Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: EvilGrin    28/06/2012    2 recensioni
La storia incompiuta di una piccola Mezzosangue che altro non cerca che il suo amato gemello. La storia rappresenta più che altro quanto successo in passato ed è molto, molto generale, riassuntiva in più punti, per permettermi di poterne fare un solo capitolo e lasciar parlare il personaggio in prima persona, senza dilungare troppo. Spero piaccia e..buona lettura =)
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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“C’era una volta…”

 

Tutte le migliori storie esistenti al mondo iniziano con questa semplicissima formula. C’era una volta un vecchio pezzo di legno, che ancora non può nemmeno sospettarlo, ma incontrerà una fata, avrà un padre e diverrà un figlio devoto. C’era una volta una bambina e c’era un vecchio padre malato, con rammarico scoprirà della sua nuova moglie e della tremenda matrigna, ma ogni sforzo compiuto le sarà ricompensato con il tocco appena accennato delle labbra di un autentico principe. C’era una volta una ragazza e c’erano anche sette nani, c’era una strega, c’era una rossa mela, c’era la notte, il sonno ed il risveglio di un bacio. C’era una volta una bestia dal cuore d’oro. C’era una sirena che amava un uomo. C’era un leone fiero e spensierato, un re. C’era una volta un angelo…

 

Un angelo da fattezze spettacolari, i capelli lunghissimi e biondi, gli arrivavano almeno sino alle ginocchia, lisci, che a tratti sembravano fluttuare nell’aria come non ci fosse gravità, come se fosse perennemente immerso in una bolla d’acqua. Ed erano così morbidi allo sgurdo quei capelli, così chiari, abbastanza invitanti da spingermi ad allungare una mano per cercare d’afferrarli. Ma non ne fui mai degna, né lo sono adesso. Era alto, la sua figura scivolava sul terreno, non camminava, le fattezze erano delle più aggraziate ed i passi quasi felini, avrebbero fatto invidia al più sensuale ed orgoglioso dei gatti. Le labbra..ah, le labbra, come le ricordo bene, quel taglio sottile, ma dolce, così com’era dolce e comprensivo il suo sorriso, lui sapeva, sapeva cos’ero, sapeva che ero nata nel modo sbagliato, io sono sbagliata e lui lo sa, me ne fece una colpa un tempo, perché fui io ad uccidere la cosa che lui più amava al mondo, non seppe mai, però, che quello era anche il mio più forte legame. Quello che a suo tempo non sapevo io è che non fui sola in quell’omicidio, c’era qualcun altro assieme a me ed era identico alla mia piccola figura. Eravano una rarità, sopravvissuti al sigillo di un angelo ed alla furia dei vampiri, fortuna, fu solo mera fortuna…

 

La uccidemmo, era nostra madre, l’unica cosa che avevamo al mondo. I vampiri ci chiamano “sporchi mezzosangue”, per loro valiamo meno di zero ed ucciderci gli porta quasi piacere, per questo siamo tremendamente pochi. In compenso noi sappiamo sempre se ne abbiamo qualcuno intorno, è una sensazione spiacevole, inizia tutto con un lieve pizzicorio dietro la nuca, che prende a spandersi di seguito per tutte le venature, sino ad arrivare alle budella, che si attorcigliano ed il respiro quasi si blocca, come se qualcuno ti avesse appena preso a pugni sullo stomaco. “Succhiasangue”, è il termine che più uso per chiamarli e non fatemene una colpa, sono un abominio, un insulto a Dio, hanno perso e venduto la loro anima per poter avere l’immortalità. Io sono come un cacciatore…dimostro loro che nemmeno il demonio può donare loro la vita eterna, e quel che rimane delle loro sporche anime, me le prendo io.

 

A suo tempo, mia madre fu una bellissima donna, da un cuore enorme, sì, era la persona più buona che potesse esistere e non ebbi l’opportunità di conoscerla. Ne ho una foto in compenso e posso dirvi che aveva i capelli chiari, di un biondo cenere vivo, luminoso, gli occhi verdi, la carnagione pallida e la corporatura gracile. Era una ragazza in quella foto, non una donna, avrà avuto appena diciassette anni ed è la sola immagine che ho di lei. Mio padre era un sangue debole, un caitiff, appartenente alla linea di sangue delle Fiere, ma a conti fatti senza Clan. Lui la voleva, la voleva per sé, lo so..lo immagino. Ezra ‘Eil, così dice di chiamarsi l’angelo, me lo raccontò, mi raccontò di come vedeva quell’uomo continuamente intorno a lei, e più provava a dirle di cacciarlo e più lui godeva ad infastidirla, l’angelo la salvò dalle sue grinfie più e più volte, ma alla fine mancò, per pochissimo mancò e quell’uomo, quel vampiro uscito male, ebbe la sua occasione per possederla, completamente, ci fu la notte in cui seppe che in quel momento, mia madre, Kayla Rijasanovskij, era completamente alla sua mercé. C’era una piccola, piccolissima probabilità che potesse rimanere incinta e per lei quella probabilità aveva un doppio nome: Rogue e James.

 

Due meticci, dalle fattezze e sensazioni umane, ma possessori di metà del sangue del loro padre, con una resistenza ed una forza sopra il consentito, superiore a ciò che viene comunemente definito “normale”. Non provarci, mortale, la mia vita è eterna e la tua lama non scalfirà nemmeno in un graffio la mia carne, non provare, non farmi sentire abominio più di quanto già non sono, voglio solo che ascolti la mia storia, perché faccia il giro del mondo ed arrivi alle Sue orecchie, voglio indietro mio fratello e l’unico modo che ho per trovarlo è fargli sapere che lo sto cercando, quindi ascolta, ascoltami! Te ne prego…

 

Ezra ‘Eil lo venne a sapere, sapeva che era incinta e sapeva che i feti che portava in pancia gliel’avrebbero squarciata senza pensarci due volte quando sarebbe venuto il momento della nascita, sapeva che avrebbero divorato le sue membra senza la benché minima consapevolezza di ciò che stavano facendo. Sapeva che l’avrebbero uccisa. Sapeva tutto e voleva ucciderci, così da non nuocerle. Era il suo amore, lo aveva riversato tutto su di lei e voleva saperla sana e salva, poggiò per questo la mano sul ventre rigonfio e con poche parole ci isolò..isolò i due feti dal corpo della donna, persino il nutrimento era scarso e quasi nullo, rendendo la nostra sopravvivenza difficile persino nel grembo materno. Lei lo fermò, non gli diede modo di continuare, ma sembrava oramai convinto di quel che faceva. Ciò che lo fermò furono ben altre voci.

 

Le voci dei vampiri che rivendicavano il loro possesso su quei due feti e sulla donna che stava per morire, mancava poco, stava per morire di un parto tremendamente doloroso. Quello stesso angelo provò a scacciare tutti i figli di Caino, senza lasciarne nemmeno uno, eppure quell’unico si nascose troppo bene alla sua vista, riuscendo a portarsi via la donna.

 

Quella stessa notte quella donna partorì in una cella fredda, che aveva per pavimento una piccola distesa di terra e come barriera delle spesse mura umide. La volevano uccidere, così come volevano uccidere noi meticci. Volevano estirpare quei piccoli abomini dalla faccia della Terra, il loro padrone non sopportava che degli umani possedessero anche solo una minima parte dei doni e del Sangue di Caino. Ma di fronte a quella cella c’era una guardia che altro non vedeva che due bambini, altro non sentiva che i loro pianti, altro odore non c’era che non fosse quello del sangue materno e ci portò via da quel posto, lasciando a terra il corpo disteso e martoriato di quella donna che un tempo fu amata dal più splendido degli angeli.

 

Ci portò via con sé, ma non poteva tenerci, lo avrebbero ucciso, così vendette me ad una famiglia rurale, nella Siberia centrale, lasciandomi come serva in quella casa, ma non so dove hanno portato James, per questo lo cerco.

 

Dai Solokov stetti bene, erano amorevoli e non sospettavano nemmeno della mia reale natura, non gliela rivelai, mi piaceva sentirmi completamente umana, così come lo amo ad… Vampiri…ci sono dei vampiri qui, e sono molti, davvero davero molti, scappa!

 

[Tre anni dopo…]

 

Non ricordo più nulla di quello che fu il mio passato oramai, so ancora di avere un fratello, tengo con me una lettera che scrissi per lui e che non ho mai inviato, ma non so nulla di quello che sono stata un tempo e di quello che fui in quella casa, non ricordo di aver raccontato a qualcuno la mia storia, di quando ancora mi chiamavo Rogue e non Lena, di quando non avevo un padrone né il sangue a dominarmi. Non ricordo nulla di quando venivo trattata al loro pari e non come un cane da guardia.

 

Ma è questa la mia attuale realtà: sono un cane da guardia, lo Tzimisce che ha fatto di me quello che sono si è ben curato di farmi avere un paio d’orecchie ed una coda da cane, ma non posso non pensare delle sue gesta che siano buone e giuste, che per ogni errore fatto io debba meritarmi tutto ciò che mi infligge, ed ogni volta è una tortura. Non distrarti, Lena, non spostare lo sguardo dalla porta, potrebbe entrare qualcuno. C’è caso che se chiudo per troppo tempo gli occhi qualcuno riuscirà a passare, meglio tenersi stretta la lama, prima o poi dovrò farmene costruire un paio da polso, così le avrò sempre dietro…

 

Non ricordo nulla nemmeno di quelle che furono le basi di una conoscenza, come se fossi una bambina che ha dimenticato tutto e che adesso non ha frequentato nemmeno la scuola materna. Non so leggere, non so scrivere, non so l’afabeto, né la differenza tra il cirillico e l’italico, non so dove si trova la Siberia in una cartina, non so cos’è il sesso, non so cos’è un bacio, so solo cos’è la guerra, la guardia, la battaglia, la protezione..ogni servo deve proteggere il proprio padrone a costo della morte, e la morte non mi spaventa..che dico, ogni mezzosangue ha un istinto di sopravvivenza tale che il terrore della morte riesce quasi a far annegare il legame con il sangue del proprio Domitor. Eppure..eppure lo ricordo sempre il suo volto quando combatto, ricordo la croce celtica della quale mi fece dono un tempo e la tengo sempre al collo, per non dimenticarmi un solo attimo che per un motivo che non m’è dato sapere, io gli devo la vita.

 

[Un anno dopo…]

 

Colin, lo Tzimisce, è morto..porto ancora il dolore nel petto per averlo perso, non sono stata brava abbastanza, non sono stata forte abbastanza, non sono stata attenta abbastanza, ho sbagliato, ho sbagliato, misera me, ho sbagliato! Sono un’insulsa, non ho saputo proteggere nemmeno il mio padrone, ha perso la vita per la mia inettitudine, avrei dovuto combattere sino alla fine ed invece mi sono nascosta. Vile! Sono una stupida vile! Un verme che non sa guardare in faccia la morte. Che rabbia..che dolore che sento, mi si stringe il cuore e mi si spezza l’anima, pregherò per la sua perché il suo ricordo aleggi sempre nell’aria, sulla carne porto i suoi segni e li rispetterò ogni volta che scoprirò la pelle, mai nessuno eguaglierà il suo passaggio.

 

Aurore Bauer, del Clan delle Rose, una piccola Toreador amante dei capelli rossi e di qualcosa che lei chiama “giapponesine” e no, non so cosa siano, ma non domando, non faccio Mai domande di troppo. Dice che i miei capelli bianchi e gli occhi di colori diversi, ma così chiari sono belli, dice che sono bella. Me lo diceva anche Colin, lui amava gli occhi, quello verde e quello celeste, amava i capelli bianchi, odiava che somigliassi così tanto ad un animale. Credevo che non avrei mai più bevuto il sangue di un vampiro, il solo pensiero mi fa scivolare lungo la schiena un brivido freddo, ho il terrore di quei legami, ho il terrore di perdere il contatto con Colin, ma ho fatto un patto. Lei mi avrebbe aiutato a trovare mio fratello ed io avrei bevuto.

 

Ci ho messo almeno una settimana per riuscire ad accettare la cosa, per riuscire a posare le labbra sulla sua pelle fredda per poter bere quel sangue dal sapore sublime, sì, sublime, ma io di solito uccide i vampiri da cui bevo, proprio per liberarmi di quel blando legame creatosi, perché ne ho paura ed posso ogni volta sentire il forte terrore di perdere anche il ricordo di Colin e no, non posso permettermelo. La proteggerò, sarà la mia nuova padrona ed a lei devo ogni cosa ora come ora, la salverò e la servirò, ma sarà sino al giorno in cui troverò Lui, James, per Lui ho fatto tutto e solo per Lui ancora vivo…

  
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