Geneviève
Credits: Il
ritratto di Geneviève è opera di una bravissima
iconizer: Boundary, in onore della quale è stato indetto il
contest di CoS "Collapsing Night - II Edizione"
per il quale è stata scritta questa storia. Questo
è il link al LiveJournal di
La
famiglia LaTour, padre e cinque figli
maschi, era riunita attorno a un fuoco modesto nell’aia di
fronte alla
minuscola casa che, in quel momento, risuonava dei lamenti di una
donna: la
signora Anne LaTour stava partorendo per la settima volta, assistita
dalla
madre. Il suo sesto figlio era nato morto e ora, ai dolori del parto,
si
aggiungeva la paura per il suo bimbo non ancora nato. Era una notte
senza luna,
quella del 24 Maggio 1200, buia e tiepida, dove l’unica
luce che rischiarava l’ambiente era
quella del focolare. L’acqua bolliva piano nel calderone
spandendo nella stanza
il profumo rilassante delle erbe medicinali che l’anziana
Vivienne aveva scelto
con cura nel suo orto per aiutare la figlia in quella difficile notte.
Mentre
sorreggeva la testa della donna per farle bere un altro sorso del
decotto di
verbena e valeriana, Vivienne mormorava le parole di
un’antica preghiera
imparata da piccola: “Payre sant,
Dieu
dreyturier de bons speritz, qui hanc no falhist ni mentist ni errest ni
duptest
per âor de mort a pendre al mon de dieu estranh, Car nos no
em del mon, nil mon
no es de nos, Et dona nos a conoysher so due tu connoyshes et amar so
que tu
amas” (Padre Santo, Dio giusto degli spiriti
buoni, che non hai mai
ingannato né mentito né errato, né
esitato per paura della morte a discendere
nel mondo del Dio straniero, perché noi non siamo del mondo
né il mondo è nostro,
concedi a noi di
conoscere ciò che Tu
conosci e di amare ciò che tu ami).
Verso
le tre, proprio nell’ora più buia, mentre la notte
regnava sovrana sulla
campagna occitana, gli uomini riuniti fuori sentirono un alto grido e,
dopo
qualche minuto di silenzio, un vagito forte e deciso ruppe
l’aria, aprendoli al
sorriso. All’interno Anne riposava esausta sul letto, mentre
Vivienne cullava
tra le braccia il membro più giovane della sua famiglia,
mormorando dolci sciocchezze.
La porta si spalancò e i cinque giovani LaTour sciamarono
all’interno indecisi
tra il rassicurarsi sulla salute della madre e lo sbirciare curiosi il
fagottino in braccio alla nonna. Gérome LaTour si
inginocchiò accanto al letto,
accarezzando amorevolmente i capelli della moglie che gli rivolse un
sorriso
stanco. L’uomo si voltò sentendo la suocera
avvicinarsi: “Gérome LaTour, sono
fiera di presentarti tua figlia Geneviève!” Con
queste parole, la donna gli
mise tra le braccia un minuscolo bozzolo di lana da cui spuntavano un
ciuffo di
capelli rossi come il fuoco e una gota rosea: sua figlia dormiva,
incurante di
tutto, al sicuro tra le sue braccia.
Quei
primi anni trascorsero sereni: il
babbo le insegnò a camminare tenendola per mano; i fratelli
André, Bérnard,
Claude, Daniel ed Etienne facevano a gara per farla giocare e per
proteggerla;
la mamma la metteva accanto a sé mentre preparava il pasto
serale o cuciva gli
abiti per tutta la famiglia e intanto cantava o pregava a bassa voce.
La nonna,
dal canto suo, le parlava di Dio, dei Bonnes Hommes, di vita e morte,
di bene e
male e di tante altre cose importanti prima ancora che fosse in grado
di parlare
e comprendere, convinta com’era che lo spirito della piccola
avrebbe appreso
anche se la sua “mente cosciente” ancora non
capiva. La campagna vicino a Béziers
forniva loro il necessario per vivere e i mercanti girovaghi o i
commercianti
della città barattavano il resto in cambio di formaggi e
uova. Quella della
famiglia LaTour era una vita semplice, vissuta poveramente e
onestamente, nella
quale i discorsi e le preoccupazioni di preti e potenti non avevano
spazio
alcuno. La vita era dura e faticosa, come per tutti, ma non lesinava
loro
quelle gioie modeste che solo i puri sanno apprezzare.
Nel
1205 André, il figlio maggiore,
costruì una casa e prese moglie. La famiglia di lui
partecipò commossa alla sua
felicità anche se la giovane sposa era cattolica,
perché ella era buona e
onesta. Quando, un anno dopo, nacque la loro primogenita la chiamarono
Anne,
come la madre di André, e i parenti di entrambi
festeggiarono insieme senza
preoccuparsi affatto delle differenze religiose.
Geneviéve
a quel tempo aveva cinque anni e
cresceva operosa e di buon carattere come si confaceva a una bimba di
una
famiglia di Buoni Cristiani. Era molto vivace e amava correre nei
prati, cercando
di riconoscere le piante e i fiori che le aveva mostrato la nonna,
mentre
portava il pasto di mezzodì al padre e ai fratelli che
lavoravano duramente nei
campi.
Era
uno spettacolo che allargava il cuore vedere quella figuretta dai
lunghi
capelli rossi e dal vestitino verde correre a perdifiato, ridendo,
cantando e
rallegrando le giornate, non solo dei familiari ma di tutti i vicini
che la
vedevano passare. Mamma Anne le insegnava a cucinare e si faceva
aiutare a
rammendare i vestiti dei fratelli ma, soprattutto, le mostrava con
l’esempio
l’importanza del fare l’elemosina ai poveri,
dell’essere gentili e dolci con
tutti e del vivere umilmente servendo Dio con gioia. Una o due volte la
settimana i più giovani dei LaTour si recavano in visita
dalla nonna che insegnava
loro i precetti dell’essere Bonnes Hommes, come aspirare a
diventare Parfait e
come amare e onorare il Signore pur vivendo in un corpo formato da
carne e
peccato. Spesso Vivienne tratteneva più a lungo
Geneviève per mostrarle come
utilizzare le piante per creare medicamenti e decotti utili per la
salute e per
spiegarle tutto ciò che sapeva sul funzionamento del corpo
umano. Alla sua età
la piccola si annoiava un po’ per le lunghe chiacchiere della
nonna, quando queste
non implicavano passeggiate nel bosco alla ricerca di erbe, ma era
buona,
rispettosa e intelligente perciò cercava di ascoltare senza
distrarsi troppo e
apprendeva velocemente sotto lo sguardo orgoglioso di Vivienne.
Gli
avvenimenti del mondo non toccavano
quella famiglia semplice, né i loro vicini e conoscenti. I
più piccoli
giocavano a essere cavalieri crociati, portando fiori e piccoli pegni
alla sorellina
e alle sue amichette che ridevano e ringraziavano graziosamente,
coronate di rose
e margherite come delle dame; i grandi lavoravano nei campi, accudivano
il
bestiame e barattavano al mercato il poco che gli serviva in
più. Tuttavia era
sempre più frequente, in quegli anni, imbattersi in
predicatori e preti che
cercavano di convincere i Catari ad abbandonare la loro
“eresia” per abbracciare
la “vera fede” annunciando la scomunica dalla
chiesa del Papa a tutti coloro
che rifiutavano la conversione. Geneviève sentì
parlare spesso uomini così,
andando al mercato di Béziers col padre e si meravigliava
molto di come si
potesse vestire riccamente e coprirsi d’oro per parlare di
Gesù e di preghiera:
la povertà predicata dai Perfetti catari era molto
più vicina al suo modo di
vivere e le sembrava più giusto che l’angelo
Gesù, mostratosi ai poveri sulla
terra, fosse onorato con una vita povera e semplice. La sua mente di
bambina
risolveva istintivamente una controversia che, negli anni a venire,
avrebbe
portato lutti, dolori e sangue alla Francia.
Sempre
più spesso i Credenti si riunivano
per parlare della situazione e il clima, negli anni, si fece via via
più teso.
Episodi di intolleranza e violenza si verificavano con sempre maggiore
frequenza:
ricchi cattolici non si fecero scrupolo di sfruttare la scomunica
decretata dal
Papa per sottrarre beni e potere ai nobili catari mentre gruppetti di
cavalieri, di ritorno dalle Crociate, terrorizzavano i contadini e
maltrattavano i Parfait in molte
zone
della Linguadoca.
Nel
1208 la situazione precipitò: il Papa
indisse una nuova Crociata, la prima fatta da cristiani contro altri
cristiani
e decretò così l’inizio della Crociata
contro i Catari!
Nel
mese di Aprile, temendo per la vita
dei loro cari, Gérome LaTour e suo figlio André
decisero di lasciare la terra
dove vivevano, e che coltivavano da tutta la vita, e si trasferirono
con le
loro famiglie all’interno delle mura della città
di Béziers. Trovarono una
casetta modesta formata dal pianoterra con la cucina, il camino con
davanti la
sedia della nonna e il tappeto su cui spesso giocavano i piccoli
d’inverno,
nonché il tavolo attorno al quale si riunivano tutti per il
pasto serale e un
sottotetto, nel quale vennero collocati i giacigli per entrambe le
famiglie,
che completava la nuova abitazione. I primi tempi furono molto duri: in
città
non c’era terra da coltivare né un orto da curare,
i pochi animali che avevano
erano stati venduti per pagare la pigione della casa, la legna per il
fuoco
scarseggiava e la cisterna per prendere l’acqua era distante.
La famiglia,
tuttavia, non perse tempo a lamentarsi della malasorte. Nel giro di
qualche
mese le donne trovarono un paio di famiglie di commercianti a cui
servivano
delle sarte e delle lavandaie e divisero le loro giornate tra bucato e
cucito;
André trovò lavoro presso il maniscalco,
Gérome aiutava, di volta in volta, il
falegname e il fabbro; Bérnard e Claude entrarono come
apprendisti dal fornaio,
mentre Daniel, Etienne e Geneviève aiutavano i bottegai come
fattorini per le
consegne. Tutti si impegnarono al massimo e riuscirono a migliorare notevolmente la
loro situazione: durante
la stagione estiva misero da parte legna e conserve, verdura sotto sale
e
frutta secca per poter superare al meglio i lunghi e freddi mesi
invernali. A
Ottobre la piccola Anne, la figlia di André,
compì due anni e cominciò a
sgambettare dietro alla cuginetta per tutta la casa e a volerla seguire
ogni
volta che usciva. Geneviève accettava graziosamente la
venerazione di cui era
oggetto e passava molto del suo tempo coccolando la bambinetta e
insegnandole
piccoli giochi e nuove parole. Alla veneranda età di nove
anni quasi compiuti
si sentiva grande abbastanza per insegnare alla piccina tutto
ciò che aveva
appreso dalla nonna e dalla mamma e le donne la osservavano con
indulgenza
mentre spiegava ad Anne di Gesù, dei Catari e di come
diventare Perfetti; dei
fiori, che in città non si vedevano quasi mai, e dei versi
degli animali che
avevano lasciato nella vecchia casa.
Tutti
gli adulti furono molto orgogliosi
di lei quando una Parfait, fermatasi a dividere il pasto con loro, si
complimentò per la vocazione di Geneviève per la
predicazione e l’insegnamento
e per la purezza dello spirito della bambina che brillava come una luce
in quei
tempi bui. La donna li esortò a non interrompere la sua
educazione, anzi a
coltivarla contemporaneamente a quella della cugina per sfruttare al
meglio
l’evidente rapporto speciale tra le loro anime. Dopo di
ciò la nonna prese ad
accompagnare le bimbe fuori dalle mura in ogni giorno di sole
abbastanza caldo
per una passeggiata, portando spesso in braccio Anne fino ad un
boschetto di
pioppi dove la lasciava barcollare dietro a Geneviève per
esplorare alberi,
cespugli e tane di conigli mentre Vivienne ripeteva con la
più grande canti e
preghiere, compresa quella che aveva sussurrato la notte della sua
nascita: “Payre sant, Dieu
dreyturier de bons speritz,
qui hanc no falhist ni mentist ni errest ni duptest per âor
de mort a pendre al
mon de dieu estranh, Car nos no em del mon, nil mon no es de nos, Et
dona nos a
conoysher so due tu connoyshes et amar so que tu amas, Farisens
engenadors, que
estat a la porta del regne, evedaytz aquels qui intrat i voldrian, e
vos autres
no y voletz, Per que prec al Paire sant de bons speritz, que a poder de
salvar
las ammas, et per bos speritz fa granar et florir, en per raso dels bos
dona
vida als mals, e fara mentre que i vaia al mon dels bos, E quan mica
non y aura
dels mieus els menors cels, que son dels set regnes, que avalran de
paradis aus
que Lucifer los ne trasch am semblansa de 'ngan que Dieus no'l premes
sino be,
e per ta;l quar lo diapble era mot fals que 'ls prometia mal e be, E
dys que
dar lor molers que amarian trop, e dar lor hia senhoria uns sobre
autres, en
que ni auria que syrian reys e comtes e emperadors, et am hun ausel que
n'prendrian autre, et am huna bestia autra; Totas las gens que serian
sotzmesas
a els que devalarian deios e que aurian poder de far mal e be ayshi cum
Dieus
desus, e que trop lor valia mai que fossan deios, que poyrian far mal e
be, que
desus on Dieus no lor dava sino be. E ayshi puieron sobre un cel de
vid, e
aytans com mi ni puieron caseron e foro peritz. E Dieus devalec del cel
ab XII
apostols, e adombrec se en sancta Maria.” (Padre
santo, Dio legittimo degli
spiriti buoni, che non hai mai ingannato né mentito
né errato, né esitato per
paura della morte a discendere nel mondo del Dio straniero -
perché noi non
siamo del mondo né il mondo è nostro - concedi a
noi di conoscere ciò che tu
conosci - e di amare ciò che tu ami. Farisei ingannatori,
che state alla porta
del regno e impedite di entrare a coloro che lo vorrebbero, mentre voi
non
volete!Per questo prego il Padre santo degli spiriti buoni, che ha il
potere di
salvare le anime, e fa germogliare e fiorire per gli spiriti buoni, e
per causa
dei buoni dà vita ai malvagi e lo farà
finché essi vadano nel mondo dei buoni. E
lo farà fino a quando non vi sarà più
nei cieli inferiori, che appartengono ai
sette regni, nessuno dei miei che sono caduti dal paradiso, da dove
Lucifero li
ha tratti con il falso pretesto che Dio non prometteva loro altro che
il bene,
mentre il diavolo nella sua grande falsità prometteva loro
sia il male che il
bene. E disse che avrebbe dato loro donne che avrebbero amato
moltissimo e
avrebbe dato signoria agli uni sugli altri, e che vi sarebbero stati
fra loro
re e conti e imperatori, e che con un uccello ne avrebbero catturato un
altro e
con una bestia un'altra. E disse che tutti coloro che si fossero
sottomessi a
lui sarebbero discesi e avrebbero avuto il potere di fare il male e il
bene
come Dio in alto, e che per loro sarebbe stato molto meglio essere in
basso e
fare il male e il bene che essere in alto dove Dio non dava loro che il
bene. E
così salirono su un cielo di vetro e, appena vi furono
saliti, caddero e furono
perduti. E Dio discese dal cielo con dodici Apostoli e si
adombrò in santa
Maria.)
A
Dicembre scese la neve e i più giovani
furono costretti a restare in casa; la nonna allora, davanti al camino,
spiegò
ai bambini di come il mondo fu creato da Satana per allontanare gli
spiriti dal
Dio buono e dividerli da Lui e di come Lui mandò il suo
Angelo più puro, Gesù,
a prendere l’aspetto di un uomo di carne per insegnare ai
Credenti come lasciar
tornare i loro spiriti a Dio disprezzando i beni materiali e tutto
ciò che
riguardava i loro corpi fisici. Vivienne spiegò anche che
molti rimasero
talmente accecati dal mondo da non riconoscere in Gesù
l’Angelo di Dio e perciò
Lo crocifissero e che, perciò, la croce è un
abominio davanti a Dio e non un
oggetto da adorare. I bambini facevano molte domande su quello che
avevano
sentito dire dai predicatori cristiani e sulle differenze con
ciò che insegnava
loro la nonna perciò i LaTour invitarono alcuni Parfait a
dividere il desco con
loro per spiegare meglio ai piccoli i precetti Catari e il
perché fossero così
differenti da quelli cristiani.
Purtroppo
anche quella tranquilla vita
cittadina era destinata a durare poco: nel Giugno del 1209
arrivò la notizia
dell’ avanzata dell’esercito crociato verso la
Linguadoca e la paura cominciò a
dilagare tra la popolazione di Béziers.
Per
quanto possibile i LaTour cercarono di
far continuare almeno alle bimbe, essendo le più piccole,
una vita serena e
normale perciò Vivienne continuò a recarsi con
loro al bosco dei pioppi e
nascose le sue paure per lasciare ancora qualche settimana di
spensieratezza
alle sue adorate nipotine. Per questo motivo, il giorno in cui
Béziers fu
attaccata, la donna era fuori città con le due piccine.
Sentirono
il clamore delle armi e le urla
da lontano e Vivienne, terrorizzata, ingiunse il silenzio alle bambine
spingendole in una tana di tasso per nascondersi poi lì
vicino, nel folto dei
cespugli. Passarono lì molte ore, piangendo in silenzio e
pregando. Anne si era
addormentata, sfinita, abbracciata alla cugina e Geneviève
cercava di non
muoversi, per non svegliarla, ma anche per non far crollare il loro
nascondiglio. Aveva capito perfettamente che da quella tana dipendeva
la loro
vita e aveva molta paura. Non aveva il coraggio di chiamare la nonna ad
alta
voce e, allo stesso tempo, temeva che le fosse successo qualcosa.
Mentre il
buio si addensava dimostrò di essere impavida, cullando
piano la piccola
affidatale e pregando tra sé per la salvezza della sua
famiglia, senza piangere
per non far rumore. Quando la luce del giorno lambì
l’imboccatura della tana,
le bimbe sentirono l’amata voce della nonna chiamarle per
nome. Vivienne non
provò mai un sollievo così grande come quello che
sentì nel momento in cui le vocine
delle bambine le risposero. Passarono una mattina d’inferno
nascondendosi al
minimo rumore, temendo che i soldati si spingessero fin là.
Nel pomeriggio
sentirono urla improvvise e strazianti alzarsi dalla città e
i rumori dei
combattimenti crescere d’intensità per poi
diminuire di nuovo. Si spinsero al
limitare del bosco, fino a vedere le mura e guardarono con orrore le
case e i
palazzi crollare ad uno ad uno e sentirono i lamenti spegnersi a poco a
poco
finché un agghiacciante silenzio di morte non scese su
tutto. Le lacrime
solcavano i loro visi mentre, nel crepuscolo, guardavano da lontano
l’esercito
crociato abbandonare incolonnato le rovine della bella
Béziers.
Aspettarono
alcuni giorni prima di
arrischiarsi a lasciare il loro rifugio. Nel frattempo Vivienne
insegnò ad Anne
e Geneviève a bere la rugiada che si raccoglieva
nell’incavo delle foglie e a
riconoscere le bacche e i frutti che potevano mangiare da quelli
velenosi. Quando
decise di tornare a Béziers, Vivienne avrebbe voluto andare
sola, ma non ebbe
il coraggio di dividersi dalle nipotine per paura di non ritrovarle
più al suo
ritorno, nonché per il timore di abbandonarle da sole,
qualora le fosse
accaduto qualcosa.
Lo
spettacolo che si presentò loro quando
entrarono in città fu l’ immagine stessa
dell’apocalisse: rovine ovunque, nessun
palazzo sembrava ancora intero, parti di cadaveri spuntavano da sotto
le
macerie e corpi giacevano ammassati in ogni angolo. Sopra a ogni cosa
aleggiava
un terribile odore di sangue ed escrementi che rendeva difficile
persino
respirare.
Le
bambine si stringevano a Vivienne
guardandosi attorno con gli occhi sgranati e la donna le accarezzava
sulla
testa piangendo silenziosamente. La speranza di ritrovare vivi i loro
cari si
affievoliva un passo dopo l’altro. Quasi non riconobbero la
loro casetta per
come era stata ridotta: il tetto era parzialmente crollato, le pareti,
danneggiate, avevano riempito di detriti il pavimento e la porta
giaceva,
sfondata, oltre la soglia. La nonna fece sedere le piccole accanto ai
resti
della finestra ed entrò da sola, con cautela, nella stanza
in penombra. Trovò
per primo il giovane André, stringeva ancora il coltello con
cui aveva cercato
di difendersi e aveva il cranio sfondato. Poco oltre vide parte di un
corpo
emergere da un mucchio di pietre crollate dalla parete, si
chinò in fretta e
cominciò a spostare pezzi di muro fino a liberare, con
orrore il volto di suo
nipote Claude. Le lacrime, ormai, rigavano la polvere sul suo viso e le
annebbiavano la vista quando scovò il genero,
Gérome, trafitto da una lancia
che, trapassandolo da parte a parte, aveva ucciso lui e il figlio
Bérnard
inchiodandoli insieme alla parete in un abbraccio mortale. Vivienne si
sentiva
svenire ma continuò la sua macabra esplorazione fino a
convincersi che le donne
e i suoi nipoti più piccoli non si trovavano in casa. A quel
punto dovette
decidere cosa fare: si trovava in un enorme cimitero, con due bambine
spaventate
e senza viveri né riparo. Si mise a frugare nei resti di
ciò che era stata la
cucina finché riuscì a trovare un otre ancora
sano, un sacchetto di farina e un
barattolo intero di conserva; ringraziò il Signore e si
spostò a cercare
attorno ai resti della scala che aveva condotto nel sottotetto, ora
crollato.
Scoprì una coperta, una veste della piccola Anne, una che
doveva essere appartenuta
a sua figlia e una piccola sacca che conteneva ancora delle pezze di
lana. Mise
nella sacca tutto ciò che aveva racimolato, disse
rapidamente una preghiera per
i suoi cari, così barbaramente uccisi e guadagnò
l’uscita per riunirsi alle
bambine.
Dire
a Geneviève ciò che aveva scoperto fu la cosa
più difficile che avesse mai
fatto. La bambina la fissò senza piangere, poi
annuì, chinò la testa un
momento, quindi si alzò stringendo la mano della piccola
Anne e si incamminò
lungo la strada che portava verso la chiesa della Madeleine.
La
nonna la seguì senza trovare il
coraggio di farle domande. Quando arrivarono in vista della chiesa
Geneviève si
fermò e, in silenzio, consegnò la mano della
cuginetta alla nonna, le fece
cenno di aspettare e proseguì da sola. Non provò
neanche paura, mentre si
inoltrava sul sagrato della chiesa, tanta era la determinazione a
ritrovare sua
madre. Solo lei sapeva ciò che Anne le aveva raccomandato
tante volte, da
quando vivevano in città: “Se ti succedesse
qualcosa o ti perdessi, chiedi come
raggiungere La Madeleine e
rifugiati
in chiesa, ti ritroverò lì.” Il portone
era spalancato e all’interno trovò
mucchi di corpi ammassati davanti all’altare. Riconobbe i
suoi vicini e alcuni
bottegai che conosceva e che sapeva essere cristiani poi, in un angolo
un po’
appartato, riconobbe la veste rossa della madre. Anne giaceva
scompostamente,
squartata da un colpo di spada, stringendo ancora tra le braccia i
corpi senza
vita di Etienne e Daniel. Poco distante trovò la bella
moglie di André, era
semi spogliata, con le vesti strappate e il corpo insanguinato, le
gambe
divaricate e il ventre solcato da una pugnalata. Geneviève
sedette a metà
strada tra le due donne e pregò a lungo, in silenzio, senza
che le lacrime smettessero
mai di solcarle il viso, prima di raccogliere la catenina della madre
da terra
e uscire all’aperto per riunirsi alle uniche sue parenti
ancora in vita.
Rimasero
in città un paio di giorni,
cercando tra le macerie tutto ciò che poteva loro servire
per il viaggio che le
attendeva. Quando si decisero a partire Geneviève non aveva
ancora ripreso a
parlare. Viaggiarono a lungo, portando in braccio a turno la piccola
Anne e
seguendo il fiume fin dove possibile per avere a disposizione
l’acqua
necessaria per bere e lavarsi.
Nei
successivi sette anni viaggiarono quasi
sempre. Si fermavano nei mesi invernali e nei mesi caldi riprendevano a
camminare. Toccarono Puisserguier, Hautpoul e Castres; si fermarono
quasi un
anno a Puylaurens finché, nel 1216, Raimondo VI
cominciò la riconquista della
contea e della città di Tolosa e le tre donne decisero di
trasferirsi là. Anne era
cresciuta molto ed era una bella bambina, bionda come il grano, molto
vivace e sempre
in movimento. Risultava simpatica a tutti procurando loro, spesso, una
buona ospitalità
solo grazie al suo sorriso. Vivienne era più vecchia e lenta
ma preparava
sempre i migliori decotti e rimedi della regione e li vendeva ai
contadini, o
nei mercati dei villaggi dove si fermavano. Geneviève era
divenuta una
splendida fanciulla di sedici anni, i lunghi capelli rossi le
scendevano sulla
schiena fino alla vita come delle fiamme, il nasino
all’insù le dava un’aria
sbarazzina e i grandi occhi verdi, sempre un po’ malinconici,
brillavano di
intelligenza. A Puylaurens aveva avuto numerosi corteggiatori, attratti
dalla
sua pelle candida, dalla figura flessuosa e dalla bocca rosea a forma
di cuore
e tutt’altro che infastiditi dal suo silenzio. La ragazza,
infatti, non aveva
mai ripreso a parlare da quel lontano giorno a Béziers e,
pur avendo un carattere
dolce e gentile, nulla e nessuno riuscivano a rompere il suo mutismo.
Un solo
giorno all’anno la voce della ragazza risuonava tra le pareti
della piccola
casa in un canto mesto e melodioso: il 22 Luglio,
l’anniversario della morte
della sua famiglia. Quando lasciarono Puylaurens ricevettero piccoli
doni da
molti vicini e amici: una veste per Anne, delle piante aromatiche per
Vivienne,
un flauto per Geneviève e delle provviste per il viaggio. I
segni di affetto e
stima che ricevettero furono la dimostrazione visibile di quanto
fossero buone,
oneste ed amabili con tutti.
Arrivarono
a Tolosa nell’autunno del 1217
e trovarono alloggio presso una vedova catara in cambio di aiuto nelle
faccende
domestiche. Vivienne poté così piantare, nel
minuscolo orto, le piante avute in
dono a Puylaurens. Vivevano poveramente ma con dignità, come
avevano sempre
fatto: la nonna iniziò a vendere al mercato i suoi infusi e
ben presto divenne
famosa in tutto il circondario, Anne fece rapidamente amicizia con i
bambini
della zona ed era spesso fuori a giocare o a fare piccole commissioni
per i
vicini, Geneviève, invece, usciva di rado passava le
giornate cucendo, suonando
il flauto e pregando. La nonna si preoccupava molto per lei ma, quando
provava
ad esortarla a frequentare qualcuno della sua età, riceveva
invariabilmente un
cenno di diniego e un sorriso. Purtroppo, poco dopo il loro arrivo, la
città di
Tolosa venne nuovamente presa d’assedio dai crociati.
La
guerra aveva nuovamente raggiunto la
famiglia LaTour.
L’inverno
fu lungo e difficile per gli
assediati: uomini e donne si dividevano i turni di guardia sulle mura e
contemporaneamente facevano il possibile per condurre una vita
pressoché normale.
Le merci cominciarono a scarseggiare, dalle campagne non arrivavano
rifornimenti e fu necessario razionare i viveri dei depositi. Ogni
giorno
Geneviève andava a prendere la loro razione al castello del
conte Raimondo e
passava ore a ascoltare le chiacchiere di nobili e soldati nel cortile
per
apprendere le ultime notizie. Sedeva in un angolo, a volte suonando
piano il
suo flauto, a volte semplicemente ascoltando e divenne una presenza
familiare
per tutti, nessuno si curava troppo di quella giovane
dall’aria modesta e
sempre silenziosa.
Vivienne
si rendeva utile aiutando a curare i feriti che aumentavano a ogni
attacco
soprattutto a causa delle frecce e dei quadrelli di arcieri e
balestrieri
nemici. Anne, dal canto suo, portava messaggi insieme agli altri
bambini, da
una parte all’altra della città. Con
l’arrivo della buona stagione gli attacchi
si intensificarono, gli uomini morti e feriti aumentarono e le donne
iniziarono
a fare dei turni anche alle macchine da getto e alle balestre per
prendere il
posto dei caduti.
Il
24 Maggio 1218 Geneviève compì diciotto
anni.
Passò
la giornata in cima alle mura, da sola, riflettendo e pregando. Poi,
verso
mezzanotte, l’esercito accampato attorno alla
città e i difensori all’interno
sentirono una voce femminile, amplificata dal buio e dal silenzio della
notte:
“Papa
Onorio come puoi definirti un uomo
di Dio? Tu vesti di oro e gemme preziose e siedi nel tuo palazzo
mandando altri
a morire per tuo ordine e a uccidere su tuo comando, ma il sangue dei
morti
ricade su di te! Tu non servi l’Angelo di Dio ma Satana, il
signore di questo
mondo.
Tu
affermi che il sapere è importante e
che per parlare di Dio bisogna essere uomini, saper leggere, sapere a
memoria
le preghiere e le regole decise da te, ma io conosco povere donne
ignoranti che
sanno di Dio molto più dei tuoi preti. Esse lavorano
duramente, pregano, digiunano
e dimostrano a tutti con l’esempio come avvicinare
l’anima al Dio Buono. Tu
invece mangi carne, vivi nel lusso e non hai lavorato un solo giorno in
vita
tua, eppure pretendi di dire a tutti come devono comportarsi, in cosa
devono
credere e come devono vivere e mandi soldati ad uccidere chi non la
pensa come
te.
Usi
la scusa del volere di Dio per
ammassare beni togliendoli agli altri e conquistando terre e
possedimenti
altrui in nome del Signore, mentre in realtà agisci per
conto del signore di questo
mondo, dio della corruzione e del male.
Hai
deciso che il capitano Simon de
Monfort sia il nuovo Conte di Tolosa e hai decretato che il Conte
Raimondo
debba lasciargli la sua casa e le sue terre solamente
perché, secondo te, Simon
è un cristiano migliore. Eppure il Conte Raimondo
è amato da tutti i suoi
sudditi che lo ascoltano e lo rispettano, è un buon capo per
tutti, siano essi
cattolici o catari. Nelle sue terre si viveva in pace finché
tu non hai deciso
il contrario.
A
causa del tuo predecessore Innocenzo, la
mia famiglia è stata uccisa e ora, a causa tua, molti altri
sono morti. Papa
Onorio tu veneri la croce, uno strumento di morte e umiliazione,
affermando che
è santa e benedetta perché ha ucciso
Gesù. Io dico che Satana parla attraverso
la tua bocca! Perché voi soldati accettate di uccidere gente
innocente solo
perché non prega come voi o perché non venera i
vostri santi? Molti di voi
hanno vissuto insieme ai boni homini, hanno coltivato la terra coi
nostri
uomini e le vostre mogli e madri hanno preso l’acqua al pozzo
con le nostre
donne. Per quale motivo ora ci odiate? Solo perché il vostro
papa dice che dovete
farlo? E’ terribile il controllo che egli ha su di voi! Io
non posso impedirti,
papa, di odiare quelli come me, né posso impedire che tu ci
faccia uccidere dai
tuoi uomini, ma io ti dico, papa Onorio, che sarai maledetto sette
volte per
ogni anima pura uccisa in questa guerra e sette volte sarai maledetto
per ogni
uomo, donna e bambino senza colpa morto a causa del tuo odio!”
Quando
Geneviève smise di parlare un canto
si levò dalle mura della città: erano le donne di
Tolosa che ringraziavano il
Signore per il suo amore e pregavano per la vita dei loro cari.
La
ragazza si riscosse dall’immobilità e
sgattaiolò in strada senza farsi notare
da nessuno.
Nei
giorni successivi tutta la città si interrogò
sull’identità di quella voce ma
nessuno seppe risolverne il mistero finché, col passare del
tempo, si creò la
leggenda di un angelo che tuonava nella notte, contro il papa, dalle
mura di
Tolosa.
Un
mese dopo, il 25 di Giugno, Geneviève
era di turno sulle mura, accanto ad una macchina da getto e ad un
mucchio di
pietre quando ci fu l’ennesimo attacco degli assedianti.
Salve
di frecce sorvolarono le mura
provocando nuovi lamenti laddove andarono a segno e scale in legno
vennero
posizionate per far salire gli assalitori. Le donne cominciarono a
lanciare
pietre con le macchine e a lasciarle cadere, a mano, sui soldati
intenti alla
scalata.
Geneviève
prendeva i massi più grandi che
riusciva a sollevare e cercava di mirare con precisione, sbirciando tra
i
merli, prima di tirarli. Riuscì a far cadere
un’intera fila di soldati da una
scala colpendo quello più in alto sulla testa. Poi vide un
vuoto tra i
difensori là dove le donne che manovravano una macchina
giacevano trafitte da
frecce e si spostò in quella posizione. Caricò il
mangano e lo azionò. Pochi
istanti dopo sentì salire delle urla dai nemici e si
affacciò a guardare: un
cavaliere con insegne nobili giaceva con il cranio sfondato dalla sua
pietra.
Ci mise alcuni minuti a capire come, il gran trambusto, fosse dovuto
all’identità del morto: i colori erano quelli del
Conte Simon de Monfort.
L’attacco
dei crociati si interruppe dopo
poco e le voci dei difensori si alzarono trionfanti.
Quando
lasciò le mura, Geneviève scoprì,
affranta, che una freccia aveva centrato e ucciso la vecchia Vivienne.
Il
dolore che la assalì fu talmente forte da farle pensare che
le si fosse
spezzato il cuore. Nei giorni seguenti si occupò dei riti
necessari allo
spirito di sua nonna e si assicurò che, se fosse accaduto
qualcosa anche a lei,
sua cugina Anne avesse un posto dove vivere. Parlò con i
Parfaits e confessò
l’omicidio commesso quindi chiese di ricevere il
Consolamentum, cioè il
Battesimo cataro. Le furono imposte le mani e venne purificata dal male
commesso. Dopo la conclusione del rito si chiuse in casa scegliendo
ciò che i
catari chiamano endura ossia un
digiuno consistente nell'astinenza totale dal cibo e dall'acqua, una
forma estrema
di negazione di sé e di separazione dal mondo materiale
portata fino alla
morte.
Col
passare dei giorni, più il suo corpo
si indeboliva, più il suo spirito divenne lieto. Credeva
fermamente che,
l’estremo sacrificio, avrebbe riunito la sua anima al Dio del
bene.
Dopo
una settimana non riuscì più a
alzarsi dal suo giaciglio, più volte al giorno gente della
sua fede andava a
visitarla, portando anche i bambini, affinché mostrasse loro
l’esempio del suo
essere diventata Perfetta.
Geneviève
LaTour si spense a diciotto
anni, con animo sereno, il 15 di Luglio dell’anno del Signore
1218 e riunendo
il suo spirito con quello del Dio del bene e della sua amata famiglia.
La
sua
storia si diffuse e continuò a lungo a essere raccontata
acquisendo, quasi, il sapore
di una leggenda, creata per insegnare ai giovani e per esaltare le
migliori qualità
dell’essere “Bons Hommes”.
Nota:
La preghiera in lingua occitana, la sua traduzione e i termini in
corsivo
relativi alla religione catara non sono una mia creazione ma sono
realmente
esistenti.