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Autore: Silvar tales    15/06/2012    8 recensioni
CAPITOLO 10 pronto al 25 %
[Thor/Loki] [Contesto: post Avengers]
Era sempre andata così, fin dall'inizio. A lui spettava l'umiliazione, la sconfitta, a Thor la gloria e il trono. Non c'era modo di cambiare le cose. D'altronde, se ci fosse stato un modo, Loki avrebbe smesso di lottare già da tempo.
Invece continuava a tramare, ad inventare, a usare il cervello. Proprio perché in cuor suo non vedeva margini di vittoria.
La sua era la natura di un titano. Avrebbe perso, qualunque cosa tentasse di fare, ma vincere non era il suo obiettivo reale. Quello che veramente voleva Loki, arrivato a questo punto e sbolliti gli spiriti caldi dell'adolescenza, era finire la sua storia a testa alta.
Ma prima aveva un altro compito da svolgere.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Mpreg, Violenza
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La Volubilità del Fato


Ogni bel sogno ha il suo risvolto negativo, come il momento in cui svanisce e soccombe alla realtà.
Loki si destò piegando le sottili labbra in una smorfia dolorosa. Sentiva le lacrime incalzare dietro le palpebre chiuse, avvertiva la fronte e le tempie bagnate, rivoli ghiacciati gli colavano tra i capelli e lungo il collo. Tentò di aprire gli occhi, ma la luce era troppo forte, gli provocava immani fitte alla testa, lo accecava. D'istinto, portò un braccio sopra al viso, cercando di riparare gli occhi chiari da quella prepotente luce solare.
«Ti prego... accosta quella tenda!» Chiese alla cieca, non sapendo nemmeno se ci fosse qualcuno ad ascoltarlo. Ma la richiesta venne prontamente esaudita, e il ragazzo tirò un sospiro di sollievo che sfumò troppo facilmente in un singhiozzo. La febbre non gli si era ancora abbassata.
«Ora cerca di stare calmo fratello, non stai per niente bene».
Un fazzoletto imbevuto d'acqua fredda gli venne applicato sulla fronte, mentre una mano grande e calda gli accarezzava appena il viso. Dunque Loki aprì gli occhi, incontrando quelli azzurri di Thor. Era ancora nella sua stanza, e il sole era già alto. Il suo primo impulso fu quello di alzarsi e tentare di scendere dal letto, ma il dio del tuono lo bloccò immediatamente, costringendolo a rimanere sdraiato. «Lasciami! Devo tornare alle prigioni... non vorrai farmi ammazzare vero?»
«Sei troppo debole! Non posso lasciarti tornare nel freddo e nell'umido di quella cella, moriresti comunque se la malattia degenerasse».
Loki tentò comunque di divincolarsi dalla stretta del fratello, finendo solo per aumentare esponenzialmente il dolore alla fronte e alle tempie. Le ossa gli dolevano, faticava a respirare e, come se non bastasse, un fastidioso martellante fischio gli inquinava i timpani. Thor aveva ragione, era debole, più debole che mai, anche se ancora non si capacitava del motivo di tale peggioramento.
Si abbandonò esausto sul letto, sconfitto, in preda ai tremori e ai brividi.
«E poi...» continuò Thor, distogliendo lo sguardo dal fratello e dandogli le spalle, «non dovresti fare brutti pensieri. Non fai altro che aggravare la tua condizione. Dovresti cercare di essere più sereno».
Loki spalancò gli occhi, incredulo.
«E questi brutti pensieri di cui parli, sarebbero forse i miei sogni su Sygin?»
«Hai fatto il suo nome», si difese Thor, alzando appena le spalle, cercando di scusarsi per la sua impudenza.
«La tua palese gelosia mi disgusta! I tuoi sono i sentimenti di un infante!» Lo accusò velenoso Loki, ma fu costretto a calmarsi immediatamente, poiché una fitta al petto gli troncò il respiro in gola. Allora si lasciò andare sui morbidi cuscini, sotto gli occhi compassionevoli del fratellastro. Quella situazione snervante lo stava uccidendo.
Una volta sdraiato, riprese fiato e parlò con più calma, resosi conto di aver ingiustamente aggredito Thor.
«Tu... non hai il diritto di intrometterti nei miei sogni».
Thor alle volte era davvero incomprensibile, benché sembrasse un ragazzo dalla gamma di emotività piuttosto semplice. Prima augurava a Loki di sognare Sygin, poi ad augurio avverato si rimangiava tutto perché tormentato da un assurdo senso di gelosia?
«Cos'è stato?» Dei passi, fuori dalla stanza, in rapido avvicinamento.
«Loki, l'illusione è ancora attiva, vero?»
Il ragazzo si esibì di nuovo in una delle sue classiche smorfie. Perché Thor non allenava anche il cervello di tanto in tanto, oltre ai muscoli?
«È possibile che con la febbre alta non sia più riuscito a controllarla... Inoltre ti ricordo che il mio potenziale magico è parecchio indebolito. Sono già stato bravo a mantenerla mentre mi...»
«Va bene, va bene», tagliò corto Thor mentre si alzava per controllare la situazione all'esterno, ma non fece nemmeno in tempo a raggiungere la porta che questa si aprì con irruenza, andando a sbattere contro la parete come se un'improvvisa folata di vento fosse entrata nella stanza.
Purtroppo però, l'inaspettato visitatore che si stagliò sulla soglia era ben più temibile di un innocuo uragano.
Il ragazzo trattenne a stento un'imprecazione quando si trovò davanti il venerabile padre, alto e minaccioso come non lo era mai stato. I suoi occhi cerulei scintillavano d'ira, incutevano un terrore acerbo e profondo, esigevano rispetto ed obbedienza assoluti.
Thor avvertì distintamente la spiacevole sensazione adrenalinica percuotergli la spina dorsale. Loki, nasconditi sotto al letto, smaterializzati, fa' qualcosa!
Come se il dio degli inganni ne fosse stato in grado nelle sue condizioni attuali.
«Padre...»
«Padre!» Gli fece eco Loki, alzandosi allarmato per poi ricadere malamente tra le coperte, ansante e in preda alle convulsioni e agli spasimi datigli dalla saliente temperatura corporea. Rivedere l'anziano re gli aveva suscitato uno strano surrogato di sensazioni, come se per tutto il tempo si fosse convinto di non essere suo figlio, ma poi, dinnanzi alla sua figura, non riuscisse a convincersene davvero.
«Thor, mi hai disubbidito». Odino era stato un padre di buon cuore, sapeva dedicare le attenzioni necessarie ai propri figli, o quantomeno a Thor, poche volte aveva perso le staffe e, quando le perdeva, era sempre per un buon motivo. Ora la sua pericolosità era tale che il dio del tuono ritenne opportuno arretrare di qualche passo al suo cospetto.
«No padre, ascoltami... Mio fratello è gravemente malato, per questo l'ho portato qua, sarebbe morto in quella cella...!»
«Taci! La tua disobbedienza va molto oltre». Odino pareva stremato dal peso di un dolore troppo grande. Sapeva che, come re, c'era solo un compito al quale avrebbe dovuto adempiere, ma prenderne consapevolezza gli straziava il cuore. Preferiva mantenere il distacco con il proprio figlio adottivo, non voleva neppure guardarlo in faccia, sebbene quella fosse la prima volta che lo vedeva dopo un anno di lutto. Temeva che, al primo sguardo, tutti gli antichi sentimenti fossero tornati vividi e dinamici, e gli avrebbero inevitabilmente impedito di agire. No, non poteva perdere la ragione e soccombere al sentimento, aveva ben chiaro ciò che era giusto fare e ciò che invece era ingiusto, e in quanto sovrano esemplare di saggezza avrebbe dovuto perseguire la giustizia ad ogni costo.
«Thor, non avrei mai creduto che dopo la tua cacciata da Asgard mi avresti deluso ancora, in modo ancor più oltraggioso! Le antiche leggi di Asgard ti vogliono morto, è questo il destino che spetta ai traditori. E tu ti sei macchiato di alto tradimento, hai compiuto un delitto orribile e imperdonabile, soprattutto nella tua posizione».
Le parole del Padre degli dèi vibrarono nell'aria come coltellate, inflitte senza pietà alcuna.
Dunque era stato scoperto.
Thor sentì come se il peso di tutte le azioni compiute gli ricadesse addosso con più violenza. Aveva perso per sempre la fiducia del padre, e peggio dei suoi futuri cittadini. Sentì le lacrime pizzicargli gli occhi con prepotenza. Doveva dunque aspettarsi una condanna, oltre all'eterno rimorso psicologico che già recava appresso?
Incapace di sostenere oltre lo sguardo del dio, il ragazzo abbassò la testa, lasciando sfuggire una goccia solitaria dalle ciglia. Fu allora che Odino riprese il suo rimprovero.
«Vergogna, e tu saresti il futuro re di questa città? Ma a te penserò più tardi, ora è bene che qualcun altro paghi, finalmente».
In meno di un secondo, sotto lo sguardo incredulo e attonito di Thor, il padre avanzò verso il letto e direzionò il potente scettro che ancora brandiva verso Loki, indifeso, ormai completamente stremato dalla malattia. Thor realizzò con orrore ciò che stava accadendo, ma se ne rese conto troppo tardi.
«No, NO!» estrasse il pugnale dalla cintola e si frappose tra il padre, ormai fuori di sé e intenzionato ad uccidere Loki, e il fratello. Nel trambusto che ne seguì, nella confusione di quei pochi attimi che si susseguirono troppo velocemente, il pugnale affondò nel corpo di Odino, penetrando con fin troppa facilità nella carne del petto stanco. Thor se ne accorse soltanto quando vide le sue vesti dorate macchiarsi di rosso. Sentì la stretta del padre allentarsi, le sue gambe cedettero, il colore glaciale degli occhi si imbrunì.
«Thor, che cosa hai fatto...» sussurrò Loki, ancora in uno stato di semi coscienza, assordato dal pulsare del proprio cuore e del proprio respiro affannoso.
Il dio del tuono, terrorizzato, fissò il padre che cadeva ai suoi piedi, quasi domandasse pietà.
Ma ormai il suo destino si era compiuto.
«P-padre... No... Io...»
No. Non volevo questo. Non doveva andare così.
Pareva che una coltre di nebbia si addensasse attorno alla mente del semidio, il suo autocontrollo andava svanendo, così come la sua lucidità. Pian piano, o incredibilmente veloce, Thor veniva investito dagli eventi. Odino, Padre di tutti gli dei, signore indiscusso di Asgard, suo nobile genitore, riversava a terra con gli occhi sbarrati e il respiro troncato. L'arma del delitto, un pugnale freddo, nero di sangue, era ancora stretto nella mano tremante del semidio. Presto, l'oggetto scivolò a terra con un sordo clangore, attutito un poco dai morbidi tappeti. Le dita tremanti non riuscivano più a trattenerlo.
Thor allungò quelle mani incerte verso il corpo del padre, cercando disperatamente dei segni di vita, chiamandolo con gemiti strazianti, incapace di sfogarsi nelle lacrime per il troppo dolore, per l'assurdità dell'orribile accaduto.
In un attimo, egli aveva perso tutto. Il padre, la dignità, il trono, la vita, l'onore.
Aveva sacrificato tutto questo per la vita di Loki.
Non lo accettava, la sua mente non voleva accettarlo. Aveva reagito d'impulso, perché sapeva di amare Loki più di tutto ciò che aveva appena perso. Ma ci sarebbe dovuto essere un altro modo, se solo avesse ragionato a mente fredda, senza agire d'istinto, avrebbe trovato un altro modo!
Fuori di sé, il semidio si lasciò andare in un urlo straziato, che finalmente lasciò spazio anche alle lacrime.
Loki cercò a fatica di alzarsi dal suo giaciglio, ma il dolore che provava era lancinante, bastava ad ostacolargli il più futile movimento. Anch'egli aveva poca lucidità per rendersi pienamente conto di quel ch'era successo. Sapeva con certezza che per un attimo aveva rischiato di morire, ma che Thor aveva deciso di salvarlo.
«Thor... Smettila di urlare, ti prego...» Ogni suo grido era una tortura per Loki, i suoni gli si infilavano a forza nei timpani, gli penetravano con prepotenza nella testa e lì rimanevano, ronzanti e amplificati. Contrasse il viso in una smorfia di dolore, e si portò due mani alle orecchie.
Nel frattempo, nella stanza fece irruzione un gruppo di guardie asgardiane, allarmate dai lamenti di Thor. Alla loro vista il ragazzo, ancora riverso sul corpo esanime del padre, perse del tutto ogni lume rimastogli. Si alzò deciso in piedi e gettò addosso a Loki, ancora frastornato, sofferente, e soprattutto inconsapevole di ciò che stava accadendo, il pugnale incriminato.
Il ragazzo rivolse uno sguardo smarrito al fratellastro, non capendo il perché di quel gesto. Le guardie intanto, alla vista del corpo dell'anziano padre chiaramente privo di vita, si erano arrestate sulla soglia della camera, atterrite. Seguirono pochi attimi di smarrimento, una sensazione che si dileguò ben presto quando esse videro Loki accasciato tra le coperte del letto e, soprattutto, libero dalla sua prigionia. Credettero quindi di aver compreso all'istante ogni cosa, e il loro sospetto trovò credito nelle deliranti parole del nobile asgardiano.
Thor si alzò deciso in piedi, i pugni serrati e i denti digrignati. Una rabbia e una frustrazione cieche lo invadevano. Puntò un dito contro il fratellastro, ancora seminudo e tremante tra le pesanti coperte, quasi incosciente a causa della febbre molto alta.
«Arrestate immediatamente questo infido traditore!»
«C-cosa?» Tentò di dire il dio degli inganni, ma solo un impercettibile filo di voce riuscì ad uscire dalla sua bocca. All'istante venne bloccato da un paio di militanti, che senza alcun riguardo gli legarono le mani dietro la schiena. Loki si guardò intorno smarrito, cercò di divincolarsi, senza alcun risultato. Poi, la realtà dei fatti lo sommerse come un cruento maremoto. In quell'istante si rese conto di essere stato incolpato dell'assassinio del padre.
Ecco la soluzione per Thor, era ovvio che nessuno avrebbe avuto dubbi su chi addossare la colpa di un tale gesto.
Loki, lo Jotun adottato che si è vendicato della morte del figlio, e della menzogna in cui è vissuto. Non faceva una piega.
Così Thor avrebbe avuto salva la vita, il trono, l'onore. Del resto, una coscienza non gli occorreva per governare.
«Fratello, fratello!» Un grido di pietà. Era tanto che Thor non sentiva quella parola uscire dalla bocca del ragazzo. Aveva deciso di giocare la sua ultima carta?
Anche se non siamo fratelli di sangue, siamo stati allevati insieme, abbiamo giocato insieme, abbiamo combattuto insieme.
Come puoi farmi questo?

Ma il dio del tuono si rifiutò di incrociare gli occhi imploranti di Loki, mentre gli addossava quest'orribile colpa che non aveva commesso, e che mai sarebbe stato in grado di commettere.
Ecco in un attimo di follia frantumato il legame di una vita. Ma era l'unica via di salvezza per Thor, e in quella pazzia momentanea in cui si era visto scivolare ogni cosa dalle dita aveva deciso di percorrerla.
«Portatelo via, egli ha assassinato mio padre».


*



Le guardie lo scaraventarono con violenza sul pavimento della sua cella.
Ormai il dio degli inganni era finito. Stremato da una sconosciuta malattia, privato dei suoi poteri, distrutto psicologicamente. Sconfitto sotto ogni punto di vista.
Riverso sul freddo piastrellato di metallo, incapace di muoversi, il ragazzo incassò le prime angherie da parte dei suoi carcerieri.
«Sappi che quella faccenda del bambino verrà affossata, e tu avrai finalmente la punizione che meritavi fin dall'inizio». Detto questo, l'uomo sferrò un paio di calci al corpo indebolito del dio, imitato subito dopo dal suo compagno.
«Oh, ma non una semplice condanna a morte, se è questo che speravi».
Loki fremette dietro le palpebre chiuse, stando ben attento a non lasciar traboccare nemmeno una lacrima dagli occhi. La paura cominciava ad invaderlo. Immaginava a quale destino stesse andando incontro, giorni e giorni di torture ideate dai peggiori sadici di Asgard.
Sempre se non fosse morto prima, dato che la febbre non accennava ad abbassarsi, e l'umidità e il freddo di quella prigione non erano condizioni favorevoli per una possibile guarigione.
«Attendici prima di domani mattina, sporco Jotun».
Le due guardie si chiusero alle spalle le doppie porte di sicurezza, sghignazzando grettamente.
Prima di domani mattina... poteva immaginare le loro intenzioni.
Loki cercò di non sprofondare totalmente nello sconforto. Si arrampicò con immensa fatica fino a raggiungere un recipiente colmo d'acqua poggiato su una sedia. Era imbarazzante ed indegno bere a quel modo senza ricorrere all'aiuto delle mani, come fosse un animale, ma dell'orgoglio se ne faceva ben poco, arrivato a quel punto. Dopo che ebbe soddisfatto la sua prima necessità, i dolorosi eventi appena trascorsi reclamarono all'istante la sua attenzione.
Thor, non avrebbe mai dovuto fidarsi di lui, non avrebbe mai dovuto addolcirsi e cedere ai vecchi sentimenti solo perché il fratellastro aveva salvato la vita di Liar.
Si sforzò di pensare al figlio, e pregò che la furia di Asgard non arrivasse fino a lui.
Poi gli si affacciò alla mente il dolce volto di Sygin, ricordò le immagini del sogno, e non fu in grado di trattenere oltre le lacrime. Era un debole.
Si impose di cessare immediatamente il suo vergognoso pianto e si rannicchiò contro la parete.
Il laccio che gli costringeva le mani era stato annodato in fretta e furia, non era ben stretto, poteva liberarsene. Dopo vari tentativi riuscì a sfilare le mani dalla morsa, e su entrambi i polsi si delinearono due pulsanti solchi rossi, causati dalla frizione. L'acqua gli aveva attenuato il bruciore alla gola e in qualche modo l'aveva rinvigorito; tuttavia, avvertiva una strana sensazione all'altezza dello stomaco. Erano giorni che ci pensava, e ogni momento che passava i suoi dubbi si rafforzavano sempre più.
Si toccò cauto il ventre, sentendolo freddo ma gonfio.
Per trovare un'ulteriore conferma ai suoi sospetti, portò una mano sopra la pancia, ma senza toccarla. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi e raccogliere quanta più energia possibile. Il suo potenziale magico era flebile, tuttavia ne aveva a sufficienza perché potesse tentare una piccola maledizione su di sé, a quella distanza e senza trovarsi nella foga di un combattimento.
Sussurrò poche parole, formule antiche imparate a memoria e apprese durante la prima gioventù, una frase apparentemente priva di senso, in lingua arcaica, che evocava una leggera fattura.
Un'aura nera e fumosa scaturì dalle sue dita aperte e s'imprimette sulla pelle scoperta del suo ventre. Per un attimo parve che le rune della formula si disegnassero sulla cute pallida, rendendo così attivo il sortilegio. Ma poi, il fumo scuro di dissolse, venne inspiegabilmente respinto e si dileguò nell'aria.
Loki sussultò, i suoi occhi verdi si dilatarono per la sorpresa, e per il momento di panico che lo invase. Una protezione. Il suo corpo l'aveva eretta automaticamente, e il mago ben sapeva in che occasioni accadeva una cosa del genere.
Senza che se ne rendesse conto, il suo corpo prese per un momento le sembianze femminili. I pantaloni, se prima gli erano stretti, ora diventarono leggermente larghi e non fasciavano più a dovere le sue gambe snelle. I capelli gli ricaddero lunghi e setosi sulle spalle e oltre, gli coprirono i morbidi seni che ora facevano parte di un torace non più dritto e secco, ma morbido e rientrante.
Loki gemette, avvertendo un dolore travolgente avvolgerlo. Non doveva restare in quella forma, se avesse ricevuto la visita dei suoi aguzzini, per lui sarebbe stata la fine.
Ma la trasmutazione durò solo qualche istante per via del bassissimo potenziale magico che il ragazzo possedeva, e Loki si ritrovò ben presto nelle sue consuete sembianze maschili.
Stremato e frastornato dalla furia degli eventi, si raccolse contro il muro e tentò di riflettere a mente lucida. Stava assistendo alla manifestazione dei suoi peggiori incubi.


*


«...E così, il valoroso esercito dell'antica loggia di Ásaheimr rigettò nell'abisso i malvagi e mostruosi demoni delle lande ghiacciate, riportando il cosmo intero a una lunga e serena pace».
Loki terminò così le pagine del libro che, dopo lunghe notti insonni, aveva interamente narrato al fratello maggiore. Il bambino osservò per un attimo l'illustrazione finale, un corpulento combattente rivestito dell'oro di Asgard che massacrava un essere dalle parvenze demoniache: occhi rossi come il sangue, pelle bluastra solcata da strane incisioni, l'esatta antitesi di un asgardiano giusto e saggio. Non era particolarmente difficoltoso distinguere il buono dal cattivo, in quel disegno.
«Cosa c'è fratello?»
Loki chiuse allora il piccolo volume rilegato in pelle, lo appoggiò sul comodino e si rigirò tra le pesanti coperte, sistemandosi meglio al fianco di Thor. Entrambi si misero, capo contro capo, ad ammirare il cielo notturno che li sovrastava, attraverso un'ampia vetrata che squarciava il soffitto.
«Niente, questa era una delle mie storie preferite. Ma mi domando, questi Giganti di ghiaccio paiono davvero i fautori di ogni male che affligge l'universo».
«Perché lo sono!» Intervenne Thor con entusiasmo. «Sono dei veri mostri, sono meschini e pericolosi, e andrebbero sconfitti una volta per tutte. Ma puoi dormire tranquillo fratellino, qui non arriveranno mai. E nel caso arrivassero, ci penserò io a proteggerti!»
Loki non riuscì a trattenere un sorrisetto di fronte all'eccessivo spirito protettivo del fratello. D'altronde non poteva nemmeno negare che egli lo rassicurava, anche se avrebbe potuto ben poco contro uno Jotun. Rabbrividì al solo pensiero che uno di essi potesse eludere la sorveglianza di Heimdall, entrare nella loro camera e vendicarsi di tutte le angherie subite dalla loro stirpe.
«Spegni la luce, Loki. Lo sai che nostra madre non vuole che dormiamo insieme».
«Già», rispose con un sospirone il bimbo, gonfiando le guance e soffiando sul lume che baluginava sul comodino. «Mi chiedo perché. A volte sembra quasi che vogliano tenermi lontano da te».
Thor si corrucciò a quelle parole, si alzò confuso a mezzo busto per guardare meglio in viso il fratello, anche se nel buio faticava a distinguerne l'espressione.
«Non dire così Loki, perché mai dovrebbero volere una cosa simile?» Chiese turbato.
«Non lo so il perché, è questo il punto».
«Stai pensando male, come al tuo solito. Come sei malizioso, fratello!» Lo accusò Thor, scuotendo la testa e adagiandosi nuovamente tra i soffici guanciali di seta. Trascorsero alcuni imbarazzanti attimi di vibrante silenzio. Loki si dispiacque all'istante delle sue parole vedendo Thor così irato, quasi offeso. Perché tutte le volte che provava a comunicare il suo disagio, finiva sempre così? Sentì le guance avvampare, quando sussurrò un sommesso «scusa», guardandolo timido.
A questo punto, Thor avrebbe dovuto cambiare espressione, mutare il broncio in un sorriso raggiante, abbracciarlo e rassicurarlo che no, non importa, come faceva di solito.
Invece stavolta andò diversamente.
Il principino biondo si voltò di spalle, sbuffando e coprendosi meglio col lenzuolo. «No, non ti perdono Loki. Tutte le volte è sempre la stessa storia, non cambi mai».
A quelle dure parole, Loki sentì un fastidioso nodo bloccargli la gola, e un pizzicore amaro pungergli il cuore.
Forse è sempre la stessa storia perché non mi hai mai ascoltato...
«No fratello non fare così, mi dispiace per quello che ho detto...»
Gli toccò la spalla nel tentativo di farlo voltare, ma venne respinto con sgarbo.
«Questa non è camera tua, o sbaglio?» Disse solo Thor, con un chiaro invito ad andarsene.
Già, quella non era la sua camera. Lui non aveva quell'immensa finestra sul soffitto che permetteva la vista di una buona porzione di cielo, anche se l'avrebbe sempre desiderata. Un balcone su un mondo sterminato, un'apparente via d'uscita da quella gabbia d'oro che era Asgard. A volte si sentiva talmente diverso e deriso che voleva scappare, evadere, come se fosse estraneo al mondo cui apparteneva, al mondo in cui era cresciuto.
Loki abbassò la testa, triste. Era riuscito a rovinare quella serata iniziata così serenamente.
Cercando di essere il più silenzioso possibile sgusciò fuori dalle coperte del letto, recuperò il libro dal comodino e lo strinse gelosamente al petto, come fosse un'ancora di salvataggio in quell'improvviso mare di malinconia che l'aveva investito.
Thor non gli rivolse una parola di più e lo lasciò andare. Era ovvio che non avrebbe voluto scacciarlo a quel modo.
Il bambino chiuse cauto la porta, cercando di non far rumore. Silenzioso come un fantasma, salì lesto fin sul terrazzo, sotto il porticato in pietra antecedente al loro pittoresco giardino privato. Si sedette a ridosso di una colonna e aprì il libro sulle ginocchia. Un po' leggeva, un po' guardava la sterminata volta celeste, brillante di stelle e pianeti. Le costellazioni erano tutte quante visibili, non una nuvola annebbiava il cielo. Le nebulose, rosse e verdi, vorticavano placide, le stelle pulsavano come se stessero singhiozzando.
Aprì a caso una pagina del libro Le Imprese di Firij, e si soffermò su una curiosa illustrazione: una figura femminile dal doppio aspetto, una metà del viso presentava il candore e la fierezza tipici delle leggendarie fate di Ásaheimr, l'altra metà invece era orrenda e deforme, la pelle era bluastra, gli occhi colorati di un inquietante rosso, le dita affusolate avvolte da crisalidi di ghiaccio.
Incuriosito, il bambino iniziò a leggere un paragrafo a caso del capitolo a fianco:

I barbari Giganti di ghiaccio rapirono la leggiadra principessa Vår, un tempo nobile e raffinata dama di Asgard. La traviarono con le loro leggende e i loro costumi rozzi e animali, e quand'ella fece ritorno alle mura della Città Eterna, nessuno la riconobbe. Il suo sposo la rinnegò, accusandola di essersi unita con un mostro Jotun, il padre e la madre la rinnegarono, non ritrovando più in ella i sacri valori che le avevano impartito, Asgard la rinnegò, vedendo nella sua deviazione un'alleanza con il nemico. Vår, disperata, optò per il suicidio, ma la sua morte non scosse più di tanto gli animi dei suoi cari, giacché essi la piangevano già dal tempo del suo ritorno...

Loki non riuscì a terminare il capoverso che le lacrime gli sopraggiunsero agli occhi, e via via si accavallarono sempre più numerose, così che non riuscì a trattenerle e sfogò tutte quante le batoste prese quel giorno in un colpo solo, in un pianto fatto di singhiozzi silenziosi. Lasciò cadere il volume tra l'erba molle e nascose il viso tra le braccia, raccogliendosi più stretto attorno alle ginocchia.
Non sapeva perché, ma quelle storie avevano il potere di gettarlo nello sconforto e nella malinconia. Forse perché non riusciva a sentirsi del tutto dalla parte degli asgardiani, forse perché una parte di lui si identificava con il diverso.
Il vento era freddo e ostile, e lui si sentiva più solo che mai, in quella roccaforte regale che pareva tanto calda ed accogliente, ma che in realtà sapeva diventare gelida e minacciosa. Si sentiva solo, più solo che mai...
«Loki...»
Allarmato, il bimbo alzò la testa dalle braccia, ma non fece in tempo a guardarsi intorno che un pesante mantello rosso gli cadde sulle spalle e sulla testa. Thor si accovacciò al suo fianco, volgendo anch'egli lo sguardo all'immensità del cielo notturno. Loki lo guardò confuso, non curandosi di nascondere le lacrime che ancora gli rigavano le guance.
«Sei proprio un piagnucolone».
Thor sorrideva ma non lo guardava in faccia, conscio del fatto che il fratello non volesse esser visto con il viso sporco di lacrime. Loki sorrise rincuorato, come se d'improvviso un'ala fosse calata a proteggerlo. E si rese conto che, finché avesse avuto il perdono di Thor, non sarebbe mai stato solo. E Thor l'avrebbe sempre perdonato, in questo stava la sua più grande dimostrazione di affetto.
Gli si sedette più vicino, donandogli un lembo dell'ampio mantello, offerta che venne accettata di buon grado. Insieme tornarono a rimirare la vastità del cielo, immaginandosi storie, leggende su lontani mondi, ridendo e scherzando, inventando le più strampalate avventure che forse, un giorno, avrebbero vissuto davvero. 
Ma per ora, rimanevano solo fantasie relegate ad un passato remoto.


*


Senza alcun riguardo, i due uomini lasciarono cadere Loki sul pavimento. Era talmente stremato da non avere nemmeno la forza di reggersi in piedi. Gli gettarono addosso una misera coperta e un cambio di vestiti. I pantaloni che indossava prima erano ormai inservibili, stracciati e gettati in un angolo, testimoni della violenza appena consumata.
Ecco che fine faceva la giustizia di Asgard, si ritrovò a pensare amaramente il ragazzo, mentre con estrema fatica raggiungeva il recipiente dell'acqua. L'umiliazione subita quella notte era talmente bruciante da restargli impressa a fuoco sulla pelle, come un marchio. Immaginava di come Thor si stesse dannando in quel momento, seduto finalmente sul suo trono, e questo riusciva a provocargli un leggero sollievo. Tuttavia del tutto insufficiente.
Pianse lacrime amare mentre, con la poca acqua che aveva a disposizione, cercava di pulire le ferite, di lavare il suo corpo dall'odore del vergognoso amplesso. Si passò le mani sulla pelle con violenza, quasi volesse punirsi per la sua stupidità, per il suo fallimento, per la sua impotenza.
E intanto si chiedeva se avrebbe resistito psicologicamente per altre due settimane, prima della sua condanna a morte.


   
 
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