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Autore: TuttaColpaDelCielo    24/06/2012    2 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 20 – Odio





Socchiuse le palpebre, tentando di scorgere il viso della compagna in quel mare bianco che inghiottiva ogni cosa. Capelli biondi raccolti malamente con uno spillone – le ciocche più disordinate divorate dal candore. Pelle chiara che sfumava in quella luce abbagliante. Il viso ovale indistinto contro il bianco della parete alle spalle, l’espressione incomprensibile, le labbra una semplice linea.
E gli occhi. Gli occhi. Quegli occhi azzurri che rimanevano l’unico punto fermo nella nebbia accecante che le circondava; tanto vicini da poter notare le screziature grigie dell’iride, il lieve fremito delle palpebre, la curva delle ciglia.
...familiari?
Scosse debolmente la testa, come a scacciare un pensiero molesto.
Ma dove li aveva già visti? Dove?


«Gli Umani, vivendo per l’eternità, impazzirebbero. Troppo dolore, troppa stanchezza. Troppi ricordi.»
«E... noi?»
«Noi ti sembriamo meno folli di loro?»


Voci. Voci. Voci. Parole dal suono che non sarebbe riuscita a ripetere, ma di cui comprendeva il senso. Parole sibilate dalla sua stessa voce nella sua mente, senza che assumessero un tono particolare, una sfumatura che facesse distinguere chi le aveva pronunciate.
Forse stava solo impazzendo e parlava tra sé.
D’altronde, lei mentiva agli altri; perché la sua mente non avrebbe dovuto mentire a lei?
Follia. Gli Sconsacrati erano folli, nella loro mostruosa esistenza di peccato: si sottraevano al giusto, alla luce, al tepore, alla purezza, precipitando sempre di più nel loro baratro di orrore. Come avrebbero potuto non impazzire? Il freddo, il bruciore, la rapidità dei tempi umani, l’intima consapevolezza di non essere altro che abomini, errori, aborti dei giusti e dei puri.
Terribile, ripetevano sempre, gli occhi sgranati per il raccapriccio e un indice sollevato, ammonitore, verso i Cherubini; le sembrava quasi di rivederli di fronte a sé, in quella nebbia che aveva ormai divorato anche gli occhi della compagna, immergendola in un nulla bianco in cui i suoi pensieri vorticavano senza tregua, angosciati e angoscianti. Terribile. Divorati dalla follia.
Ripetevano chi? Tutti. I Custodi, gli insegnanti, i Guaritori, chiunque avesse a che fare con gli allievi. Non era mai un momento sbagliato per insegnare la morale, la purezza, se l’occasione si presentava; e con l’imperfezione dell’infanzia – errori su errori ripetuti sino a che l’Espiazione non riusciva a sopprimerli – si presentava spesso. Ancora così inadeguati, così incompleti. Più esposti alle mancanze.
Lei... lei aveva già sbagliato abbastanza da diventare pazza?
Un sussulto. Acqua tiepida versata sugli occhi.
La vista tornò più nitida, solo un po’ infastidita da tutta quella luce, da tutto quel candore; il viso dell’altra ad un soffio dal suo, le mani ancora sospese sulla sua fronte.
...l’allieva dell’Autorità, quella che aveva osservato la ferita poco prima che lei discendesse per la prima volta nella dimensione umana. Ecco dove l’aveva già vista.
«Vedi un po’ meglio?» le chiese quella a bassa voce.
Nessuna risposta.
«Amitiel, sì?» un sorriso rassicurante «Io sono Sachiel, lei Cassiel. Ma forse vi conoscete già.»
Ancora nessuna risposta.
Cosa voleva da lei? Non aveva sentito quello che le avevano detto? Distrazione, le parole. Concentrarsi sui propri compiti. Distrazione, i legami. Eppure era fuori, non poteva non aver sentito mentre... mentre...
«Hanno ordinato di immergerci.» le mani a stringerle lievemente i gomiti «Vieni?»
Anane, chissà Anane come stava. Non era ancora arrivata.
No. Distrazione.
«Quest’acqua risana l’essenza. È riposante.»
Riposante. La tentava, quella parola – il corpo esausto che non rispondeva più ai suoi comandi, la vista che già iniziava a tornare sfocata, l’essenza che si abbandonava all’apatia. Riposare sarebbe stato così bello. Si trovò sul punto di chiedere Davvero?, ma si fermò in tempo: nessuna domanda. Mai.
«Lasciala stare. Se non vuole, non vuole e basta.»
Un’altra voce, più alta, più aspra. Cassiel era irritata? Con lei? O con Sachiel? Voltò il capo, spaesata, cercando la compagna del ciclo inferiore. Era lontana, isolata; le ali chiare distese a far vibrare l’acqua, l’espressione dura a far vibrare lo sguardo – sembrava quasi accusarla, come se fosse colpa sua, e forse un po’ lo era ma loro non dovevano saperlo. Gliel’aveva detto Michael, prima di andarsene, e gliel’aveva ripetuto anche Anane: negare sempre. Stare in silenzio, se non sapeva cosa dire, ma non ammettere mai. Avrebbe solo peggiorato le cose e lei non voleva che le cose peggiorassero, vero?
Pensa all’Espiazione. Pensa a tutto quel dolore. Non ammettere mai, mai, mai. Senza prove, le loro saranno solo parole.
Ma non credeva che le parole potessero essere così dolorose, così devastanti.
Poco male: lei non doveva credere niente. Inutile distrazione.
«Vieni?»
Di nuovo la voce morbida di Sachiel, venata appena dall’irritazione. Parlava con una sorta di cautela, come se temesse di turbarla; anche le sue mani furono delicate, quando si alzò in piedi di fronte a lei e la fece sollevare a sua volta, stringendole i gomiti senza violenza.
Amitiel balbettò qualche passo incerto, sostenuta a fatica dall’altra per non crollare in ginocchio. Le gambe tremanti la ressero solo per poco: nonostante la presa di Sachiel si lasciò ricadere, immergendosi fino alle spalle, seduta su uno dei gradini più bassi. Le ali urtarono contro quelli superiori e rimasero inerti quando lei tentò di distenderle, per trovare una posizione meno dolorosa; l’acqua si tinse del sangue bianco perso dagli squarci – il sangue più puro, più prezioso, versato prima di arrivare alle ali. Ma era un dolore distante, come se la sua mente non lo recepisse davvero, come se non la riguardasse.
Era stanca. Stanchissima.
Peggio di come le capitava a volte, all’improvviso, insieme a quel senso di stordimento ed estraneità che – se fosse riuscita a ragionare – avrebbe da tempo associato all’essenza ferita; peccato che non fosse in grado di riflettere così lucidamente. Era stanca, aveva male, si sentiva disorientata: pensare era inconcepibile, onorava già abbastanza il proprio autocontrollo trattenendosi dal piangere, urlare e chiedere che cosa dovesse fare per stare un po’ meglio – e non poteva porre domande, no, però non chiedeva tanto, solo di stare un po’ meglio, solo di essere lasciata in pace, perché lei non aveva fatto niente di male. Davvero. Avevano fatto tutto gli altri, era colpa loro, lei... lei non avrebbe potuto impedirlo comunque; e non era giusto che venisse condannata solo perché era debole, inetta. Se mentiva ai Censori era solo perché sapeva che non avrebbero capito, adulti da troppo tempo per ricordare quanto i Cherubini fossero fragili. Non aveva nessuna colpa, quindi non potevano farla stare un po’ meglio? Lasciarla dormire, assicurarle che non l’avrebbero più chiamata per... per...
Acqua sul viso, a diradare la nebbia bianca che – nemmeno se n’era accorta – tornava lentamente a inghiottire tutto.
Gli occhi della compagna ad un soffio dai propri, scorti attraverso quel candore accecante.
La vista un po’ più nitida.
«L’essenza sta già migliorando.» la informò Sachiel, sistemandole dietro un orecchio una ciocca nera che le infastidiva gli occhi. Lei non ci aveva minimamente pensato, a scostarla – non ci aveva prestato attenzione e basta.
«Mentire è peccato, fascia grigia.» sibilò Cassiel, con una risata grondante ironia e livore.
«Che imperdonabile errore ho commesso per perdere il privilegio della tua benevolenza, fascia rossa?»
«Tu nulla.» le rispose, con un tono che sembrava sottintendere l’esatto contrario «Ma se lei avesse avvertito subito i Guardiani, io non sarei stata coinvolta.»
«Non cre-»
«Cherubini.» le richiamò la Custode «Una simile ostilità non vi fa onore.»
Ostilità.
Amitiel si rigirò quella parola in bocca, come ad assaporarla, articolandola a bassa voce.
Ostilità.
Un termine diverso, nell’idioma degli Angeli: duro, gutturale, aspro. L’aria sibilò tra i denti, nella gola vibrò un suono roco, le labbra si schiusero per una vocale dal timbro cupo e pesante. La lingua contro gli incisivi, a chiudere la parola con uno schiocco secco.
Era un sentimento proibito, assolutamente proibito, si disse: avrebbe sporcato l’essenza delle due compagne. Ma era davvero ostilità?
Dal tono, dall'espressione, le sembrava più... rancore. Astio. Livore.
Odio.
Odio? Ancora peggio. Non andava per niente bene, no, proprio per niente. I Censori non ne sarebbero stati contenti.
...forse non sarebbero stati contenti nemmeno che si fossero recate lì. Quando Nelchael aveva ordinato di andare ad immergersi in quelle acque riposanti, i Custodi erano rimasti visibilmente interdetti; ma, tra un «Mi assumo io la responsabilità.» e un «Ho il consenso dell’Autorità.», era riuscito a convincerli che non vi fosse nulla di sbagliato nel permettere alle allieve di rilassarsi. Eppure sembrava ancora arrabbiato e lei non riusciva a capire bene perché, e temeva che i Censori fossero contrari, e non voleva dare un altro motivo per... per tornare lì a parlare – detto così sembrava quasi accettabile, meno spaventoso.
Non voleva, no, no, non voleva.
Rannicchiarsi di nuovo su sé stessa e farsi piccola, piccola, piccola, lasciatemi scomparire per favore. Trattenere a fatica l’impulso di piangere e urlare e implorare pietà. Ascoltarli ancora, ancora, con il dolore che si scioglieva liquido in gola e le loro parole che colavano bruciavano devastavano.
Sei fedele al Paradiso? Sì, sì, sì sì sì sì, davvero, sì, sì.
Sì a tutto, avrebbe voluto dire, pur di farli smettere; perché non potevano distorcere così ogni cosa, Anane, i sorrisi, i singhiozzi, le domande, le amicizie. Tutto diventava sbagliato sulla loro bocca, anche le innocenti avventure lungo le rive proibite del Confine, anche la preferenza per la biblioteca della prima classe, anche svagarsi con le correnti d’aria. E... e... e stava quasi per... per tradire. Per tradirsi. Per raccontare ogni cosa.
Le mani di Michael tra i capelli, sui fianchi, sulla schiena. Anane che mentiva e ingannava. Ramiel e Raphael che osavano cedere ad un sentimento non contemplato per due Cherubini. Il ghigno di Eisheth, la sua risata acuta. Nelchael che non diceva il vero.
Avrebbe voluto dire di sì a tutto, pur di farli tacere, perché iniziava a sembrarle davvero tutto sbagliato. Proibito. Sporco.
Ma non l’aveva fatto, perché poi sarebbe arrivata l’Espiazione – brivido – e a quella... a quella – altro brivido – avrebbe detto di sì a tutto, davvero, avrebbe ammesso anche il falso pur di farla smettere. E poi sarebbe stato solo peggio, perché il Paradiso non brillava per clemenza verso i suoi figli.
Erano solo parole, solo parole, poteva ignorarle e dirsi che non erano vere e dimenticarle, rinchiuderle in un angolo della memoria e non tornarci più. Sostituirle con le dita di Michael che le pettinavano i capelli, con la sua voce, il suo respiro, le sue braccia a stringerla. O con la risata squillante e allegra e contagiosa di Anane, o con Ramiel che le tamponava il sangue dagli squarci, o... o anche con Nelchael che sembrava arrabbiato ma poi la faceva allontanare perché si riposasse, perché non sentisse.
Con Cassiel erano stati quasi delicati, con Sachiel un po’ meno, con lei per nulla; ma con Anane... con Anane erano peggio, molto peggio, e davvero sarebbe impazzita se avesse dovuto stare lì dietro una porta a sentire le urla, le implorazioni, i dinieghi angosciati.
Era stata l’unica, tra le tre già uscite, a trovarsi dolorante – capelli strattonati e dita affondate nella mascella per costringerla ad alzare il viso, e ali premute contro il corpo di Nelchael mentre cercava di indietreggiare, e quella stretta violenta al polso, e... e niente di grave, niente di insopportabile.
Anane... Anane... voleva sperare, davvero, che le grida fossero solo di angoscia. Pregava che fosse così, e ringraziava che le proprie non fossero state di dolore. Perché non potevano fare nulla, nulla, senza le prove, ma... ma quel Censore dagli occhi verdi gelidi che non avevano niente, proprio niente a che fare con quelli di Ramiel, quel Censore non sembrava troppo propenso a seguire così tanto le regole, perché era già convinto che loro – lei, Anane, Sachiel, forse anche Cassiel – c’entrassero qualcosa con la morte di quel Custode.
E poi, in realtà, qualcosa contro Anane in effetti ce l’avevano.
La sua essenza si era avventata su quella dell’angelo.
Soppressa. Schiacciata. Estinta.
Per colpa – per volere, ma questo lo sapevano solo loro due – di Anane.
Però... però... però Anane non era un’assassina. Non poteva esserlo. Non la limpida allegra meravigliosa Anane.
Quindi non era colpa di Anane e basta.
L’Autorità stava in silenzio e vigilava, con i suoi occhi azzurri gelidi ma non tanto quanto quelli del Censore, e Amitiel sperava pregava implorava che quella briciola di calore potesse far provare un po’ di pietà alla donna. Un po’ di compassione. Non c’era anche la sua allieva, in fondo, tra quei cherubini?
Quindi Anane stava bene. Per forza. Tardava solo perché... perché... perché perché perché... perché forse non l’avevano avvisata che loro erano lì a riposare, forse Ridwan l’aveva riportata subito allo Specchio.
Sì, doveva essere così.
Vero?
Percepì a fatica le braccia di Sachiel cingerle le spalle, delicatamente, poco più di una carezza; labbra sulla fronte, un’essenza tiepida a circondare la propria, un sussurro morbido.
«Non piangere.»
Ma Sachiel doveva sbagliarsi, non c’era alcun motivo per piangere, perché lei stava bene e Anane stava bene e nessuna delle due era una traditrice o un’assassina o rischiava l’Espiazione o peggio.
Non avvertiva le lacrime scorrere lungo le guance, dopotutto. No, non le avvertiva.
No.
...no.
«Non piangere.»
E – nonostante non stesse piangendo, nonostante non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, nonostante andasse tutto benissimo – si aggrappò a lei.

* * *

Si udiva solo un respiro, nella stanza: lento, regolare, profondo. Un’espirazione più rumorosa quando il capo si abbassava stancamente; un’inspirazione bloccata in gola per l’angoscia quando lo sguardo si volgeva verso la finestra, che non lasciava entrare luce nell’ambiente perché la luce era ovunque, tra quei muri come fuori, in basso nel cortile dove si muovevano fasce grige e ali quasi bianche. Le fasce azzurre delle Custodi che sorvegliavano il ciclo superiore, anche, ma ancora mancava quella di Ridwan.
Chissà cos’avevano ancora da dirgli, i Censori.
Chissà se andava davvero tutto bene come le aveva detto, e come poi le aveva ripetuto anche Nelchael – incontro tanto inaspettato e improbabile che dubitava fosse stato casuale.
Sospirò e abbassò lo sguardo sulla propria mano, il palmo abbandonato sul lenzuolo bianco, le dita a stringerne altre più pallide. Non avrebbe dovuto respirare, lo sapeva, e una parte di lei rabbrividiva ogni volta che l’aria raggiungeva i polmoni; un’altra, però, non poteva rinunciare alla fragranza che le accarezzava le narici.
Era un buon profumo, sapeva di fresco e pioggia – tutti gli oli con cui i Cherubini si cospargevano il corpo e i capelli ricordavano la dimensione umana, in realtà, come se dovessero abituarsi sin da subito agli odori, assenti in Paradiso. Gli adulti invece non li usavano e, quindi, quel profumo sapeva anche di ali rosse e divertimenti infantili; quante volte lo aveva sentito appoggiando la guancia sul capo di Anane, entrambe sull’erba sdraiate sul ventre, stanche per aver sfidato troppo a lungo le correnti d’aria. Quante volte Anane aveva sentito quello che preferiva usare lei e che, però, non era riuscita ad associare a nulla; era intenso, inebriante, un po’ dolciastro e ancora senza nome.
Sapeva di ricordi sereni, quel profumo che permeava l’aria, e in quel momento ne aveva davvero bisogno. Aveva rovesciato la boccetta sulle lenzuola candide, sui vestiti candidi, sulle pareti candide. Sulla pelle candida e sulle ali candide di Anane. Sui capelli, anche, che però erano biondi; sulle poche piume ancora rosse e sulle proprie mani non così chiare.
Le sembrava quasi che Anane fosse sveglia e la stesse abbracciando, mentre in realtà era... era lì, effettivamente, ma non nel modo che avrebbe voluto. Chissà quando avrebbe smesso di dormire – quando l’essenza fosse tornata intatta, probabilmente, anche se secondo Ridwan c’era il rischio che rimanesse segnata. Ancora poco e avrebbe finito per impazzire come quella di quel demone; e non poteva che ringraziare quella follia, quel dolore indotto da Eisheth che l’aveva portato a vaneggiare, senza essere di alcuna utilità ai Censori per stabilire cosa fosse accaduto realmente.
In caso contrario, Anane non sarebbe stata lì a riposare e lei a vegliare il suo sonno.
Ma erano salve.
Sospirò, fissando quelle dita pallidissime; risalì con lo sguardo lungo l’avambraccio, percorso da venature bianche, come se i capillari fossero esplosi e avessero riversato il plasma candido lungo vie invisibili scavate sottopelle. Una macchia chiarissima che si espandeva sul gomito; piccoli squarci sul braccio, più profondi nella spalla e nel collo, tanto che il guanciale era impregnato di sangue.
Spostò lo sguardo sul suo viso, sfiorato dai ricci sciolti sul petto. Sembrava quieta: le labbra schiuse, come per far filtrare un respiro inesistente, le palpebre abbassate, i lineamenti abbandonati ad un’espressione serena. Nel sonno, almeno, non avvertiva il dolore.
Le ali erano distese sotto di lei, rilassate e intatte, all’apparenza. All’interno – e Amitiel ringraziava di non poterlo vedere – le ossa erano solcate dai segni dell’Espiazione, quasi sul punto di spezzarsi in una miriade di piccole schegge; il dolore liquido e bruciante era giunto sin lì a corrodere quel corpo esausto, devastato.
Una brutalità che non aveva mai visto riservare ai Cherubini.
D’altronde, non aveva mai visto nemmeno un cherubino uccidere. Involontariamente, certo – o almeno così dovevano credere tutti –, ma pur sempre uccidere. Un Custode. Un fratello.
Un malessere profondo le artigliò le tempie, implorandola di non ricordare quella scena. Muscoli lacerati, ossa esposte, sangue bianco, occhi vivi; e anche gli occhi vacui e folli del demone, il suo sangue rosso, e...
No. Non ricordare.
Tornò a guardare le dita strette tra le proprie.
Erano salve, sì? Salve entrambe. Ridwan aveva detto che andava tutto bene, quando aveva riportato Anane allo Specchio; che forse le sarebbe rimasta l’essenza segnata, ma che la clemenza del Paradiso aveva perdonato il suo errore.
Clemenza.
Non riusciva a trovare nessuna clemenza in tutto quello. Nell’Espiazione portata al limite, a ferire anche le ali, così fragili che l’essenza dei Cherubini rischiava di impazzire o di estinguersi. Nel corpo esausto e devastato che aveva ceduto al sonno tra le braccia di Ridwan, ancora prima di giungere allo Specchio. Nel tempo lunghissimo che Anane aveva passato con il Censore, a piangere e urlare – e poteva immaginarlo anche se lei era rimasta con le altre ad immergersi nell’acqua tiepida, poteva ricordare l’orrore di quelle grida prima che Nelchael le facesse allontanare.
Se fosse stata umana... se fosse stata umana, Anane sarebbe stata perdonata. Avrebbe avuto un’altra possibilità, infinite altre possibilità, non quell’orrore.
Si strofinò rabbiosamente gli occhi, arginando le lacrime che minacciavano di cadere. Aveva la nausea. Sì, era una sensazione umana, era sbagliato provarla, ma... aveva la nausea. E il terrore la invadeva, nell’accorgersene – il Censore che sibilava e Nelchael che le stringeva il polso e... e tutto il resto, non sarebbe tornato solo per un po’ di nausea, vero? Non l’avrebbero punita per questo, vero? Perché lei... lei non lo faceva volontariamente, succedeva e basta, non era colpa sua, no. E...
E la rabbia. L’odio.
Perché non era giusto, quel corpo devastato che accarezzava con lo sguardo – no, no, con questo non intendeva pensare che il Censore avesse sbagliato, solo che...
Solo che nulla.
Non era giusto e basta.
Il dolore dell’Espiazione che bruciava e corrodeva da dentro, scavando solchi nelle ossa e nella carne, fino a rendere tutta la pelle un intreccio di linee candide di sangue.
Il dolore delle parole del Censore che entravano nella testa e non se ne andavano più, e questo legame vi distrae dai vostri compiti, no, no, non le distraeva, non c’era bisogno di dividerle, eppure la tua amica ha detto che sarebbe meglio farlo sai?, no, no, non poteva essere vero e... no, non stava dicendo che stessero mentendo, però... però... però cosa? Silenzio. Lacrime. Singhiozzi. Singhiozzi? Non lo faceva apposta, davvero, le veniva naturale ma... ma non l’avrebbe più fatto, però per favore voleva solo andarsene e... e tornare da Anane – stretta al polso tanto forte da farla urlare, perché Nelchael faceva così? Perché? Cosa c’era di sbagliato? Allora no, non voleva tornare da Anane, voleva solo... voleva solo... lei era fedele al Paradiso, sì, non c’era bisogno di trattenerla ancora lì con loro, voleva solo andarsene perché non c’era motivo di farla stare lì, e... e... e davvero l’avrebbero lasciata andare via se avesse detto tutto? Davvero l’avrebbero lasciata riposare? Perché era stanca, sì, stanchissima, voleva riposare, ma... ma... ma non c’era nulla da dire, davvero, sicura? Sì sì sicura, davvero, per favore, per favore voleva andarsene, voleva...
No. Basta.
Era finito.
Però doveva smettere di pensare quelle cose così sbagliate, altrimenti avrebbero potuto ricominciare e lei non voleva, davvero. Non avrebbe dovuto avere la nausea o essere arrabbiata per quello che era successo ad Anane.
Era giusto, quel corpo devastato e sanguinante, perché Anane aveva davvero ucciso quel Custode ed era davvero una-
No. Non lo era.
Figlia di un demone. Assassina. Traditrice.
No. No no no no.
Eppure sarebbe stato logico, no...?
No.
Spostò lo sguardo sul viso di Anane, la limpida allegra meravigliosa Anane, serena solo perché nel sonno non poteva avvertire il dolore. Un dolore che non osava nemmeno immaginare, un dolore che aveva rischiato di rendere la sua essenza folle o inesistente, morta.
Odio.


«È già successo?»
«Che volessero parlarti? Che ti facessero questo? Che tu odiassi? Sì.»
«Non ricordo.»
«Noi ricordiamo tutto. Ogni istante, ogni parola, ogni pensiero.»
«...io non ricordo.»





***
Angolo autrice
Ed eccomi questa domenica, dopo la pausa della settimana scorsa!
Grazie come sempre a chi legge, inserisce in una delle tre liste e soprattutto a chi commenta (:
   
 
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