la sua fine sulla riva del lago Silencio, Sherlock sul tetto del St.Bart Hospital; Leo per mano di Jack Vessalius, Graham per quella della regina; Elle è morto tra le braccia di Light, Ianto tra quelle di Jack; Lelouch si è sacrificato per la felicità di sua sorella Nunnaly.
Ora queste sette persone si ritrovano vive in un luogo sconosciuto, vittime di un gioco ordito dalla misteriosa entità ənigmə, che promette di riportarli in vita cambiando il passato, purchè loro recuperino sette PASSWORD.
Potranno sette persone così diverse andare d'accordo per uscire dal gioco mortale ordito a loro discapito?
Genere: Dark, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Doctor - 11
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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ənigmə

0 Between Death and What Is Not Death


“È ora” disse con tristezza il Dottore, prendendo dalla tasca del cappotto le cinque buste blu che aveva sperato di non dover mai spedire.
“È ora” ripeté con tono più sicuro. Il suo tour di addii si era concluso: sarebbe solo tornato velocemente su Callisto VII per far consegnare dal Tesselecta le buste a Canton e ai Pond, con cui avrebbe trascorso i suoi ultimi momenti, nonché ad un se stesso più giovane, con il quale loro poi si sarebbero messi in viaggio.
Avrebbe potuto posticipare ancora, dopotutto, se il Silenzio si era premurato di fare della sua morte un punto fisso, voleva dire che fino ad allora sarebbe stato pressoché invulnerabile.
Ma perché continuare, se il caos e la sofferenza lo seguivano come una maledizione?
E così, dopo aver riportato Dorium nella sua cripta, tornò ancora una volta, per l’ultima volta, nello Utah. Scambio in un bar un uovo d’oro massiccio per una macchina sportiva di un tizio strambo e con quella si diresse al luogo dell’incontro, lasciando il TARDIS nascosto al sicuro in una grotta naturale.
Incontrò i Pond e con loro chiacchierò e bevve vino francese durante un picnic sul lago Silencio; Amy vide qualcuno e se ne dimenticò subito dopo: il Dottore capì che i Silenti stavano osservando. Poi l’Astronauta Impossibile emerse dalle acque del lago: una giovane River Song, inesperta ed indifesa, costretta ad uccidere l’uomo che amava. Lei lo implorò di correre via, di fuggire: non voleva sparare, non era lei a controllare la tuta.
Eppure lui non si mosse.
Il primo colpo lo costrinse a cominciare a rigenerarsi, poi ne arrivò un secondo, immediatamente dopo. Non provò nemmeno dolore.

Per un attimo, un folle meraviglioso attimo, appena prima che all’ospedale Molly Hooper notasse la sua presenza, gli era balenato in mente un piano geniale: Molly lavorava all’obitorio, per lei sarebbe stato facile dichiararlo morto e sostituire il suo corpo con un altro. Dopodiché lui sarebbe potuto sparire dalla circolazione.
Ma a che pro? Lui, Sherlock Holmes, sarebbe sempre stato ricordato come un truffatore e un criminale: avrebbe dovuto nascondersi e annoiarsi per il resto della sua vita? Piuttosto morire. Così ora si trovava sul tetto del St. Bart Hospital, in piedi sul ciglio, pronto a gettarsi.
“Mi dispiace” disse a John, che lo guardava, impotente, dal basso. Moriarty era morto, ma i suoi cecchini lo avrebbero ucciso, assieme a Mrs. Hudson e Lestrade, se non lo avessero visto morire. “Addio” concluse, ignorando le preghiere del suo blogger, il suo collega, il suo coinquilino, il suo unico amico. Sherlock gettò a terra, dietro di se, il cellulare, spalancò le braccia, come per un ultimo volo, e fece quell’unico passo verso il vuoto. Volò, ma solo per un secondo, poi arrivò il dolore e tutto si fece nero.

Il dolore esplose nel petto come un fiore vermiglio, mentre il sangue sgorgava copiosamente dalla ferita; Leo Baskerville cadde all’indietro sul prato.
“Perché l’hai fatto, Jack?!” sentì gridare Oz. Leo tirò un sospiro di sollievo, era contento che per lo meno il suo amico non lo avesse tradito, dicendo quelle parole su Elliot solo per fargli abbassare la guardia.
Ma perché Jack Vessalius lo avesse voluto uccidere non ne aveva idea: non voleva forse solo evitare un’altra Tragedia?
I volti dei suoi predecessori lo guardavano con pietà: volti che solo lui poteva scorgere, voci che solo lui poteva udire, assieme alla maledetta luce dorata dell’Abisso.
“Puoi vedermi da lì, Glen?” domandò Oz, anzi, ora era Jack a parlare. Leo non poteva rispondere, la luce dorata svaniva lentamente e i volti si dissolvevano nel buio; il sole era caldo, ma un freddo mortale pervadeva le sue membra.
Quale destino lo aspettava? Era ancora abbastanza umano da meritare una morte come tale o sarebbe stato trascinato nell’Abisso, destinato a diventare un mostro?
Leo non lo sapeva e non lo avrebbe mai saputo: il mondo scivolava via lentamente e presto scomparve nel buio più completo.

“Mi dispiace” disse Graham, mettendo la borsa del ghiaccio sul taglio che Emma aveva sulla fronte. “Non so che cosa mi è preso, ho perso la testa”.
“Non pensarci” lo tranquillizzo la sua vice. “Avevi la febbre, eri stanco…” una pausa “…e con il cuore spezzato” concluse.
Graham annuì: da quando aveva per la prima volta baciato Emma, aveva realizzato di non aver mai amato Regina, nonostante condividesse con lei il letto, non c’era voluto molto per realizzare che nemmeno lei aveva mai provato nulla per lui.
Il resto: il lupo, i deliri a proposito di un cuore strappato, la cripta e quei ricordi che sembravano provenire da un’altra vita, stavano velocemente svanendo.
Davanti a lui c’era solo Emma, che lo fissava con quei suoi occhi meravigliosi; gli si avvicinò lentamente e Graham sentì il suo cuore accelerare mentre le loro labbra si toccavano.
E poi, all’improvviso, ventotto anni di nebbia scivolarono via e Graham Humbert ricordò: era un Bacio di Vero Amore e aveva per lui spezzato la maledizione. Con uno scatto, Graham si ritrasse da Emma, che lo guardò perplessa.
“Mi ricordo” le disse.
Emma sorrise, confusa: “Ricordi cosa?”
Graham stava per risponderle, quando sentì una dolorosa morsa stringergli il petto: la regina possedeva ancora il suo cuore e lo stava distruggendo. Le gambe gli cedettero, fecendolo cadere a terra.
Emma chiamava il suo nome, disperata, ma il mondo stava già velocemente svanendo.

Nella Thames House di Londra la gente gridava, ammassandosi vicino alle uscite sigillate, come tanti conigli in trappola; ma in una sala particolare, quella dove aveva sede la vasca di gas dove albergavano i 456, la razza aliena che aveva richiesto il 10% della popolazione infantile terrestre in cambio della salvezza del pianeta, in quella sala c’erano ancora due persone. Jack Harkness e Ianto Jones. Stavano per morire, assieme a tutte le persone intrappolate nell’edificio, a causa del virus letale che i 456 avevano rilasciato quando Torchwood gli aveva sfidati. Ma se Jack sarebbe tornato in vita come centinaia di altre volte, così non Ianto, che aveva sentito le gambe cedergli e si era lasciato scivolare a terra. Ora era steso sul pavimento freddo, mentre Jack teneva la sua testa in grembo.
“E colpa mia” gli disse, con la voce spezzata, Ianto cerò di dissentire ma le forze lo stavano velocemente abbandonando. Chiuse gli occhi, ma sentì Jack chiamarlo con insistenza: “Ianto? Ianto?! Stai con me, ti prego! Stai con me!”
Ianto non aveva mai sentito il suo capitano così disperato: con uno sforzo disumano, sollevò ancora una volta le palpebre e guardò il viso di colui che tanto amava e tanto lo aveva fatto soffrire.
“È stato bello, eh?” riuscì a dire.
Jack annuì: “Sì”.
“Non dimenticarmi”.
“Non potrei mai” rispose l’altro scuotendo la testa.
Ianto sorrise con amarezza: “Tu vivrai per sempre: ti scorderai di me…”
“No” lo interruppe Jack “Mi ricorderò, te lo prometto”.
Era tutto ciò che voleva sapere, così chiuse gli occhi un’ultima volta e si lasciò andare tra le braccia dell’uomo che aveva amato con tutto il suo cuore.

Tutto era andato come previsto: Zero si era presentato davanti al Demone Imperatore Lelouch Vi Britannia e lo aveva infilzato con la spada davanti agli occhi di mezzo mondo.
Nessuno sapeva che sotto quella maschera che la gente associava al protettore dei deboli e dei sottomessi non c’era Zero, ma il cavaliere Suzaku Kururugi, amico, nemico e poi alleato dello stesso Lelouch, e che avevano progettato tutto assieme.
Per questo Lelouch, che si era attirato l’odio di Britannia e del mondo intero, creando un vero e proprio impero di terrore, accolse la morte sorridendo.
Suzaku, ufficialmente morto, avrebbe continuato ad interpretare il ruolo che indossare quella maschera richiedeva: avrebbe fatto sì che la nuova Britannia che stava per nascere fosse un mondo migliore, un mondo gentile come quello che sua sorella Nunnaly aveva sempre sognato.
Suzaku piangeva, sotto la maschera, mentre sfilava la spada dal petto insanguinato di Lelouch; il giovane imperatore cadde in avanti, scivolando lungo la piattaforma su cui si ergeva il suo trono, fino ad arrivare di fianco a Nunnaly, prigioniera e ancora ignara della verità. In fin di forze, Lelouch le sorrise: aveva attirato l’odio su di se e lo aveva distrutto, permettendo la nascita di quel “mondo gentile” che lei desiderava tanto.
E, forse, in quell’ultimo sorriso, Nunnaly capì che la crudeltà di Lelouch era stata una bugia e pianse a lungo e gli chiese scusa e gli disse grazie. E continuò a piangere, sul suo corpo sempre più freddo.

Watari era morto, Rem sparita.
E mentre gli schermi annunciavano la cancellazione completa dei dati, Elle realizzò che il suo tempo era agli sgoccioli.
Misa Amane era sotto sorveglianza, Light Yagami era con loro: c’era un solo modo con cui Kira avrebbe potuto uccidere Watari, ovvero utilizzando lo Shinigami. Doveva comunicarlo ai poliziotti che collaboravano con lui, alla sua squadra, o non avrebbero più avuto sospetti su Light, il che poteva dimostrarsi l’errore più fatale.
“Ascoltate…” cominciò “Lo Shinigami…” si interruppe: troppo tardi.
Elle cominciò a cadere, sotto lo sguardo attonito dei colleghi.
“Ryuzaki!” esclamò Light, sorreggendolo. Elle alzò lo sguardo per incontrare quello dell’altro ragazzo e vide sul suo volto un’espressione di maligna soddisfazione: non si era sbagliato, Light Yagami era Kira. Ed aveva appena vinto.





Era nel TARDIS.
Il che di per se non aveva nulla di strano, se non che le luci erano spente e l’ambiente era avvolto in una cupa penombra e che c’era un silenzio di tomba.
Ah, giusto, e che River lo aveva appena ucciso.
Da sdraiato sul pavimento, il Dottore si alzò a sedere e controllò di essere ancora tutto intero: mani? Ok. Braccia? Ok. Gambe? Ok. Piedi? Ok. Cuori? Funzionanti. Farfallino? Figo. Steston…poteva sempre comprarne un altro.
Si alzò in piedi e si guardò attorno: si trovava vicino alla porta: provò ad aprirla ma sembra sigillata, allora cercò nelle tasche della giacca di tweed il cacciavite sonico, ma senza trovarlo. Sbuffando, voltò le spalle all’ingresso e si diresse invece verso la consolle, ma, non appena fu in cima alle scale, capitombolò a terra: c’era qualcosa, anzi, qualcuno steso a terra vicino ai gradini.

Sherlock riprese conoscenza con un dolore lancinante al fianco e la sensazione di qualcuno che gli cadeva addosso. In qualche modo era sopravvissuto alla caduta, era ovvio; tuttavia, quando aprì gli occhi, scoprì con grande disappunto di non essere in ospedale o in un qualunque altro luogo conosciuto: l’ambiente, seppur in penombra, sembrava un grosso laboratorio futuristico con un macchinario al centro.
Si alzò a sedere e realizzò di indossare ancora gli stessi vestiti che aveva quando si era gettato e, ancora più strano, di non avere nessuna ferita o sutura. Poteva essere passato abbastanza tempo da farlo guarire, ma perché rimettergli quei vestiti e portarlo in quel posto? Non aveva senso. E Sherlock Holmes non sopportava le cose che non avevano senso.
“Ehm, salve?” disse a quel punto l’altra figura, quella che era apparentemente inciampata su di lui, e che ora si stava alzando in piedi.
“Dove sono?” domandò Sherlock.
“Nel TARDIS” rispose semplicemente l’altro. Sherlock si acciglio, non era neanche una vera parola!
“Aspetta che faccio un po’ di luce, eh?” continuò l’altro, cominciando a smanettare con i controlli. Dopo alcuni secondi, con un rumore simile ad un risucchio, una struttura trasparente all’interno della colonna centrale cominciò ad alzarsi ed abbassarsi e una calda luce invase l’ambiente. Sherlock si alzò in piedi e osservò intensamente lo sconosciuto, poi gli domandò: “Sei tu il pilota di questa macchina del tempo?”
L’uomo, che aveva continuato a maneggiare i comandi, alzò la testa e lo guardò, sorpreso: “Conosci il TARDIS?”
“Fammi indovinare: Tempo e…Relative Dimensioni nello Spazio, giusto? No, mai sentito prima”. L’uomo lo guardò perplesso: “E allora come…?”
“Il rumore dei motori e la vibrazione del pavimento fanno intuire che ci troviamo all’interno di un veicolo, il fatto che tu sappia usare i suoi comandi rende palese che tu ne sia il pilota. Non ci sono scritte, solo disegni circolari, necessariamente un qualche linguaggio: nessun linguaggio conosciuto sulla terra, quindi alieno. Hai detto che si chiama TARDIS, non è una parola conosciuta, con grandi probabilità un acronimo. Tra le diverse possibilità la più sensata era che T fosse per Tempo: una macchina del tempo. Il resto è venuto di conseguenza. E poi ci sei tu: vestiti che sembrano assemblati casualmente, che starebbero bene ad una persona anziana, forse gli indossi per compensare il fatto che sembri giovane. Sembri, ma non lo sei. Le scarpe che indossi sono praticamente nuove, ma molto consumate: viaggi molto, sei abituato a correre. Sui pantaloni posso distinguere tracce di terra le più diverse, impossibili da trovare in un unico luogo o in unico tempo se vogliamo essere precisi. Sei un viaggiatore nel tempo, nello spazio e molto probabilmente non di origine terrestre”.
Il Dottore aprì e chiuse la bocca un paio di volte, incapace di articolare un suono.
Sherlock sorrise e tese la mano: “Sherlock Holmes, Detective Consulente”.
“Oh…” disse il Dottore “OH!” esclamò ancora, stringendogli finalmente la mano. Sul suo volto si allargò un sorriso: “Io sono il Dottore, solo il Dottore, prima che tu chieda altro”.
“Cosa sei?”
“Un Signore del Tempo, ma prima che tu chieda, Holmes…”
“Sherlock”.
“Come vuoi, non ti ho rapito o simili. Non so nemmeno come sono tornato qui: l’ultima cosa che ricordo è la mia morte”.
Sherlock si illuminò: “È comune”.
Il Dottore alzò la testa di scatto: “Interessante” constatò. “Qualcuno ha distrutto le barriere dello spazio-tempo e anche un po’ quelle del buon senso, per riportarci in vita. O per salvarci la vita, perché a dire il vero io mi sento davvero molto poco morto, e anche tu mi sembri ben vivo. Ti senti vivo, no? E poi perché proprio..:” si interruppe. “Quello è un cellulare?”
Sherlock, infilandosi le mani in tasca, aveva scoperto di avere in una di esse il proprio cellulare, nonostante ricordasse di averlo lasciato sul tetto dell’ospedale.
“Non c’è campo” disse, credendo di intuire la seguente domanda del Dottore, ma questi apparve confuso: “Da che anno vieni, Holmes?”
“Sherlock. 2012.”
“Ma questo non ha senso!” esclamò l’alieno. Sherlock alzò un sopracciglio: “Spiegati”.
Il Dottore fece una pausa e si grattò la guancia con la mano: “Veniamo da dimensioni diverse” spiegò. “Nel mio mondo Sherlock Holmes è un personaggio letterario molto celebre. Un Detective Consulente, l’unico al mondo, che nell’epoca vittoriana si diverte a risolvere casi inspiegabili assieme al suo coinquilino, il Dottor John Watson.”
Sherlock dovette chiudere gli occhi pensando a John: ricordava chiaramente averlo sentito gridare il suo nome quando si era gettato, ma non aveva avuto scelta.
Intanto il Dottore continuava: “Il tuo più acerrimo nemico è il professore James Moriarty, altri nomi non me li ricordo perché devo rileggere i libri…”
“Tutto corretto, a parte l’epoca”. Confermò Sherlock. “In un'altra situazione penserei che sei pazzo, ma l’assurdo di ciò che sta accadendo mi spinge a prenderti in parola, per ora”.
“Oh, beh, grazie!” esclamò con sarcasmo il Dottore, stava per dirgli che nella biblioteca del TARDIS aveva quegli stessi libri, se non ci credeva, ma si interruppe quando notò che lo sguardo del detective era focalizzato in un qualche punto alle sue spalle. Il Dottore si voltò e in quel momento si accorse che c’erano altre due persone nella stanza.
Sulla sedia del pilota, era in stato di incoscienza un ragazzino di massimo 15 o 16 anni, mentre sulle scale che portavano negli altri ambienti del TARDIS, c’era, nello stesso stato, un uomo con una giacca di pelle. Il Dottore tornò a rivolgersi a Sherlock: “Li conosci?”
“Mai visti in vita mia” rispose.
“Ok, ci risiamo” mormorò l’altro a disagio. “Tu occupati del ragazzo, io vado a vedere come sta l’altro” disse, dirigendosi verso l’uomo.
Sherlock si avvicinò a ragazzino e controllò polso e temperatura: apparentemente era solo addormentato. Dagli abiti e dal taglio di capelli era palese che non veniva dal ventunesimo secolo, quanto piuttosto da un diciannovesimo o tardo diciottesimo secolo. Era un nobile, dagli abiti che portava, ma non lo era sempre stato: le mani erano quelle di un civile, un lavoratore. Particolare interessante: l’anulare piegato verso il medio indicava che si trattava di un abile pianista.
Proprio in quel momento, sorprendendo lievemente Sherlock, il ragazzo spalancò gli occhi e si guardò attorno con aria terrorizzata.
“Dottore, si è svegliato” disse semplicemente Sherlock.




*L'autrice spunta timidamente da un angolino.*
Ebbene sì, sono ancora viva...
Oggi ho finalmente pubblicato l'ultimo capitolo di Fullmetal Alchemist Reload sl mio sito, sono molto soddisfatta! Mi ero ripromessa di dedicarmi ad una delle tante storie originali che mi sfarfallano in testa, ma ho letto recentemente il manga ənigmə e...non ho resistito. Io ADORO i crossover, questa fanfiction mi sta divertendo un sacco! Quandi...spero che vi piaccia e...recensite, pretty please? °v°
  
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