...That never learns to live.
Anni di esistenza sprecata a
cercare un senso alla tua vita...
Finché quella non ti viene
offerta su un piatto d’argento, ma non te ne accorgi finché non la scorgi su
una piattaforma di metallo, mentre il macellaio osserva con gioia perversa e
compiacimento la sua opera.
E tu, freddamente, la osservi.
Osservi il suo volto esangue,
le labbra spaccate e piene di liquido rosso.
Quello, anche se non vuoi
ammetterlo, è sangue.
Prendi una garza pulita, la
immergi nella bacinella accanto al letto e le pulisci il volto con delicatezza,
quasi non volessi farle del male...
Ma lei non sente più dolore.
Lei è...
La tua mano libera scivola
lungo i suoi capelli rossi, delinei i suoi boccoli come fai sempre quando
dorme.
Le baci le palpebre socchiuse,
aspettandoti che da un momento all’altro si aprano e rivelino i piccoli
smeraldi che celano.
Ma non si muovono.
Continui ad osservarla come se
fosse qualcun’altra, una qualsiasi altra donna... Non lei.
Il tuo sguardo scivola lungo il
suo corpo diafano, coperto di sangue.
Non è più liquido rosso,
è sangue.
Fin’ora l’hai visto soltanto
sulle tue vittime, non ti ha mai fatto molta impressione.
Ma ora ti ripugna.
Perché fin’ora poteva essere
una donna qualunque, una donna terribilmente simile a lei, ma hai notato quel
particolare che la distingue dalle altre.
Non puoi più ignorare le
piccole ali che le affiorano dalla schiena.
L’ultima della sua specie.
L’ultimo Angelo.
Fino ad adesso non ci hai mai
dato molto peso...
Quel cadavere è lei. Non hai
più la possibilità di illuderti.
Chiudi gli occhi e, per la
prima volta nella tua vita, assaggi il gusto delle lacrime.
Quando li riapri, pensi che un
altro dolore ti attende.
Per cui lo cerchi.
E lo trovi in una busta nera.
Dove ti aspettavi fosse.
Dove speravi non fosse.
Scosti la plastica e osservi
anche lui. E’ pallido come la madre. Rigido. Gelido.
Ha un grosso livido scuro sulla
schiena.
Livor Mortis, pensi.
I suoi occhi sono spalancati.
E sono come i tuoi.
Lo prendi in braccio e scopri
le due ali minuscole sulla sua schiena, una quasi del tutto strappata.
E, improvvisamente ricordi che
un bambino non nasce morto con gli occhi aperti.
Ti siedi sul letto d’acciaio,
accanto a lei e culli il piccolo finché il macellaio non se ne và.
In quel momento sai che è il
responsabile di tutto.
E, di conseguenza, lo sei tu,
perché ti sei lasciato catturare insieme a lei, perché lui è tuo padre e, in
fondo, non siete poi tanto diversi.
Siete entrambi degli assassini.
E gli assassini come te non
sposano gli angeli.
Non ne hanno il diritto.
Posi il bambino sul petto della
madre e li osservi mentre scompaiono, mentre tornano al Pianeta, mentre
diventano anche parte di te, parte dell’aria che respiri.
E ti chiedi a che cosa potrebbe servire che tu viva ancora, ora che la tua esistenza non ha più un senso.