FRATELLI
-Jimmy!!
Jimmy…Jimmy!!!Avanti scendi dal letto!!-
Una
voce infantile, che proveniva da una regione remota del suo passato. Una voce
quasi dimenticata.
-Jimmy
Jimmy eddai, muoviti!!-
Qualcuno
lo stava scuotendo delicatamente.
Wilson
aprì gli occhi e si tirò su di scatto.
Che
ora poteva essere?Cercò di abituare gli occhi all’oscurità circostante.
Per
un momento gli era sembrato di essere tornato nella sua vecchia casa, nella sua
vecchia stanza.
-Ti
stavi agitando nel sonno- sussurrò una voce femminile al suo fianco.
-Ah!Scusa…-
esclamò automaticamente. Ma chi c’era vicino a lui? Wilson si grattò la testa
tentando di raccapezzarsi un po’, ma era tutto così confuso…
- E’buffo
sai...- aggiunse dopo un po’ - per un attimo mi è sembrato di essere tornato ai
tempi del liceo, quando mio fratello veniva a svegliarmi-. Tacque stupito anche
lui per quell’uscita. Non parlava mai di suo…
-Non
mi avevi detto di avere un fratello- buttò lì
la donna
-Appunto,
avevo- rispose lui educatamente.
Cadde
un silenzio imbarazzato.
-Senti…
-
-Scusa,
io non…-fece Wilson quasi contemporaneamente. Non voleva metterla in imbarazzo,
né costringerla ad ascoltare qualcosa che non voleva, tuttavia,
inspiegabilmente, cominciò a raccontare.
-Era
più piccolo di me, lui bè…- Wilson fece una pausa per raccogliere i pensieri-
era il cocco della casa, nato dal secondo matrimonio di mio padre, quando lui
ormai era già in età avanzata…per questo… forse l’abbiamo sempre viziato
troppo- Si passò una mano sulla fronte e proseguì- Sai, non si dovrebbero dire
queste cose dei propri famigliari, ma lui, Steve, era era così...a volte era
così dannatamente cocciuto.-
-Mi
ricorda qualcuno- sussurrò la donna accendendosi una sigaretta.
-Cominciò
ad avere problemi quando era ancora un ragazzino- riprese Wilson senza curarsi
del suo commento –all’inizio sembravano solo disturbi legati all’adolescenza,
era sempre stato un po’ ribelle, un po’ introverso…io…noi, se avessimo capito
subito… - si morse un labbro, ritornando col pensiero a quei giorni.
Rumori
di passi concitati, sulle scale di una lussuosa casa con giardino.
-Non
ti lascerò il gusto di cacciarmi via, me ne andrò io prima!!-La voce squillante
di un ragazzo che rimbalzava sulle mura di una casa arredata con gusto.
Wilson,
una quindicina di anni prima, intento a
fare le valigie, piegando con cura gli abiti.
Una
porta che si apriva e una che sbatteva, poi…
-Digli
qualcosa per piacere- la voce lamentosa della sua matrigna che lo supplicava di
andare da suo fratello, di parlargli e mettere le pezze su quello che era il
loro primo litigio della giornata.
E Wilson
acconsentiva con un sorriso. Lo faceva sempre del resto. Suo padre era spesso
assente per lavoro e toccava a lui tenere le redini di quello che andava
diventando un bellissimo puzzle in frantumi.
-Jimmy,
io non ce la faccio più- continuava a ripetere la donna che il padre si era
scelto come compagna della sua vecchiaia. Era sul punto di scoppiare in
lacrime.
Wilson
la tranquillizzò- Ora vai giù e aspetta-
E
lei, fazzoletto alla mano, annuiva e seguiva i suoi consigli.
Sempre.
Wilson
attese di udire il fischio della caffettiera sul fornello, poi bussò
delicatamente alla porta.
Toc
toc, una, due volte, piano, come se maneggiasse un ordigno esplosivo.
La
porta di aprì e una testa riccioluta spuntò fuori- E’ andata via?-
Wilson
annuì.
-Allora
posso uscire?-
Wilson
annuì di nuovo.
Il
ragazzo, sui quattordici anni, colse l’occasione per trasferirsi nella camera
del fratello e accomodarsi sul letto.
-Senti
Steve- cominciò Wilson. In realtà odiava quel ruolo, odiava essere lui l’uomo
delle prediche.
Per
tutta risposta il ragazzo si distese sul letto aprendo un giornale.
-Steve…-
-Allora
sei proprio in partenza eh?-
Wilson
annuì.- ma non è della mia partenza che…-
-Non
andare!-così, detto tutto d’un fiato.
Wilson
fu preso in contropiede, come al solito. Che diavolo c’entrava questo?
-
Ok ho detto una stupidaggine!-
Era
sempre così quel suo strano fratello, prima gettava il sasso e poi era
abilissimo a ritirare la mano.
-Lo
sai benissimo che inizio l’internato tra un mese-cominciò Wilson con calma. Ne
avevano parlato a lungo, cioè lui ne aveva parlato a lungo, ora si chiedeva se
qualcuno in quella casa avesse ascoltato anche solo un briciolo di quello che
andava dicendo da mesi.
-Ho
detto che non fa niente!- gridò Steve tagliente. E poi c’era anche questo, se
la prendeva per un nonnulla.
-Ma
se hai appena…-
-Se
vuoi andartene allora vai!!Chi ti trattiene??-
Wilson
incrociò le braccia sul petto-e questi cosa sarebbero?-
-Tò
i Giants stanno per vincere il campionato!-buttò lì Steve sfogliando la sua
rivista con noncuranza.
-Non
stavamo parlando dei Giants!- gli fece eco il fratello maggiore cercando di
mantenere la calma- devi avere ancora un po’ di pazienza, tra poco potrai
andartene anche tu come io sono andato al college e…- si interruppe
bruscamente. Ma cosa stava dicendo? Stava forse obliquamente ammettendo che
loro, lì, nella loro perfetta casa, nel loro lindo quartiere avevano un
problema?
-Dimmi
Jimmy bello, tu fai sempre la cosa giusta vero?Andare al college, laurearti in
medicina…-
-Cosa
vorresti…-non terminò la frase.
-Io
non sarò mai come vogliono loro hai capito??!Mai!!mai!!-
-va
bene va ben…-Wilson tentò di calmarlo, mentre dal piano di sotto giungeva il
tonfo di piatti e bicchieri.
-E
lasciami Jimmy!!- senza volerlo l’aveva afferrato per un braccio-Non sei mio
padre, cosa che tendi a dimenticare. Il nostro caro paparino, il vecchio
gaudente che si scop..-
Partì
senza preavviso ed entrambi rimasero a guardarsi allibiti.
-scusa,
non volevo…-mormorò Wilson
Steve
si massaggiò una guancia dolorante.- Ti odio!!Vi odio. Vattene!!non ho bisogno
di te!!Non ho bisogno di te!!-
La
porta si richiuse sbattendo con uno scatto secco.
Non
cambiò nulla- aggiunse Wilson dopo una breve pausa- Non ho bisogno di nessuno
disse, già…non aveva bisogno di nessuno quando cominciò a fare uso di acidi, né quando passò a…-la sua
voce tremò e si spense, per poi riaccendersi un secondo dopo -non ho bisogno di
nessuno continuava a ripetere quando andavamo a trovarlo…-
-Wilson
non devi andare avanti se non…- sussurrò la donna posandogli una mano sul
braccio.
Ma
ormai era lanciato. Era come se, una volta per tutte stesse cercando di
espellere quello che si teneva dentro da anni- e poi vennero le cliniche, i
ricoveri e…loro..oh- si passò una mano tra i capelli, nervoso-loro...oh loro…-sai,
sono almeno dieci anni che non lo vedo. Un giorno l’ha fatto davvero: è’
sparito e …loro sono andati in pezzi. Letteralmente…in pezzi-. Wilson chiuse
gli occhi. Le urla, le accuse, i pianti, ora era tutto finito, fino a quando
almeno, e lui sapeva che prima o poi
sarebbe successo, il telefono avrebbe squillato di nuovo, per l’ultima volta,
cambiando le loro vite per sempre.
-In
pezzi sai, come un vetro..paff-e fece un gesto molto significativo con le mani.
-E
tu?- domandò lei dopo un tempo così
lungo da fargli credere che si fosse addormentata.
-Io
cosa?-
-Tu
intendo...tu …non sei andato in pezzi.-
-No-
sussurrò Wilson. Ci doveva essere qualcuno che portasse i remi in porto, un
punto saldo, altrimenti…-
Tornò
a guardare i raggi di luce che pian
piano avevano la meglio sull’oscurità che avvolgeva la stanza.- per questo
forse…-azzardò dopo un po’- per questo forse faccio questo lavoro: James
Wilson, primario di oncologia! Suona rassicurante vero?E’ come avere tutto
sotto controllo…- Gli sfuggì una risata amara.
-Wilson…-
-Non
dire niente va bene?-esclamò dandole le spalle-non dire niente. Va bene anche
così- si tirò le coperte sulle spalle, aveva freddo.
-in
realtà, sto solo aspettando quella telefonata.-mormorò girandosi tra le coltri.
Sapeva di avere un appuntamento importante, ma non si ricordava più con chi.
Avrebbe
dovuto uscire dal letto, vestirsi, prepararsi, ma qualcosa lo tratteneva ancora
lì.
-Anche
House è così vero?-
-Cosa?-
Wilson sussultò. Si era quasi dimenticato che lei era lì.- così come?-Non
capiva.
-Sì,
anche lui non ha bisogno di nessuno vero?-suggerì la donna.
Wilson
si concesse un sorriso mesto e scosse la testa –l’ultima volta che ho visto
Steve stava entrando in un centro…non l’ho nemmeno salutato…ero così arrabbiato
con lui…ero…ero così stupido, ma perchè? Perché non faccio mai la cosa
giusta??!- chiuse gli occhi-lui non accetterà il mio aiuto-esclamò infine.
-Chi?-domandò
la donna puntellandosi a un gomito.
Per
tutta risposta Wilson ripetè-…lui non capirà, lui non capirà, non accetterà…-
-Wilson…-
E
d’improvviso si ricordò: era il giorno dell’udienza.
Balzò
giù dal letto, vestendosi in un baleno.
Aveva
già una mano sulla maniglia della porta quando, dal fondo della camera, udì qualcuno
che domandava -E adesso dove vai?-
Wilson
si voltò con quel sorriso triste che era una delle sue caratteristiche-Vado a
vedere il mio migliore amico finire in prigione-.
fine