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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    27/05/2012    1 recensioni
Lei è la professoressa esperta, ma non troppo. Quella rigida che non si fida degli alunni, quella che sa di sapere, quella un po’ stronza..
Lei è la studentessa modello, ma non troppo. Quella sempre solare e disponibile, quella che non sa di eccellere, quella ingenua. La benvoluta da tutti...
Una docente che ha perso troppo nella vita, e cerca di riempirne i vuoti con un’alunna dal cuore troppo generoso, pur convivendo con un passato segreto che la ossessiona, che la perseguita, che le perseguiterà entrambe...
Loro sono l’ombra della notte ed il raggio del sole, il cui incontro non avverrà mai né all’alba né al tramonto.
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Premessa:
Questa storia nasce così, senza una ragione apparente.
E’ tratta da una storia vera, almeno in parte. Dalla storia vera di una docente ossessionata dalla sua migliore alunna, il cui motivo (nella realtà) mi è ancora ignoto.
La base, dunque, è reale, poi ovviamente l’evoluzione sarà differente.
C’è del drammatico, del sentimentale e sì, anche del romantico… Anche se, si sa, l’amore ha mille sfaccettature.
E no, non so dirvi se questa storia finirà bene… O male.
PS. I titoli dei capitoli sono canzoni di Mina.

 

Ballata d’Autunno

 
Un ticchettio di scarpe troppo alte per una scuola secondaria, eppure quel nero luccicante si lascia notare nel corridoio non molto affollato, dove studenti e docenti stanno entrando nelle rispettive aule, pronti per iniziare le lezioni.
 
Ancora il ricordo delle vecchie e malmesse scuole dove aveva insegnato fino all’anno precedente è vivo nella sua mente, tanto che ha ancora l’abitudine di portare i capelli neri raccolti con un fermaglio dietro la nuca, com’era d’obbligo.
Insegnava agli animali, non a degli esseri umani.
Insegnava più l’educazione che l’italiano, anche se vanamente.
 
Porta ancora la cicatrice che si intravvede sul lato del collo, quella che ogni volta le ricorda l’aggressione subita da uno dei carcerati.
 
Scuote appena il capo, scacciando i ricordi, lasciando che sul suo volto longilineo resti quell’eterna espressione impassibile.
E fredda.
 
Poi avanza, raggiunge l’aula, la 4^B, dove gli alunni stanno chiacchierando seduti sui banchi, ignorando la campanella appena suonata.
Lei non dice nulla, resta immobile sulla porta per qualche istante finché alcuni alunni non si accorgono della sua presenza, di quell’aura cupa che immediatamente invado quelle pareti lilla.
Li squadra, uno per uno. Gli occhi scuri si assottigliano in uno sguardo fulminante, che indaga, che osserva, che critica.
 
Gli alunni tacciono, seduti nei loro banchi.
Chi abbassa il capo, chi guarda altrove, ben pochi sono quelli che reggono quello sguardo di sfida, o meglio, di oppressione.
 
- Ci avete impiegato troppo tempo, bambini… -
 
Chiude la porta con un gesto secco, bastano pochi passi lunghi e ben distesi per raggiungere la cattedra.
La scruta, quasi avesse timore di trovarvi un qualche scherzetto, poi si siede.
Decisamente troppo furba.
 
- Vedo che le regole non sono chiare. Quando la campanella suona, voi dovete già essere seduti. E pretendo il saluto ogni volta che entro, non ammetto repliche alle date che stabilirò per i compiti. –
 
Di nuovo silenzio, li squadra ancora una volta, come ad assicurarsi che nessuno replichi.
Poi prende il registro, un gesto lento quello del dito che scorre su quei nomi, mentre la voce li chiama lentamente, uno alla volta.
 
- Elena De Medici. –
 
Si ferma un attimo, alza il capo per guardare in viso la ragazza in prima fila che alza la mano, la numero sei.
 
I capelli biondi le cadono dolcemente su una spalla, gli occhi verdi e vivi la guardano, ma senza timore.
Un viso dolce, decisamente troppo dolce, ed un’aria ingenua quanto troppo bonaria.
E’ lei, la studentessa di cui le hanno parlato in Consiglio di classe, quella di cui si può fidare ciecamente, quella che tutti i professori vorrebbero come prediletta.
La squadra, lei che non si fida di niente e di nessuno, eppure in quello sguardo dolce legge una grande determinazione.
 
Finge il nulla e continua l’appello, mentre sente quegli occhi vivi puntati su di lei.
Lei che non sa più cosa sia la fiducia.
Lei che si nasconde dietro a parole come il rispetto o l’autorità.
Lei che oltre ai rancori non sa provare altro.
 
La lezione dura il tempo necessario affinché ogni alunno venga assoggettato a quell’insegnante autoritaria, a quegli sguardi di totale sfiducia nel prossimo, a quella voglia innata di sfogare sugli studenti rabbie che non può permettersi di mostrare.
 
Vuole apparire forte, furba, vuole che capiscano che con lei non si scherza, che se non si accettano i suoi metodi quell’anno potrebbe essere un incubo, per tutti.
E non ha tutti i torti.
 
Al termine dell’ora si affretta a prendere borsa e giubbotto, esce dall’aula quasi senza salutare, un sorriso falso le delinea un volto che non raggiunge i trentacinque anni mentre varca quella soglia, pronta ad incominciare un’altra lezione.
 

*****

Passano le prime ore, ed ecco che la lectio brevis del primo girono di scuola termina, per fortuna o per sfortuna, tanto che gli studenti escono dall’edificio senza troppa esitazione e gli insegnanti restano a chiacchierare nell’aula dei docenti, trattenendosi qualche minuto di più.
Lei non conosce nessuno, però, giunta soltanto quel giorno, essendo stata assegnata come supplente, per questo scende le scale con la medesima rapidità dei suoi alunni e si dirige nel parcheggio degli insegnanti.
 
Non pensa a nulla, non vuole pensare a nulla.
 
Lo attraversa a passi rapidi e decisi, di una determinazione irritante quando, affianco alla sua auto di un nero splendente, vede la figura longilinea quanto prosperosa di una sua alunna.
Lei, quella biondina troppo buona, lei dallo sguardo tanto dolce quanto sicuro di sé.
 
- Credo che questa sia sua, professoressa Montis. –
 
L’insegnante la scruta, quasi a rimproverarla nonostante il gesto di riportarle la penna dimenticata in aula sia tutt’altro che maleducato.
 
- Come sai che questa è la mia auto? –
 
Una domanda fredda, secca, che non ammette repliche.
Non la ringrazia, prende semplicemente l’oggetto e lo ripone nella borsa, senza togliere lo sguardo dalla ragazza.
 
-  Ecco… Me lo sono fatto dire dalla segretaria, che ha tutte le vostre targhe. Non sapevo come rintracciarvi e pensavo che la penna vi sarebbe servita. –
 
Arrossisce appena, la ragazza, forse in imbarazzo per via della freddezza che le è stata posta ma non sembra intimorita, tutt’altro.
Sorride, labbra rosee che si aprono come a voler mostrare tutta la bontà d’animo ch’ella conserva.
Lei che era stata minacciata con lo sguardo, lei che sin dalla prima ora aveva visto soltanto freddezza in quella donna.
E lei che nonostante questo le aveva donato un gesto di spontanea gentilezza.
 
- Non credere che questa tua gentilezza possa avere un qualche riscontro scolastico, De Medici. –
- Non lo pretendo, professoressa, né l’ho chiesto. –
 
Una risposta lucida e senza esitazione, un viso troppo delicato dinnanzi ad un comportamento tanto diffidente.
 
- Ora mi scusi, devo andare. Arri vederla. –
 
Fa un sorriso delicato ed un cenno di saluto col capo, mostrando rispetto nei confronti di una donna che dal primo istante l’aveva osservata, mostrando tuttavia diffidenza e freddezza.
Un rispetto non dettato dal timore che lei voleva incutere, ma dalla semplice sensibilità umana.
 
Non può dirle altro, se non guardare quei capelli biondi che si muovono sinuosamente, senza frivolezza, ma solo eleganza.
Non può dirle altro, perché come il vento, quella ragazza, sembra non lasciarsi prendere.
 

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