Giusto
due
parole prima che iniziate a leggere
(sappiate che siete ancora in tempo per tirarvi indietro! xD)
Anche se mi rendo conto del fatto che sia inutile dirlo ora, dal
momento che
dovranno passare un paio di capitoli prima che facciano la loro apparsa
tutti i
membri dell’Host Club, volevo fare una premessa: questa
storia è ambientata
qualche mese dopo il diploma di Mori e Honey, ma ho spudoratamente
ignorato gli
avvenimenti che si sono susseguiti dopo la cerimonia (per dirne una
Tamaki non
è ancora stato invitato nella prima residenza dei Suou, e i
capelli di entrambi
i gemelli sono ancora di un acceso color carota v.v). Non è
che l’abbia fatto
volontariamente, ma ho iniziato a scrivere questa fanfiction un paio di
settimane fa e, anche se mi sarebbe piaciuto attenermi il
più possibile al
finale del manga, ho finito di leggerlo solo oggi pomeriggio (mi sento
ancora
in subbuglio.. sono accadute tante di quelle cose negli ultimi numeri!)
Ah, e
poi mi volevo scusare per questo primo capitolo (che ho da subito
considerato
come una sorta di parte introduttiva e che dubito possa essere
consiederato
interessante o altro >.< )
Detto questo, buona lettura.. ^^”
L’orologio
segnava le nove spaccate quando, dopo aver
passato l’intera notte seduta sul bordo del letto ancora
fatto, fissando solo
apparentemente il suo pallido riflesso nello specchio mentre la sua
mente
stanca si perdeva in pensieri sempre più astratti e
scollegati, Kimie
si lasciò cadere all’indietro con un sospiro.
Rigiratasi su un fianco, afferrò la sottile coperta color
indaco e serrò con
forza i suoi occhi.
Non si illudeva di riuscire ad addormentarsi, ma non poter nemmeno
uscire la
rendeva nervosa.
Se fosse stata ancora a San Pietroburgo, sarebbe scesa da un pezzo e
magari
avrebbe passato la nottata al locale vicino al Trinity Brige dove
Nikolaj aveva
iniziato a lavorare per pagarsi la retta universitaria; invece, dopo
essere
sbarcata in Giappone con il volo delle ventitré, lei e
Karina erano state
accompagnate in un albergo a cinque stelle da dei subordinati di suo
fratello,
che poco dopo avevano acconsentito a lasciarla sola, chiedendole
però di
aspettare lì finché “Amamiya-sama non
fosse venuto a trovarla”, ma in ogni
caso, aveva notato con una certa irritazione, si erano assicurati di
restare
nelle sue vicinanze prenotando delle stanze anche per loro.
Così, assonnata e stizzita per l’essere stata
trattata come se fosse ancora una
bambina troppo vivace, non aveva avuto il tempo né la voglia
di pensare a che
cosa avrebbe fatto – perché era più che
sicura che, se i suoi desideri non
fossero combaciati con quelli di suo fratello, non avrebbe
accondiscenduto
tanto facilmente alle sue richieste– una volta venuta in
Giappone.
Si era limitata a fissare la luna percorrere un lento arco nel cielo
senza
stelle, ma rischiarato dalle mille luci della città, non poi
tanto diverso da
quello che era abituata a vedere dalla sua stanza a San Pietroburgo, in
quella
che era stata la sua casa da quando da bambina si era trasferita a
vivere dal
suo padrino, Andrej Philarete Sinitsin, un uomo stravagante dai nobili
natali,
fin troppo ricco e sorprendentemente acuto.
Dei passi leggeri sul pavimento di marmo chiaro, a cui seguì
un’improvvisa
pressione sul materasso, la fecero sussultare, istintivamente si
girò in fretta
verso la porta che trovò ancora chiusa, mentre un fresco
odore di aghi di pino
e terra investiva le sue narici.
Sorrise e alzò il suo sguardo verso il soffitto,
ritrovandosi a fissare gli
occhi dorati di Luthien.
Si sedette nuovamente sul letto e iniziò ad accarezzarla
piano sul collo,
facendo affondare le mani nel suo manto che, mano a mano che la sua
mano
scendeva, si colorava con varie sfumature di marrone, dal beige al
bistro; e
l’osservò divertita mentre sbadigliava, mostrando
una chiostra di denti
affilati che lei, pensando che erano ancora da latte, trovava quasi
buffa.
Non aveva mai tenuto
un animale prima d’ora, e
immaginava che il cucciolo di cane lupo dall’aspetto ancora
così simile a
quello di un morbido pupazzo che aveva preso con sé sarebbe
potuto sembrare uno
stravagante capriccio da ricca, ma, dopo averlo visto per la prima
volta,
immobile nella selva che circondava la tenuta di campagna di Vera
Popov, una
ragazza dallo sguardo color ambra e i corti capelli scuri eternamente
scompigliati,
la sua migliore amica, aveva avuto come la sensazione di non poter fare
altrimenti.
Sapeva che in quelle zone non era raro che i lupi venissero cacciati e,
osservando la sua estrema magrezza e la fame che sembrava divorare i
suoi
occhi, sospettosi e spaventati, aveva immaginato che la madre di quel
cucciolo
fosse stata uccisa.
Quindi, dopo essersi assicurata che non avrebbe perso una mano nel
tentativo di
prenderlo in braccio, l’aveva portato nella residenza.
Aveva chiesto ad Andrej il permesso di tenerla piuttosto che affidarla
alle
cure di qualcun altro riportando le parole sentenziate del veterinario
a cui
l’aveva mostrata per vaccinarla e assicurarsi del suo stato
di salute, secondo
il quale "l’animale poteva essere considerato ed allevato come
un cane, perché
non era un lupo vero e proprio, ma, dal momento che suo padre era
probabilmente
un pastore tedesco, un incrocio, e in più considerando il
fatto che era stata
preso quando era ancora così piccolo, a condizione di
dedicargli tempo e attenzioni,
sarebbe potuto essere addomesticato".
Lui aveva acconsentito con un leggero cenno del capo, le labbra piegate
in
sorriso sghembo che illuminò per un attimo i suoi occhi
scuri, preso
leggermente alla sprovvista da quella richiesta, anche se probabilmente
gli ci
erano voluti non più di una manciata di secondi per
concludere che per prima
cosa Kimie aveva da subito messo in chiaro la sua intenzione di
liberarlo in
una foresta appena fosse cresciuto abbastanza, e poi che non gli
sarebbe certo
mancato lo spazio dal momento che, pur vivendo in una residenza dalle
modeste
dimensioni poco lontana dal Palazzo d’Inverno, questa era
circondata da un
ampio parco, che ovattava i rumori della città, e la celava
quasi completamente
agli occhi dei passanti.
Ottenne dunque di tenerla assieme a sé, nonostante le
occhiate chiaramente
contrariate che Vera le scoccava tra uno starnuto e l’altro
ogni qualvolta che
Luthien, alla quale aveva deciso di dare il nome dell’elfa
dai capelli corvini
che era stata la protagonista di una delle storie che aveva amato di
più, le si
avvicinava.
Kimie smise di accarezzarla e congiunse le mani sul suo grembo,
pensierosa.
Il suo trasferimento in Giappone era stato deciso ed era avvenuto
talmente in
fretta che non aveva avuto il modo per pensare che probabilmente
portarsi
dietro Luthien non era stata una buona idea, specie se si considerava
il fatto
che non sapeva nemmeno dove sarebbe andata a vivere, ma con una punta
di
amarezza si disse che, fatta eccezione per alcuni libri e la momentanea
presenza di Karina, lei era l’unica parte della sua
quotidianità rimasta
invariata da quando era partita.
Scosse appena la testa, come a voler scacciare una mosca fastidiosa, e
strizzò
gli occhi, infastidita dalla luce che rischiarava sempre più
la stanza, mentre
Luthien, stanca di essere ignorata, si alzava dal letto e si voltava
verso la
porta, attraverso la quale doveva aver udito avvicinarsi dei passi.
In fatti, dopo nemmeno un minuto, sentì un bussare deciso
sull’uscio e,
ricevuto l’invito ad entrare, Karina fece il suo ingresso,
con quell’aria
affaccendata che, in tutti quegli anni, non l’aveva mai
abbandonata.
In effetti considerò Kimie sorridendonon
riesco nemmeno a immaginare
in che cosa consista il vero e proprio lavoro di una cameriera
personale di una
sola ragazza nemmeno troppo pretenziosa, dal momento che in tutto
questo tempo
non ho mai avuto la soddisfazione di vederla con le mani in mano..
“Signorina” esordì lei con la massima
educazione, seppure i suoi occhi scuri
sembravano volerla rimproverare“per prima cosa, potrebbe
dirmi come mai, tra le
valigie che abbiamo portato con noi, e nelle quali sarebbe dovuto
essere
riposto tutto il suo guardaroba, non sono contenuti
nient’altro che libri?”
Dopo aver sbuffato impercettibilmente, Kimie le rispose, sebbene avesse
intuito
che quella domanda fosse stata probabilmente retorica:“Questo
perché dal
momento che non trovo che sarà particolarmente difficile
comprare un abito
Prada o un profumo Chanel girando per poco più di un paio di
minuti tra i negozi,
mentre dubito fortemente che anche rivoltando l’intero
Giappone riuscirei a
trovare Samuel nella sua prima edizione o i
trentasei volumi di Viaggio
nelle regioni equinoziali del Nuovo Continente di Alexander
Von Humboldt,
ho ritenuto che fossero oggetti insostituibili come questi a dover far
ritorno
in Giappone assieme a me. Se la capienza del bagagliaio dello jet che
ci ha
traghettate non fosse stata tanto ridotta, avrei anche potuto
pensar..”
aggiunse lei più scherzosamente, ma convinta della razionale
ovvietà nella sua
scelta, venendo tuttavia zittita con un solo sguardo dalla sua
cameriera che,
posata la mano destra sulla tempia, come faceva ogni volta che sentiva
il
bisogno di riordinare i pensieri, e scostatasi una liscia ciocca di
capelli
corvini dalla fronte, continuò: “Pur ammettendo
che abbia seriamente ritenuto
necessario portarne cinquanta kili – non si fermò
nemmeno quando Kimie inarcò
con orrore le sopracciglia sentendola classificare per peso i suoi
libri–
avrebbe potuto preparare anche qualche vestito, e no, non valgono quel
paio di
pantaloni e la camicia che ha ficcato nella sua ventiquattrore,
signorina”precisò con un chiaro tono
d’accusa e, dato che sembrava intenzionata
a far continuare la ramanzina ancora per un po’, Kimie si
affrettò a borbottarle
delle scuse non troppo sentite, le quali riuscirono comunque a
calmarla.
“In ogni caso, mi è stato chiesto di recapitarvi
questo” e mosse leggermente la
mano destra, nella quale stringeva una lettera color
avorio“Ma prima ho colto
l’occasione per chiedere a uno di quei signori che suo
fratello ci ha messo
tanto gentilmente tra i piedi di andare a comprarle qualcosa che la
rendesse
presentabile..” concluse infine e la ragazza sorrise tra
sé e sé, divertita dal
modo in cui lei aveva trattato quelle che sarebbero dovute essere le
sue
guardie del corpo (perché poi a suo fratello fosse venuto in
mente di
affibbiarle delle guardie del corpo, proprio non l’avrebbe
saputo dire).
Osservando l’energica figura della cameriera avvicinarsi a
lei, Kimie si ritrovò
a considerare una volta di più che era stata davvero una
fortuna che Karina le
avesse spontaneamente proposto di accompagnarla in Giappone e restare
lì
qualche settimana, il tempo di aiutarla a sistemare le sue cose e farla
ambientare, sia perché doveva ammettere che il senso
pratico, così come quello
dell’orientamento, non era proprio il suo forte, e inoltre le
faceva piacere
continuare ad avere vicino a sé una presenza tanto
familiare.
In effetti, Karina aveva iniziato a lavorare nella residenza Sinitsin
appena
maggiorenne, quindi da un paio d’anni prima
dell’arrivo della ragazza, e i suoi
modi, schietti ma discreti, la rendevano una compagnia singolarmente
piacevole.
Con un sospiro,
protese il suo braccio e afferrò la lettera che le aveva
porto.
Non ebbe nemmeno
bisogno di leggere l’intestazione per capire chi fosse il
mittente, aveva subito riconosciuto la grafia sottile e lineare del
signor
Enjyo. L’aprì con delicatezza e notò
con sorpresa che era scritta in inglese,
mentre chissà perché lei si era aspettata che
fosse stata redatta usando i
kanji.
Senza perdere altro
tempo, iniziò a leggerla, chiedendosi per quale motivo
avesse pensato di scriverle.
L’ ipotesi,
azzardata dopo aver notato piccoli particolari, come la
rigidità
del foglio e l’elegante inchiostro color blu scuro usati, o
il registro
particolarmente formale che quel biglietto, che esordiva con un
laconico
“signorina Amamiya Sinitsin”, fosse un invito a
teatro, si rivelò esatta.
Increspò le
labbra, pensosa.
Le ci volle qualche
istante, prima di riuscire a collegare il cognome del
giovane e promettente imprenditore che aveva avuto modo di conoscere a
San
Pietroburgo, un amico di vecchia data di Andrej, a quello della
famiglia
Ootori, che, così almeno era scritto, l’invitava a
prender posto nel loro palco
privato.
Nello stesso momento
in cui si chiese, leggermente irritata, se anche a suo
fratello fosse stata indirizzata una lettera come la sua,
ricordò che la
sorella maggiore di Enjyo, non riusciva davvero a ricordarne il nome,
si era sposata
anni fa col signor Ootori.
Giusto.. pensò giocando
distrattamente con una ciocca rossa dei suoi
capelli, sfuggita dalla crocchia in cui li aveva raccolti,
complimentandosi con
la propria memoria per non aver subito cestinato
un’informazione che, nel
momento in cui l’aveva ricevuta, le era sembrata perfettamente inutile.
Sbuffò
impercettibilmente mentre Karina, dopo aver lanciato
un’occhiata
discreta al biglietto, le sorrise divertita, ben conoscendo la sua
avversione
verso gli eventi mondani.
Poco importa, affermò tra
sé e sé: in fondo ricordava Enjyo come una
persona particolarmente affabile, dagli occhi chiari e la voce
profonda, ed era
stato gentile, a farle recapitare un invito quando veramente in pochi
sapevano
del suo arrivo in Giappone..
Che poi, quale opera
verrà rappresentata?
Si chiese
sinceramente curiosa, perché il teatro era una delle sue
passioni. Ci andava assieme ad Andrej o i suoi amici ogni volta che ne
aveva il
tempo, fermandosi a lungo a parlare nell’elegante foyer del
Mariinskij e
lasciandosi catturare ogni volta dal pathos degli attori.
Rilesse velocemente il
biglietto, ma non vi trovò scritto il nome dello
spettacolo. Sollevando leggermente le spalle, si ripromise di
domandarglielo
nella sua risposta, mentre, per la seconda volta in quella mattinata,
sentì del
colpi alla porta, stavolta più leggeri.
Era
un’inserviente, che non si fermò a lungo,
congedandosi appena le ebbe
consegnato un pacco voluminoso da parte di suo fratello, il quale,
forse per il
pallido colore rosa, forse per il voluminoso fiocco in cui era avvolto,
non le
ispirava affatto fiducia, anzi, proprio per niente.
Fu la cameriera ad
aprirlo, mentre lei si sedeva vicino alla sua toilette,
mantenendo una ragionevole distanza da quella cosa color confetto,
dalla quale
Karina tirò fuori un vestito dalle spalline sottili e lo
scollo a barca, di un
verde scuro che, più o meno, richiamava il colore dei suoi
occhi, il quale, pur
essendo molto stretto in vita, scendeva più morbido fino a
poco dopo le
ginocchia.
Appurato che fosse un
abito molto più sobrio di quel che aveva temuto,
accettò
di indossarlo, prendendosi prima qualche minuto per sciacquarsi, e,
come quando
era ancora una bambina, chiese aiuto a Karina per prepararsi, lasciando
che
fosse lei ad assicurarsi che le pieghe del vestito cadessero bene e a
acconciarle i lunghi capelli di un rosso ramato,
raccogliendoli verso l’alto, ma lasciando che alcune ciocche
inanellate
scendessero ad incorniciarle il volto.
Pochi minuti prima che
scoccassero le undici, informò Karina che poteva
tranquillamente prendersi una mattinata libera, dal momento che voleva
uscire a
visitare la città e che dubitava che suo fratello sarebbe
venuto a trovarla
prima del tardo pomeriggio; poi, chiamata con uno sguardo Luthien
affianco a
sé, prese la sua piccola borsa nera, vi infilò
dentro cellulare e portafogli, e
si diresse verso l’uscita.