La Volubilità del Fato
Ogni
bel sogno ha il suo risvolto negativo, come il momento in cui
svanisce e soccombe alla realtà.
Loki
si destò piegando le sottili labbra in una smorfia dolorosa.
Sentiva
le lacrime incalzare dietro le palpebre chiuse, avvertiva la fronte e
le tempie bagnate, rivoli ghiacciati gli colavano tra i capelli e
lungo il collo. Tentò di aprire gli occhi, ma la luce era
troppo
forte, gli provocava immani fitte alla testa, lo accecava. D'istinto,
portò un braccio sopra al viso, cercando di riparare gli
occhi
chiari da quella prepotente luce solare.
«Ti
prego... accosta quella tenda!» Chiese alla cieca, non
sapendo
nemmeno se ci fosse qualcuno ad ascoltarlo. Ma la richiesta venne
prontamente esaudita, e il ragazzo tirò un sospiro di
sollievo che
sfumò troppo facilmente in un singhiozzo. La febbre non gli
si era
ancora abbassata.
«Ora
cerca di stare calmo fratello, non stai per niente bene».
Un
fazzoletto imbevuto d'acqua fredda gli venne applicato sulla fronte,
mentre una mano grande e calda gli accarezzava appena il viso. Dunque
Loki aprì gli occhi, incontrando quelli azzurri di Thor. Era
ancora
nella sua stanza, e il sole era già alto. Il suo primo
impulso fu
quello di alzarsi e tentare di scendere dal letto, ma il dio del
tuono lo bloccò immediatamente, costringendolo a rimanere
sdraiato.
«Lasciami! Devo tornare alle prigioni... non vorrai farmi
ammazzare
vero?»
«Sei
troppo debole! Non posso lasciarti tornare nel freddo e nell'umido di
quella cella, moriresti comunque se la malattia degenerasse».
Loki
tentò comunque di divincolarsi dalla stretta del fratello,
finendo
solo per aumentare esponenzialmente il dolore alla fronte e alle
tempie. Le ossa gli dolevano, faticava a respirare e, come se non
bastasse, un fastidioso martellante fischio gli inquinava i timpani.
Thor aveva ragione, era debole, più debole che mai, anche se
ancora
non si capacitava del motivo di tale peggioramento.
Si
abbandonò esausto sul letto, sconfitto, in preda ai tremori
e ai
brividi.
«E
poi...» continuò Thor, distogliendo lo sguardo dal
fratello e
dandogli le spalle, «non dovresti fare brutti pensieri. Non
fai
altro che aggravare la tua condizione. Dovresti cercare di essere
più
sereno».
Loki
spalancò gli occhi, incredulo.
«E
questi brutti pensieri di cui parli, sarebbero forse i miei sogni su
Sygin?»
«Hai
fatto il suo nome», si difese Thor, alzando appena le spalle,
cercando di scusarsi per la sua impudenza.
«La
tua palese gelosia mi disgusta! I tuoi sono i sentimenti di un
infante!» Lo accusò velenoso Loki, ma fu costretto
a calmarsi
immediatamente, poiché una fitta al petto gli
troncò il respiro in
gola. Allora si lasciò andare sui morbidi cuscini, sotto gli
occhi
compassionevoli del fratellastro. Quella situazione snervante lo
stava uccidendo.
Una
volta sdraiato, riprese fiato e parlò con più
calma, resosi conto
di aver ingiustamente aggredito Thor.
«Tu...
non hai il diritto di intrometterti nei miei sogni».
Thor
alle volte era davvero incomprensibile, benché sembrasse un
ragazzo
dalla gamma di emotività piuttosto semplice. Prima augurava
a Loki
di sognare Sygin, poi ad augurio avverato si rimangiava tutto
perché
tormentato da un assurdo senso di gelosia?
«Cos'è
stato?» Dei passi, fuori dalla stanza, in rapido
avvicinamento.
«Loki,
l'illusione è ancora attiva, vero?»
Il
ragazzo si esibì di nuovo in una delle sue classiche
smorfie. Perché
Thor non allenava anche il cervello di tanto in tanto, oltre ai
muscoli?
«È
possibile che con la febbre alta non sia più riuscito a
controllarla... Inoltre ti ricordo che il mio potenziale magico
è
parecchio indebolito. Sono già stato bravo a mantenerla
mentre
mi...»
«Va
bene, va bene», tagliò corto Thor mentre si alzava
per controllare
la situazione all'esterno, ma non fece nemmeno in tempo a raggiungere
la porta che questa si aprì con irruenza, andando a sbattere
contro
la parete come se un'improvvisa folata di vento fosse entrata nella
stanza.
Purtroppo
però, l'inaspettato visitatore che si stagliò
sulla soglia era ben
più temibile di un innocuo uragano.
Il
ragazzo trattenne a stento un'imprecazione quando si trovò
davanti
il venerabile padre, alto e minaccioso come non lo era mai stato. I
suoi occhi cerulei scintillavano d'ira, incutevano un terrore acerbo
e profondo, esigevano rispetto ed obbedienza assoluti.
Thor
avvertì distintamente la spiacevole sensazione adrenalinica
percuotergli la spina dorsale. Loki, nasconditi sotto al
letto,
smaterializzati, fa' qualcosa!
Come
se il dio degli inganni ne fosse stato in grado nelle sue condizioni
attuali.
«Padre...»
«Padre!»
Gli fece eco Loki, alzandosi allarmato per poi ricadere malamente tra
le coperte, ansante e in preda alle convulsioni e agli spasimi
datigli dalla saliente temperatura corporea. Rivedere l'anziano re
gli aveva suscitato uno strano surrogato di sensazioni, come se per
tutto il tempo si fosse convinto di non essere suo figlio, ma poi,
dinnanzi alla sua figura, non riuscisse a convincersene davvero.
«Thor,
mi hai disubbidito». Odino era stato un padre di buon cuore,
sapeva
dedicare le attenzioni necessarie ai propri figli, o quantomeno a
Thor, poche volte aveva perso le staffe e, quando le perdeva, era
sempre per un buon motivo. Ora la sua pericolosità era tale
che il
dio del tuono ritenne opportuno arretrare di qualche passo al suo
cospetto.
«No
padre, ascoltami... Mio fratello è gravemente malato, per
questo
l'ho portato qua, sarebbe morto in quella cella...!»
«Taci!
La tua disobbedienza va molto oltre». Odino pareva stremato
dal peso
di un dolore troppo grande. Sapeva che, come re, c'era solo un
compito al quale avrebbe dovuto adempiere, ma prenderne
consapevolezza gli straziava il cuore. Preferiva mantenere il
distacco con il proprio figlio adottivo, non voleva neppure guardarlo
in faccia, sebbene quella fosse la prima volta che lo vedeva dopo un
anno di lutto. Temeva che, al primo sguardo, tutti gli antichi
sentimenti fossero tornati vividi e dinamici, e gli avrebbero
inevitabilmente impedito di agire. No, non poteva perdere la ragione
e soccombere al sentimento, aveva ben chiaro ciò che era
giusto fare
e ciò che invece era ingiusto, e in quanto sovrano esemplare
di
saggezza avrebbe dovuto perseguire la giustizia ad ogni costo.
«Thor,
non avrei mai creduto che dopo la tua cacciata da Asgard mi avresti
deluso ancora, in modo ancor più oltraggioso! Le antiche
leggi di
Asgard ti vogliono morto, è questo il destino che spetta ai
traditori. E tu ti sei macchiato di alto tradimento, hai compiuto un
delitto orribile e imperdonabile, soprattutto nella tua
posizione».
Le
parole del Padre degli dèi vibrarono nell'aria come
coltellate,
inflitte senza pietà alcuna.
Dunque
era stato scoperto.
Thor
sentì come se il peso di tutte le azioni compiute gli
ricadesse
addosso con più violenza. Aveva perso per sempre la fiducia
del
padre, e peggio dei suoi futuri cittadini. Sentì le lacrime
pizzicargli gli occhi con prepotenza. Doveva dunque aspettarsi una
condanna, oltre all'eterno rimorso psicologico che già
recava
appresso?
Incapace
di sostenere oltre lo sguardo del dio, il ragazzo abbassò la
testa,
lasciando sfuggire una goccia solitaria dalle ciglia. Fu allora che
Odino riprese il suo rimprovero.
«Vergogna,
e tu saresti il futuro re di questa città? Ma a te
penserò più
tardi, ora è bene che qualcun altro paghi,
finalmente».
In
meno di un secondo, sotto lo sguardo incredulo e attonito di Thor, il
padre avanzò verso il letto e direzionò il
potente scettro che
ancora brandiva verso Loki, indifeso, ormai completamente stremato
dalla malattia. Thor realizzò con orrore ciò che
stava accadendo,
ma se ne rese conto troppo tardi.
«No,
NO!» estrasse il pugnale dalla cintola e si frappose tra il
padre,
ormai fuori di sé e intenzionato ad uccidere Loki, e il
fratello.
Nel trambusto che ne seguì, nella confusione di quei pochi
attimi
che si susseguirono troppo velocemente, il pugnale affondò
nel corpo
di Odino, penetrando con fin troppa facilità nella carne del
petto
stanco. Thor se ne accorse soltanto quando vide le sue vesti dorate
macchiarsi di rosso. Sentì la stretta del padre allentarsi,
le sue
gambe cedettero, il colore glaciale degli occhi si imbrunì.
«Thor,
che cosa hai fatto...» sussurrò Loki, ancora in
uno stato di semi
coscienza, assordato dal pulsare del proprio cuore e del proprio
respiro affannoso.
Il
dio del tuono, terrorizzato, fissò il padre che cadeva ai
suoi
piedi, quasi domandasse pietà.
Ma
ormai il suo destino si era compiuto.
«P-padre...
No... Io...»
No.
Non volevo questo. Non doveva andare
così.
Pareva
che una coltre di nebbia si addensasse attorno alla mente del
semidio, il suo autocontrollo andava svanendo, così come la
sua
lucidità. Pian piano, o incredibilmente veloce, Thor veniva
investito dagli eventi. Odino, Padre di tutti gli dei, signore
indiscusso di Asgard, suo nobile genitore, riversava a terra con gli
occhi sbarrati e il respiro troncato. L'arma del delitto, un pugnale
freddo, nero di sangue, era ancora stretto nella mano tremante del
semidio. Presto, l'oggetto scivolò a terra con un sordo
clangore,
attutito un poco dai morbidi tappeti. Le dita tremanti non riuscivano
più a trattenerlo.
Thor
allungò quelle mani incerte verso il corpo del padre,
cercando
disperatamente dei segni di vita, chiamandolo con gemiti strazianti,
incapace di sfogarsi nelle lacrime per il troppo dolore, per
l'assurdità dell'orribile accaduto.
In
un attimo, egli aveva perso tutto. Il padre, la dignità, il
trono,
la vita, l'onore.
Aveva
sacrificato tutto questo per la vita di Loki.
Non
lo accettava, la sua mente non voleva accettarlo. Aveva reagito
d'impulso, perché sapeva di amare Loki più di
tutto ciò che aveva
appena perso. Ma ci sarebbe dovuto essere un altro modo, se solo
avesse ragionato a mente fredda, senza agire d'istinto, avrebbe
trovato un altro modo!
Fuori
di sé, il semidio si lasciò andare in un urlo
straziato, che
finalmente lasciò spazio anche alle lacrime.
Loki
cercò a fatica di alzarsi dal suo giaciglio, ma il dolore
che
provava era lancinante, bastava ad ostacolargli il più
futile
movimento. Anch'egli aveva poca lucidità per rendersi
pienamente
conto di quel ch'era successo. Sapeva con certezza che per un attimo
aveva rischiato di morire, ma che Thor aveva deciso di salvarlo.
«Thor...
Smettila di urlare, ti prego...» Ogni suo grido era una
tortura per
Loki, i suoni gli si infilavano a forza nei timpani, gli penetravano
con prepotenza nella testa e lì rimanevano, ronzanti e
amplificati.
Contrasse il viso in una smorfia di dolore, e si portò due
mani alle
orecchie.
Nel
frattempo, nella stanza fece irruzione un gruppo di guardie
asgardiane, allarmate dai lamenti di Thor. Alla loro vista il
ragazzo, ancora riverso sul corpo esanime del padre, perse del tutto
ogni lume rimastogli. Si alzò deciso in piedi e
gettò addosso a
Loki, ancora frastornato, sofferente, e soprattutto inconsapevole di
ciò che stava accadendo, il pugnale incriminato.
Il
ragazzo rivolse uno sguardo smarrito al fratellastro, non capendo il
perché di quel gesto. Le guardie intanto, alla vista del
corpo
dell'anziano padre chiaramente privo di vita, si erano arrestate
sulla soglia della camera, atterrite. Seguirono pochi attimi di
smarrimento, una sensazione che si dileguò ben presto quando
esse
videro Loki accasciato tra le coperte del letto e, soprattutto,
libero dalla sua prigionia. Credettero quindi di aver compreso
all'istante ogni cosa, e il loro sospetto trovò credito
nelle
deliranti parole del nobile asgardiano.
Thor
si alzò deciso in piedi, i pugni serrati e i denti
digrignati. Una
rabbia e una frustrazione cieche lo invadevano. Puntò un
dito contro
il fratellastro, ancora seminudo e tremante tra le pesanti coperte,
quasi incosciente a causa della febbre molto alta.
«Arrestate
immediatamente questo infido traditore!»
«C-cosa?»
Tentò di dire il dio degli inganni, ma solo un
impercettibile filo
di voce riuscì ad uscire dalla sua bocca. All'istante venne
bloccato
da un paio di militanti, che senza alcun riguardo gli legarono le
mani dietro la schiena. Loki si guardò intorno smarrito,
cercò di
divincolarsi, senza alcun risultato. Poi, la realtà dei
fatti lo
sommerse come un cruento maremoto. In quell'istante si rese conto di
essere stato incolpato dell'assassinio del padre.
Ecco
la soluzione per Thor, era ovvio che nessuno avrebbe avuto dubbi su
chi addossare la colpa di un tale gesto.
Loki,
lo Jotun adottato che si è vendicato della morte del figlio,
e della
menzogna in cui è vissuto. Non faceva una piega.
Così
Thor avrebbe avuto salva la vita, il trono, l'onore. Del resto, una
coscienza non gli occorreva per governare.
«Fratello,
fratello!» Un grido di pietà. Era tanto che Thor
non sentiva quella
parola uscire dalla bocca del ragazzo. Aveva deciso di giocare la sua
ultima carta?
Anche
se non siamo fratelli di sangue, siamo stati allevati insieme,
abbiamo giocato insieme, abbiamo combattuto insieme.
Come
puoi farmi questo?
Ma
il dio del tuono si rifiutò di incrociare gli occhi
imploranti di
Loki, mentre gli addossava quest'orribile colpa che non aveva
commesso, e che mai sarebbe stato in grado di commettere.
Ecco
in un attimo di follia frantumato il legame di una vita. Ma era
l'unica via di salvezza per Thor, e in quella pazzia momentanea in
cui si era visto scivolare ogni cosa dalle dita aveva deciso di
percorrerla.
«Portatelo
via, egli ha assassinato mio padre».
*
Le
guardie lo scaraventarono con violenza sul pavimento della sua cella.
Ormai
il dio degli inganni era finito. Stremato da una sconosciuta
malattia, privato dei suoi poteri, distrutto psicologicamente.
Sconfitto sotto ogni punto di vista.
Riverso
sul freddo piastrellato di metallo, incapace di muoversi, il ragazzo
incassò le prime angherie da parte dei suoi carcerieri.
«Sappi
che quella faccenda del bambino verrà affossata, e tu avrai
finalmente la punizione che meritavi fin dall'inizio». Detto
questo,
l'uomo sferrò un paio di calci al corpo indebolito del dio,
imitato
subito dopo dal suo compagno.
«Oh,
ma non una semplice condanna a morte, se è questo che
speravi».
Loki
fremette dietro le palpebre chiuse, stando ben attento a non lasciar
traboccare nemmeno una lacrima dagli occhi. La paura cominciava ad
invaderlo. Immaginava a quale destino stesse andando incontro, giorni
e giorni di torture ideate dai peggiori sadici di Asgard.
Sempre
se non fosse morto prima, dato che la febbre non accennava ad
abbassarsi, e l'umidità e il freddo di quella prigione non
erano
condizioni favorevoli per una possibile guarigione.
«Attendici
prima di domani mattina, sporco Jotun».
Le
due guardie si chiusero alle spalle le doppie porte di sicurezza,
sghignazzando grettamente.
Prima
di domani mattina... poteva immaginare le loro intenzioni.
Loki
cercò di non sprofondare totalmente nello sconforto. Si
arrampicò
con immensa fatica fino a raggiungere un recipiente colmo d'acqua
poggiato su una sedia. Era imbarazzante ed indegno bere a quel modo
senza ricorrere all'aiuto delle mani, come fosse un animale, ma
dell'orgoglio se ne faceva ben poco, arrivato a quel punto. Dopo che
ebbe soddisfatto la sua prima necessità, i dolorosi eventi
appena
trascorsi reclamarono all'istante la sua attenzione.
Thor,
non avrebbe mai dovuto fidarsi di lui, non avrebbe mai dovuto
addolcirsi e cedere ai vecchi sentimenti solo perché il
fratellastro
aveva salvato la vita di Liar.
Si
sforzò di pensare al figlio, e pregò che la furia
di Asgard non
arrivasse fino a lui.
Poi
gli si affacciò alla mente il dolce volto di Sygin,
ricordò le
immagini del sogno, e non fu in grado di trattenere oltre le lacrime.
Era un debole.
Si
impose di cessare immediatamente il suo vergognoso pianto e si
rannicchiò contro la parete.
Il
laccio che gli costringeva le mani era stato annodato in fretta e
furia, non era ben stretto, poteva liberarsene. Dopo vari tentativi
riuscì a sfilare le mani dalla morsa, e su entrambi i polsi
si
delinearono due pulsanti solchi rossi, causati dalla frizione.
L'acqua gli aveva attenuato il bruciore alla gola e in qualche modo
l'aveva rinvigorito; tuttavia, avvertiva una strana sensazione
all'altezza dello stomaco. Erano giorni che ci pensava, e ogni
momento che passava i suoi dubbi si rafforzavano sempre più.
Si
toccò cauto il ventre, sentendolo freddo ma gonfio.
Per
trovare un'ulteriore conferma ai suoi sospetti, portò una
mano sopra
la pancia, ma senza toccarla. Chiuse gli occhi, cercando di
concentrarsi e raccogliere quanta più energia possibile. Il
suo
potenziale magico era flebile, tuttavia ne aveva a sufficienza
perché
potesse tentare una piccola maledizione su di sé, a quella
distanza
e senza trovarsi nella foga di un combattimento.
Sussurrò
poche parole, formule antiche imparate a memoria e apprese durante la
prima gioventù, una frase apparentemente priva di senso, in
lingua
arcaica, che evocava una leggera fattura.
Un'aura
nera e fumosa scaturì dalle sue dita aperte e s'imprimette
sulla
pelle scoperta del suo ventre. Per un attimo parve che le rune della
formula si disegnassero sulla cute pallida, rendendo così
attivo il
sortilegio. Ma poi, il fumo scuro di dissolse, venne inspiegabilmente
respinto e si dileguò nell'aria.
Loki
sussultò, i suoi occhi verdi si dilatarono per la sorpresa,
e per il
momento di panico che lo invase. Una protezione. Il suo corpo l'aveva
eretta automaticamente, e il mago ben sapeva in che occasioni
accadeva una cosa del genere.
Senza
che se ne rendesse conto, il suo corpo prese per un momento le
sembianze femminili. I pantaloni, se prima gli erano stretti, ora
diventarono leggermente larghi e non fasciavano più a dovere
le sue
gambe snelle. I capelli gli ricaddero lunghi e setosi sulle spalle e
oltre, gli coprirono i morbidi seni che ora facevano parte di un
torace non più dritto e secco, ma morbido e rientrante.
Loki
gemette, avvertendo un dolore travolgente avvolgerlo. Non doveva
restare in quella forma, se avesse ricevuto la visita dei suoi
aguzzini, per lui sarebbe stata la fine.
Ma
la trasmutazione durò solo qualche istante per via del
bassissimo
potenziale magico che il ragazzo possedeva, e Loki si
ritrovò ben
presto nelle sue consuete sembianze maschili.
Stremato
e frastornato dalla furia degli eventi, si raccolse contro il muro e
tentò di riflettere a mente lucida. Stava assistendo alla
manifestazione dei suoi peggiori incubi.
*
«...E
così, il valoroso esercito dell'antica loggia di Ásaheimr
rigettò nell'abisso i malvagi e mostruosi demoni delle lande
ghiacciate, riportando il cosmo intero a una lunga e serena pace».
Loki
terminò così le pagine del libro che, dopo lunghe
notti insonni,
aveva interamente narrato al fratello maggiore. Il bambino
osservò
per un attimo l'illustrazione finale, un corpulento combattente
rivestito dell'oro di Asgard che massacrava un essere dalle parvenze
demoniache: occhi rossi come il sangue, pelle bluastra solcata da
strane incisioni, l'esatta antitesi di un asgardiano giusto e saggio.
Non era particolarmente difficoltoso distinguere il buono dal
cattivo, in quel disegno.
«Cosa
c'è fratello?»
Loki
chiuse allora il piccolo volume rilegato in pelle, lo
appoggiò sul
comodino e si rigirò tra le pesanti coperte, sistemandosi
meglio al
fianco di Thor. Entrambi si misero, capo contro capo, ad ammirare il
cielo notturno che li sovrastava, attraverso un'ampia vetrata che
squarciava il soffitto.
«Niente,
questa era una delle mie storie preferite. Ma mi domando, questi
Giganti di ghiaccio paiono davvero i fautori di ogni male che
affligge l'universo».
«Perché
lo sono!» Intervenne Thor con entusiasmo. «Sono dei
veri mostri,
sono meschini e pericolosi, e andrebbero sconfitti una volta per
tutte. Ma puoi dormire tranquillo fratellino, qui non arriveranno
mai. E nel caso arrivassero, ci penserò io a
proteggerti!»
Loki
non riuscì a trattenere un sorrisetto di fronte
all'eccessivo
spirito protettivo del fratello. D'altronde non poteva nemmeno negare
che egli lo rassicurava, anche se avrebbe potuto ben poco contro uno
Jotun. Rabbrividì al solo pensiero che uno di essi potesse
eludere
la sorveglianza di Heimdall, entrare nella loro camera e vendicarsi
di tutte le angherie subite dalla loro stirpe.
«Spegni
la luce, Loki. Lo sai che nostra madre non vuole che dormiamo
insieme».
«Già»,
rispose con un sospirone il bimbo, gonfiando le guance e soffiando
sul lume che baluginava sul comodino. «Mi chiedo
perché. A volte
sembra quasi che vogliano tenermi lontano da te».
Thor
si corrucciò a quelle parole, si alzò confuso a
mezzo busto per
guardare meglio in viso il fratello, anche se nel buio faticava a
distinguerne l'espressione.
«Non
dire così Loki, perché mai dovrebbero volere una
cosa simile?»
Chiese turbato.
«Non
lo so il perché, è questo il punto».
«Stai
pensando male, come al tuo solito. Come sei malizioso,
fratello!» Lo
accusò Thor, scuotendo la testa e adagiandosi nuovamente tra
i
soffici guanciali di seta. Trascorsero alcuni imbarazzanti attimi di
vibrante silenzio. Loki si dispiacque all'istante delle sue parole
vedendo Thor così irato, quasi offeso. Perché
tutte le volte che
provava a comunicare il suo disagio, finiva sempre così?
Sentì le
guance avvampare, quando sussurrò un sommesso
«scusa», guardandolo
timido.
A
questo punto, Thor avrebbe dovuto cambiare espressione, mutare il
broncio in un sorriso raggiante, abbracciarlo e rassicurarlo che no,
non importa, come faceva di solito.
Invece
stavolta andò diversamente.
Il principino biondo
si voltò di spalle, sbuffando e coprendosi meglio col
lenzuolo. «No,
non ti perdono Loki. Tutte le volte è sempre la stessa
storia, non
cambi mai».
A
quelle dure parole, Loki sentì un fastidioso nodo bloccargli
la
gola, e un pizzicore amaro pungergli il cuore.
Forse
è sempre la stessa storia perché non mi hai mai
ascoltato...
«No
fratello non fare così, mi dispiace per quello che ho
detto...»
Gli
toccò la spalla nel tentativo di farlo voltare, ma venne
respinto
con sgarbo.
«Questa
non è camera tua, o sbaglio?» Disse solo Thor, con
un chiaro invito
ad andarsene.
Già,
quella non era la sua camera. Lui non aveva quell'immensa finestra
sul soffitto che permetteva la vista di una buona porzione di cielo,
anche se l'avrebbe sempre desiderata. Un balcone su un mondo
sterminato, un'apparente via d'uscita da quella gabbia d'oro che era
Asgard. A volte si sentiva talmente diverso e deriso che voleva
scappare, evadere, come se fosse estraneo al mondo cui apparteneva,
al mondo in cui era cresciuto.
Loki
abbassò la testa, triste. Era riuscito a rovinare quella
serata iniziata così serenamente.
Cercando
di essere il più silenzioso possibile sgusciò
fuori dalle coperte
del letto, recuperò il libro dal comodino e lo strinse
gelosamente
al petto, come fosse un'ancora di salvataggio in quell'improvviso
mare di malinconia che l'aveva investito.
Thor
non gli rivolse una parola di più e lo lasciò
andare. Era ovvio che
non avrebbe voluto scacciarlo a quel modo.
Il
bambino chiuse cauto la porta, cercando di non far rumore. Silenzioso
come un fantasma, salì lesto fin sul terrazzo, sotto il
porticato
in pietra antecedente al loro pittoresco giardino privato. Si sedette
a ridosso di una colonna e aprì il libro sulle ginocchia. Un
po'
leggeva, un po' guardava la sterminata volta celeste, brillante di
stelle e pianeti. Le costellazioni erano tutte quante visibili, non
una nuvola annebbiava il cielo. Le nebulose, rosse e verdi,
vorticavano placide, le stelle pulsavano come se stessero
singhiozzando.
Aprì
a caso una pagina del libro Le Imprese di Firij, e
si soffermò
su una curiosa illustrazione: una figura femminile dal doppio
aspetto, una metà del viso presentava il candore e la
fierezza
tipici delle leggendarie fate di Ásaheimr, l'altra
metà invece era
orrenda e deforme, la pelle era bluastra, gli occhi colorati di un
inquietante rosso, le dita affusolate avvolte da crisalidi di
ghiaccio.
Incuriosito,
il bambino iniziò a leggere un paragrafo a caso del capitolo
a
fianco:
I
barbari Giganti di ghiaccio rapirono la leggiadra principessa
Vår,
un tempo nobile e raffinata dama di Asgard. La traviarono con le loro
leggende e i loro costumi rozzi e animali, e quand'ella fece ritorno
alle mura della Città Eterna, nessuno la riconobbe. Il suo
sposo la
rinnegò, accusandola di essersi unita con un mostro Jotun,
il padre
e la madre la rinnegarono, non ritrovando più in ella i
sacri valori
che le avevano impartito, Asgard la rinnegò, vedendo nella
sua
deviazione un'alleanza con il nemico. Vår, disperata,
optò per il
suicidio, ma la sua morte non scosse più di tanto gli animi
dei
suoi cari, giacché essi la piangevano già dal
tempo del suo
ritorno...
Loki
non riuscì a terminare il capoverso che le lacrime gli
sopraggiunsero agli occhi, e via via si accavallarono sempre
più
numerose, così che non riuscì a trattenerle e
sfogò tutte quante
le batoste prese quel giorno in un colpo solo, in un pianto fatto di
singhiozzi silenziosi. Lasciò cadere il volume tra l'erba
molle e
nascose il viso tra le braccia, raccogliendosi più stretto
attorno
alle ginocchia.
Non
sapeva perché, ma quelle storie avevano il potere di
gettarlo nello
sconforto e nella malinconia. Forse perché non riusciva a
sentirsi
del tutto dalla parte degli asgardiani, forse perché una
parte di
lui si identificava con il diverso.
Il
vento era freddo e ostile, e lui si sentiva più solo che
mai, in
quella roccaforte regale che pareva tanto calda ed accogliente, ma
che in realtà sapeva diventare gelida e minacciosa. Si
sentiva solo,
più solo che mai...
«Loki...»
Allarmato,
il bimbo alzò la testa dalle braccia, ma non fece in tempo a
guardarsi intorno che un pesante mantello rosso gli cadde sulle
spalle e sulla testa. Thor si accovacciò al suo fianco,
volgendo
anch'egli lo sguardo all'immensità del cielo notturno. Loki
lo
guardò confuso, non curandosi di nascondere le lacrime che
ancora
gli rigavano le guance.
«Sei
proprio un piagnucolone».
Thor
sorrideva ma non lo guardava in faccia, conscio del fatto che il
fratello non volesse esser visto con il viso sporco di lacrime. Loki
sorrise rincuorato, come se d'improvviso un'ala fosse calata a
proteggerlo. E si rese conto che, finché avesse avuto il
perdono di
Thor, non sarebbe mai stato solo. E Thor l'avrebbe sempre perdonato, in
questo stava la sua più grande dimostrazione di affetto.
Gli
si sedette più vicino, donandogli un lembo dell'ampio
mantello,
offerta che venne accettata di buon grado. Insieme tornarono a
rimirare la vastità del cielo, immaginandosi storie,
leggende su
lontani mondi, ridendo e scherzando, inventando le più
strampalate
avventure che forse, un giorno, avrebbero vissuto davvero.
Ma
per ora, rimanevano solo fantasie relegate ad un passato remoto.
*
Senza
alcun riguardo, i due uomini lasciarono cadere Loki sul pavimento.
Era talmente stremato da non avere nemmeno la forza di reggersi in
piedi. Gli gettarono addosso una misera coperta e un cambio di
vestiti. I pantaloni che indossava prima erano ormai inservibili,
stracciati e gettati in un angolo, testimoni della violenza appena
consumata.
Ecco
che fine faceva la giustizia di Asgard, si ritrovò a pensare
amaramente il ragazzo, mentre con estrema fatica raggiungeva il
recipiente dell'acqua. L'umiliazione subita quella notte era talmente
bruciante da restargli impressa a fuoco sulla pelle, come un marchio.
Immaginava di come Thor si stesse dannando in quel momento, seduto
finalmente sul suo trono, e questo riusciva a provocargli un leggero
sollievo. Tuttavia del tutto insufficiente.
Pianse
lacrime amare mentre, con la poca acqua che aveva a disposizione,
cercava di pulire le ferite, di lavare il suo corpo dall'odore del
vergognoso amplesso. Si passò le mani sulla pelle con
violenza,
quasi volesse punirsi per la sua stupidità, per il suo
fallimento,
per la sua impotenza.
E
intanto si chiedeva se avrebbe resistito psicologicamente per altre
due settimane, prima della sua condanna a morte.