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Autore: Walpurgisnacht    15/06/2012    7 recensioni
Uh. La Trilogia Barattolosa diventa una Quadrilogia. Che shock. Colpa delle idee estemporanee alle tre di mattina che ti pigliano per i testicoli e non ti lasciano andare finché non le metti per iscritto.
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Cinque anni. Sono passati cinque anni da quel disastroso giorno d’ottobre.
Oggi è l’anniversario, piccola Ukyo.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Secretception!'
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Cinque anni. Sono passati cinque anni da quel disastroso giorno d’ottobre.
Oggi è l’anniversario, piccola Ukyo.
Ti ho portato dei crisantemi, come si usa in occidente. Non diresti mai dove sono finito e quante cose strane ho visto mentre cercavo di rientrare in Giappone. Quando ancora ero in tempo.
Sospiro leggendo l'epitaffio.

久遠寺 右京
1973-1989
Come cucinavi gli okonomiyaki tu nessuno mai
Ci mancherai


La famiglia Tendo si è occupata della tua sepoltura, lo sai? Tuo padre si è reso irreperibile e, chissà, forse è sotto terra come lo sei tu.
Dai su, non fare i capricci perché sei vicina ad Akane. Sei crudele.
Resto impalato di fronte alla tomba che ti ospita, i fiori nella sinistra e stupidamente posti davanti al mio muso. Credo che il mio braccio destro abbia perso qualunque capacità di movimento e si sia atrofizzato.
Da quel giorno non l’ho mai più mosso. Mai.
Mi avrebbe ricordato di quale colpa mi sono macchiato. Mi avrebbe ricordato che ti ho privata della vita. Mi avrebbe ricordato che qualcun altro ha pagato al posto mio per quel crimine.
Vorrai un aggiornamento, immagino. Sarà tanto che nessuno viene a trovarti, considerata la quantità spropositata di ortiche ed erbacce varie che adornano la lapide.
Io solo so come si sono svolti i fatti. E sono l’unico vivo che potrebbe raccontarlo, se solo lo volesse. Ma non lo voglio. Mi merito di soffrire in silenzio finché campo.
Oh, sì. Capisco le tue rimostranze. Farti raccontare le ultime dal tuo assassino non è il massimo della goduria, lo so. Ma temo ti dovrai accontentare perché sono il solo che può assolvere questo compito.
È buffo, in un modo macabro. La persona responsabile della tua morte, cioè io, è quella che si sta premurando di raccontarti cos’è successo nel frattempo.
Ranma è morto.
Lui è morto. Non io, che avrei dovuto essere al suo posto. Quel... quel... quel maledetto scemo...
Cado in ginocchio e non trattengo le lacrime.
Come sai il mio rapporto con Ranma era... diciamo difficile, per non voler essere volgari. Però non ho mai seriamente voluto il suo male. Anche quando andavo in giro urlando “Ranma, ti ammazzo!” era più la rabbia del momento a farmi parlare.
Ranma era gradasso, smargiasso, in certi momenti neanche Buddha avrebbe resistito alla tentazione di rifilargli uno sganassone sul grugno da tanto che era insopportabile. Eppure era la cosa più vicina ad un amico che avessi.
Ranma era forte, valoroso, leale. Nei giorni buoni, almeno. Un’altra cosa che ho scoperto di lui è che era ridicolmente fragile.
In quelle ventiquattr’ore di ottobre tu e Akane siete venute a mancare e gli avete rubato le fondamenta da sotto i piedi. È franato su se stesso, implodendo.
Lo ricordo troppo bene, quel giorno. Mi capita anche di riviverlo nei miei incubi. Specialmente il momento in cui buco il tuo stomaco con questo mio odiato pugno destro.
E non dimenticherò facilmente quel volto vuoto. Quella sensazione di perché sto ancora respirando?. Quel suo narrarmi l’incidente di Akane come se stesse riassumendo un noioso compito di geografia.
Era piatto. Spento. Inespressivo. In una parola: morto.
Ranma non se n’è andato due anni e mezzo fa. Ranma era già cadavere quando sei uscita trafelata dall’Okonomiyaki Ucchan, sudaticcia e affannata, per impedirgli di spifferarmi quel che, secondo te, non avrei dovuto sapere. Il suo corpo si era solo dimenticato di smettere di funzionare.
Akane era tutto per lui. Si poteva privarlo di aria, acqua, cibo, vestiti, un tetto sotto cui stare e non gli sarebbe importato. Era il mio... il nostro, mio e suo, amore a sostenerlo.
Sparita lei è sparito anche lui.
Poi è stato il tuo turno. Non posso dire nulla in proposito, visto che da quel momento non sono mai riuscito a incrociare nuovamente il suo sguardo col mio.
Ho scoperto della sua esecuzione il giorno successivo al suo svolgimento da uno strillone che, per le vie di Funabashi, assordava i passanti con quella sua voce acuta. Diceva “Giustiziato Ranma Saotome, il Boia Sedicenne”.
Eh sì, il furbastro aveva avuto la brillante idea di andare in un commissariato di polizia a dire che era stato lui ad uccidere te ed Akane.
Dico io, ma si può? Non sembra un suicidio in piena regola anche a te? Voglio dire, perché? Perché addossarsi due mostruosità del genere quando era il primo a subirne le orribili conseguenze?
Pazzo. Fottuto pazzo.
Come? Dov’ero io? Semplice: ero in giro per l’intera Asia orientale, perso come un demente. Non so cosa mi fosse successo, ma in quelle settimane non ero in grado neanche di attraversare un corridoio senza sbagliare strada.
Ho visitato una porzione della Cina che non avevo mai visto. Sono persino stato a Taiwan. Gran bel posto, devo dire. Il Taipei 101 è uno spettacolo, dovresti andarci prima o poi.
...
Ti prego di perdonarmi per la mancanza di tatto, mi sono fatto trascinare dalla foga.
Come ci ero finito là, mi chiedi? Quando ho scoperto cosa quel cretino aveva in mente mi trovavo nelle campagne di Kyoto e mi sono imposto di tornare a Tokyo e raddrizzare la situazione, accollandomi almeno il tuo omicidio com’era giusto che fosse. Pagandone l’onere pieno se fosse stato necessario. Te l’ho detto che non lo odiavo poi così tanto.
Appoggio i fiori per terra e mi asciugo il naso e gli occhi alla bell’è meglio. Scomodo vivere con un solo braccio effettivo. Avevo anche considerato l’eventualità di farmelo amputare, tanto per l’utilità che ha di questi tempi non ci avrei perso nulla.
Sì scusa, non aprirò più parentesi.
Mi sarebbe piaciuto fare quello che ti ho appena raccontato, ma per motivi inspiegabili ho preso a perdermi ovunque. Davvero ovunque. Persino negli scompartimenti dei treni, che per quanto possa sembrare strano a sentirsi era un evento mai accadutomi prima.
E così eravamo io a spasso un po’ al di qua e un po’ al di là del mar del Giappone, lui schiaffato in una cella buia che occupava abusivamente. Nel senso che non avrebbe dovuto essere lì, perché come già sai io e Mousse eravamo i colpevoli.
Ho rivisto il cartello “Benvenuti a Nerima” troppo tardi. Erano passati tre anni, sei mesi di ritardo.
Dovrò sopportare il carico di due innocenti sulle spalle. Tanto lo so che ti fa piacere dividere lo spazio con lui, porcellina. E poi la mia schiena è larga abbastanza per entrambi, non temere.
No. Ora che senso avrebbe? Non riporterebbe indietro né Akane, né lui, né te. Soprattutto te. Sarei solo l’ultimo della lista e sarebbe inutile.
Certo che, alla soglia dei ventun’anni, stare prostrato di fronte a un sepolcro a distribuire responsabilità...
Che vita ingiusta abbiamo... ho.
...
Ok ok, non me ne lamenterò più. Hai ragione, io sono ancora qui e tu non hai questa fortuna. Colpo basso da parte mia, lo ammetto.
Io amo Akane, Ukyo. Lo sai bene. Però non posso negare che con te avevo un buon feeling e che mi piaceva la tua compagnia. Dopo averti uccisa ho passato giorni interi a vagare come un’anima in pena, senza pace e senza capacitarmi di quanto avessi fatto.
Non sono un assassino, non nelle intenzioni almeno. Lo sai questo, vero? È importante per me che tu ne sia consapevole e che sia consapevole del fatto che il mio è stato un errore. Un tremendo, madornale, involontario errore.
Se non ho mai voluto realmente Ranma morto non avrei mai e poi mai voluto te morta. Ti prego, dimmi che lo sai. Non sopporterei l’eventualità di sapere che mi consideri un killer.
Mi viene in mente quando siamo stati insieme nel Tunnel dell’Amore Perduto. Tu lo ricordi? È vero, il nostro scopo era quello di separare Ranma e Akane che, una volta divisi, sarebbero stati facili prede per i nostri deliri di onnipotenza. Ma è stato piacevole passare quel tempo in tua compagnia.
Oh dai, non mi vorrai far credere che ci speravi sul serio. Quei due erano più uniti del cacio sui maccheroni. Razionalmente sapevamo entrambi di non avere la minima possibilità di coronare i nostri sogni romantici. Ci fregava il cuore che, mascalzone, si rifiutava di vedere ciò che era chiaro a chiunque.
E ciò non toglie che io me la sia spassata insieme a te, là. È stato divertente, tutto sommato. Quel divertimento, inoltre, non era dovuto al fatto che io sono un simpaticone che si accontenta. Troppo facile.
Oh, ma sai che stai parlando a Ryoga Emo Hibiki?
Sono stato bene per merito tuo.
Per questo, e per mille altri motivi, essere stato la causa della tua morte mi riempie di dolore. E per questo, e per mille altri motivi, ci tengo a chiarire che quel giorno io volevo uccidere Ranma e non di certo te.
Da una parte sarebbe stato meglio se non ti fossi messa in mezzo. Ora, probabilmente, i nostri ruoli sarebbero invertiti. Non serve che tu faccia la cinica, so che eri una brava persona e non saranno queste tue stupide lamentele a farmi cambiare idea.
Ranma sarebbe morto lo stesso, vero. L’unico aspetto triste della vicenda. Ma io sarei morto per una colpa che effettivamente avevo, non come adesso che sto a piede libero pur avendoti sulla coscienza.
Ukyo. So di starti chiedendo moltissimo, ma ti prego. Perdonami. Non posso più vivere senza sapere che non mi porti rancore. Mi distrugge la sola prospettiva di trovarti nell’aldilà, ancora giovane come al momento della morte, e capire che passerai il resto dell’eternità a picchiarmi con quella tua spatola extralarge per vendicarti.
No, sul serio. Abbi pietà di questo povero cretino che non ha saputo fermare il proprio pugno.
Tu e Ranma siete gli unici davvero innocenti in tutta questa storia e siete quelli che ne hanno sofferto di più. Non io, non Mousse, non Shan-Pu. Noi tutti abbiamo avuto la nostra fetta di torto, per un motivo o per l’altro.
Tu e lui. Siete morti per colpe non vostre.
Non sei stata tu e non è stato Ranma a colpire Akane con un coltello.
Non sei stata tu e non è stato Ranma a squartarti con un unico cazzotto.
Incidenti, indubbiamente. Dici il vero. Io e Mousse non abbiamo lo spirito degli omicidi, lo so bene. Ma resta il fatto che le colpe sono nostre.
Riprendo a piangere, sperando così di dimostrarti che il mio pentimento è sincero e non dovuto alla sola necessità di lavarmi del misfatto che mi pesa sulle spalle.
Il cimitero è deserto, di pomeriggio tardo non viene mai nessuno. E poi volevo cercare di essere il più vicino possibile all’ora esatta.
Per questo sussulto quando sento una mano sulla spalla. Chiaramente ero venuto da solo e, appunto, le stradine erano sgombre fino a qualche minuto fa.
“Ryoga”.
Io... io questa voce... la riconosco.
“Tu?” chiedo voltandomi di scatto, qualche stilla che mi entra per caso in bocca riempiendomela di salato.
Urgh.
Urgh.
Che cos’è questo?
Mi rialzo in piedi anche se temo che cadrò.
Davanti a me si staglia Ukyo. La pelle grigiastra, decomposta e un occhio che penzola al di fuori della sua cavità, attaccato solo a... qualcosa. In alcune zone del viso e del collo le ossa sono ben visibili. Ciuffetti di capelli bruni sparsi in maniera disordinata per la testa altrimenti pelata. I denti schifosamente gialli.
Come la riconosco? Dall'abito, il suo fuori da ogni dubbio. Con persino le spatoline da lancio a tracolla.
“Io. E chi altrimenti? Con chi hai appena chiacchierato finora, Pinco Pallino?”. Il tono è calmo, neutro.
Trattengo a stento un urlo, imponendomi di non disturbare la quiete del luogo sacro.
“Tu non sei reale, vero?”.
“No, certo che no. Ti pare che sarei così ben conservata dopo cinque anni? E poi i Tendo non sono come quei sacrileghi di Ryukyu che non cremano i corpi. Quel che vedi non esiste più fisicamente dal giorno del funerale”.
“E... e allora...”.
“Ah, non lo so. Chiedi al tuo cervellino il perché di questa brillante pensata. Io sono qui, ormai, e farsi simili domande non serve. E poi così, perlomeno, non dovrai far finta di sentire le mie risposte”.
“Il fatto che tu non sia vera non mi rende meno squilibrato, eh. Anzi, semmai di più”.
“Già. Ma forse avere un interlocutore in carne e ossa, più ossa che carne, può darti un po’ di serenità”.
“Credo di aver bisogno di farmi confermare quel che tanto bramo da un paio di labbra e non da una voce eterea”.
“Possibile. Sei sempre stato quel tipo che se non vede non crede. E spesso, pur vedendo, non credevi comunque. Quindi te lo dirò chiaramente: non ce l’ho con te per quanto è successo. Non saresti la prima persona che inviterei fuori a bere, probabilmente, ma sapevo i rischi di quel gesto. Avevo visto come stavi riducendo Ranma ed ero consapevole del fatto che io non avrei retto uno solo di quei meteoriti. Eppure ho dovuto farlo. Sai quando ti vengono quelle pazze idee e sei disposto a gettar via tutto pur di portarle a compimento? Ecco, quello era il mio stato psicologico. Non ho badato all’effetto che un tuo pugno avrebbe avuto sul mio tenero stomaco. Dovevo salvare Ranma. Dai, non mi vorrai far credere che non hai mai avuto questo tipo di pensiero nei confronti di Akane”.
Allungo tremando la mano sana verso il suo volto. Si lascia accarezzare docilmente, non reagendo quando sobbalzo al contatto con imputridimenti vari. Sulla guancia destra quasi rischio di graffiarmi dopo aver sfiorato troppo a lungo qualche protuberanza ossea.
So di stare avendo le allucinazioni, lo so. Ma il suo sorriso comprensivo, anche se un po' putrescente, mi scalda ugualmente il cuore.
“Ryoga, tesoro. Non puoi continuare così. Il rimorso avrà presto la meglio e ti ritroverai ad escogitare modi strani per suicidarti. Non lo voglio e non lo vorrebbe neanche la vera Ukyo. D’accordo, l’hai uccisa ma sai che non avresti potuto far nulla per impedirlo. E davvero, lei in quel momento aveva lo sguardo della martire. Te lo ricordi, no, il suo sguardo? Quel silenzioso «ti prego, prendi me ma risparmialo». Sappiamo tutti che hai solo finito col sostituire un crimine con un altro, però lei al contrario di Ranma era stata lucida nella propria scelta. Il fatto che te lo stia dicendo uno scomparto del tuo cervello non è consolante ma non lo rende di certo meno giusto. Lei ti direbbe le stesse cose, se solo potesse. E poi che ne sai che il suo spirito non abbia mai messo becco in questa conversazione? I miracoli accadono”.
“Cerchi di blandirmi e di farmi credere di non aver perso il lume della ragione? Tentativo un po’ fiacco. Almeno hai smesso di identificarti in lei”.
“Si fa quel che si può. E poi avrei insultato la tua intelligenza per davvero troppo. Non sarai un plurilaureato ma non sei neanche Kuno, alla fine. Rifletti sulle mie, tue, sue parole”.
“Mie, tue o sue? Deciditi. La confusione non mi fa bene”.
“Di tutti e tre. Sono parole di tutti e tre”.
“Sì, chiaro. Ora puoi, gentilmente, svanire? Non posso coccolarti e asciugarmi il pianto con una mano sola”.
“Certo che sei proprio stupido. Di mani ne hai due e, al contrario di quanto ti piace pensare, quell’altra ancora funziona. È solo un po’ anchilosata ma attiva”.
“Ma... ma è la mano... con cui... con cui...”.
“Con cui l’hai uccisa, sì. È proprio quella. E con ciò? Averla tenuta ferma per tutto questo tempo cosa ti ha dato? Ti sei solo volontariamente menomato, ma non hai ottenuto nulla di concreto. Smettere di usarla non restituirà nessuno di loro alla vita, non l’ha fatto negli ultimi cinque anni e non lo farà in futuro. È proprio da te una cosa così imbecille. E non è nemmeno l’unica”.
“Prego?”.
“Ti rendi conto, vero, che saresti potuto entrare in un qualsiasi commissariato giapponese e costituirti seduta stante per la morte di Ukyo? Non eri obbligato ad arrivare a Tokyo, uno qualunque sarebbe andato bene”.
È... è vero. Crollo di nuovo e mi copro gli occhi con entrambe le mani.
Ryoga Hibiki, sei un coglione di prima categoria.
Grazie, spettro. Grazie tante. Per essere qualcuno che voleva consolarmi hai fatto un eccellente lavoro.
Sento il peso del suo sguardo su di me. Mi piace pensare che mi stia ancora sorridendo nonostante la mia idiozia e che quello sarebbe il sorriso rivoltomi dalla piccola Kuonji se fosse qui con me, ora. Mi sto solo illudendo, probabilmente.
“Ryoga, io adesso devo andare. Il mio tempo è concluso. Ricordati questo però: il passato è passato. Tu, nonostante tutto quel che è successo, sei vivo. Devi trovare la forza di risollevarti. Akane, Ranma e Ukyo non vorrebbero niente di diverso da te. Fallo per loro se non riesci a trovare un motivo per te stesso. Inventati un obiettivo e inseguilo con quella tua caparbietà da testa vuota. Chessò, offriti di aiutare come puoi la famiglia Saotome o i Tendo. Qualcosa ti verrà in mente. Addio tesoro, difficilmente ci vedremo ancora”.
C’è distintamente il rumore di un soffio di vento, come se fosse una presenza che toglie il disturbo. Comincio seriamente a dubitare di avere ancora tutte le rotelle al loro posto.
Alzati, cretino. Hai da fare. Piangere sui cadaveri non è mai servito a nessuno.
Lascio in silenzio il cimitero.
Spero di riuscire a trovare la strada per casa Saotome. Akane, non avertene a male se ho scelto lui.

Polvere
troppi ricordi
è meglio esser sordi
e forse è già tardi per togliere la
polvere
dagli ingranaggi
dai volti dei saggi
coi pochi vantaggi
che la mia condizione mi dà
   
 
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